LA STORIA DELLA MIA VITA


Mi chiamo Bruno Agosti, sono nato il 17 agosto del 1951 a Livo.
Il periodo dell’immediato dopoguerra erano anni di grande povertà: la gente viveva quasi esclusivamente del lavoro dei campi. Mio padre Arturo era un agricoltore e mia madre, Elena Zanotelli, casalinga. La meccanizzazione era allora agli albori, nessuno possedeva un trattore agricolo e men che meno altre macchine motorizzate. Il lavoro pesante di trainare i carri agricoli veniva svolto dalle mucche. Ricordo benissimo come si faceva a “tacjàr sót”, ossia a predisporre il tutto affinché le mucche potessero essere in grado di trainare un carro agricolo. Allora tutto aveva un ritmo più lento, forse perché da ragazzini il tempo sembra non passare mai: tutto era più calcolato, meno frenetico. Si aveva il senso della misura, del saper aspettare le stagioni, come un evento vecchio ma straordinariamente nuovo e sempre da riscoprire con gioia e con ansia, specie noi ragazzini.
Durante la mia infanzia ho avuto anche la fortuna di essere accudito da mia zia Ada, che ora vive in Belgio. Era la sorella più giovane di mio padre che allora viveva in famiglia. Leggeva molto ed, a volte, mi leggeva delle fiabe o delle storie. Ricordo i fotoromanzi, allora proibitissimi per via della morale, che mio padre nascondeva in soffitta. Uno in particolare mi è rimasto in mente: era LA SIGNORA DELLE CAMELIE di Alessanrdo Dumas. La fantasia creava il personaggio come lo volevi. Allora non c’era la televisione, avevamo una vecchia radio ad onde corte e medie. Mi ricordo che si ascoltavano i radio drammi a puntate. Ora ci sarebbe un potenziale tecnologico formidabile e non viene minimamente sfruttato in modo attivo. Tutti subiscono il bombardamento della televisione che non prevede, anzi ti vieta, qualsiasi tipo di partecipazione attiva se non pilotata dagli interessi pubblicitari.
Ricordo che mio padre mi portava nei campi. Il lavoro pesante del contadino era un’attività dura, a volte ingrata e senza risultati certi. Non c’era l’irrigazione a pioggia, a goccia o sottochioma, c’erano solo i condotti aperti, i “LÉCI”, che portavano l’acqua nei campi e per quelli vigeva la legge del livello, quindi le zone in alto non erano irrigate.
Poi venne il tempo di andare a scuola. Il primo giorno fu un grande evento partecipato da tutti, per me una grande emozione. Ricordo la buona maestra Teodora Depeder che aveva tre classi: prima, seconda e terza, ed una frotta di bambini da accudire. Dopo i primi mesi di scuola, vennero a galla, drammaticamente, i miei handicap. Forse a casa non si aveva il coraggio di ammetterlo o forse non si erano mai accorti prima, ma tant’è. Si scoprì che il mio braccio destro aveva dei movimenti involontari per i quali mi era difficile tenere in mano una penna per scrivere (il nome tecnico di questo disturbo che è congenito o post-parto, si chiama SIMDROME EXTRAPIRAMIDALE). Di fatto ero nato difettoso, un “disgraziato”, come si diceva allora. A quei tempi non si parlava di diversamente abili o di portatori di handicap, eri un disgraziato e basta. Le famiglie tendevano a tenere il più nascosto possibile questo problema, quasi fosse una colpa dei genitori e non una bizzarria della natura e la gente guardava a quella anomalia come uno dei fenomeni da baraccone. Erano altri tempi, si era appena usciti dalla CULTURA fascista della razza perfetta e senza un difetto come i Balilla… Ricordo, però, la solidarietà dei miei coscritti del 1951, una classe numerosa! Questa solidarietà si è poi perpetuata nel tempo e a tutt’oggi continua quel legame che da ragazzini ci aveva uniti; li ricordo tutti con grande stima e simpatia. Sorse, poi, anche il problema della vista. Ricordo che mi portarono dal professor Scipio Stenico, allora considerato un luminare nel campo della vista. Mi diagnosticò una grave miopia bilaterale. Ora, con la moderna tecnologia oculistica, il problema si chiama MACULOPATIA ATROFICA ALLA RETINA. Da allora, per il resto della mia vita, fui costretto a portare lenti molto spesse e di conseguenza anche molto pesanti.
Dei momenti intensi e forti della scuola ricordo, con particolare dolcezza, il giorno della prima Comunione. La buona maestra Teodora, che mi aveva adottato come se fossi suo figlio, probabilmente sensibile ai miei tanti problemi, mi aveva regalato i “Santini” per la cerimonia, che tutt’ora conservo gelosamente, come conservo un dolcissimo ricordo della sua immagine di maestra severa ma buona.
In quarta elementare ho avuto per maestro Ernesto Fauri, un uomo con tanta esperienza alle spalle. Era stato anche tenente degli alpini nella Seconda guerra mondiale; aveva partecipato alla campagna di Russia ed alla battaglia di Nikolajewka. Di tanto in tanto la sua mente tornava a quei tragici eventi bellici ed allora era per noi ragazzini in cerca delle prime avventure, un mondo tutto da scoprire nei suoi racconti di vita vissuta. Anche di lui conservo un bel ricordo ed una profonda amicizia che si è protratta fino alla sua morte.
Arrivato in quarta elementare, vennero dei frati in casa e mi proposero di andare a frequentare la quinta in un loro collegio che era a Campo Lomaso nel Bleggio in Val Giudicarie. Allora era comune di LOMASO ora, da poco, si chiama COMANO TERME. Quello, devo ammettere, che è stato un periodo felice della mia vita. Con i frati ho avuto un’istruzione più dettagliata e completa. Eravamo due sezioni della classe quinta, sempre in competizione su chi avesse il più bel risultato, i più bei voti o le ricerche svolte meglio. Il più importante cambiamento che mi offrirono i frati, fu quello di permettermi di scrivere con la mano sinistra, il ché mi agevolò notevolmente nella velocità e nella precisione della calligrafia. Fu dopo di allora che cominciai a scrivere le prime poesie ed i primi racconti, con la fantasia e la creatività di un bambino. Da allora ho continuato a scrivere, alternando periodi di grande intensità a periodi di quasi astinenza. Questo hobby mi ha accompagnato nella mia vita e tutt’ora mi accompagna con un momento intenso, felice e prolifico di scritti e poesia.
Ho frequentato poi la prima e la seconda media sempre dai frati a Villazzano, sobborgo di Trento, anche lì con buoni risultati. Ricordo che a Villazzano fui tra i fondatori di un giornalino che veniva fatto girare all’interno del convento che si chiamava IL CORRIERE SERAFICO.
Poi arrivò la primavera della vita, che non bussa alla porta, che entra sicura, come il fumo lei penetra in ogni fessura … parafrasando De Andre’. Allora la ragazzina che giocava con te nel prato e si rotolava con te nell’erba, la comici a guardare con occhi diversi. Cominci a notare certe sue curve strane e certe diversità che prima non c’erano. È la vita che chiama: vuole il tuo contributo alla perpetuazione della specie umana. Un momento intenso, barbaro, ma meraviglioso della giovinezza: la scoperta della sessualità e della procreazione, che, secondo me, sono la cosa più affascinante, meravigliosa e misteriosa dell’intero ciclo della nostra esistenza e che tutt’ora mi affascina. Ma vi rendete conto, da un desiderio comune, da un atto di amore e di reciproca donazione, nasce una vita nuova. Ed è sempre stato così, non è meraviglioso!
Così, quando in alcuni ce ne andammo dal convento, il Padre Rettore, il buon Padre Marco Vanzetta, si accomiatò da noi dicendoci : “È meglio un buon uomo fuori, che un mediocre frate in Convento”.
Finita la scuola dell’obbligo a Cles, cominciò per me la vita attiva del lavoro, dapprima aiutando mio padre nei lavori dei campi. Poi nel 1967 mio padre si ammalò di cancro ed io iniziai giovanissimo a lavorare per la Ditta che costruiva l’impianto di irrigazione a pioggia nel comune di Livo come manovale metalmeccanico, per contribuire alle spese della famiglia. Allora posso dire che eravamo molto poveri e tutto sembrava accanirsi contro di me: mio padre morì nel febbraio del 1969, privandoci soprattutto del suo occhio vigile e della sua esperienza di vita, e mi dovetti arrangiare.
Una cosa negativa, se pur compiuta in ottima buona fede, fu quella di ricoverarmi al reparto NEURO dell’ospedale S. Chiara di Trento, per tentare di recuperare il braccio malato. Allora era primario il professor Beppino Disertori che tentò di curarmi, con il solo ed unico risultato di avermi portato a una forte dipendenza da psicofarmaci, in modo particolare da uno che si chiamava MOGADON e che ora non è più in commercio da alcuni anni. Ne sono uscito con molta fatica e grande forza di volontà dopo anni di disturbi al sonno ed altri effetti collaterali. Dico questo per far capire quanto poco conosciamo il cervello umano che è di una complessità e grandezza di collegamenti elettrici tale che alcuni scienziati lo paragonano all’universo…
La mia situazione di “INVALIDO CIVILE“, valutata dopo alcune visite medico – legali, fu riconosciuta definitivamente nel 1972 con una dichiarazione ufficiale della Commissione medica. Mi ha, di fatto, impedito di lavorare a tempo pieno e con mansioni che avevo sempre svolto, perché ero considerato un pericolo per l’ambiente di lavoro. Mi ha inoltre penalizzato pesantemente dal punto di vista pensionistico contributivo: alla data odierna dovrei lavorare fino al 2014 per aver diritto alla pensione.
Oggi il portatore di handicap, con molta più eleganza e diplomazia viene chiamato “DIVERSAMENTE ABILI“, ma la sostanza non cambia. A volte, quello che sta su un pezzo di carta è determinante per vivere o morire, per essere felice o triste, per avere una vita completa o una vita a metà, così a causa dei miei problemi invalidanti, dei miei handicap, per anni ho avuto sempre dei lavori precari, part-time, e tutti a tempo determinato. Ho svolto i lavori più svariati, dal portalettere al manovale edile, ai lavori forestali e solo nel 1993, finalmente, ho avuto un lavoro fisso presso la DALMEC di Cles, come magazziniere. Tutt’ora lavoro per quell’Azienda dove ho trovato un bell’ambiente oltre al rispetto dei colleghi e dei dirigenti.
Devo dire, con amarezza, che al tempo in cui ho avuto bisogno, nessun politico locale si è mai occupato di me, se non per chiedere voti; nemmeno i preti che, a quel tempo, avevano una notevole influenza anche sul mondo del lavoro. Conservo ancora la corrispondenza con un politico della DC di allora, roba da vergognarsi di certi personaggi…
Questo stato di cose ha compromesso anche la mia vita sentimentale: non sono riuscito a farmi una famiglia in giovane età, perché al di là di tanti bei proclami e tante buone intenzioni sull’uguaglianza tra normodotati e portatori di handicap, resta ancora un abisso di mentalità e di cultura, prima di arrivare ad una piena parità.
Ma forse è giusto che sia così, per non generare altro handicap ed altro dolore…
Per quanto riguarda i miei rapporti con la Comunità dove abito, vale il proverbio “Nessuno è profeta in Patria”. Ho cercato di capire i miei compaesani ma non sempre ci sono riuscito e non sempre loro hanno capito me, anche per le mie idee di destra, abbracciate ancora giovanissimo, che da sempre, senza se e senza ma, ho manifestato e difeso.
Come forse era scritto nelle stelle del mio destino, ho trovato una donna quando avevo già un’età adulta. Forse era destino che condividessimo i nostri problemi, giorno dopo giorno, con infinita pazienza l’uno verso l’altra, esaltando i pregi ed ignorano i difetti, così, per un attimo, rendendoci la vita meno amara, fino alla fine, ma con la gioia di aver conosciuto una donna vera e schietta, semplice e consapevole dei suoi limiti e delle sue debolezze, che ha pagato di persona le sue scelte, senza mai chiedere niente a nessuno.
Si chiamava Adelia, ed io la ricordo per il bene che mi ha voluto e perché :

“Mi hai donato uno sguardo bambino,
per guardare l’alba e il tramonto,
ho imparato la gioia di un dono,
ed ho capito il valore di un pianto”

FINE PRIMA PARTE

JEANE: UNA FIABA VERA

Dopo la morte di Adelia, avvenuta nel settembre del 2007, mi aveva preso un dolore profondo ed una disperazione che rodeva l’anima; non c’era più niente cha mi importasse veramente, l’unica cosa che mi pareva risolutiva era la morte. Avrei voluto andarmene con Lei, via da questo mondo ingrato che mi aveva dato solo grandi delusioni e mi aveva tolto l’unica persona che mi capiva e mi voleva bene. Mi tormentava un odio cieco verso quanti non mi avevano capito e, soprattutto, verso coloro che non avevano capito Adelia e non avevano fatto nulla per aiutarla.
Tutto questo mio stato d’animo, fatto di dolore e di rimpianto per la donna che avevo perduto, mi procurava una grande rabbia, per quelle che io ritenevo (e tutt’ora ritengo) gravi omissioni da parte della mia Comunità nei confronti di lei. È stato uno dei motivi per cui ho preso la decisione di raccontare in uno scritto tutta la nostra storia vissuta assieme, momento per momento, finché avevo la mente fresca del suo ricordo, perché nulla andasse perduto nel tempo. Questo l’ho fatto per sentirla ancora vicina, almeno con il pensiero e con il ricordo, ma è anche il principale motivo per il quale ho scelto di essere qui tra voi, AMICI DEL CIRCOLO ANZIANI, perché insieme a voi Adelia, che era un iscritta al Circolo, ha trovato quei pochi sprazzi di serenità che nel mio paese non ha mai avuto. Per questo vi ringrazio pubblicamente, amici del Circolo anziani; che Dio sappia ricompensarvi per l’amore dato ad una persona buona e generosa. Il racconto che parla di Adelia l’ho intitolato LACRIME FASCISTE; poche e fidate persone amiche lo hanno letto fin’ora, perché è molto personale e senza sconti per nessuno. Lo lascio fermo nel pc e, quando non ci sarò più, qualcuno se vorrà, lo potrà leggere e pubblicare.
Anche per lo stress di quei giorni e per il dolore che provavo, il mio cuore, già molto malato per una rottura della valvola mitralica, cominciò ad aggravarsi e peggiorare, così le aritmie notturne si moltiplicarono fino a diventare una costante di tutte le notti. Non riuscivo a dormire per la sensazione di soffocamento che mi prendeva sempre più di frequente. Mi rivolsi, allora, ad un cardiologo del santa Chiara, il quale mi disse che, per risolvere il mio problema, l’unica soluzione possibile era la cardiochirurgia. Si sarebbe così riparata la valvola rotta, consentendo al cuore di ritornare alla normalità; in tal modo sarebbero spariti tutti i miei disturbi. Accettai di buon grado la proposta dei medici, anche con la prospettiva che, se non mi fossi più svegliato dopo l’intervento, ci sarebbe stata Adelia ad accogliermi nell’aldilà.
Così il 6 agosto del 2008 ho subito l’intervento di cardiochirurgia che mi ha aggiustato la valvola mitralica ed è durato circa 5 ore. Non sono morto, anzi mi sono svegliato appena portato in rianimazione con un forte dolore allo sterno, che era stato tagliato. Allora ho capito che l’intervento era finito e che non era ancora la mia ora. Terminato il periodo di convalescenza, ho ripreso il mio lavoro alla Dalmec.
Per le festività del Natale 2008 il nuovo parroco di Livo, don Ruggero Zucal, mandò alle famiglie della parrocchia un volantino con il programma liturgico per il periodo natalizio. In fondo al pieghevole c’erano delle proposte per un Natale di solidarietà e tra queste c’era la proposta di adottare un bambino brasiliano povero della Parrocchia di padre Iginio Mazzucchi, un missionario trentino di RONZO CHIENIS, per un periodo di cinque anni.
Accolsi di buon grado quella proposta, pensando a quanto ero stato fortunato per essere guarito bene dopo l’intervento al cuore e pensando a quanto amava i bambini Adelia che non ne aveva avuti di suoi; per lei era stato un motivo di grande tristezza ed umiliazione nella sua vita di donna e sarebbe sicuramente stata d’accordo, visto anche che lei ne aveva cercato uno in adozione ma non era mai riuscita nello scopo, perché era una famiglia povera e non aveva i necessari requisiti.
Così è arrivata Jeane, una bella bambina vispa; ironia della sorte, anche lei con un problema fisico molto evidente: un labbro “leporino” che le deturpava il viso. Mi dicono che in quelle zone quel tipo di problema è molto frequente tra i bambini. Ora, però, con la moderna chirurgia estetica, che per fortuna non si limita solo a rifare seni e liefting, è possibile correggere quelle gravi anomalie che madre natura ogni tanto si sbizzarrisce a distribuire qua e là. La mia piccola Jeane ne ha potuto beneficiare in modo evidente e definitivo con un primo intervento che le ha ridato il sorriso. Ora necessita, a breve, di un secondo intervento per ottimizzare il risultato ed archiviare per sempre quel brutto ricordo.
Jeane ora ha 6 anni, essendo nata il 2 gennaio 2005. La sua famiglia è numerosa, ha infatti altri quattro fratellini tutti in scala. I genitori sono poverissimi ed il lavoro in quelle zone è scarso o nullo, per cui vivono quasi esclusivamente di carità.
Cresce bene e frequenta la scuola pubblica. Il paese in cui vive si chiama CAREIRO/CASTANHO in Amazzonia.
La scelta di adottare un bambino a distanza si è rivelata una scelta meravigliosa e Jeane è entrata nella mia vita come una folata di giovinezza, un vento leggero che viene da lontano e ti accarezza l’anima. È la figlia che non ho mai avuto e che avevo desiderato tanto. Me ne sono subito “innamorato” ed è diventata un dolce impegno, una goccia di rugiada al mattino caduta dal cielo, per rompere il vuoto della mia solitudine. È una scommessa per il futuro, una garanzia per la vita, perché non puoi morire e lasciarla sola, perché lei ha tanto bisogno del tuo aiuto.
Per il Natale 2009 Jeane mi ha scritto una letterina di auguri e l’ha “firmata” con lo stampo della sua manina che ho voluto riportare sulla copertina del mio libro di poesie, pubblicato pensando a Lei.
Lo scorso anno, invitato da don Ruggero, è venuto in parrocchia padre Iginio Mazzucchi ed ha incontrato le persone che avevano un bimbo in adozione. Questo missionario è una persona meravigliosa con una vitalità ed un entusiasmo che, secondo me, solo chi ama il prossimo davvero prova e riesce a trasmettere agli altri. Ci ha raccontato dei bambini, uno alla volta, con dolcezza e semplicità disarmante, dei loro problemi e dei loro bisogni. Ci ha raccontato della sua missione, grande quattro volte il Trentino con 40 mila anime, delle strade che quando piove per spostarsi si è costretti ad usare la canoa, degli ospedali precari, dell’elettricità che va e viene, delle comunicazioni lente in un paese enorme. Devo dire che tra tutti questi disagi, una cosa funziona; un po’ lenta, ma funziona: è internet. Ho dei contatti abbastanza frequenti con padre Iginio che risponde sempre alle mie e.mail, molto brevemente, per il poco tempo a disposizione, ma è sempre cordiale e disponibile.
Ho un sogno in mente per quando andrò in pensione, spero tra poco: voglio andare in Brasile a vedere la mia piccola Jeane, per vivere assieme a quella gente, povera di tutto ciò di quello che noi abbiamo in abbondanza, ma ricca di felicità che noi da tempo abbiamo voluto perdere, in nome di un progresso che ci ha resi schiavi del materialismo e del consumismo, magari vivendo per sempre lì, lontano da questa “civiltà”.
Desidero fare una riflessione, a voce alta, sul sull’adozione a distanza o i vari altri modi per aiutare il prossimo: è mia convinzione personale, che il primo “prossimo” da aiutare sia quello che ti sta accanto, ogni giorno, che trovi sulla tua via, senza chiedersi se ne abbia o meno bisogno o diritto, (“non giudicate…”), perché in quel momento QUELLO È IL PROSSIMO, bianco, nero, marocchino o zingaro. Sono convinto inoltre che il bene fatto ti ritorna sempre indietro, a volte anche con gli interessi.
Voglio, a tal proposito, raccontare un piccolo aneddoto. Nel 1992 io ero socio onorario del Circolo anziani di Rumo e partecipavo alle attività sociali. Quell’anno ricorreva il 500.mo anniversario della scoperta dell’America ed il circolo aveva organizzato una gita a Genova per visitare l’acquario ed il museo che ricordava Cristoforo Colombo. Ho ancora il video della gita. Nel pomeriggio andammo a visitare le maggiori chiese di Genova. All’uscita di una di esse, che mi ricordo conteneva un grosso proiettile di artiglieria inesploso che aveva colpito la chiesa, seduta sugli scalini, c’era una giovane zingara, con il caratteristico abbigliamento tzigano, che chiedeva l’elemosina. Erano tempi duri anche per me, era un periodo che non lavoravo e quindi dovevo fare attenzione a come usavo il denaro. La zingara mi guardava, con la mano tesa, senza parlare, solo con lo sguardo di chi chiede… Misi le mani in tasca e le diedi quello che mi era venuto in mano, senza guardare. Lei li prese, se li mise tra i seni, mi guardò e mi disse: - La tua vita cambierà in meglio. – Lì per lì non diedi alcun peso alle sue parole, ma quando, dopo pochi mesi, venni assunto alla Dalmec, mi ricordai delle sue parole e gli spiccioli che le avevo dato: mi sono stati restituiti con gli interessi…
Ci sono poi dei momenti nella vita dove uno guarda al di là del proprio orticello, verso un mondo più grande e sempre più multietnico e globalizzato, per aiutare qualcuno che il destino gli ha messo sulla sua strada. Sono convinto che questa sia la cosa migliore da fare, perché un tuo fratello, almeno uno, lo puoi aiutare e lo puoi rendere felice.
Io ho intenzione, se il Padre Eterno lo vorrà, di aiutare Jeane fino alla fine degli studi che vorrà intraprendere, perché considero la cultura la via maestra per lo sviluppo, la democrazia, l’indipendenza economica e sociale dei popoli.
Considero, infatti, la cultura l’arma migliore per la comprensione ed il reciproco rispetto. L’arma che non ti pone mai al di sopra dell’altro, ma ti affianca all’altro, perché nessuno è mai tanto saggio da non aver niente da imparare e nessuno è così povero da non aver niente da insegnare.
Nel frattempo, un po’ per curiosità ed un po’ per distrarmi dai mie tanti pensieri e problemi, mi ero iscritto a facebook, che è un social network mondiale, un po’ discusso e controverso che, però, permette, gratuitamente, di dialogare con altra gente, in ogni parte del mondo. A dire il vero, inizialmente sono rimasto un po’ deluso da tanta superficialità, assenza di creatività e di fantasia propria: tutto veniva copiato e messo in rete, senza commenti personali, per non parlare delle pesanti volgarità contenute in certe pagine. Poi un giorno di maggio dello scorso anno, mentre stavo visitando delle pagine dedicate alla musica di de Andrè e degli anni ‘60 che a me piace tanto, ho trovato il commento, struggente, che una donna aveva fatto alla “Canzone dell’amore perduto”di De Andre’. Ho messo “mi piace” e le ho chiesto l’amicizia, così semplicemente, senza amici in comune, senza sapere chi fosse, di dove fosse; mi era piaciuto come scriveva e quanto amore metteva nelle sue parole. L’interrogativo durò pochi istanti. L’amica accettò subito la mia amicizia e fummo subito in chat a scambiarci le prime cortesie e le prime informazioni personali.
Si chiama Tommasina ed è della Puglia. Siamo lontanissimi, ma non importa. Continuammo a sentirci anche gli altri giorni e, piano piano, iniziammo a raccontarci le nostre vite, i nostri drammi personali, i nostri amori perduti, le nostre speranze, le nostre emozioni, le nostre delusioni… Ed è nata così una profonda e sincera amicizia, di quelle a cui puoi raccontare la vita nei dettagli, senza vergognarti di piangere, perché sai che lei ti capirà sempre.
Lei è cresciuta in una famiglia povera, ma dalla profonda cultura dell’onestà, tanto impegnata nel sociale e di infinita umanità nel suo lavoro di infermiera. Una vita tormentata dal ricordo dell’uomo che ha amato e che il destino le ha rubato in giovane età. Rimasta sola con una figlia piccola, si è dedicata a lei anima e corpo, fino a coronare il sogno di vederla sposata tra breve.
Tommasina è sinonimo di dolcezza, di eleganza del linguaggio, nel pensiero suo sempre gentile; è saggezza di una vita vissuta con umiltà e con grande onestà. Sono due occhi neri, un viso dolce e delicato. È un sogno che è entrato nella mia anima per darmi coraggio, per insegnarmi che la vita va assaporata a piccoli sorsi, in tutti i suoi dettagli, lentamente come un magico dono che ti viene offerto una sola volta. È mia convinzione che per vivere bene, con serenità la propria vita, ci sia bisogno di due fattori che non costano nulla. Tutti li abbiamo dentro ma a volte tendiamo ad escluderli o limitarli, soffocati dalla società materialista ed egoista che ci siamo costruiti: sono i sogni ed il ritornare con la mente un po’ bambini. È passato quasi un anno e la nostra amicizia è divenuta sempre più salda e forte. Tutti i giorni ci scriviamo e ci raccontiamo il nostro pensiero e le nostre impressioni, commentiamo il nostro quotidiano, ma soprattutto ci facciamo tanta compagnia. Ho scritto molto per lei che apprezza molto il mio modo di scrivere, schietto e dolce, ed ho ritrovato la serenità perduta, la dolcezza di una donna che mi capisce e mi dà nuovi stimoli per andare ancora avanti, nonostante tutto. Per lei ho scritto molte poesie, alcune sono inserite nel libro che ho pubblicato anche seguendo le sue indicazioni ed i suoi consigli. Il libro ha avuto un buon successo proprio come lei aveva predetto.
In conclusione, cari amici del Circolo anziani, vorrei fare anche un piccolo bilancio finanziario riguardante tutta questa bella operazione che mi piace definire “A CHI”: a Jeane andranno 2.000- euro che provvederò a consegnare a don Ruggero, il quale poi penserà a spedirli in Brasile.
A me resta una immensa soddisfazione personale e mi sia concesso anche un filo di orgoglio per essere riuscito a ridare il sorriso a Jeane, ma soprattutto per essere riuscito a coinvolgere tante persone in ogni parte d’Italia ed a farle partecipare attivamente al mio piccolo progetto, con semplicità ed entusiasmo.
Avrei potuto dare il denaro senza pubblicare il mio libro, mi sarebbe costato quasi lo stesso prezzo, ma non sarebbe stato così bello e coinvolgente, non avrei assaporato la gioia di vedere tante persone amiche leggere le mie poesie ed apprezzare il mio stile di scrivere e, soprattutto, credo, nel mio piccolo, di aver fatto riflettere le persone sui veri valori della vita umana, che sono l’amore e la solidarietà.
Per molti, che non mi conoscevano in veste di scrittore dilettante, è stata una bella sorpresa.
Cari amici, vi ho raccontato questa sera tutta la mia vita, in ogni suo aspetto, le gioie ed i tanti dolori, come mai avevo fatto prima d’ora. È anche questo un modo per condividere la vita e rendere più dolce il nostro cammino verso un luogo comune per tutti, dove non ci sarà più sofferenza e dove nessuno sarà povero, debole o handicappato e dove, speriamo, di trovare la vera pace.
Ora, però, penso a vivere a lungo, con la serenità e la tranquillità che da poco ho ritrovato, con il ricordo quotidiano di Adelia che mi manca da morire e con il pensiero rivolto verso le mie due care amiche lontane, Tommasina e la piccola Jeane, che mi danno tanto coraggio e tanta forza per andare avanti, nonostante le tante avversità subite.
Ora, amici, vi chiedo un applauso per Adelia, che nella sua vita ha avuto solo dolore ed umiliazioni, un applauso forte sincero, che arrivi lontano, fino al cielo…
Ora il vento della vita che soffia in eguale maniera in tutti i continenti del nostro pianeta portando con se i semi della nostra stessa esistenza oggi si porta con se anche Jeane ormai diventata una bella ragazza carioca. Me lo conferma l' ultima mail di Padre Iginio mi ha inviato in occasione della S. Pasqua 2024 che potete leggere qui sotto.
Buona fortuna e buona vita Jeane Fonseca da Rocha !

Caro Padre iginio, ti ringrazio per gli auguri per la prossima S. Pasqua che ricambio di cuore anche a tutti i tuoi collaboratori e amici. Ti spero i buona salute io stò abbastanza beme con qualche acciacco determinato dall' età … Vorrei sapere se hai ancora contatti con la ragazza Jeane Fonseca da Rocha per sapere come stà ed eventualmente salutala da parte mia. Un caro saluto e un abbraccio Bruno Agosti

Da: Iginio Mazzucchi Mazzuchi <iginiope@yahoo.com.br>
Inviato: giovedì 22 febbraio 2024 20:18
A: bruno agosti <dux2000@live.it>

Carissimo Bruno.

Ti ringrazio per il messaggio, per gli auguri e per l'amicizia.

Di Jeane, da quando è andata a Manaus, abbiamo persa le tracce.
Speriamo che quello che ha imparato da noi la continui ad aiutare ad avere una vita bella.

P. Iginio.


WIDAD : E LA VITA RINASCE.

Da ormai otto anni , con cadenza bisettimanale, il sabato o la domenica nella tarda mattinata arrivava dalla val Camonica una ragazzina marocchina a propormi l’ aquisto di abbigliamento e biancheria ed altri piccoli oggetti di uso comune.
Arrivava con il padre che la lasciava in questi paesi mentre lui proseguiva il viaggio nei paesi vicini. La ragazzina faceva il suo giro nel paese e poi veniva a bussare alla porta di casa, sempre sorridente, aveva con se un grande sacco di plastica con dentro le cose da vendere.
Abilmente mostrava gli indumenti togliendoli dalla confezione, senza fretta, per poi rimetterli a posto se non li si aquistava.
Avevo l’ abitudine di comprare sempre qualche cosa e se proprio non mi serviva niente le davo sempre del denaro.
Così con il passare del tempo la ragazzina si è affezionata ed ha cominciato a raccontarmi la sua storia personale e quando aveva qualche problema mi scriveva una mail per chiedere il mio parere ed un consiglio che le ho sempre dato in modo obbiettivo e disinteressato. Quando l’ ho conosciuta frequentava le scuole medie ed abitava a Capodiponte in provincia di Brescia ed arrivava in Trentino attraverso il passo del Tonale.
E’ una ragazza molto dolce, sensibile e molto educata, parla l’ italiano in modo perfetto e non si direbbe che è marocchina, neppure la pelle è tanto scura. Pratica l’ atletica ad alto livello ed è molto brava nel podismo di mezzo fondo ed è stata anche campionessa nel bresciano.
Un giorno trovo un messaggio della ragazzina che, disperata, mi diceva che si era ammalata la mamma alla quale è molto legata, un fibroma uterino , ho tentato di tranquillizzarla dicendole che se operato in tempo sarebbe guarita. Infatti così è stato, l’ hanno operata a Brescia ed è guarita con la ragazzina che sprizzava scintille di gioia.
Finite le medie si è iscritta ad un liceo per geometri e si è diplomata nel 2012 con ottimi voti ed ha iniziato a fare praticantato in uno studio tecnico di Capodiponte.
Poi per tutti è arrivata la crisi economica ed il guadagno ottenuto con la vendita porta a porta si è lentamente ridotto fino a sparire quasi del tutto, il lavoro di praticantato non è retribuito per contratto, è uno stage prolungato,e la ragazza non aveva uno stipendio suo e le pesava enormemente vivere alle spalle dei suoi fratelli e sorelle. Ogni volta che passava a vendere si fermava a farmi le pulizie all’ appartamento ed a stirare i panni e sempre si lamentava del uo stato e cercava una via di uscita.
Un giorno mentre stirava, le buttai lì la mia proposta e la dissi : vieni a vivere qui con me, ci conosciamo da anni e puoi fidarti di me . lei sorrise e disse che ci avrebbe pensato molto seriamente.
Era la meta di maggio 2013, e dopo una settimana, con mia grande sorpresa trovo nella mia posta questa mail.

< Ciao, ho pensato bene sul fatto d venire su a vivere a a casa sua e fare praticantato da quel suo amico...
visto ke lavoro senza uno stipendio e continuo a costruire castelli di sabbia nei sogni.. allora ho deciso di farti una proposta e se la tua risposta sarà negativa considerala come se non ti avessi chiesto nulla..
Desiderei essere tratta cm se fossi sua figlia, cosi mi potrò sentire a mio agio visto ke nn sarò a casa mia e  visto ke nn ho una macchina mia se tu mi prendi una a rate visto ke io nn posso permettermelo dato ke nn ho un lavoro.. E Appena incomincerò a prendere una paga te li renderò indietro mensilmente assieme a soldi ke mi avevi imprestato per aggiustar la macchina di mia sorella..
E io ti tratterò altrettanto cm un padre e meglio :)
Così almeno ne varrà la pena di lasciare casa..e così quando voglio venire a trovarli avrò un mezzo per spostarmi..
Anche Xk il mio sogno è avere quella macchina bellissima ke vedo da x tutto..
E ricordati ke è solo una proposta e non ti devi sentire vincolato ne niente anche se non accetti saremo sempre  amici come prima ..
Saluti La tua amica >

Non ho spento i sogni di Widad, ho subito accettato le sua condizioni e le sue richieste, così ora è qui che vive con me che mi fa compagnia, che lava, stira, e cucina, ha la sua stanza, la sua privcy e lavora a fare praticantato dal mio amico architetto.
Si è anche realizzato il sogno di “ quella macchina bellissima… “ ed abbiamo comprato la BMW che lei voleva, con la quale ci possiamo muovere in piena libertà ed autonomia.
Sabato scorso siamo andati in val Camonica a far visita ai suoi genitori tornati dal Marocco per le visite di controllo della mamma, che per l’ occasione ci ha preparato un ottimo Kuss – Kuss.
La vita per me è radicalmente mutata, ora c’è Widad che mi fa compagnia, mi pota con l’ auto e mi dice se ci sono gradini o ostacoli che io non vedo.
Quella dolcezza che arrivava in casa ogni 15 giorni, ora è qui con me come un bel regalo inaspettato e per questo ancora più gradito e la mia vita è come rinata, è finita la solitudine che mi opprimeva e toglieva il sole alla mia esistenza.
Tutto ciò mi convince sempre più che il bene donato agli altri, al prossimo che chiede perché ha bisogno e tu gli dai quello che puoi, così , semplicemente, come ho fatto con Jeane, così come ho fatto con Widad, prima o poi ritorna indietro, bisogna avere magari la pazienza di aspettare, di soffrire ancora in silenzio e riabbassare il cane della pistola e saper rimandare il tutto ad un altro giorno…
Perché domani è un altro giorno.