CHE GUEVARA E LA FALLITA RIVOLUZIONE AFRICANA

 

 

Siamo nel Luglio del 1963. Che Guevara ormai stabilmente ministro dell’industria a Cuba, mette per la prima volta piede in Africa. È una giornata calda, a tratti insopportabile. Il “Che” ha nel viso una luce diversa. Si è recato personalmente in Algeria non per un viaggio di stato, ma per un viaggio personale, per essere presente al primo anniversario dell’indipendenza del popolo algerino che, dopo circa 130 anni, si era liberato dal colonialismo. Diventando così, insieme all’Egitto, un esempio di libertà per tutto il popolo africano. Che Guevara sa bene dell’importanza di quest’anniversario, l’importanza rivoluzionaria di questo giorno. Pensa infatti che questo episodio possa essere una sorta di grande esempio che spinga i paesi africani a rompere le catene dello sfruttamento coloniale europeo. La giornata trascorre in maniera molto veloce. Che Guevara è accolto trionfante dal popolo algerino. Partecipa anche ad un seminario di pianificazione per la città di Algeri. Rimane fino alla fine attratto completamente dalla voglia di rinnovamento della classe politica algerina. In serata rimane a colloquio con Ben Bella e Boumedien. Quando alcuni giornalisti chiedono al “Che” perché avesse scelto di visitare l’Algeria, lui risponde senza mezzi termini: «Perché Cuba e l’Algeria devono servire d’esempio a tutti i Paesi dell’America e a quelli dell’Africa. Bisogna aprire un fronte rivoluzionario».

Le parole scuotono non solo l’Africa, ma tutto il mondo. Il piano rivoluzionario di Che Guevara comincia a spaventare gli europei. Di ritorno dall’Algeria, Ernesto porta con sé Boumedien, che a sua volta venne invitato per la festa del 26 luglio a Cuba, in rappresentanza del suo paese. Ora i rapporti fra le due nazioni si fanno sempre più stretti. In ogni conferenza o intervista, Guevara spinge sempre sullo stesso concetto, affermando: «l’indipendenza dei paesi sottosviluppati è il primo passo verso un futuro diverso». Proprio in merito alla questione, quando Guevara a dicembre dello stesso anno è a New York, in rappresentanza della delegazione cubana alla diciannovesima assemblea dell’Onu; pronuncia un discorso che scosse completamente l’opinione pubblica mondiale. Il suo pensiero durante il discorso va all’Africa, ma soprattutto al Congo dell’ormai defunto Lumumba, una persona che Guevara stimava oltre ogni limite. «Un fratello rivoluzionario», come adorava chiamarlo. Il discorso di Ernesto Guevara è rivolto contro gli occidentali e la loro politica coloniale opprimente. Infatti dopo la morte di Patrice Lumumba, il Congo è ritornato ad essere un territorio controllato dagli europei attraverso capi africani e con l’assunzione del potere di Tshombe. La situazione, quindi, risultava essere di grande importanza.

Il “Che” parla sena mezzi termini alla platea di politici e rappresentanti dei vari stati europei, un discorso che rompe il silenzio sulla situazione del Congo. Ernesto a testa alta legge il suo discorso. «Mi riferisco nella fattispecie al Congo, doloroso e unico esempio nella storia del mondo moderno di come ci si possa fare beffe, con la più assoluta impunità e con il più offensivo cinismo, del diritto dei popoli. Causa diretta di tutto questo sono le ingenti ricchezze del Congo che le nazioni imperialiste vogliono mantenere sotto il proprio controllo. Come si fa a dimenticare la forma in cui è stata tradita la speranza riposta da Patricio Lumumba nelle Nazioni Unite? Come si possono dimenticare i giochi e le manovre che sono seguiti all’occupazione del Congo da parte delle Nazioni Unite, sotto i cui auspici hanno agito impunemente gli assassini del grande patriota?». Da quel momento in poi, Guevara non scherza più, ma comincia ad avvicinarsi sempre di più al Congo. È in questo paese che intravede la colonna portante di un processo rivoluzionario che avrebbe dovuto coinvolgere l’intera Africa.

A due anni dalla visita in Algeria, Ernesto si appresta ora a far visita al Congo. Vuole conoscere di più il paese, entrare a contatto con la gente, comprendere bene come costruire un fronte rivoluzionario che sia in grado di portare un nuovo vento di speranza.

Sono i primi giorni di gennaio, il “Che” è in Congo: incontra prima il presidente Debat e poi i dirigenti rivoluzionari angolani, Agostino Neto e Lucio Lara. Neto chiede subito a Guevara di inviare istruttori cubani per educare i suoi uomini alla guerriglia. Ernesto però non si ferma e si reca subito dopo in Malì, dove incontra prima gli operai della Société des conserves du Mali; poi va a colloquio con Modibo Keita, insistendo sulla spinta rivoluzionaria che, da lì a poco, avrebbe dovuto travolgere l’intero continente.

Intanto a Cuba, l’eco delle parole di Guevara riecheggia in tanti giovani. A febbraio del 1965, vicino a Pinar del Rio, un centinaio di volontari si appresta a indossare la divisa internazionalista che li porterà a fianco del “Che” in Congo. Ernesto Guevara capisce che è il momento di spingere di più In pochi mesi decide di visitare altri paesi africani per organizzare le basi per un intervento armato che parta dal popolo. Si reca prima in Guinea, poi in Ghana, continua per il Dahomey (oggi Benin), e infine si reca in Tanzania, dove individua il punto di partenza del suo processo rivoluzionario. Nei discorsi, tocca soprattutto i temi dell’istruzione, dell’organizzazione politica, sociale, economica e appena può s’incontra con i dirigenti sindacali. Il tasto su cui torna sempre, però, in qualsiasi occasione, è quello della inesauribile pratica neocolonialista dei grandi interessi economici mondiali in America Latina, in Africa e in Asia e la necessità, quindi, di un’unità d’azione tra i popoli di questi tre grandi e importanti continenti. Alla fine di questi viaggi, proprio dalla Tanzania, a Der-es-Salam precisamente, dichiara a tutto il mondo: «Dopo il mio viaggio attraverso molti paesi africani sono convinto che è possibile creare un fronte comune di lotta contro il colonialismo, l’imperialismo e il neocolonialismo».

Il “Che” decide di non tornare subito a Cuba, ma ritorna in Algeria, poi va in Egitto a visitare vari complessi metallurgici e tessili della capitale e la diga di Assuan, una fabbrica di fertilizzanti e lo zuccherificio Komombo. Compie anche un viaggio di propaganda in compagnia di Nasser: parla, discute e cerca di capire in ogni territorio africano quale sia la situazione nella totalità dei vari elementi. Rientra A Cuba, via Praga, il 14 marzo del 1965. È l’ultima volta che Ernesto Guevara appare pubblicamente. All’età di 37 anni scompare agli occhi del mondo per preparare la campagna rivoluzionaria in Africa. Ormai ha deciso, è ora di muoversi. Modifica completamente tutte le sue sembianze fisiche; ingrassa e taglia completamente i capelli, li tinge bianchi e gliene rimangono solo un paio ai lati. Poi parte per la Tanzania, con un passaporto intestato a Ramon Benitez e, con l’aiuto di altri rivoluzionari, arriva in Congo.

Qui, il “Che” si muove come al solito: combatte con grande fervore, medica sia i ribelli che i contadini che riportano ferite durante i combattimenti, prepara sempre spazi dedicati alla scuola e all’educazione. Ribadisce più volte che non è lì per lottare al posto dei congolesi, ma al loro fianco. È convinto che la rivoluzione oltre che dai guerriglieri, debba partire dai contadini, dagli strati più bassi della popolazione.

In Africa, non ha un atteggiamento autorevole, ma si lascia dare ordine dai capi africani che l’hanno chiamato. Questo comportamento era un elemento fondamentale di Guevara, che rispettava le scelte del processo rivoluzionario che si creavano in ogni paese. Per capire la lingua del posto usa un dizionario francese e swahili che porta con sé in ogni dove. Guevara non è il solo cubano in Congo, ma con sé son partiti altri compagni rivoluzionari: José Mar¡a Mart¡nez Tamayo, Harry Villegas e altri compagni che lo accompagneranno anche in Bolivia. Quello che raccomanda ai suoi uomini è di non lamentarsi delle condizioni precarie in cui agiscono, dei disagi del dormire sulla paglia o su una base di guano secco o per terra, con il terreno a contatto con la bocca. Anche lui si deve adeguare e quando gli presentano dinanzi a lui un piatto di salse e farfalle, non si scompone, ma mangia tranquillamente il suo pasto quotidiano. La situazione in Congo però non cambia.

L’idea di Guevara era quella di dare un aiuto concreto al Movimento marxista dei Simba, sostenitori della politica di Lumuba. In suo aiuto arriva Kabila, capo guerrigliero. Con Kabila non ha mai un buon rapporto, tanto da definirlo «un personaggio insignificante. Niente mi fa credere che sia l’uomo adatto al momento». La situazione comunque peggiora sempre di più anche perché arrivano mercenari sudafricani e britannici ed esuli cubani a lavorare con l’esercito congolese per ostacolare i piani di Guevara. Gli europei cercano quindi di difendere i loro interessi non concedendo a Guevara neanche lo spazio per le comunicazioni via radio. Rimane così, in poco tempo, isolato da tutto e tutti mentre i suoi uomini cadono negli scontri campali quotidiani.

Ormai Ernesto è rimasto quasi solo. Dopo sette mesi, stanco, malato e sofferente per l’asma, la fine di questa sua campagna rivoluzionaria è ormai alle porte. Sei dei suoi uomini muoiono, tanti altri rimangono feriti, ma non demorde. Il suo piano è quello di rimandare a Cuba tutti i guerriglieri feriti e rimanere da solo con i suoi uomini a combattere fino alla fine insieme ai Simba, che intanto stava completamente indottrinando alla ideologia comunista. I suoi uomini però non erano affatto convinti di rimanere; si sentono isolati e la situazione, a dir loro, non poteva certo migliorare.

Da Cuba intanto arrivano anche due emissari mandati da Fidel Castro che lo convincono a ritornare in patria. Guevara decide di lasciare il fronte congolese individuando nell’incompetenza, nel settarismo e nelle lotte intestine delle varie fazioni congolesi le principali ragioni del fallimento della rivolta. Decide di non tornare a Cuba e passa i successivi sei mesi a vivere clandestinamente in Tanzania, a Der-es-Salam e poi nella Repubblica democratica tedesca. In questi sei mesi scrive le sue memorie sull’esperienza in Congo e sul fallimento della rivoluzione. Guevara non si perde però d’animo, torna per un breve periodo segretamente a Cuba, il tempo necessario per preparare un’altra campagna rivoluzionaria: in Bolivia.

Il giorno della partenza Ernesto Guevara si guarda dietro, pensa all’esperienza in Guatemala, alla vittoria rivoluzionaria in Cuba e al fallimento in Africa. Momenti e ricordi variegati che si porta dietro. Parte fiero e convinto di estendere il fronte rivoluzionario dell’America Latina, ignaro però, che quella, era l’ultima volta che vedeva la sua amata Cuba.