SACCO E VANZETTI LA STORIA

Here’s to you, Nicola and Bart,
Rest forever here in our hearts”.
Così recitano i primi versi della struggente “Ballata di Sacco e Vanzetti”, composta da Joan Baez e musicata da Ennio Moricone.
E’ trascorso quasi un secolo dal 23 agosto del 1927, quando nel carcere di Charlestown, nel Massachusetts, a pochi minuti l'uno dall'altro salirono sulla sedia elettrica i nostri connazionali Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, al termine di un calvario giudiziario durato sette anni e sostanzialmente basato sul pregiudizio nei confronti dello straniero, visto come pericoloso perturbatore dell'equilibrio sociale.
Nato il primo nel 1891 a Torremaggiore (in provincia di Foggia) ed il secondo nel 1888 a Villafaletto (Cuneo) giunsero entrambi nel 1908 negli Stati Uniti, sperando di trovarvi quella "terra promessa" che però li avrebbe presto disillusi, mostrando loro freddezza ed aridità, in un misto di emarginazione e sfruttamento.
Per i due si preparò così il terreno ideale per l'avvicinamento ai Galleanisti, la frequentazione dei quali li avrebbe fatti incontrare nel 1917.
Questi ultimi erano i seguaci di Luigi Galleani, un anarchico italiano che predicava la violenza rivoluzionaria basata sulla pratica degli attentati dinamitardi e sull'assassinio politico.
Col loro periodico "Cronaca Sovversiva", in tempi in cui il regicidio in Europa era diventato "alla moda" con gli assassinii per esempio dei re Umberto I d'Italia e Carlo I del Portogallo, dell'Imperatrice Sissi, dello zar Alessandro II e del Presidente francese Sadi Carnot, vedendo una prima replica negli USA con l'uccisione del Presidente McKinley, i galleanisti scalarono rapidamente la classifica dei “most wanted” fra i nemici pubblici, venendo sospettati di essere gli autori di numerosi attentati, riusciti e non.
Fra questi anche quello attuato nel 1919 ai danni del procuratore capo Mitchell Palmer, fallito perché la bomba a lui destinata era esplosa anzitempo nelle mani dell'anarchico Carlo Valdinoci, uno degli editori proprio della "Cronaca Sovversiva", uccidendolo.
A seguito di ciò numerosi galleanisti furono arrestati ed interrogati, fra i quali Andrea Salsedo, trovato morto dopo una caduta dal 14' piano del palazzo dove aveva sede l'US Justice Bureau of Investigation, a New York.
La versione ufficiale parlò di suicidio, perché il Salsedo non avrebbe voluto tradire i suoi compagni, ma i più ovviamente sospettarono si trattasse di un omicidio a sangue freddo.
Ciò causò una recrudescenza degli atti di violenza, fra i quali una rapina a mano armata attuata a Braintree il 15 aprile del 1920 ai danni della fabbrica di scarpe per cui lavorava Sacco, nel corso della quale persero la vita una guardia giurata e un contabile.
Per questo crimine, considerato modo per autofinanziarsi, furono sospettati i galleanisti, con conseguenti perquisizioni a tappeto delle abitazioni di alcuni di loro, fra i quali Mario Buda e Ferruccio Coacci, fra i più attivi in quegli anni.
Se però quest'ultimo, vista la malaparata, era già ripartito per l'Italia, in casa di Buda fu rinvenuto il manuale d'uso di una pistola calibro 32 (la stessa usata per la rapina di Braintree), come pure si scoprì che possedeva una Buick identica a quella usata dai criminali, che però in quei giorni si trovava in riparazione presso un'autofficina.
Gli inquirenti, sospettando che con quella mossa Buda volesse far sparire le tracce del crimine, chiesero al responsabile dell'autofficina di avvertirli quando qualcuno si fosse presentato a reclamare l'auto.
Così il 5 maggio seguente, non appena lo stesso Buda, accompagnato da Sacco e Vanzetti, si presentò per ritirare l'auto, scattò la telefonata di denunzia cui seguì l'arresto soltanto di Sacco e Vanzetti, perché Buda frattempo riuscì a far perdere le sue tracce.
Decisivo per il loro arresto fu il ritrovamento nelle tasche di Sacco di una pistola calibro 32 (quella il cui manuale d'uso era stato rinvenuto in casa di Buda) e in quelle di Vanzetti di una calibro 38 che parve essere la stessa in dotazione ad una delle vittime della rapina di Braintree.
Nel processo che ne seguì queste due armi costituirono la principale prova nelle mani della pubblica accusa, che produsse anche un’opinabile perizia balistica in base alla quale i proiettili usati dallo sparatore erano compatibili con le rigature rinvenute all'interno della canna della pistola trovata su Sacco.
A ciò si aggiunse una serie di testimoni che riconobbero nei due italiani gli autori del crimine. Fa niente se un numero ancora maggiore di testimoni italiani chiamati a deporre dalla difesa dichiararono che nel giorno della rapina i due si trovavano in realtà altrove, perché a quei tempi la parola degli Italiani non aveva lo stesso valore di quella degli Americani!
A presiedere il processo c'era il giudice Webster Thayer, noto per aver pubblicamente definito gli anarchici "bastardi" ed essersi fieramente opposto alla “pericolosa invasione degli immigrati italiani”.
Costui entrò subito in polemica col difensore di Sacco, che commise il fatale errore di colorire il processo di una valenza politica descrivendo i due imputati come perseguitati dalla ragion di stato, col solo risultato di inimicarsi il favore dei giurati e non concentrarsi sulle prove.
Il 21 luglio del 1921 fu così emesso un verdetto di colpevolezza, punibile a quei tempi con la pena di morte per elettroduzione.
I sei anni successivi furono caratterizzati dai ripetuti tentativi della difesa di riaprire il caso, l'ultimo dei quali nel 1925 in seguito alla confessione del portoghese Celestino Madeiros, che si accusò del duplice omicidio di Braintree, non venendo però creduto.
Nemmeno questo colpo di scena smosse la Corte Suprema del Massachusetts, che pilatescamente stabilì che "non è imperativo che un nuovo processo sia garantito nemmeno nel caso in cui nuove prove potrebbero giustificare un verdetto diverso".
Così, dopo che il Governatore Fuller rifiutò un'ultima domanda di grazia ignorando gli appelli alla clemenza arrivatigli anche da numerosi intellettuali fra cui Einstein, Anatole France e lo scrittore Dos Passos, i due malcapitati andarono incontro al loro tragico destino.
Sarebbero dovuti passare 50 anni prima che il Governatore Dukakis, nel 1977, riconoscesse che il processo era stato condotto in maniera "unfair" e di conseguenza dai nomi di Sacco e Vanzetti" andasse per sempre rimossa ogni ombra di ignominia e disgrazia".
A noi il dovere di mantenere viva la memoria.
(Testo di Anselmo Pagani)