IL DEMONE: LA COSCIENZA DEGLI ETRUSCHI

 
Nelle tombe etrusche di Tarquinia, risalenti più o meno al 500 a.C., non è raro imbattersi nell’affresco illustrante uno strano personaggio con una lunga barba ed un abito colorato.
Si tratta del “Phersu”, una sorta di demone (termine qui da intendersi nel suo significato etimologico e socratico di “daimon”, cioè “guida divina”, “coscienza”) che, impersonato da un attore mascherato, aveva probabilmente il compito di accompagnare coi suoi riti propiziatori il transito dell’anima del defunto dal mondo “di qua” a quello “di là”.
Proprio il Phersu etrusco sarebbe stato ripreso dai Romani per distinguere i concetti fondamentali di “individuo”, che (come ci dice il termine stesso) è “non-divisibile”, unico ed immutabile, da quello di “persona”, indicante invece i vari ruoli che, sul palcoscenico sociale, quello stesso individuo via via ricopre a seconda dei casi e delle circostanze.
È così dunque che dal “Phersu” (l’uomo mascherato) etrusco, si passa alla “Phersu-na” (persona, personalità) latina, che altri non è che la “maschera” o, meglio ancora, le diverse maschere che siamo quotidianamente chiamati ad indossare nei rapporti con gli altri.
Se infatti, nel silenzio e nel chiuso della nostra stanza o magari di una cella claustrale, siamo degli “individui”, non appena interagiamo sulla scena sociale indossiamo delle “maschere”, ci atteggiamo cioè a “persone” diverse e sempre mutevoli, quelle per esempio di figli, padri, mariti, amici, commercianti, avvocati, ristoratori, politici, sportivi e chissà cos’altro ancora.
L’”Io” individuale indossa dunque diversi “habitus” a seconda delle mutevoli circostanze sociali e soltanto come tale, cioè come “persona”, viene riconosciuto dagli altri, che invece ignorano lo sconosciuto che si cela davvero sotto a quella maschera.
Sempre i Romani elevarono a divinità la capacità di sapersi adattare, nella vita, a recitare con successo parti diverse.
Il dio Vertumno infatti (dal verbo “vertere”, che significa “cambiare”), così bene reso dall’Arcimboldo in uno dei suoi particolari ritratti a base di frutti e verdure varie, presiedeva alle trasformazioni ed era lui stesso in grado di assumere rapidamente personalità diverse, pur mantenendo sempre la sua individualità.
I delicati rapporti fra “Io” e “Persona” in tempi molto più recenti sono stati studiati dalla moderna psicoanalisi, che mi piace immaginare abbia potuto attingere dalla saggezza e profondità di analisi di Etruschi ed antichi Romani.Nelle tombe etrusche di Tarquinia, risalenti più o meno al 500 a.C., non è raro imbattersi nell’affresco illustrante uno strano personaggio con una lunga barba ed un abito colorato.
Si tratta del “Phersu”, una sorta di demone (termine qui da intendersi nel suo significato etimologico e socratico di “daimon”, cioè “guida divina”, “coscienza”) che, impersonato da un attore mascherato, aveva probabilmente il compito di accompagnare coi suoi riti propiziatori il transito dell’anima del defunto dal mondo “di qua” a quello “di là”.
Proprio il Phersu etrusco sarebbe stato ripreso dai Romani per distinguere i concetti fondamentali di “individuo”, che (come ci dice il termine stesso) è “non-divisibile”, unico ed immutabile, da quello di “persona”, indicante invece i vari ruoli che, sul palcoscenico sociale, quello stesso individuo via via ricopre a seconda dei casi e delle circostanze.
È così dunque che dal “Phersu” (l’uomo mascherato) etrusco, si passa alla “Phersu-na” (persona, personalità) latina, che altri non è che la “maschera” o, meglio ancora, le diverse maschere che siamo quotidianamente chiamati ad indossare nei rapporti con gli altri.
Se infatti, nel silenzio e nel chiuso della nostra stanza o magari di una cella claustrale, siamo degli “individui”, non appena interagiamo sulla scena sociale indossiamo delle “maschere”, ci atteggiamo cioè a “persone” diverse e sempre mutevoli, quelle per esempio di figli, padri, mariti, amici, commercianti, avvocati, ristoratori, politici, sportivi e chissà cos’altro ancora.
L’”Io” individuale indossa dunque diversi “habitus” a seconda delle mutevoli circostanze sociali e soltanto come tale, cioè come “persona”, viene riconosciuto dagli altri, che invece ignorano lo sconosciuto che si cela davvero sotto a quella maschera.
Sempre i Romani elevarono a divinità la capacità di sapersi adattare, nella vita, a recitare con successo parti diverse.
Il dio Vertumno infatti (dal verbo “vertere”, che significa “cambiare”), così bene reso dall’Arcimboldo in uno dei suoi particolari ritratti a base di frutti e verdure varie, presiedeva alle trasformazioni ed era lui stesso in grado di assumere rapidamente personalità diverse, pur mantenendo sempre la sua individualità.
I delicati rapporti fra “Io” e “Persona” in tempi molto più recenti sono stati studiati dalla moderna psicoanalisi, che mi piace immaginare abbia potuto attingere dalla saggezza e profondità di analisi di Etruschi ed antichi Romani.