TUTTE LE DONNE DEL DUCE

La relazione tra Ida Dalser, all’anagrafe Ida Irene e Mussolini prese avvio nel 1913. Due anni dopo nacque Benito Albino, riconosciuto dal padre soltanto nel 1916. Per questa ragione, pur in assenza di fonti attendibili che dimostrino il reale avvenimento delle nozze tra i due con rito religioso, è certo che la Dalser ebbe un rapporto sentimentale con il futuro duce del fascismo. Socialista e insofferente alle convenzioni borghesi, il giovane Mussolini ebbe numerose amanti.Si trattava, per lo più, di donne colte ed emancipate com’era Ida, all’epoca titolare di un salone di bellezza a Milano. Perdutamente innamorata, la stessa non esitò un solo istante a vendere la propria attività e tutti i suoi gioielli per finanziare la fondazione, ad opera dell’amato, dell’editoriale il Popolo d’Italia.

La presenza di Ida dovette diventare ingombrante quando Mussolini fece dei valori borghesi la cifra essenziale della propria ascesa al potere. A quel punto, infatti, la credibilità della sua immagine di padre esemplare veniva messa in scacco dalla duplice relazione con Ida Dalser e Rachele Guidi. Non a caso, la situazione precipitò quando Benito decise di ufficializzare il rapporto con la seconda donna. Messa da parte, Ida diede inizio ad un carteggio con l’allora direttore del Corriere della Sera, Luigi Albertini

Le lettere che la Dalser recapitò al Senatore Albertini rappresentano una richiesta di aiuto a seguito del torto subito da Mussolini. Ida si trovò infatti squattrinata, e con un figlio da crescere, in mezzo alla strada. Di qui, l’idea di guadagnarsi l’appoggio di un uomo autorevole, qual era Albertini, per essere ascoltata. Oltre a rivendicare il proprio status di moglie del Duce, Ida supplicò il Direttore di rendere pubblici un suo annuncio ed una sua sottoscrizione a favore del piccolo Benito.

Ida non si arrese di fronte all’atteggiamento omertoso di Albertini e chiese aiuto ad altri potenti della stampa. Nel frattempo, ottenne anche il diritto agli alimenti (200 lire al mese) per lei e per il figlio. Insomma, la relazione che Mussolini tentò maldestramente di occultare veniva ora a galla con forza, al punto da indurlo ad escogitare un modo alternativo per eliminarne, una volta per tutte, lo spettro.

Fu allora che la follia si insinuò nelle pieghe della vicenda. La prima occasione di provare l’instabilità mentale della donna si verificò quando questa ebbe un acceso diverbio con Rachele, anch’essa accorsa al capezzale di Mussolini. La seconda, decisiva, si mostrò il giorno in cui essa si recò presso la sede del Popolo d’Italia per inveire contro il marito. Sebbene costui la minacciò con una pistola, fu la Dalser ad essere definita “pericolosissima” dall’allora capo della polizia, che avanzò la proposta d’internarla.La legge n. 36 del 1904, infatti, indicava come unici criteri per la diagnosi della malattia mentale la pericolosità sociale ed il pubblico scandalo.

Nel novembre del 1919 la Dalser tentò di recare gravi molestie a S.E. Mussolini provocando anche una clamorosa pubblicità. Da alcune sue lettere emerge che il rancore della Dalser verso S.E. il Presidente non è sopito. La Dalser è una esaltata ed una isterica e potrebbe effettivamente rendersi

La rabbia della Dalser crebbe all’aumentare del potere e della ricchezza del Duce che, sempre più influente, riuscì a farle togliere l’affidamento dell’adorato figlio prima, e ad internarla poi. L’uso politico del manicomio, infatti, si trasformò in una pratica diffusa durante il regime.

Ricoverata in un primo momento all’ospedale di Perigine, Ida riuscì a fuggire attraverso la finestra con l’aiuto di due lenzuola annodate. Scovata e arrestata, venne trasferita al San Clemente di Venezia, dove morì nel dicembre del ’37. Stessa sorte toccò al figlio il quale, internato a Mombello, perì appena ventiseienne.

La Dalser, il volto anti-borghese di Mussolini, incarna il tipo di donna che il fascismo tentò di annullare. Ribelle, caparbia, emancipata, Ida giocò a braccio di ferro con il Duce senza mai rinnegare l’amore che provò per lui.Anche negli anni del manicomio la donna continuò a dare forma al dolore attraverso la parola, uno strumento così forte da ucciderla; tanto potente da renderla immortale.