MONIKA

 

 

Monika

 

 

 

Racconto di fantasia

 

di

 

Bruno Agosti

 

 

 

Introduzione

 

 

Correva l’ anno 1912, nel lindo ed ordinato paesino dell’ impero austro-ungarico confinante con il Regno d’ Italia , la vita era lenta e monotona come nei lunghi anni precedenti, quando la scarsità dei raccolti aveva imposto alle popolazioni un rigido regime di grande austerità ed una condivisa generale povertà.

Tutto era razionato nelle famiglie, il poco pane nero, le patate, il latte delle mucche che serviva per fare il burro ed il formaggio, se ne teneva a casa poco, lo stretto necessario il restante lo si conferiva al caseificio a turnario. Bisognava anche risparmiare il denaro per poter pagare la “ steuer “ che era una tassa sulla sicurezza dei paesi e dei loro abitanti contro il brigantaggio o le invasioni di altri popoli confinanti.

Nel piccolo villaggio di montagna al margine del grande bosco di abeti, in una casetta parzialmente di legno, viveva una ragazzina di nome Monika, con lei vivevano gli anziani genitori e due fratelli maggiori, Werner ed Erwin, la famiglia viveva di pastorizia e di agricoltura, mentre i fratelli di Monika lavoravano come braccianti agricoli nei campi dei ricchi proprietari terrieri.

Nei pomeriggi, liberi dopo la scuola che Monika frequentava con impegno, la mamma la mandava alla vicina sorgente a prendere l’ acqua con due secchi portati in spalla con un piccolo “ bagilon “ la ragazzina riempiva i secchi a metà, se li metteva in spalla e tornava , piano, piano verso casa.

Finito quell’ impegno correva nella stalla a prendere Sissi e si dirigeva verso il pascolo della montagna. Sissi era la sua capretta prediletta che lei teneva sempre vicino a se mentre il resto del gregge andava a pascolare altrove, ma Sissi no quella doveva stare sempre vicino a lei e brucare l’ erba migliore. La capretta mostrava tutta la sua riconoscenza a Monika, le stava sempre vicina e per far sentire meglio la sua presenza, le dava dei piccoli colpi di corna nella schiena e lei capiva che era vicina si girava e la accarezzava con dolcezza. Erano amiche per la pelle Monika e Sissi e per nessuna ragione al mondo si sarebbero separate.

Per lei Sissi era importante come la sua amata Imperatrice, che tutti i giorni poteva osservare a scuola accanto all’ Imperatore, come era bella e che bella coppia erano ! Ogni volta che li osservava, provava un senso di dolcezza e sospirava dentro di se : ah se potessi trovare anch’ io un uomo così bello…

Poi riprendeva a studiare guardando con attenzione l’ insegnante.

Piccole fantasie di un adolescente ai primi contatti con la primavera della vita che distingue colori e diversità, che trovano spazio e ragioni nella fantasia e nell’ immaginazione, ma che sono frutto di un vento che scorre nell’ anima e se ne impossessa senza chiedere se sei d’ accordo che ti induce a strani sogni la notte, che non capisci bene dove tutto inizia e dove tutto può finire. E perché il cuore a tratti, impazzisce e vola via con il vento a cercare uno sguardo, due occhi che hanno avuto l’ ardire di guardarti… come quelli di quel ragazzo che aveva incrociato un giorno mentre portava le caprette al pascolo. Era Erik il figlio del calzolaio del paese italiano vicino al confine, gente umile e povera come lei, le aveva sussurrato qualcosa e le aveva sorriso, lei aveva risposto con un inchino ed un timido sorriso ma quelli occhi neri e profondi le erano rimasti impressi nella mente e quando ripensava a lui sentiva un non so’ che di strano e di diverso.

Quando lo incrociava per i viottoli stretti del paesino intento a consegnare le scarpe riparate dal padre, il suo cuore batteva più forte e veloce che lo sentiva salire in gola era l’ unico che la salutava e le sorrideva, lei apprezzava profondamente quel saluto quella attenzione e cordialità spontanee, sorrideva e ringraziava con un saluto con la mano.

Erik non perdeva mai l’ occasione di percorrere “ casualmente “ la strada che portava al pascolo dove Monika stava seduta a fianco della fedele Sissi, ad osservare attenta che le altre capre non si allontanassero più di tanto e se qualcuna ai allontanava troppo era subito pronta a richiamarla con il suo fischietto dal suono trillante che portava sempre con se. Il ragazzo si avvicinava al pascolo lentamente, senza far rumore e restava per lungo tempo ad osservarla nascosto diedro un boschetto ed ai suoi occhi sembrava essere la stella più bella e più pura che esisteva in tutto il creato.

Con i suoi capelli neri lunghi ed i suoi grandi occhi chiari come il mare la ragazzina e la Sissi erano distese insieme nel prato verde e mentre la capretta brucava, lei la accarezzava facendo tintinnare il campanello che portava al collo che aveva un suono dolcissimo, simile ai suoni di Natale.

 

Capitolo 1 –

Garofani rossi.

 

Un giorno Erik raccolse dei fiori nel bosco e decise di portarli a Monika ma la trovò che dormiva accanto alla fedele Sissi all’ ombra di un grande abete, si avvicinò piano le accarezzò il viso e poi si abbassò e la baciò sulla fronte piano con dolcezza, lei non si mosse ma accennò un sorriso come se stesse sognando qualche cosa di bello…

Erik allora depose piano il mazzolino di fiori tra le mani di Monika la accarezzo nuovamente prima di alzarsi e tornare a casa, non ebbe il coraggio di svegliarla.

Tornando a casa Erik ripensava a quanto era bella quella ragazzina e la sua mente era tutta un turbinare di pensieri di emozioni strane che non aveva mai provato prima di allora ma che cosa aveva di strano quella ragazzina da renderlo così felice così allegro così … Sull’ uscio di casa ad aspettarlo trovò sua mamma che lo squadrò da capo a piedi e poi gli chiese : ma sei rimbambito o sei innamorato ?

Nel dormiveglia a Monika parve di sentire qualcuno che le leccava le mani si svegliò d’ un tratto e c’ era Sissi che tentava di mangiare i gambi dei fiori del mazzolino che le aveva portato Erik, allontanò la capretta e guardò stupita quel bel dono inatteso arrovellandosi nella mente per riuscire a dare una spiegazione ed un nome allo sconosciuto cavaliere.

Annusò il profumo intenso e delicato di quei garofani di bosco e la sua mente di giovinetta cominciò a fantasticare ed a cercare spiegazioni nell’ immaginario e negli occhi ancora assonnati vide come in un sogno un bel ragazzo biondo che le correva incontro le donava il mazzolino di garofani rossi e la baciava su una guancia in quel momento si svegliò ansimante, mentre Sissi le leccava la guancia: ah sei tu Sissi ! pensò e la allontanò con una mano, ma la sensazione di essere stata baciata sulla fronte le rimase come un ricordo di un bellissimo sogno che le faceva vibrare il cuore e poi c’ erano quei fiori qualcuno li aveva pur dovuti portare ed una grande emozione la pervase d’ un tratto, non aveva mai provato un simile sentimento di serenità e di dolcezza e si chiedeva che cosa lo potesse procurare cosa significasse tutto questo improvviso cambiamento di umore un desiderio profondo di essere presa per mano dal ragazzo del sogno ed essere portata via lontano a stare insieme a lui per sempre.

Si alzò e si pulì la gonna dall’ erba poi prese il fischietto dalla tasca e vi soffiò con forza, tutte le caprette allora si radunarono vicino a lei con un tintinnio di campanelli che formavano una dolce melodia un concerto che solo in quei verdi monti del Tirolo si poteva ascoltare e si diffondeva con un eco prolungato a rompere il silenzio della sera che incede.

Si avviò verso casa con la fedele Sissi che la spingeva da tutti i lati con mille coccole quasi a volerla distogliere da quel pensiero dolce quel nuovo tormento che le attraversava l’ anima e finiva sempre al cervello, un sentimento che non aveva mai provato prima di adesso, con la stessa assillante domanda: ma cosa mi succede ?

Giunta a casa rinchiuse le caprette nella stalla poi entrò nella cucina fumante di buon profumo di minestrone, se ne mangiò un piatto di gusto finito di mangiare, di avvicinò alla finestra della cucina si appoggiò al davanzale e fissò a lungo lo sguardo verso il vicino bosco uno sguardo intenso, come a frugare nella fitta boscaglia per cercare qualche cosa di prezioso, la mamma se ne era accorta le si avvicinò lentamente le accarezzò i lunghi capelli e le sussurrò delle parole dolci molto lentamente lei sorrise quasi ad ammettere che aveva ragione ricambiò le carezze con un lungo bacio e si avviò verso la sua cameretta per andare a dormire.

Come al solito prima di coricarsi, si inginocchiò vicino al letto pose lo sguardo verso una statua della Madonna che aveva sopra il cassettone e pregò per lei per la mamma e il papà i fratelli ed alla fine, pregò anche per quel ragazzo del sogno, non ne capiva nemmeno il motivo ma sentiva che doveva pregare anche per lui.

Mentre si spogliava si osservò davanti al vetro della finestra, che un po’ la rispecchiava dopo che aveva chiuso gli scuri, si stupì nel vedere che stava diventando una donna.

 

Capitolo 2 –

Il sogno.

 

Erik, non riusciva a dormire si girava e rigirava nel suo letto, con gli occhi ancora spalancati alla ricerca di un qualcosa che neppure lui sapeva. Sudava sotto le lenzuola ma non riusciva a prender sonno, quella ragazzina le era rimasta nel cuore ed ora era salita al cervello e come un piacevole tormento lo perseguitava non appena entrava nel dormiveglia lei le si presentava davanti con tutta la sua bellezza e la sua femminilità.

Si alzò aprì la finestra per far entrare il fresco del bosco e notò che anche la ragazzina nella vicina Austria aveva ancora la lanterna accesa, vedeva da lontano quel piccolo tremolio di luce nel buio fitto della notte che proveniva dalla casa della ragazzina nel paesino dall’ altro lato della valle, pensò ancora a lei per un momento poi piano, piano tornò a letto ma come un chiodo fisso quella ragazzina le riapparve nella luce tremolante della lampada a petrolio, con il suo sorriso un po’ triste ma le sembrò ancora più bella, i suoi occhi brillavano nella luce tremula della fiammella e le sue labbra si sciolsero in un sorriso…

 

La devo vedere la voglio conoscere, le voglio dire che io e poi troverò il coraggio per dirle tutto quello che provo per lei? e camminava svelto verso il pascolo dove sapeva di incontrare la ragazzina.

E se lo avessero scoperto i gendarmi austriaci attraversare il confine senza controllo? Erano tempi che non correvano buoni rapporti tra i due Paesi ma non ci voleva nemmeno pensare e poi lui avrebbe spiegato con quel poco di tedesco che sapeva ed era certo che lo avrebbero capito e lasciato libero.

Cristo! ma se mi ricordo bene lei aveva una scarpa con la suola scucita, ecco la aggiusterò io la sua scarpetta e che “ostrega” ! la mia donna con le scarpe rotte! Passò vicino al grande sasso dove erano sbocciati dei nuovi garofani selvatici, come erano belli e che profumo intenso emanavano ne raccolse in fretta un mazzetto tra i più belli, lo legò con dei fili d’ erba dispose bene i fiori come a formare una stella, poi riprese il cammino.

Il tintinnio dei campanelli delle caprette si faceva sempre più vicino ed allo stesso tempo il suo cuore iniziò a battere sempre più forte, la intravide tra i rami era seduta vicino al ruscello con la fedele Sissi che stava, beatamente, accovacciata ai suoi piedi all’ ombra de grande abete.

Quanto era bella quella ragazzina, quanto gli piaceva quello scricciolo piccolo e dolce.

Si fermò un attimo, respirò a fondo, un respiro che gli diede coraggio si aggiusto i biondi capelli con una mano si asciugò il sudore e si diresse deciso verso di lei. Sissi si accorse subito della sua presenza ed avvertì la padroncina con una leggera spinta con le corna, lei si girò ed incrociò lo sguardo di Erik che la osservava da un momento come estasiato, gli sorrise timidamente lo salutò con la mano mosse un attimo le labbra come per dire qualche cosa, ma il rumore del ruscello sembrò coprire le sue parole. Erik stava dritto davanti a lei teneva il mazzolino di fiori dietro la schiena ma non riusciva a parlare, per tanto impegno e tanto che si fosse allenato non riusciva a dire una parola… Respirò di nuovo, profondamente, si avvicinò alla ragazza lentamente, mostrando finalmente il mazzolino di garofani profumati.

Sissi disturbata dall’ intruso si alzò e si allontanò verso il pascolo. Allora Erik vide che Monika era scalza: ma come ? pensò e le scarpe rotte ? lei girò i piedini e li immerse nell’ acqua limpida del ruscello gli sorrise di nuovo e tese la manina per prendere i fiori che lui le aveva portato, Erik cercò di allungare la mano versò lei ma non gli riusciva di arrivarci, era come se qualcuno lo trattenesse e gli impedisse di donare i fiori alla sua donna, il mazzolino gli sfuggì di mano, cadde nel ruscello e l’ acqua se lo portò via a piccoli balzi, verso valle.

 

Un tuono violentissimo lo svegliò, era tutto sudato ed ansimante era in arrivo nella vallata un temporale estivo, le tende della sua stanzetta oscillavano e si gonfiavano come dei fantasmi notturni illuminati dai lampi del temporale, la lampada a petrolio si era spenta con il vento.

Meno male che è stato solo un sogno ! si consolò si alzo guardò dalla finestra rimasta aperta verso l’ altro paese della valle, sospirò un attimo la richiuse e si rimise a letto, si addormentò di nuovo e dormì, tranquillamente fino al mattino.

 

Capitolo 3 –

Un amore italiano.

 

Alcuni giorni dopo Erik decise di andare dalla ragazza doveva pur sapere come si chiamasse e poi le doveva dire tante cose era deciso a confessarle tutto il suo tormento quel suo desiderio di doverla vedere, a tutti i costi quel rodere che sentiva dentro il cuore che niente e nessuno gli avrebbe impedito di vederla.

Si diresse deciso verso il confine quando vi arrivò sentì più lontano degli uomini che impartivano ordini in modo secco ed in tedesco perfetto - ma - pensò saranno dei nuovi boscaioli venuti dall’ Austria o delle nuove reclute della Guardia di frontiera.

Affrettò il passo per non incontrare i nuovi arrivati e si diresse rapido verso il pascolo dove era seduta la ragazza assieme alla sua capretta.

Passò vicino al grande sasso dove crescevano i garofani selvatici, pensò di non raccoglierli, ma poi attratto dal profumo inebriante che lo seguiva tornò indietro ne raccolse un bel mazzolino, gli mise attorno dei rametti di felce e lo legò con dei fili d’ erba ne risultò una bella composizione degna di una principessa.

Arrivò da Monika, la notò da lontano tra gli abeti e come nel sogno il cuore iniziò a battere più forte provò a respirare ma niente, il cuore era come impazzito non obbediva più ai suoi comandi che strano e non si trattava di un sogno.

Il rumore del ruscello si faceva sempre più deciso cercò di camminare senza fare tanto rumore per arrivare di sorpresa vicino a lei, ma non riuscì ad imbrogliare la Sissi che avvertì subito la padrona con il consueto colpetto di corna.

Monika si girò e vide Erik che la guardava come affascinato con il mazzolino di fiori tra le mani, una folata leggera di vento, le portò il profumo intenso dei garofani selvatici, si alzò e si avvicinò, lentamente al ragazzo, che allungò la mano e le porse il mazzolino di fiori, la guardò intensamente e poi, con un filo di voce fissandole gli occhi le chiese : Come ti chiami ? Monika sorrise poi piano, piano prese dalla tasca della gonna una piccola agendina e con un mozzicone di matita scrisse: Mi chiamo Monika e sono sordomuta.

e diede il libricino ad Erik il quale lesse, poi si fece prestare la matita e scrisse : Io mi chiamo Erik e ti voglio bene, le riconsegnò l’ agenda lei la lesse e sorrise, si fece ridare la matita ed aggiunse : anch’ io.

Ad Erik tutto questo non pareva vero e per avere conferma che non fosse ancora un sogno, guardò subito le scarpe della ragazza ed ebbe la conferma che non stava sognando quando vide che una scarpa di lei era con la suola scucita. Subito tolse dalla sua sacca gli attrezzi da calzolaio li mostrò a Monika, la quale si levò la scarpa rotta e con un sorriso ironico, la consegnò al mastro calzolaio il quale la prese e si mise subito al lavoro

La pulì bene nella parte staccata vi applicò della colla e poi ci mise dei punti con uno spago resistente, facendolo passare da una parte all’ altra con la “ shubla “ alla fine mise la scarpa sotto due grosse pietre perché si incollasse bene e fece capire alla ragazza che doveva stare lì “ eine stunde “ ( un ora.)

Poi il silenzio ed i baci regnarono sovrani nel pascolo e nel fitto bosco di quel luogo sperduto del grande impero, l’ amore aveva passato i confini, li aveva annullati almeno per un momento, Monika pastorella austriaca aveva incontrato un amore italiano.

Rimasero lì tra i fiori fino a quando il giorno imbrunisce per poi lasciare libero sfogo alle notte e si capivano senza parole, perché l’ amore ha bisogno solo di lunghi silenzi , silenzi profondi che gridano solo nell’ anima, che scuotono il cuore di battiti impazziti, che segnano un tempo che ormai non c’è più che danzano insieme in un ritmo d’ amore un sogno comune che sboccia nel cuore.

Era quasi notte quando Monika richiamò con il suo fischietto le capre che ormai si erano accucciate comodamente tra l’ erba, un tintinnio di campanelli la circondò le contò rapidamente e si avviò verso casa dopo aver dato un bacio al suo amore.

 

Capitolo 4 –

Il filo spinato.

 

Erik a sua volta si diresse verso il confine per raggiungere casa sua, camminava allegro canticchiando, non era mai stato così felice, si sentiva leggero come una piuma, saltellava tra le pietre come uno stambecco arrivò al confine quasi senza accorgersi ormai era notte ma vedeva chiaramente le luci delle case del suo paesino ancora poco e sarebbe arrivato.

Ma cos’ è questo filo spinato che prima d’ ora non c’ era ? Cristo, quanto sono lunghi ed alti poi c’ erano dei cartelli con scritte in tedesco come “ Achtung “ “ verboten “ e poi ce n’ era uno con scritto che chi veniva sorpreso a passare il confine di notte senza permesso sarebbe stato FUCILATO !

Erik cercò un varco dove si potesse passare ma il reticolato era spesso e robusto. Si chiese a cosa fossero servito tutto quel filo spinato, magari erano stati messi per impedirgli di rivedere la sua amata, ma che mondo era questo? ma Cristo! possibile che non si possa più voler bene a nessuno !

Arrivò in un punto dove il reticolato gli sembrava meno fitto, ci si infilò carponi dentro e con le tenaglie da calzolaio tagliò alcuni fili poi a forza di braccia e gambe uscì dall’ altra parte.

Appena uscito verificò i danni che aveva subito, pantaloni e camicia erano strappati in più punti i graffi e le escoriazioni sulla pelle non si contavano cosa avrebbe detto adesso sua madre ?

Aveva anche perso le tenaglie da calzolaio, adesso chissà quante “ ostie “ mio padre.

Raggiunse casa che era notte fonda trovò la mamma che si era addormentata sul tavolo della cucina in attesa che lui arrivasse, vicino a lei ormai fredda, c’ era un piatto di minestra e del formaggio, mangiò il tutto in fretta e senza far rumore poi si appartò nella sua cameretta, i conti li avrebbe fatti domani.

Si levò di dosso i vestiti laceri e li depose sulla seggiola, prese dall’ armadietto a muro la tintura jodata e si disinfettò le ferite stringendo i denti per il bruciore che provocava poi sfinito ma felice si coricò sul letto e si addormentò subito.

 

Capitolo 5 –

La chiamaata alle armi

 

Erik, Erik ! ci sono i carabinieri che ti cercano ! sbottò sua madre, entrando nella sua stanza alle nove di mattina. Sarà per la storia del reticolato pensò il ragazzo, si vestì in fretta ed uscì verso il carabiniere che lo aspettava sull’ uscio di casa.

Il militare che era sceso da cavallo lo salutò militarmente, gli chiese se il nominativo della comunicazione rispondesse al suo e quando ebbe una risposta affermativa gli consegnò una cartolina dicendogli che era la chiamata alle armi.

Erik la prese, la guardò con sospetto, poi ringraziò il carabiniere che gli sorrise e mentre risaliva in groppa al cavallo gli disse con tono fiero: ragazzo, si và in guerra ! Erik lo guardò stupito ed assonnato e poi chiese al milite: in guerra… ma contro chi ? il carabiniere fermò il cavallo volse uno sguardo severo verso il ragazzo e proclamò : ma come contro chi ? contro quei bastardi di austriaci ! lo sai che ci dobbiamo riprendere Trento e Trieste, o no !

Erik non capiva ma perché doveva avercela con gli austriaci se la sua Monika era austriaca ? ma che siamo impazziti tutti ?

Il carabiniere quando era ormai lontano si fermò, si girò verso il ragazzo e gli gridò : I renitenti alla leva ed i disertori verranno fucilati !

Madonna, pensò Erik, ma quanti mi vogliono fucilare in questi giorni.

Sulla cartolina di chiamata alle armi c’era scritto che si sarebbe dovuto presentare entro quindici giorni, presso il distretto militare di Verona per essere sottoposto a visita di idoneità al servizio militare di leva e che se l’ esito fosse stato positivo sarebbe stato immediatamente arruolato nel Regio esercito italiano.

Doveva assolutamente avvertire Monika le doveva mostrare la cartolina le doveva dire che lui non c’ entrava che non aveva nulla contro gli austriaci che quel confine a lui andava bene anche se c’ era il filo spinato lui sarebbe passato egualmente che non voleva rubare la terra degli altri.

Si mise in tasca la cartolina e si avviò velocemente verso il confine ormai delimitato dal filo spinato, portò con se una trancia fili più grossa per aprirsi un varco nella barriera non voleva più rovinarsi i vestiti e la pelle.

Percorse la stradina che porta al confine ed arrivato al filo spinato decise di scegliere un posto più nascosto e riparato per aprirsi un piccolo passaggio, scese allora più in basso nel fitto bosco dove nessuno lo poteva vedere ed iniziò a tagliare il filo fino a formare un piccolo passaggio quel tanto che gli serviva per passare oltre nessuno se ne sarebbe accorto.

Arrivato dall’ altra parte, si diresse di corsa verso la sua amata che stava accudendo le caprette vicino al ruscello, vi arrivò in un batter d’ occhio. Come era lì bella assorta nel suo silenzio, si era messa un fiordaliso blu nel nastro rosso che le raccoglieva i capelli, rimase a guardala un po’ le pareva ancora più bella con quel viso dolce nel quale sembrava rispecchiarsi tutta la tranquillità dei monti.

Poi una folata di vento segnalò a Sissi la sua presenza e la capretta avvertì immediatamente la sua padroncina che si girò verso di lui e gli sorrise poi si alzò in piedi si accomodò il vestito ed i capelli e si diresse verso il suo amore, lo abbracciò con tenerezza e poi fece un cenno con la mano per chiedere se stava bene. Erik annuì e la tranquillizzò con un ampio sorriso le strinse le mani con forza e se la tirò a se stringendola al petto. Si sedettero di nuovo e lei tirò fuori l’ agendina e la matita e scrisse : novità ?

Erik tolse dalla tasca la cartolina che gli aveva consegnato il carabiniere e la porse a Monika, lei la prese la osservò la lesse e la riconsegnò al ragazzo bagnata da una delle tante lacrime del suo pianto silenzioso, lui se la strinse di nuovo tra le braccia e la baciò con tenerezza.

Monika fece intendere che anche ai suoi due fratelli maggiori era giunta una simile convocazione da parte della gendarmeria austriaca e che si dovevano presentare a Trento per le stesse identiche ragioni.

Poi Erik, raccontò che per arrivare da lei aveva tagliato il filo spinato in un punto dove era ben nascosto nel bosco e per dimostrare ciò tolse dalla sua sacca le cesoie che aveva usato.

La ragazza si mise le mani nei capelli e lo guardò spaventata poi fece con la mano il gesto classico per dirgli che era matto, prese poi il suo bastone e mimò il gesto di un soldato che spara con il suo fucile e mirò verso il suo petto, lui capì che era un grave ed alto rischio ciò che aveva fatto e che se fosse stato scoperto a passare il confine sarebbe stato per davvero fucilato sul posto come una spia.

Rimasero insieme fino a notte fonda, fino a quando il buio della notte avesse favorito il ritorno a casa senza essere visto dalle guardie, lasciò a Monika la trancia che lei nascose sotto delle pietre, baciò a lungo la ragazza le promise che sarebbe tornato tutti giorni prima di partire soldato e si avviò verso casa.

Mentre attraversava il piccolo passaggio che aveva ricavato nel filo spinato poté sentire le due guardie di frontiera austriache che chiacchieravano al lume della lanterna a petrolio mentre passeggiavano avanti e indietro nella vicina stradina con il fucile in spalla mentre altri due soldati giocavano a carte seduti vicino alla mitragliatrice.

ostia, pensò il ragazzo, fanno sul serio quelli !

 

capitolo 6 –

Venti di guerra.

 

I fratelli di Monika tornarono a casa a mezzogiorno con un giornale che portava una notizia a caratteri cubitali in prima pagina.

L’ arciduca Francesco Ferdinando d’ Austria erede al trono e sua moglie Sofia erano stati assassinati da un ribelle nazionalista di nome Gavrilo Princip a Sarajevo in Serbia il 28 giugno del 1914 e l’ impero era pronto a scendere in guerra per vendicare una simile onta.

Secondo il giornale, che era uscito in edizione straordinaria, si sarebbe trattato di una spedizione militare di brevissima durata, senza rischi e vittoriosa. La ragazza non capiva ma dove era poi questa Serbia ? e cosa avevano a che fare i suoi fratelli con questa guerra che sembrava così

vicina ? lei proprio non riusciva a farsene una ragione mentre invece i suoi fratelli uscirono di casa cantando delle canzoni patriottiche e si erano pure messi una coccarda giallo -nera al cuore.

Il padre stava zitto e sembrava che i suoi occhi guardassero a ritroso nella memoria per osservare qualcosa che la sua mente ricordava, come un frastuono lontano di battaglia, un rullare di tamburi, ordini gridati con voce imperiosa, il tuonare delle artiglierie il crepitio dei fucili le grida dei feriti.

Poi come per esorcizzare questa tremenda visione, chiese un bicchierino di grappa alla moglie che aveva capito il suo tormento interiore e che fece una deroga alla regola ferrea di non dargliene e ne versò un goccio al vecchio che la sorseggiò lentamente, come in un rituale poi rivolto ai figli e con voce rotta dal pianto lentamente come se recitasse una preghiera mormorò: Giusta o ingiusta, questa è la nostra Patria !

Il 28 luglio 1914 giusto un mese dopo l’ attentato di Sarajevo la guerra iniziò puntuale e violenta come avevano scritto i giornali l’ Austria con tutto il suo impero e la sua formidabile potenza bellica, dichiarò guerra alla piccola Serbia, infiammando così tutta l’ Europa ed il mondo con un conflitto lungo e sanguinoso che sarebbe durato quattro anni.

 

Capitolo 7 –

La partenza di Werner ed Erwin

 

Prima di partire per il fronte i due fratelli di Monika Werner ed Erwin tornarono a casa per salutare i vecchi genitori, erano stati arruolati nei Kaiserjeger erano due giovani baldanzosi nelle loro divise grun - grau le baionette luccicanti e lo stayer a tracolla, li avevano destinati al fronte Russo.

La mamma se li strinse tutti e due al petto in un abbraccio struggente, poi toccò all’ anziano padre il quale si mise sull’ attenti li salutò militarmente prima di abbracciarli entrambi e dare loro le ultime raccomandazioni.

Infine toccò a Monika salutare i suoi due fratelli che partivano per la guerra, si mise in mezzo a loro e tirò verso di sé le loro teste che strinse a lungo baciando ripetutamente il loro viso, poi aprì il corpetto e tolse due fazzoletti bianchi nei quali aveva ricamato i nomi di tutti i suoi famigliari,compreso Erik, con il filo rosso, li diede ai fratelli come portafortuna e ricordo. Neppure il vecchio padre seppe trattenere le lacrime.

L’ aquila asburgica osservava dall’ alto dei berretti con le due teste, assetata di sangue.

 

Capitolo 8 –

Ultimi giorni di pace.

 

Erik si avvicinò piano al passaggio ricavato nel filo spinato, si abbassò e strisciò fino ad uscire dall’ altra parte senza essersi graffiato o stracciato il vestito.

Si avviò lesto verso il pascolo sgattaiolando tra i boschi mentre sulla vicina strada le guardie di frontiera austriache parlottavano e ridevano tra di loro, brandeggiando la mitragliatrice dal basso verso l’ alto.

Anche questa volta non si erano accorti della sua presenza ma doveva stare molto attento per non rischiare una raffica addosso.

Raggiunse la sua amata che stava gettando dei sassolini nel ruscello le arrivò alle spalle e con le mani le coprì entrambe gli occhi, lei non si scompose prese le sue mani e le strinse forte a se poi si girò lentamente e baciò con dolcezza il suo Erik.

Si parlarono in silenzio a lungo il ragazzo aveva imparato a leggere sulle labbra di lei le parole che le uscivano dal cuore poi lui se la prese tra le braccia e piano, piano la portò all’ ombra del grande abete, la depose a terra con dolcezza e si sedette al suo fianco.

Rimase a guardarla in silenzio affascinato dalla sua bellezza i lunghi capelli le fluivano sulla schiena e le coprivano in parte il viso allora il ragazzo la accarezzò lentamente e le liberò il volto dai capelli, lei ebbe un largo sorriso di approvazione ed il suo viso apparve radioso in tutta la sua bellezza ai raggi dell’ ultimo sole.

Il ragazzo ritornò a casa lentamente, respirando a pieni polmoni l’ aria fresca di fine estate, man mano che camminava sembrava quasi volasse tra i prati ed i boschi era ormai giunta la notte e le lucciole si alzavano numerose al suo passare e volavano lente nel buio della notte senza luna, quasi ad indicargli la strada del ritorno.

Erik aveva il cuore gonfio di gioia una gioia indescrivibile una gioia che solo chi è innamorato riesce a capire ed a manifestare, aveva ancora in mente quello sguardo quelli occhi chiari, quel viso dolce, quel silenzio del quale lui si era perduto dentro e che già gli mancava e non aveva percorso che poche centinaia di metri.

Arrivò al filo spinato e vi si infilò sotto incurane dei graffi e degli strappi al vestito, nella stradina sopra le guardie di frontiera appoggiate alla mitragliatrice stavano giocando a carte alla luce di una lampada a petrolio.

 

Capitolo 9 –

Il prigioniero Russo.

 

L’ Austria era già in guerra da parecchi mesi e quella che all’ inizio era stata propagandata come una scampagnata per punire la Serbia si era invece allargata a tutta l’ Europa, solo l’ Italia paese confinante con il grande Impero asburgico era fin ora rimasta neutrale, ma le truppe ammassate ai confini dei due stati non promettevano nulla di buono.

La propaganda descriveva le gesta eroiche dei valorosi soldati dell’ Imperatore, le loro facili vittorie contro i Russi e la prova di quanto la propaganda bellica fosse veritiera lo si poteva dedurre dalla presenza di numerosi soldati dello Zar prigionieri di guerra, che erano dati in affidamento alle famiglie bisognose di aiuto per la mancanza delle forze giovani che erano impegnate al fronte.

Un prigioniero era arrivato anche in casa di Monika, era un ragazzone biondo che la guerra aveva vomitato in quel paesino lontanissimo dalla sua terra, dove tutti parlavano una lingua incomprensibile per lui ma il lavoro per cui era stato mandato in quel luogo gli era familiare perché nella sua terra lui aiutava il padre contadino in un isba sperduta nella grande pianura Russa.

Il prigioniero si chiamava Yan, era un ragazzo timido ed educato, era molto colto e sensibile ed entrò subito in simpatia con Monika, anche perché era l’ unica che riusciva a dialogare con i gesti con lui e quando non riuscivano a capirsi o capivano una cosa diversa si mettevano a ridere di gusto entrambi con la sorpresa della mamma e del papà che non avevano capito nulla visto che tutto si svolgeva nel più assoluto silenzio.

 

Capitolo 10 –

La morte di Erwin.

 

Erwin se ne stava rannicchiato nella trincea fangosa assieme agli altri soldati in attesa dell’ ordine di un nuovo ennesimo attacco alla trincea russa che distava poche centinaia di metri da quella austriaca. Erano ore che le artiglierie pesanti vomitavano fuoco sulle trincee del nemico che a sua volta rispondeva con il fuoco di interdizione nella terra di nessuno e verso la prima linea dove era finito anche Erwin.

Nessuno dei soldati parlava, se ne stavano tutti in silenzio rannicchiati al suolo in attesa degli eventi con il cuore in gola, c’ era chi pregava con un libricino in mano, chi scriveva velocemente una lettera alla mamma, alla moglie o alla fidanzata, parole dolci, struggenti che solo chi è molto vicino alla morte e non ha più nulla da perdere riesce a trovare, pensando che magari poteva essere l’ ultima volta, c’ era chi fumava nervosamente un sigaro aspirando lentamente il fumo denso di nicotina come per lasciarsi inebriare da quella sostanza e prendere coraggio,

c’ era chi beveva dalla fiaschetta della grappa, a piccoli sorsi, per sentirsi alla fine come un leone che non teme nemici e poter morire meglio, magari in una vampata di gloria, come incitava la propaganda bellica.

Erwin aveva tirato fuori dal taschino del giubbotto il fazzolettino bianco con ricamati con il filo rosso i nomi di tutti i suoi famigliari che gli aveva regalato Monika al momento della sua partenza da casa, c’ era pure il nome di Erik il suo futuro cognato, che la sorella non poteva tralasciare.

Lo apri lentamente e se lo mise vicino al cuore pregando in silenzio con gli occhi al cielo.

Era una bella giornata limpida ed alle spalle della trincea il sole stava per sorgere come tutte le mattine ad illuminare un'altra carneficina che la mente diabolica del uomo aveva programmato con tanta dovizia di macabri particolari, Erwin sapeva infatti, che il momento dell’ attacco era quando il sole basso dell’ autunno russo sarebbe arrivato alle trincee nemiche accecando loro gli occhi ed impedendo così al nemico di avere una mira precisa ed efficace.

Come in un rituale mitologico, come in un sogno che finisce in un alba rosseggiante di luce Wagneriana per lasciare libero sfogo agli incubi dei soldati in attesa di passare all’ attacco per avere all’ alba una morte gloriosa, le artiglierie intensificarono il tiro, il fronte si infiammò di luci e frastuoni di ogni genere, il sibilo sordo dei proiettili, le esplosione violentissime con i cirri di fumo multicolore dagli effetti devastanti, aprivano voragini nel terreno e sradicavano i reticolati delle trincee aprendo così il varco agli attaccanti.

Arrivò l’ ordine, quasi liberatorio, di innestare la baionetta alla canna del fucile e prepararsi all’ assalto. L’ intera trincea si animò e si illuminò dei lampi scintillanti delle baionette puntate al cielo quasi a voler sfidare un regno senza esercito dove impera solo la pace eterna.

Erwin ripiegò con delicatezza il fazzolettino, lo baciò come una reliquia e lo ripose nel taschino che richiuse con cura.

Si allacciò il sottogola del pesante elmetto dopo averlo sporcato per bene di fango, si girò per urinare verso le spalle della trincea ed il sole illuminò il suo giovane viso ed i suoi capelli biondi, guardò con infinita malinconia quella monotona distesa pianeggiante, in quel momento il suo pensiero volò per un attimo alle sue amate montagne, ai verdi pascoli del sud Tirolo, alla sua casetta umile ma accogliente, al piccolo gregge di Monika, a Sissi… ed odiò per un istante la guerra e questa Patria che gli aveva tolto il meglio della sua giovinezza e lo aveva mandato a combattere in una terra tanto lontana un nemico che non gli aveva fatto niente di male ed una guerra che non capiva, ma perché tutto questo ?

Gli parve allora di udire la voce del vecchio padre che gli sussurrava le ultime parole dette prima di partire : Giusta o ingiusta questa è la nostra Patria !

Con una manata sulla spalla, l’ amico Hans lo distolse da tutti questi pensieri disfattisti e lo riportò alla realtà più tragica e cruda del momento: andiamo Erwin e buona fortuna ! gli sussurrò a denti stretti il camerata, mentre con il fucile stretto in mano si diresse determinato verso il ciglio della trincea pronto a scattare all’ attacco non appena fosse squillata la tromba, Erwin lo seguì senza indugio. Arrivati a ridosso del ciglio i due si rinnovarono il vecchio patto con una energica stretta di mano, e tenendosi le mani strette, al unisono ripeterono il patto a voce alta e puntando il dito verso la terra di nessuno proclamarono : Se rimango lì tu vieni a prendermi ! , poi si abbracciarono stretti.

Erwin tolse dalla sacca due bombe a mano e se le infilò nella cintura, mise il colpo in canna al fucile, sorseggiò un dito di grappa dalla fiasca e rimase lì fermo ad aspettare che finalmente squillasse la tromba che ordinava l’ assalto.

Il sole si era già ripreso tutta la terra di nessuno ed avanzava rapido verso la prima linea russa, quanto gira veloce la terra, pensò Erwin, in quell’ istante la tromba iniziò a squillare seguita da un ordine imperioso : Heraus, Heraus ! , ( fuori, fuori ! )

A piccoli gruppi che si susseguivano uno dopo l’ altro, i soldati si lanciarono all’ attacco correndo verso la trincea nemica con il sole alle spalle che proiettava delle lunghe ombre sul terreno e deformando le sagome dei soldati fino a farle apparire dei veri e propri giganti che vanno a schiacciare il nemico, proprio come li raffiguravano i manifesti di propaganda della guerra.

Iniziò subito furioso il fuoco dei russi che sparavano con tutte le loro armi verso gli attaccanti, subito il fronte divenne un girone infernale di esplosioni spari di fucileria e raffiche ininterrotte di mitragliatrice. I soldati avanzavano strisciando per terra per poi alzarsi e correre chini per una decina di metri, qualcuno non si rialzava più e rimaneva immobile sul terreno, i feriti che avevano la forza di alzarsi tentavano di tornare verso la propria linea, ma la maggior parte di loro diveniva un facile bersaglio per i tiratori scelti russi e cadevano definitivamente. Anche tra i soldati russi che difendevano la loro postazione, le cose non andavano meglio, gli “ scrhappnel ” austriaci esplodevano sulle loro teste facendo scempio di giovani vite. Un inferno dantesco per prendere un piccolo lembo di terra al nemico e poi riperderlo il giorno dopo, e così per giorni e giorni con un continuo pesante stillicidio di vite ancora con il sole della primavera sul viso.

Strisciando tra le esplosioni ed il fuoco delle armi automatiche, Erwin era arrivato a pochi metri dal filo spinato, tolse dalla cintola le due bombe a mane e le depose a terra davanti a lui, ne prese una, svitò il coperchio del manico e tolse la sicura, aspettò il momento propizio per lanciarla all’ interno della trincea dove era operante un nido di mitragliatrici che falciavano inesorabilmente i suoi compagni all’ attacco.

Attese che il fumo denso di una granata esplosa a poca distanza gli facesse da cortina fumogena, si alzò in piedi e lanciò la bomba che esplose dentro la trincea, si distese nuovamente a terra tolse la sicura all’ altra bomba e lanciò anche quella, il fuoco della mitraglia cessò di colpo ed i fanti austriaci entrarono nella trincea all’ arma bianca, urlando ed ammazzando a fucilate ed a colpi di baionetta i superstiti della bomba, mentre gli altri militari russi, vistisi circondati si arresero alzando le mani al cielo e lasciando cadere le armi a terra.

Erwin riprese il fucile e si alzò in piedi, fece alcuni passi verso la trincea appena espugnata mentre attorno ferveva cruenta la battaglia, si fermò un momento, tolse il fazzolettino dal taschino e lo baciò girando lo sguardo verso il sole ormai alto nel cielo : anche questa la racconterò a Monik… ta - pum, il cecchino appollaiato su un grande albero poco lontano lo aveva centrato dritto al cuore, Erik cadde all’ indietro come se qualcuno gli avesse dato un violento pugno, si mise le mani sul petto e tentò di rialzarsi senza però riuscirci. Accorse subito l’amico Hans mentre i militi austriaci provvedevano a rendere inoffensivo il cecchino sulla pianta a colpi di fucile, Hans si chinò con la borraccia e tentò di far bere il ferito senza riuscirci, mentre Erwin mormorava : giusta ingiusta, tu sei la mia Patria.

Venne sepolto nel vicino cimitero militare austriaco con solenni onoranze funebri rese dai camerati della sua compagnia, il capitano gli lesse un encomio solenne e lo propose per la medaglia d’ oro al valore militare alla memoria per il comportamento eroico che aveva consentito di occupare la trincea e di fare prigionieri centinaia di soldati dello Zar.

 

Capitolo 11 –

Un dolore senza fine.

 

Un mattino verso le dieci a casa della ragazza si presentò un gendarme accompagnato dal vecchio parroco del paese, la madre di Monika li vide arrivare da lontano non era la prima volta che nel paesino il militare ed il prete visitavano congiuntamente, qualche casa.

La madre capì subito il motivo di quella visita e cominciò a piangere a dirotto il padre pure aveva intuito il motivo della loro presenza ma si trattenne, si versò un grappino e lo trangugiò tutto d’ un fiato ed attese, sull’ uscio di casa l’ arrivo dei due.

Il gendarme si avvicinò per primo, teneva in mano una busta di colore ocra, tipico della posta militare, che tormentava passandola da una mano all’ altra salutò militarmente ma poi come per segno di riverenza e di partecipazione alla notizia che stava portando si tolse il berretto si avvicinò al vecchio e gli diede il plico.

L’ uomo lo aprì lentamente, come se non volesse mai leggere il contenuto, il vecchio parroco si avvicinò alla donna e le sussurrò qualche cosa in un orecchio, la donna parve non ascoltare era come assente e continuava a piangere.

Il vecchio aprì lentamente il foglio di carta lesse in silenzio poi si avvicinò alla moglie a le disse :

è morto Erwin, il piccolo.

La donna barcollò un momento e poi si accascio a terra svenuta dal dolore, subito accorse Yan che la sollevò con le sue braccia robuste e la depose lentamente sul letto mentre Monika era corsa a prendere dell’ acqua fresca e dell’ aceto .

Il vecchio padre si avvicinò al gendarme mentre questo lo salutava militarmente prima di partire e gli disse a bassa voce e rotta dal pianto :

Giusta o ingiusta, questa è la nostra Patria.

 

All’ imbrunire arrivò anche Erik che aveva saputo la notizia della morte del fratello minore di Monika ed era venuto per portare il suo cordoglio e la vicinanza della sua famiglia, parlò con il vecchio un poco e poi con la mamma della ragazza che non smetteva di piangere, poi si strinse Monika al petto con forza e rimasero a lungo così abbracciati quando si staccarono il ragazzo si accorse della presenza di Yan il prigioniero russo che stava in silenzio in un angolo e muoveva le labbra come se recitasse una preghiera ad un Dio lontano.

La mamma della ragazza accortasi dell’ imbarazzo del giovane gli spiegò chi fosse quell’ altro giovanotto ed il motivo della sua presenza in casa.

Yan, che aveva capito di che cosa si stava parlando e sentiva l’ imbarazzo che era calato all’ interno della casa come la nebbia fitta del mattino, smise di pregare si avvicinò al ragazzo con una fotografia logora che aveva tolto dal taschino della giacca e la mostrò ad Erik era l’ immagine di una giovane donna bionda che teneva in braccio un bambino il russo la baciò più volte e poi con un dito disegnò un cuore sul vetro appannato della finestra, guardò di novo la fotografia con un aria di infinita nostalgia mentre il cuore sul vetro iniziava a gocciolare sciogliendosi come se lacrimasse.

Erik e Yan si avvicinarono e si strinsero la mano provocando un sorriso breve di Monika ed un cenno di approvazione dei due anziani genitori.

Fu l’ unico momento di vita in quella giornata segnata dal trionfo della morte.

Erik poi si avvicinò con dolcezza alla sua amata che singhiozzava in silenzio la guadò con uno sguardo struggente come se volesse esorcizzare il futuro che lo stava attendendo di lì a poco, le parlò muovendo le labbra lentamente come a scandire le parole e pesarle una per una per non far troppo male, le disse che anche lui sarebbe dovuto partire a breve per andare in guerra, era stata infatti ordinata la mobilitazione generale dl Regio esercito italiano.

Si strinse nuovamente Monika al petto e la baciò con tenerezza poi tolse dalla tasca un fazzoletto bianco le asciugò le lacrime e la invitò a non piangere più le regalò il fazzoletto ed una lettera che aveva portato con se e le chiese di leggerla dopo che lui fosse partito per il fronte, lei annuì con la testa e nascose la lettera dentro il seno quasi a voler tenere il più vicino possibile al cuore una piccola parte del suo amore.

 

Capitolo 12 –

L’ Angelo protettore

 

Era il mese di maggio dell’ anno 1915 ed era tornata la primavera con i suoi fiori il verde dei prati il cinguettare degli uccelli, Monika decise di portare la Sissi al pascolo assieme alle altre capre per farle brucare al pascolo.

Durante il tragitto sulla stradina che porta al pascolo incrociò numerosi soldati che marciavano verso il confine italiano tutti armati, con lo zaino in spalla e l’ elmetto attaccato sopra lo zaino. La ragazza portò il piccolo gregge fuori dalla strada nel prato adiacente e lo fece camminare su un lato per non intralciare il passaggio ai militari che la salutavano, lei rispondeva salutando con la mano o sorridendo.

Quando arrivò al pascolo dove scorreva il ruscello e lei era solita far brucare le capre, notò che in uno dei tanti avvallamenti naturali, protetto da una grande roccia era stata piazzata una batteria di cannoni da 75/13 con le bocche rivolte verso il confine italiano, erano distanti circa 200 metri dal pascolo e poteva vedere gli addetti ai pezzi esercitarsi correndo a prendere le munizioni per poi mettere il proiettile nella culatta tapparsi le orecchie prima di far fuoco.

Erano colpi a salve ed il tutto serviva per sincronizzare i movimenti degli artiglieri per rendere il tiro più rapido.

Era la guerra che si faceva sempre più vicina !

Si sedette vicino alla fedele Sissi che brucava beata l’ erba fresca, tirò fuori dal corpetto la lettera che le aveva scritto Erik e si mise a leggere :

 

“ Mia Amata,

 

dolcezza e luce dei miei occhi, sei la cosa più bella e più pura che io abbia mai incontrato e ringrazio il destino per avermi concesso un si bel dono.

Mia dolce Monika, per me è giunta l’ ora di partire, devo andare in guerra, la mia Patria mi chiama…

Certo, se fosse stato nelle nostre intenzioni e nelle nostre facoltà, questa stupida guerra non l’ avremmo mai voluta e dichiarata, ma noi siamo nulla in confronto dei grandi eventi che regolano il mondo.

Forse i nostri figli ed i nostri nipoti, potranno godere di un mondo diverso, più giusto e più saggio.

Questa guerra ci ruba tanta della nostra giovinezza e tutti i sogni che avevamo fatto assieme per il nostro futuro, tutto si interrompe con questa guerra, mi resta solo la speranza di ritornare, quando sarà finita, per completare il nostro sogno d’ amore e sposarti.

Aspettami ed io ritornerò…

 

Tuo per sempre Erik. “

 

Sissi continuava ad importunare la ragazza come se le volesse far notare qualche cosa di anormale ed inaspettato : lasciami leggere, lasciami sognare ! pensò la donna mentre ripiegava con cura la lettera e la rimetteva nella busta dopo averla ripetutamente baciata.

Stavano arrivando infatti due soldati austriaci dal vicino accampamento militare, visibilmente alterati dall’ alcool, che cantavano a squarciagola una canzone patriottica con l’ aria stonata classica degli ubriachi.

Monika nel vederli si alzò in piedi e fece qualche passo indietro con aria prudente li salutò agitando la mano libera mentre nell’ altra teneva ben stretta la busta con la lettera di Erik.

Dalla a me !

esclamò uno dei soldati strappandole di mano la lettera all’ improvviso per poi aprirla e guardare che cosa ci fosse scritto.

Iniziò a leggere girò il foglio come se lo avesse preso capovolto poi finalmente si accorse che era scritta in una lingua che non conosceva e la diede al suo camerata dicendo: prova a leggere tu che sei interprete ! L’ altro soldato prese la lettera la mise nel senso giusto ed esclamò: ah! è italiano ed iniziò a leggere ad alta voce traducendo in tedesco man mano che proseguiva la lettura.

La ragazza li guardava terrorizzata e continuava ad arretrare lentamente come per sottrarsi piano a quei due che ormai considerava un pericolo.

Prese dalla tasca il fischietto e vi soffiò dentro a pieni polmoni fu un trillo lungo che arrivò molto lontano… le caprette accorsero tutte vicino a lei convinte che la padroncina le avesse richiamate per tornare a casa.

Vieni qua ! che te lo insegniamo noi a fare all’ amore prima che te lo insegni l’ italiano ! gli disse afferrandola per un braccio il soldato che aveva ascoltato il contenuto del messaggio.

La ragazza tentò di scappare per sottrarsi alla presa dell’ uomo ma lui la raggiunse e l’ afferrò con le sue robuste mani e la trascinò verso il vicino bosco, mentre lei si dibatteva e cercava di liberarsi mordendo le braccia del soldato.

Anche il secondo militare dopo aver ripiegato la lettera riposta nella busta ed averla messa nel suo tascapane, si diresse verso il boschetto dove il suo compagno teneva stretta Monika che continuava a dibattersi come un indemoniata per tentare di scappare.

Arrivò al bosco e si tolse il fucile che aveva a tracolla e lo appoggiò ad un grande abete si avvicinò alla ragazza e la immobilizzò gettandola a terra e tenendola ben stretta per le braccia.

Perché non urli ? chiese non hai paura ? la nostra verginella non ha paura !

Il suo compagno guardava con aria soddisfatta poi si levò di dosso anche lui il fucile e lo appoggiò alla pianta vicino a quello del suo camerata.

Iniziarono a spogliare la ragazza che continuava e dibattersi senza però riuscire a sottrarsi alla forza selvaggia ed assatanata dei due.

Il trillo acuto e lungo del fischietto di Monika era arrivato molto lontano, fino alle orecchie del suo Santo Protettore.

Come un aquila che cala silente dal cielo per carpire la sua preda ignara, Yan si avvicinò silenzioso al boschetto dove i due vermi tentavano di abusare della ragazza, sentiva i loro commenti di soddisfazione che provenivano dal bosco affrettò il passo perché aveva intuito che Monika era in grave pericolo, finalmente scendendo verso il punto da dove provenivano le voci, li vide avevano quasi spogliato la poveretta che ormai non reagiva neanche più, rassegnata ad un destino crudele che la voleva vittima di quei due vermi.

Arrivò, strisciando fino al grande abete dove i due avevano appoggiato i fucili, prese uno dei due Stayer gli levò l’ otturatore e se lo mise in tasca poi rimise il fucile al suo posto, prese l’ altro e si avvicinò lentamente ed inosservato al boschetto.

I due avevano completamente spogliato la donna che ormai era svenuta e non reagiva più e la potevano così facilmente assoggettare.

Quando apparve Yan con il fucile spianato si erano già spogliati ed erano lì in mutande vicino alla ragazza che discutevano su chi avesse il diritto di prenderla per primo, non si accorsero neppure della presenza silenziosa del russo tanto la loro discussione era animata e violenta, volavano parolacce e spintoni uniti alle più incredibili rivendicazioni sessuali maschili.

Il “ clik - clak “ dell’ otturatore dello Stayer riportò i due ancora per poco alla realtà del momento, ora erano loro a tremare sotto il tiro del fucile. Yan non disse niente non serviva, guardò la ragazza stesa a terra completamente nuda, raccolse la giubba di uno dei due e coprì la donna con dolcezza.

Uno dei due militi vide il secondo fucile ancora appoggiato al grande abete e si precipitò a prenderlo, Yan non mosse un ciglio e lo lasciò fare.

L’ uomo tornò con il fucile spianato e lo puntò alla schiena del russo il quale lo afferrò per la canna e tirò a se il soldato che premeva come impazzito il grilletto senza riuscire a capacitarsi del perché l’ arma non sparasse.

Yan fece cenno sotto il tiro del suo fucile che teneva costantemente puntato verso i due, di andare vicino al grande abete arrivati lì ordinò loro di mettersi uno dietro l’ altro con la faccia rivolta verso il tronco dell’ albero.

Come erano ridicoli così conciati in mutande i soldati dell’ Imperatore! e come tremavano dalla paura davanti ad un fucile spianato ! Si dimostrarono dei vigliacchi coraggiosi solo nel cercare di abusare di una povera donna sola ed indifesa ma ora la fortuna li aveva abbandonati ora il destino chiedeva giustizia per le loro ignobili azioni, una giustizia sommaria perché non c’ era tempo per sentire ragioni e niente e nessuno avrebbe potuto giustificare il loro vergognoso comportamento.

 

Monika rinvenne appena in tempo per poter vedere Yan che sparava ai due che stavano appoggiati, uno dietro l’ altro al grande abete ormai consci e rassegnati al loro destino, vide il russo caricare lo stayer, lo vide prendere la mira con calma, poi ebbe come un leggero spostamento all’ indietro con la spalla destra, era il rinculo del fucile, dalla canna uscì come una fiammata mista a fumo come se fosse stata sputata con violenza all’ esterno.

Yan sparò un solo colpo , preciso, letale, immediatamente le gambe dei due soldati si piegarono sulle ginocchia e loro caddero a terra uno da un lato e l’ altro in avanti, ebbero ancora alcuni movimenti con le gambe e con le braccia poi restarono immobili.

Una larga chiazza di sangue impregnò il terreno sottostante i due cadaveri, si allargava quasi a voler dissetare la terra che avida beveva quel liquido rosso assumendo poi un colore di bruciato come se quel sangue le fosse stato indigesto.

Yan appoggiò il fucile in mezzo a loro poi si avvicinò e strappò ai due le piastrine di riconoscimento e se le mise in tasca la stessa dove aveva riposto l’ otturatore che tolse ed appoggiò a terra vicino ai fucili dei due che ormai erano morti.

La ragazza si era alzata e si era messa disperatamente a cercare i suoi abiti tra l’ erba, l’ uomo si girò verso di lei poi cercò tra l’ erba e le sterpaglie i suoi vestiti li raccolse e li consegnò alla donna con pudore e lei svelta si rivestì.

Yan fece cenno di fare in fretta che dovevano andare via di lì per non farsi prendere dai soldati austriaci che avrebbero battuto la zona dopo aver sentito lo sparo.

Monika aprì i tascapane dei due militari e rovesciò a terra il contenuto individuò subito la lettera di Erik la raccolse e se la mise di nuovo nel corpetto poi si aggiustò i capelli con le mani ora si sentiva protetta dal russo.

L’ uomo si accertò che non fosse rimasto niente a terra che potesse ricondurre ai responsabili dell’ esecuzione, quando vide che tutto era a posto caricò sulle sue possenti spalla la ragazza e si avviò con passo veloce verso casa seguito dal piccolo gregge. Imbruniva e sulle vicine montagne gli ultimi raggi di sole proiettavano l’ ombra lunga dell’ uomo che camminava tra l’ erba a passo rapido e sembrava che portasse un piccolo zaino in spalla.

 

Quando arrivarono a casa era già notte ed i due anziani genitori erano in ansia ad aspettarli sulla porta , Yan si levò dalle spalle quel piccolo fardello la prese in braccio ed entrò piano in casa depose con dolcezza Monika sul suo letto poi fece cenno alla madre di preparare una bevanda calda le levò piano, piano le scarpe e la mise sotto le coperte ormai si era calmata, era molto stanca per quella brutta avventura che aveva vissuto ma ora si sentiva al sicuro tra le mura domestiche e con il calore dei suoi cari.

Yan tirò fuori di tasca le piastrine dei due soldati e le consegnò al padre della ragazza mimando con un gesto inequivocabile la fine che avevano fatto i proprietari, l’ uomo le prese e le nascose in un cassetto segreto che conosceva solo lui.

Bevuto il latte caldo che le aveva preparato la mamma la ragazza si sentì subito meglio ed iniziò a raccontare ai genitori a modo suo muovendo le labbra e con ampi ed eloquenti gesti delle mani e del corpo tutto quello che le era successo durante il pomeriggio mentre era a pascolare il gregge nel bosco.

Così papà e mamma vennero a conoscenza della brutta avventura capitata alla loro bambina, ringraziarono il russo con un abbraccio e promisero di non fare menzione con nessuno dell’ accaduto per tutelare Yan dalla polizia austriaca che se fosse venuta a conoscenza del fatto lo avrebbe arrestato e fucilato secondo il codice della giustizia militare.

I giorni successivi nel vicino bosco ci fu un grande movimento con dispiegamento di molti gendarmi ed ufficiali dell’ esercito dell’ Imperatore, avevano trovato i due corpi e tentavano di dare una spiegazione logica all’ accaduto, ma più ci provavano meno riuscivano a capire cosa fosse successo non si riuscivano a spiegare tante cose, perché erano in mutande ? come mai dai fucili era stato sparato un solo colpo? Come mai da uno dei due fucili mancava l’ otturatore ? dove erano finite le piastrine di riconoscimento ? ma soprattutto chi aveva sparato ?

Insomma un rebus da far perdere la testa ai migliori investigatori di sua maestà Francesco Giuseppe d’ Austria.

Dopo giorni di indagini il caso venne archiviato senza che per i due fosse stato trovato l’ omicida e senza aver dipanato quel groviglio di matassa che il buon russo aveva confezionato per i poliziotti austriaci.

 

Capitolo 13 –

Werner a casa in licenza.

 

Un giorno, all’ improvviso senza aver avvertito la famiglia, tornò a casa in licenza Werner, il fratello maggiore di Monika, lo avevano mandato in licenza perché il suo reggimento era stato sostituito al fronte da un altro composto da truppe fresche.

Venne così informato della morte di Erwin il suo fratello più giovane e dei fatti successi pochi giorni prima nel bosco.

Werner pianse molto per il “piccolo” così era solito chiamare suo fratello e sputò per terra con disprezzo quando sua sorella gli raccontò dei due balordi che la volevano violentare se non ci avesse pensato Yan a salvarla ed ammazzare quei due lerci.

Werner andò nella sua cameretta si cambiò d’ abito e ritornò tra i presenti in abiti civili chiamò vicino a se il russo e gli parlò piano all’ orecchio Yan sorrise ed i due militari si abbracciarono.

La ragazza lesse sulle labbra quello che aveva detto il fratello: non ti volevo abbracciare con la divisa di un nemico ! aveva sussurrato Werner.

 

Capitolo 14 –

Gli ultimi giorni di pace.

 

Erano i primi giorni di maggio dell’ anno 1915 ed il sole cominciava a riscaldare l’ aria sciogliendo le ultime chiazze di neve che ancora resistevano nelle zone ombrose, cominciavano a spuntare le primule tra l’ erba verdeggiante e novella, come tutti gli anni era tornata prepotente la primavera con i suoi colori i suoi profumi, con nell’ aria una rinnovata sete di vita di amore che Monika sentiva addosso , nel cuore e nell’ anima, era sempre di buon umore e passava molto tempo ad osservare dalla finestra la natura che si sbizzarriva in mille forme di vita.

Concordò con la mamma che il giorno seguente sarebbe andata a portare le capre a pascolare , così il giorno dopo di buon mattino fece uscire le bestie dalla stalla e si avviò con passo svelto verso il vicino pascolo, non si fermò più dove era solita fermarsi gli anni scorsi troppi brutti ricordi la inseguivano ancora.

Proseguì fino ad una vicina radura dove anche lì scorreva un bel ruscello di acqua fresca che proveniva dalla neve che si scioglieva sulle alte vette, si sedette presso il rigagnolo si levò le scarpe ed immerse i piedini nell’ acqua fresca, ah ! che sollievo e che bello tra la natura ! Rimase lì assorta nei suoi pensieri mentre la fedele Sissi brucava beata vicino a lei.

Se ne stava assorta nei suoi pensieri dolci guardando a tratti il cielo azzurro ed a tratti il ruscello dall’ acqua limpida che scorreva tra i sassi e il prato, forse pensava ad Erik ed alla guerra che tutti dicevano molto vicina contro gli italiani che l’ avrebbe separata dal suo amore per molto tempo e forse per sempre.

Maledetta guerra pensò ma possibile che ci si debba sempre combattere tra popoli ? possibile che non si riesca a stare in santa pace, ognuno nel suo paese ?

Oltre il confine italiano erano iniziati i preparativi bellici erano stati piazzati dei nidi di mitragliatrice e più a valle c’ erano le batterie di artiglieria con le bocche da fuoco puntate verso il confine austriaco, gli austriaci a loro volta avevano fatto altrettanto nel loro territorio.

Quando il sole raggiungeva la vetta del monte più alto significava che era giunta l’ ora di far ritorno a casa, radunò le capre e seguita a vista dalla fedele Sissi si avviò verso casa con passo snello .

Quando arrivò a casa il sole stava per tramontare e proiettava delle lunghe ombre sul terreno distorcendo le dimensioni e rendendo dei giganti anche le piccole cose, fece accomodare nella stalla il piccolo gregge salutò Sissi con una carezza e lei ricambiò con un piccolo colpetto con il muso, chiuse a chiave la stalla e si diresse verso la porta di casa, dalle finestre usciva già la tenue luce della lampada a petrolio che brillava al centro della stanza, proprio sopra il grande tavolo di legno.

Intravvedeva tre uomini che sembravano chiacchierare seduti al tavolo davanti a dei bicchieri di vino, mentre in mezzo troneggiava una grande fiasca di vino rosso.

Entrò nella cucina salutò i presenti agitando la piccola mano e si avviò verso la sua stanza per cambiarsi d’ abito e levarsi le pesanti scarpe da lavoro che calzava ormai da molte ore e le avevano fatto indolenzire i piedi. Quando uscì dalla sua cameretta vestita con una gonna rossa con grandi rose bianche che salivano verso l’ alto ed una camicetta bianca sembrava una fata da tanto era bella, si girò verso i presenti come per farsi notare, quelli rimasero incantati da così tanta grazia, semplicità ed eleganza femminile, lei arrossì un attimo, poi si girò per andare verso lo specchio vicino alla finestra ma incontrò Erik che era arrivato nel frattempo ed ora le stava davanti con un mazzolino di fiori di campo in mano, la accarezzò piano con dolcezza come si accarezza una rosa, poi le consegnò i fiori e se la prese in braccio, si avvicinò lentamente al grande tavolo e la accomodò su una sedia, la tenue luce della lanterna a petrolio illuminava, questa scena d’ amore mentre tutti guardavano in religioso silenzio con le lacrime agli occhi, a quel punto Yan si alzò si avvicinò alla finestra appannata e vi disegnò due cuori uniti da una freccia che subito cominciarono a piangere pure loro.

Monika si alzo un attimo fece un inchino a tutti i presenti, si asciugò le lacrime e subito il suo volto si illuminò con un sorriso di gioia piena tipico degli innamorati, poi prese la grande fiasca e versò il vino prima al padre poi a Yan il suo salvatore, poi al fratello Werner ed per ultimo al suo amore Erik, per lei e per la mamma preparò una tazza di caffè di orzo ben caldo, poi la serata proseguì in buona armonia con gli uomini che si raccontavano le avventure belliche e tutti maledicevano la guerra appena iniziata che aveva fatto già un grave lutto all’ interno della famiglia e provocato due omicidi.

Quando venne informato dei fatti accaduti nel bosco Erik si turbò moltissimo si alzò in piedi batte il pugno sul tavolo, poi si avvicinò al russo stringendogli forte la mano, Yan lo rassicurò con una manata sulla spalla e sorrise come per dirgli : te lo avevo promesso che l’ avrei protetta io !

 

Capitolo 15 –

Il bombardamento

 

All’ alba del 24 maggio 1915 quando era ancora molto scuro ed il sole iniziava a salire lento dietro i monti illuminando di un rosso vivo il cielo, d’ improvviso le artiglierie italiane iniziarono un violento fuoco diretto verso la prima linea di difesa austriaca, dalla sua finestra Monika poteva vedere il fumo nero provocato dalle granate che esplodevano in prossimità della prima linea degli austriaci che dopo la sorpresa del primo momento iniziarono anche loro a rispondere al fuoco con tutti i pezzi a loro disposizione.

Le granate sibilavano minacciose da una valle all’ altra esplodendo poi con un rumore di tuono che si intensificò di minuto in minuto.

Yan che si trovava nel vicino prato a falciare il fieno, ritornò trafelato a casa, entrò in cucina dove le due donne stavano atterrite guardando dalla finestra quel finimondo, prese in braccio Monika fece cenno alla madre di seguirlo e si diresse verso la scala che portava nelle cantine scese con le due donne e le fece sedere su una panca di legno dicendo di non salire fino a quando il fuoco dei cannoni non fosse cessato, ritornò sopra prese del caffè di orzo e del pane e lo portò alle due donne poi accese la lampada a petrolio, mentre sopra di loro l’ inferno della battaglia proseguiva.

Quando fu notte il rombo dei cannoni cessò da entrambe le parti ed una quiete irreale sovrastò la vallata intrisa dell’ odore acre del fumo della polvere da sparo che aveva impregnato l’ aria normalmente limpida e pura di quelle montagne.

Le due donne poterono così ritornare dalla cantina al piano terra e riprendere la vita casalinga di tutti i giorni con nel cuore l’ angoscia ed il terrore per quella giornata di bombardamento con il timore e la fondata preoccupazione che lo stesso spettacolo si riproponesse il giorno seguente.

Per alcuni giorni invece il fronte rimase tranquillo niente spari niente cannonate solo dei movimenti di truppe che rinforzavano i due schieramenti in vista di ulteriori e più sanguinosi attacchi.

 

Capitolo 16 –

La lettera

 

Monika pensava spesso ai suoi cari che erano in guerra, pensava a suo fratello Werner che era stato inviato sul fronte russo ed al suo amore Erik del quale non aveva avuto più notizie dall’ ultima volta che era venuto a casa sua : chissà dove si trovava, chissà se stava bene o magari era stato ferito o peggio ancora.

Sapeva anche che non avrebbe mai potuto ricevere la posta di Erik, perché la censura militare italiana o la gendarmeria austriaca avrebbero provveduto a distruggere ogni forma epistolare che fosse intercorsa tra lei ed il suo amore in trincea.

Un giorno presa dalla nostalgia per il suo uomo lontano, di nascosto da mamma e papà nella sua cameretta si mise al tavolino ed iniziò a scrivere una lettera d’ amore dedicata al suo Erik, scriveva veloce intingendo di tanto in tanto il pennino nel calamaio.

Ci metteva impegno nella scrittura perché risultasse bella e piacevole con le maiuscole tutte elaborate con fiorellini e cuoricini.

Alla fine la lasciò asciugare bene e poi la rilesse lentamente, quasi a voler dare un anima a quelle parole scritte sulla carta :

 

Amore mio,

 

Ti scrivo questa lettera all’ insaputa dei miei genitori, che hanno paura di venire accusati di essere filo italiani e subire così delle ritorsioni.

Questa lettera la mando a tua mamma che poi te la farà avere assieme alla sua posta.

Ti spero in buona salute, anche se immagino i tanti disagi della vita di soldato in guerra.

Io sto bene, qui tutti stiamo bene, il confine è vicino ed ogni tanto si sparano con i cannoni e noi ci rifugiamo giù in cantina.

Mio amato, mi manchi da morire, ho tanta, tanta nostalgia di te, mi raccomando riguardati, abbi cura di te e torna presto perché non potrei vivere senza di te.

 

Ti amo tanto, tanto, un bacio.

 

Tua per sempre, Monika

 

Piegò la lettera in quattro poi la riaprì, prese un ago da un gomitolo di lana si punse un dito e lasciò cadere alcune gocce di sangue sul foglio vicino alla firma, aspettò che si asciugassero poi prese da un grosso libro dei fiorellini che aveva fatto essiccare e li mise con cura in mezzo alla lettera, la chiuse definitivamente la baciò poi la infilò nella busta e vi scrisse sopra l’ indirizzo della famiglia di Erik che avrebbe di certo provveduto a recapitarla a lui, poi scrisse il suo mittente in alto a sinistre della busta.

Il giorno seguente si recò al vicino ufficio postale comprò un francobollo lo applicò sulla lettera e la consegnò all’ impiegato che la mise assieme alla posta in partenza.

L’ ufficiale postale era obbligato a mettere a disposizione della censura militare tutte le lettere dirette al fronte e provenienti dallo stesso, quella di Monika però era indirizzata ad un italiano ed il dipendente non sapeva se andava o meno sottoposta alla censura militare, per ogni buon conto preferì informare la locale gendarmeria che provvide a controllare il contenuto della lettera.

Si trattava di una normale ed innocente lettera d’ amore, come in quel periodo bellico erano d’ uopo scambiarsi le coppie di innamorati tenuti forzatamente lontani dalla guerra.

L’ anomalia che fu subito evidenziata fu il fatto che il destinatario di quella lettera fosse un italiano, quindi un nemico dell’ Impero ed addirittura un militare in servizio che ora combatteva contro i soldati dell’ Imperatore. Una cosa grave vista dalla stretta logica militare che non guarda e non capisce le ragioni del cuore.

I gendarmi decisero di non far partire la lettera e di riportarla alla ragazza intimandole di non scrivere mai più a quel italiano.

Quando arrivarono a casa di Monika, la madre che li aveva veduti arrivare da lontano e non immaginava il vero motivo di tale inaspettata visita, si sentì male perché pensava che potessero portare un' altra brutta notizia dal fronte e che Werner fosse stato ferito o fosse morto.

Il gendarme scese da cavallo ed entrò con passo deciso in casa e si diresse verso la ragazza agitando la lettera come un ventaglio sotto il naso della donna e dicendo con tono severo : lo sai che è proibito tenere della corrispondenza con il nemico ?

lo sai che potresti essere accusata di spionaggio e di parteggiare per il nemico ? lo sai che per questo potresti essere deportata a Katzenau !

Monika sorrise con tristezza poi prese la lettera e la mise sul fuoco, guardò la carta che bruciava , contorcendosi fino a sparire divorata dalle fiamme, poi prese il suo libricino dalla tasca assieme alla matita e vi scrisse qualche riga e lo consegnò al gendarme che poté leggere :

 

“ per me non è un nemico, è l’ uomo che amo ! e nessuna legge al mondo mi impedirà di continuare ad amarlo ! “

 

Il milite restituì con imbarazzo e quasi con devozione il libricino poi allargò le braccia e disse : mi dispiace, non è colpa mia… ma è la guerra.

Il papà di Monika gli versò un bicchierino di grappa e ne versò uno anche per se entrambe lo sorseggiarono lentamente in silenzio, poi il gendarme si accomiatò salutando militarmente i presenti, si avvicinò poi a Monika prese la sua manina tra le sue dita incallite e la baciò con tenerezza.

Aveva avuto una grande lezione di dignità e di amore, una vera lezione di vita.

 

Capitolo 17 –

Il prigioniero Dimitri.

 

In una casetta al centro del paesino, anche questa parzialmente in muratura e la parte dello “ stabel

” in legno, linda ed ordinata come tutte con alle finestre i rossi grani ad abbellirla davanti ai copri vetri a scacchi bianchi e rossi, abitava Martha una giovane sposa il cui marito era stato chiamato alla guerra come tutti gli uomini validi del paesino.

La signora Martha aveva una figlia di pochi mesi che si chiamava Erika, e quando lei si recava al lavoro nei campi la piccola era accudita dalla nonna materna, le due donne erano sole in casa i genitori di suo marito erano morti molto giovani e suo padre era emigrato negli Stati Uniti ed era morto bruciato dal grisù di una della tante miniere di carbone nelle quali venivano fatti lavorare come topi gli immigrati provenienti dal vecchio continente.

Le due donne faticavano molto a mandare aventi ds sole la piccola azienda agricola, dovevano arrangiarsi a fare il fieno per le due mucche, a mungerle mattina e sera ed a tenere pulita ed ordinata la casa.

Furono le prime in paese a vedersi assegnare un prigioniero tra i tanti che arrivarono in paese catturati al fronte russo. Si chiamava Dimitri era un giovane alto e ben piazzato, con i capelli biondi e gli occhi verde mare, uno sguardo intenso penetrante un po’ malinconico, in patria aveva frequentato le scuole di ingegneria idraulica a San Pietroburgo ed aveva iniziato a lavorare come direttore dei lavori alla costruzione di un acquedotto che avrebbe potenziato il bisogno di quella metropoli.

Per le due donne quell’ inatteso lavoratore alle loro dipendenze, fu una vera e propria manna dal cielo, era forte come un toro e capiva al volo tutte le situazioni di lavoro in cui si trovava dando una rapida soluzione a tutto. L’ unica pecca che aveva, non era capace di mungere suo padre era un commerciante e lui non aveva mai provato a mungere una mucca.

Ormai per i lavori nei campi bastavano lui e la signora Martha, la nonna poteva accudire la piccola tutto il giorno e quando la portava in campagna si sedeva all’ ombra di un albero e faceva giocare la nipotina. Un giorno arrivò alla signora Martha un dispaccio della posta militare che la informava che suo marito risultava tra i dispersi o prigionieri dopo uno scontro violentissimo con la cavalleria cosacca, Martha pianse molto, sperò che il marito le desse sue notizie tramite la Croce rossa internazionale ma i mesi passavano ed il soldato non diede più notizie di se. Dopo varie lezioni di mungitura impartite dalla donna, anche Dimitri fu in grado di svolgere quella mansione, così il lavoro veniva svolto in metà tempo e senza che Martha si stancasse troppo, mungevano tutti e due assieme e nel frattempo cercavano di scambiarsi qualche parola che con l’ andare dei mesi Dimitri era riuscito ad imparare con molto impegno lui nell’ apprendere e lei nell’ insegnare. Man mano che i giorni passavano quelli occhi verdi e malinconici cercavano sempre di più gli occhi neri di Martha e quando si incontravano lei sentiva un brivido sulla pelle, cercava di non dare peso a quello sguardo ma poi era lei ad andarlo a cercare…

Sentiva che era una cosa sbagliata, che non doveva assecondare il suo istinto, la sera prima di coricarsi, si inginocchiava davanti alla madonnina che teneva sul cassettone e chiedeva la forza di resistere a quella continua tentazione e prometteva di essere fedele a quel suo marito disperso che non aveva più dato notizie di se.

Ma appena si appisolava, nel domi velia, quelli occhi tornavano nella sua mente come un ossessione allora si stringeva la piccola Erika al petto e così riusciva a prendere sonno. Di tanto in tanto si svegliava tutta sudata e pensava : ma se non tornasse più… o se fosse morto anziché disperso ? e mille pensieri come tanti folletti le turbinavano in mente, riusciva a dormire molto poco a causa di quel tormento interiore.

Venne maggio il mese del taglio del primo fieno, il mattino Dimitri si recò da solo, di buon mattino, a falciare il fieno in un prato confinante con il bosco di gradi abeti dall’ ombra rinfrescante e dal profumo intenso di resina. Sotto le sue possenti braccia la falce tagliava rapida l’ erba bagnata di rugiada mattutina, che cadeva a terra formando grandi “ antane ” che subito si coprivano di una leggera nebbia formata dal vapore della rugiada che si scioglieva al sole.

Il prato era pianeggiante per un poco per poi scendere dolcemente verso valle dove scorreva fragoroso il torrente, Dimitri arrivato in fondo con una fascia si girò, affilò la falce, si levò la camicia bagnata dal sudore ed i muscoli pettorali brillarono al sole coperti da una miriade di goccioline di sudore, e riprese il lavoro, arrivato in cima dove inizia la parte pianeggiante, notò Martha che aveva iniziato a spargere l’ erba con il forcone perché si seccasse rapidamente al sole già forte di maggio.

Gli occhi dei due si incontrarono di nuovo, improvvisamente, Dimitri prese l bottiglia del vino che Martha aveva portato per lui, la aprì lentamente senza mai togliere lo sguardo dalla donna, bevve avidamente un lungo sorso, poi lo sguardo si fece più intenso e penetrante come di chi chiede quasi esige, la donna già sudata per la fatica cercò affannosamente il fazzoletto nelle tasche della gonna senza trovarlo, allora Dimitri tolse il suo dai pantaloni, le si avvicinò e le asciugò il volto sfiorandola con il suo petto nudo quello della donna che ebbe come un sussulto e fece per arretrare ma lui le si avvicinò di nuovo e le sbottonò il corpetto fino a vedere il seno con il fazzoletto lo asciugò piano lei tentò di dire una parola ma non vi riuscì tanto il respiro si era fatto affannoso, Dimitri sollevò di peso Martha tra le sue braccia erculee e la strinse forte a se , i suoi lunghi capelli si erano ormai sciolti ed ondeggiavano fluenti fino a toccare i fiori del prato ed i seni prosperosi sbocciavano dal corpetto ormai del tutto aperto della donna, mentre l’ uomo la portava lentamente nel fitto del bosco, a condividere dolcezza ed amore, lontano da sguardi indiscreti.

Trascorsi quattro mesi, nonostante i disperati tentativi di nascondere la sua gravidanza, tutti in paese si accorsero della pancia grossa di Martha che dopo i primi momenti di imbarazzo decise di non far più caso ai pettegolezzi gratuiti delle comari del villaggio e fu perfino fiera di essere madre ancora una volta. A mettere fine al suo imbarazzo ed alle chiacchiere della gente , fu la notizia giunta tramite la Croce rossa della morte per tifo del marito in un campo di prigionia russo in Siberia, la nuova venne accolta da Martha come una liberazione che la riabilitava agli occhi dei suoi bigotti ed ipocriti compaesani che non poterono più apostrofarla come una puttana.

Nacque a suo tempo un'altra bella femminuccia che venne chiamata Tanya come la mamma di Dimitri, bionda con gli occhi verdi pure lei, così la nonna ebbe un ulteriore carico di lavoro e di responsabilità.

Alla notizia del rimpatrio dei prigionieri russi, Martha pianse ed implorò in ginocchio il comandante austriaco che il suo uomo potesse restare a casa sua che si sarebbero sposati a guerra finita, ma fu tutto invano. Le leggi militari in tempo di guerra sono severissime ed intransigenti ed il prigioniero Dimitri dovette suo malgrado salutare Martha e la figlioletta Tanya e ritornare nella sua terra mentre nel resto dell’ Europa la guerra continuava violenta.

 

Capitolo 18 –

Effetti collaterali

 

La guerra proseguiva e gli stenti e le privazioni aumentavano di pari passo, tutto era razionato ed impossibile da acquistare perché i prezzi erano saliti alle stelle ed il denaro in casa era sempre più scarso, nel paese ci si arrangiava con il baratto, chi dava miele in cambio di farina, chi uova in cambio di carne, chi dava burro o latte in cambio di altri generi alimentari.

La fame trionfava tra i popoli in lotta, come sempre in tutte le guerre, ed aguzzava l’ ingegno per poter sopravvivere e non morire di fame.

Così le ortiche venivano bollite per ricavare alimenti e filati, le “zorle” ( i maggiolini ) venivano abbrustoliti nei forni e poi macinati fino a ricavarne una farina nera con la quale si preparava del pane o della minestra che si diceva ricca di proteine, del maiale non andava buttato niente eccetto le unghie e i denti , perfino le setole del pelo venivano date ai calzolai per usarle come filo per cucire le scarpe, il grasso sostituiva il burro e l’ olio e con il lardo scadente ( il seu ) si ungevano le scarpe di cuoio.

Bisognava lavorare e produrre quasi unicamente per alimentare la poderosa macchina da guerra dell’ Imperatore che divorava ogni giorno uomini e cose, come un grande dinosauro preistorico impazzito e insaziabile, che si nutre di uomini come una fobia che si sente appagata solo con il sangue dei popoli e per poterlo avere in abbondanza inculca le loro menti di proclami, di nazionalismo, di bandiere al vento vittoriose, di facili conquiste, di onori, di medaglie e di tante croci…

Era la fine di ottobre dell’ anno 1916, quando vennero i gendarmi a notificargli la sua liberazione a seguito della pace intercorsa tra Russia ed Austria ed informarlo che entro tre giorni sarebbero tornati per prenderlo e rimpatriarlo, il volto di Yan si illuminò per un attimo di gioia poi guardando la piccola che piangeva si rattristò di colpo le si avvicinò piano e se la prese in braccio come una figlia accarezzandole a lungo i capelli poi la guardò negli occhi e mosse piano le labbra :

Spassiba, piccola !

Salutò i due vecchi stringendo forte le loro mani senza dire nulla. Quando fu sull’ uscio si girò di nuovo , guardò Monika ed i genitori e con voce rotta dal pianto disse loro : Dassvidania !!

Si accodò alla lunga fila di prigionieri Russi che tornavano a casa .

La colonna di prigionieri rallentò un attimo , come per allungare un poco l’ abbraccio tra una giovane sposa ed un ragazzone russo che non si voleva staccare da quel batuffolo rosa che la madre teneva in braccio, frutto proibito di quell’ amore estemporaneo portato dalla guerra e maturato tra le spighe del grano.

La rivoluzione d’ ottobre aveva concesso in anticipo la libertà al buon Yan che era tornato nelle sua madre Russia ora divenuta bolscevica, ma anche per lui era cambiata soltanto la bandiera, tutto il resto era rimasto uguale, la steppa, il villaggio, l’ isba la povertà.

Dopo la rivoluzione di ottobre del 1917, quando la componente rivoluzionaria bolscevica e pacifista ebbe il soppravvento sulla politica dello Zar Nicola secondo che era entrato in guerra a fianco delle truppe alleate contro gli imperi centrali.

Coerente con lo spirito della rivoluzione, il nuovo governo bolscevico stipulò subito l’ armistizio unilaterale con gli imperi centrali, liberando così dal fronte russo numerose divisioni austriache e germaniche che potevano essere immediatamente dirottate sul fronte occidentale e sul fronte italiano.

 

Capitolo 19 –

L’ incontro.

 

Erik che era stato destinato ad una divisione schierate sul fiume Isonzo, dove si erano combattute ben 11 cruente battaglie con decine di migliaia di morti, senza per altro aver conquistato un metro di terra, se ne stava nella trincea in un posto asciutto ricavato con tavole di legno sistemate alla bell’ e meglio sul terreno divenuto fangoso per le frequenti piogge autunnali.

Era il mese di ottobre del 1917 ed erano trascorsi più di due anni da quando era stato arruolato nel Regio esercito italiano e spedito sul fiume Iaonzo a contribuire anche lui come migliaia di giovani italiani, alle facili vittorie teorizzate dal generale Cadorna e dallo stato maggiore dell’ esercito, ma che in realtà si dimostrarono una inutile carneficina con un susseguirsi di battaglie con decine di migliaia di morti per avanzare di pochi metri e retrocedere il giorno seguente.

Tra i soldati era circolata insistente la voce di un imminente e definitivo attacco delle truppe austriache rinforzate dalle divisioni liberatesi dal fronte Russo dopo la pace separata con il nuovo governo bolscevico che ora reggeva le sorti della sconfinata Russia.

Erik non ci voleva credere e pensava che forse gli austriaci avrebbero preferito portare il colpo decisivo sul fronte occidentale tenuto dai francesi e dagli alleati inglesi ed americani e che loro magari venissero lasciati in pace, ma si sbagliava.

Il 24 ottobre 1917 fino al 12 novembre si scatenò violenta e determinata l’ offensiva austriaca che travolse facilmente le linee di difesa italiane e dilagò verso la pianura mettendo in rotta l’ intero corpo d’ Armata che difendeva quelle zone, con obbiettivo la vittoria finale.

Chi non venne ucciso o fatto prigioniero nella fulminea avanzata austriaca, divenne una massa di uomini sbandati senza più ordini e senza più controllo, chi era sfuggito al piombo nemico riuscendo a scappare e lasciando le armi, veniva poi catturato dai carabinieri e fucilato come disertore e disfattista.

Il battaglione di Erik venne circondato rapidamente dalle truppe d’ assalto di una formazione germanica che sperimentava una nuova e rivoluzionaria tattica di combattimento che più tardi si sarebbe chiamata “ blitz krieg “ ( guerra lampo ) a comandare la formazione tedesca c’ era un giovane tenente del quale si sarebbe parlato molto nel secondo conflitto mondiale, il suo nome era Erwin Rommel.

La lunga colonna di prigionieri italiani, dopo un lungo viaggio in una tradotta lenta e fredda, si dirigeva verso il campo austriaco una massa di uomini stanchi, inebetiti dalla fatica della trincea e stanchi del lungo viaggio si accingeva ad entrare nel lager austriaco al quale le guardie avevano spalancato le porte e gli uomini vi entravano come nelle fauci fameliche di un enorme mostro che sembrava divorarli inesorabilmente.

Erik fu destinato alla baracca numero 36, una delle tante allineate all’ interno del campo circondato da una fitta rete di filo spinato e sorvegliato da numerose sentinelle armate di fucile, mentre ai quattro angoli diventavano le torrette con le mitragliatrici. Anche qui filo spinato, come nel bosco dove c’ era Monika, come nella trincea… pensò Erik. ma possibile che io debba aver a che fare con il reticolato per tutta la vita ? e qui non ho neppure la mia trancia fili…

Si buttò sul pavimento sconsolato e pianse a dirotto pensando alla sua Monika.

Di buono c’ era che qui gli veniva concesso di scrivere a casa ed anche alla sua fidanzata, ormai erano dei prigionieri di guerra e non erano più considerati combattenti in grado di nuocere al nemico. Si era procurato della carta da lettera, una penna ed un calamaio e tutte le settimane scriveva delle lunghe lettere che indirizzava ai suoi genitori ed a Monika. Alcuni soldati provenienti dal meridione d’ Italia ed ancora analfabeti, gli si erano avvicinati chiedendogli di scrivere a casa a nome loro, Erik svolse con scrupolo e discrezione quel delicato compito, cercando di trovare le parole giuste per interpretare quanto quei suoi sfortunati camerati intendevano far sapere alle famiglie,evitando di scrivere cose che potessero irritare la censura militare. Le guardie che ogni tanto ispezionavano le baracche, avevano notato lo strano lavoro che Erik faceva a favore dei suoi compagni ed un giorno interrogarono il prigioniero chiedendogli le generalità ed il paese italiano di provenienza, sequestrarono tutte le lettere assieme alla penna ed al calamaio, dicendo che avrebbero consegnato tutto al Comandante del campo.

Erik si rattristò in cuor suo ma non protestò, pensava infatti che se si fosse ribellato avrebbe di certo peggiorato la sua posizione e poi sapeva in coscienza di non aver mai scritto nulla che potesse essere i qualche modo censurato, però un dubbio gli rimase e per alcune notti non riuscì a chiudere occhio. Erano trascorsi 15 giorni dal sequestro delle lettere ed Erik considerava l’ episodio un capitolo chiuso, quando un mattino all’ alba , nella baracca si presentarono due gendarmi, gli si misero al suo fianco e gli dissero di seguirli che il comandante del campo lo voleva interrogare.

L’ uomo seguì in silenzio le guardie che gli fecero attraversare volutamente tutto il perimetro del campo prima di arrivare alla linda baracca che ospitava il comando del campo.

I gendarmi con in mezzo il prigioniero bussarono alla porta del Comandante: Herein ! rispose una voce da dentro, ci siamo pensò Erik.

Le guardie spinsero dentro il prigioniero.

Il comandante stava ritto davanti ad una grande cartina topografica appesa alla parete, con le mani ai fianchi e le gambe leggermente divaricate e consultava attentamente la carta misurando delle distanze con lo scali metro, con la schiena girata verso i tre che attendevano ordini e sembrava non avere frette, era come assorto in quel lavoro.

Una delle guardie allora batté nuovamente i tacchi ed allora l’ Ufficiale alzò una mano senza mai girarsi e schioccò le dita, i due militi batterono i tacchi all’ unisono salutarono ed uscirono chiudendo la porta.

Il Comandante prese il frustino che aveva in uno stivale e lo piegò lentamente, poi con una voce un po’ stridula e roca, dopo aver preso dal taschino una lettera cominciò a dire in tedesco : dunque eri tu quello che si divertiva a tagliare il reticolato del confine del nostro amato impero ? Erik si sentì gelare il sangue nelle vene, ma come faceva quello a sapere del reticolato ? forse l’ aveva capito da qualche allusione fatta in una delle lettere scritto a Monika, che scemo sono stato… aveva ragione lei che sarei finito male ! L’ Ufficiale riprese ed eri tu che spiava le posizioni dei nostri cannoni ?

E quando ti hanno scoperto non hai esitato ad ammazzare due eroici soldati dell’ Imperatore… fece una breve pausa, poi estrasse la pistola dalla fondina che aveva attaccata al cinturone e proseguì : per tutto questo io ti dichiaro colpevole di spionaggio militare ed in base al nostro codice penale di guerra ti condanno alla fucilazione che avverrà ora che è l’ alba…

Il ragazzo cercò di ribattere ed affermò : no Signore, io andavo solo dalla mia morosa

Zitto spia !

sentenziò l’ Ufficiale.

Ad Erik era venuta la bava alla bocca un una sete tremenda che non gli riusciva di parlare, respirò profondamente, si coprì gli occhi con le mani e con un filo di voce riuscì a mormorare poche parole , quasi come un ultima preghiera rassegnata: avevi ragione tu Monika, ma tutto questo lo rifarei… ti voglio bene amore mio ci rivedremo in cielo !

Poi inghiottì a fatica e si schiarì la voce , respirò di nuovo a fondo si mise sull’ attenti ed a voce alta e serena dichiarò : sono pronto Signore, vorrei solo… non fece a tempo a dire altro che l’ Ufficiale si girò di scatto ed in italiano con voce normale gli gridò : zitto “ mona”, non vedi che sono io !!!

Era Werner il suo futuro cognato, Erik cadde a terra svenuto dall’ emozione, allora l’ Ufficiale chiamò le due guardie che si erano prestate al gioco che accorsero immediatamente e rianimarono il povero Erik emozionato ma felice di aver ritrovato Werner che, con gli occhi gonfi di pianto lo abbracciò e gli raccontò che era stato promosso tenente sul campo per alti meriti di guerra. Mia sorella Monika è fortunata a sposare questo italiano affermò rivolto alle due guardie commosse pure loro, poi aprì il suo armadietto privato e tirò fuori una bottiglia di cognac francese e proclamò : ragazzi questa è una giornata storica, indimenticabile, oggi ha vinto l’ amore per chiunque perda o vinca questa inutile guerra, vi invito a brindare assieme a me ed al mio futuro cognato alla pace tra i popoli.

E versò quattro bicchierini di liquore ed invitò i presenti a bere esclamando ad alta voce, prosit !

 

Capitolo 20 –

Il ritorno

 

Werner ed Erik tornarono dalla guerra ormai uomini fatti, maturati in fretta, forgiati a caldo nell’ inferno delle trincee, tra le esplosioni e il tu ta ta delle mitragliatrici, tra un camerata che ti resta a fianco ed uno che ti lascia colpito dal fuoco del nemico nell’ indifferenza più totale, dove gli unici sentimenti che ti restano sono l’ amicizia sincera per la quale sei disposto a vivere o a morire e l’ istinto di conservazione che ti propone i più disparati e disperati trucchi per continuare a vivere tra i morti.

Tornarono uno sconfitto ed uno vincitore, me con il comune destino di essere tutti e due italiani, il confine ora non c’ era più, travolto dalla guerra che muta ogni cosa così come muta il destino dei popoli e dei singoli individui.

 

Capitolo 21 –

Monika ed Erik finalmente sposi.

 

Monika ed Erik si sposarono in una limpida giornata di maggio del 1919 nella chiesetta del suo paese, lei indossava un candido abito bianco meritato per le sua fedeltà, il vecchio parroco celebrò la S. Messa parlando in tedesco, solo alla fine si rivolse brevemente in italiano allo sposo per ricordargli i doveri che aveva nei confronti della moglie e per augurare ai novelli sposi una felice vita coniugale .

In Municipio il nuovo sindaco, con la fascia tricolore, si rivolse agli sposi parlando in italiano con il libro del codice civile in mano ricordò loro le leggi del nuovo Stato che regolano nel matrimonio i diritti ed i doveri degli sposi.

Finita la cerimonia il Sindaco si levò la fascia tricolore e raggiunse i novelli sposi, baciò la mano della sposa e strinse quella dello sposo, poi si mise in mezzo a loro guardò la sposa e le sussurrò :

siate felici e figli maschi !

Era il primo matrimonio in paese celebrato da un Sindaco italiano e con il codice civile del nuovo stato, il Regno d’ Italia, il cui esercito vittorioso aveva annesso al regno anche quei paesini del sud Tirolo tanto lontani dal mare e da Roma.

Le campane della chiesetta alpina suonarono a festa per i novelli sposi ed il loro suono si spandeva per tutta la valle, come per ricordare a tutti che dopo un temporale torna sempre il sole a far rinverdire di novella erba i pascoli punteggiati di fiori dai colori vivi e dai delicati profumi, tanto cari ad Erik e Monika che oggi coronavano il loro sogno d’ amore.

In strada si era formato un piccolo crocchio di gente curiosa di vedere il nuovo sindaco italiano ed il nuovo rito con il codice civile dei vincitori, tutti constatarono che era cambiata solo la lingua ed il colore della bandiera, per il resto era tutto come prima.

Solo le vecchie del paese commentarono la cerimonia dicendo, in marcato accento tedesco:

 

- La Monika l’’ ha sposà n’ talian ! -

 

( Monika ha sposato un italiano ! )

 

 

 

FINE

 

Questo è un racconto di fantasia, inserito nel contesto storico della Grande guerra del 1914 - 1918.

Ogni riferimento a nomi, fatti, persone e località, è puramente casuale.

 

© Tutti i diritti riservati ba.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



Maggiori informazioni