STREGHE IN VAL DI NON

 
 

STREGHE IN 

 

VAL DI NON

 

 

Creature misteriose queste streghe di montagna…
In un mondo crudo, con una natura sprezzante dell’uomo, ogni sasso ed ogni pietra nascondevano
forse uno spiritello gentile, l’anima saggia di un torrente, il genio curioso di un albero antico, ogni erba era preziosa alleata contro i mali di stagione, gli infortuni, la sterilità …

 

Il palazzo nero di Coredo



 

 

Invidie, povertà, terrore, fame, stenti e ignoranza… tutto concorse a bruciare anche tra le tranquille foreste decine e decine di donne, da Coredo a Nogaredo fino a Cavalese, dove ancora oggi, 500 anni dopo, ogni gennaio viene rievocato e rappresentato l’infausto processo.
Le sventurate, accusate di eresia, abiura della fede cattolica, veneficio, omicidio, danni alle persone, al bestiame e ai raccolti, infanticidio, cannibalismo e rapporti sessuali col demonio vennero incarcerate e costrette con la tortura a confessare. Il tutto ovviamente sotto la saggia egida del ‘Malleus Maleficarum.
 
Il Santo libro prevedeva innanzitutto la ricerca del marchio del diavolo. La donna veniva quindi rasata completamente ed ispezionata palmo a palmo.
Cosa cercavano gli inquisitori? Nulla: un neo, una macchiolina, una zona insensibile al dolore. Tutto poteva essere ‘il bollo’ di Satana, il capezzolo della strega, quello al quale in demonio si attaccava per nutrirsi.
Ma forse, a ben vedere, per quanto umiliante, questo era il meno.
Dopo l’ispezione si passava alla tortura.
Inutile qui elencare tutti i supplizi possibili, possiamo solo fare un esempio che serva per ben esprimere la natura sadica dell’Inquisizione:
nell'esecuzione pubblica di Anna Pappenheimer (nulla a che vedere con Coredo, Nogaredo o Cavalese), la povera ‘strega’ subì prima la tortura della strappata (venivano slogate le articolazioni legando la vittima ad una carrucola e sottoponendole ad un forte contraccolpo) e poi le furono strappati i seni con una tenaglia rovente. Seni che furono fatti ingerire a forza ai suoi due figli adulti…
A Cavalese le streghe vennero sottoposte a supplizio nei sotterranei del palazzo vescovile, nel Grotòn.


Mentre a Coredo venivano ascoltate nella Sala del Giudizio di Palazzo Nero:
Di ciò che accadde a Coredo sappiamo ormai tutto. I verbali, con opera di inaudita pazienza, sono stati pubblicati (vedi fonti) e nel paese le persone anche se ormai non hanno quasi più ricordo di ciò che accadde, sanno che accadde.
 
Nel vetusto Palazzo Nero abita ancor oggi il Signor Giulio. Un anziano gentiluomo di 102 anni. Lo incroci passeggiando per le vie del paese e con entusiasmo ti narra la storia dei magnifici affreschi che adornano la Sala del Giudizio di Palazzo Nero: ti narra la storia così come suo padre la raccontò a lui (parole testuali).
Oggi Coredo è un paesino che non vive certo sulle storie delle streghe, ma sul turismo montano e sulla coltivazione delle mele.
E forse è proprio questo il punto. Sottolineare come l’orrore dell’Inquisizione riuscì ad insinuarsi malevolo e violento fin nelle zone più remote dell’Europa.
Anzi: i roghi di Cavalese furono tra i primissimi ad ardere in Europa. La popolazione di allora pensava soprattutto a non morire di fame e a sorpassare i rigidissimi inverni. In quelle zone i terreni coltivabili erano pochi e scoscesi. Il clima, ancora oggi, permette la coltivazione di poche cose, come patate e orzo e poco altro. Cito dal meraviglioso testo ‘La stupenda inquisizione d’Anaunia. Processo del 1611-1615’ un breve brano che descrive perfettamente le condizioni nelle quali versavano le popolazioni delle Valli trentine:
 ‘ La Valle di Non era una delle più popolate del Trentino. La superficie adibita allo sfruttamento agricolo era molto limitata e il manto boschivo, fittissimo, spesso toccava le ultime case dei paesi. A causa della scarsità di bestiame grosso le concimazioni erano esigue e le arature poco profonde; le acque non incanalate scorrevano o ristagnavano liberamente nelle conche prative, formando ampie zone paludose. A ciò si aggiungeva l’estrema parcellizzazione del terreno coltivabile che impediva di migliorare la coltivazione e causava notevoli perdite di tempo. In queste condizioni non sempre era garantita una rendita sufficiente, e una tempesta o una gelata potevano compromettere quasi completamente il raccolto. La comunità viveva nella miseria ed era soggetta a soprusi di ogni genere (…)’.

 



Nonostante queste terribili condizioni, le streghe bruciate scioccarono non poco gli animi. Lo stesso notaio che all’epoca seguì i fatti di Cavalese ad esempio, il tedesco Leittner, rimase sconvolto dalla facilità con la quale le ‘streghe’ si riconobbero colpevoli. Arrivò addirittura, prima di ratificare le condanne, a richiedere udienza a Trento con il delegato vescovile. Udienza che, visti i roghi che seguirono, ebbe ben poco successo…
Dagli atti processuali emergono bene due aspetti della stregoneria: quella vera e quella estorta con la tortura. Della prima fanno parte tutte quelle credenze popolari che fino a poco prima erano accettate come normale pratica contadina: l’uso delle erbe, di piccoli riti e di malefici. Della seconda invece fanno parte i patti diabolici, i sabba, i voli, gli unguenti, la profanazione dei sacramenti: elemeti che nulla avevano a che vedere con la realtà delle ‘streghe’ del periodo.
Tutti questi atti sono ancora oggi conservati (lo sono dal 1841) nell’Archivio della Biblioteca Civica di Trento.

Questo articolo vuole solo essere una breve introduzione ai due prossimi che seguiranno e che narreranno le vicende delle Streghe di Coredo, Nogaredo e Cavalese.