IL RESPIRO DEL MINATORE

 

COVID 19

IL RESPIRO DEL MINATORE

In questi tempi di COVID 19, una malattia provocata da un essere vivente invisibile perfino al microscopio ottico, che come tutti gli esseri viventi ha come principale scopo dell’esistenza l’istinto ancestrale della conservazione della specie e per riuscire a riprodursi ha bisogno di un altro essere vivente con cui vivere in simbiosi, se ad ospitarlo è un umano questo si ammala gravemente e molto spesso muore. Abbiamo tutti scoperto l’importanza del respiro e dei polmoni, abbiamo visto morire migliaia di persone per l'insufficienza respiratoria ed altre migliaia giacere per molti giorni in sale ascetiche di rianimazione, ora ci sono messe a disposizione queste moderne strutture salva vita che al tempo della mia testimonianza non esistevano se non in centri specializzati e negli USA.

Nei primi anni ‘70 assieme a mio fratello ed all’amico Martino, durante la cassa integrazione invernale del settore edile, decidemmo di recarci in Belgio a fare visita ai miei parenti. Io in Belgio avevo i miei cugini, mia zia e mio zio Tullio, un uomo di grande spessore morale, un lavoratore capace e pieno di ingegno e risorse, lavorava in miniera. In quella zona del Belgio tutti gli italiani emigrati lì lavoravano nelle miniere di carbone a seguito degli accordi intercorsi tra il Governo italiano e quello Belga: manodopera in cambio di carbone. C’è da sottolineare che il lavoro nelle miniere di carbone è uno dei lavori più rischiosi e pericolosi che esistano al mondo, ci sono pericoli di crolli, di incendi di gas grisou, di allagamenti ecc., ma la forma più subdola ed ampiamente più pericolosa che colpiva tutti i minatori indistintamente era la silicosi, la polvere di carbone si infilava nei loro polmoni tramite il respiro, si depositava nei polmoni e se ne impossessava lentamente rendendoli anch’essi come una pietra.

Lo zio Tullio ci fece visitare il Belgio, ma sopratutto la zona francofona dove c’erano le miniere di carbone allora ancora attive, e fatalmente durante il percorso ci si fermava dagli ex colleghi di mio zio che avevano lasciato il lavoro per la pensione che vivevano tutti nelle case di proprietà della miniera poco più che delle baracche tenute comunque ben pulite e curate dagli occupanti segno di grande civiltà e grande rispetto per il Popolo che li ospitava. Tutte la abitazioni avevano annesso un orto da poter coltivare, come le “SEMI RURALI“ a Bolzano per fare un esempio. Una vita apparentemente tranquilla di pensionati, se non fosse che in ogni abitazione si celava subdola e deleteria la silicosi, e la sentivi percorrere l’aria fino alle tue orecchie, con insistenza come per farti ascoltare la sua marcia funebre che accompagnava quelle persone dai polmoni distrutti: era un sibilo continuo a due note, una per respirare ed una per buttare fuori l’aria come da un vulcano che si sta spegnendo… ma cerca ancora aria e vita. Si erano tutti bene “integrati“ nel ambiente che li aveva accolti e sfruttati con un lavoro che nessuno voleva fare e riservato agli immigrati dei paesi più poveri della allora nascente Unione Europea. Quei sibili di dolore e rassegnazione mi sono rimasti impressi nella mente come un grido di dolore ed una preghiera per non dimenticare… Ora quei sibili sono spenti da tempo, ma mi piace ricordare a tutti che i figli di quelli emigrati, come i rami di un albero robusto e fiero, hanno saputo crescere ed integrarsi assieme a quei popoli regalando loro la cultura e le tradizioni migliori di popoli diversi tra loro ed ora molti di loro occupano posti di prestigio in quel Paese.

Dedico questa testimonianza a coloro che hanno a cuore solo l’ “ACCOGLIENZA DEI PROFUGHI AFRICANI“ e ne favoriscono il loro incremento, affinchè aprano una vera riflessione meno ideologica e più terra terra.  Nessuno di loro andrà mai in una miniera di carbone, nessuno di loro subirà le sofferenze e le umiliazioni dei nostri emigrati nel mondo, accettate con la consapevolezza di essere poveri e di dover comunque mantenere se stessi e le loro famiglie. I nostri emigrati non ebbero dallo Stato ospitante nessun incentivo economico che non se lo siano ampiamente guadagnato con lavori umilianti e pericolosi. Se poi gli immigrati africani vengono sfruttati nei campi di pomodori o di mele, è solamente perché una parte politica italiana unita ad una branca della Chiesa cattolica detta dei “PRETI DI STRADA“ ha fatto dell’immigrazione incontrollata una ragione ideologica che mal si concilia con le ragioni umanitarie, sociali e di mercato del lavoro.

Agosti Bruno