TRIDENTINA AVANTI

Cronaca di una divisione alpina

20 gennaio 1943

Le considerazioni del colonnello Chierici in merito alla vulnerabiltà di Opyt e le sue raccomandazioni ai comandi di lasciare al più presto il paese risultano esatte.

Infatti alle ore 2 del 20 gennaio mentre il 5' alpini che pernotta a Skororib viene messo in allarme per l'avvicinarsi di carri armati, i russi attaccano Opyt.

I russi attaccano la 45' batteria del Vicenza che era stata schierata poco oltre Opyt nei pressi di Stepanowka a protezione del lato nord del caposaldo.

Gli artiglieri con le mitragliatrici degli osservatori avanzati e con i pezzi da 75/13 aprono subito il fuoco alle minime distanze costringendo i russi a ripiegare. Dopo mezz'ora i russi rinnovano l'attacco in forze sempre contro la 45' e contro l'abitato e vengono a scontrarsi contro la pronta reazione di un reparto divisionale organizzato a difesa del comando della Tridentina. La tenace resistenza degli alpini e degli artiglieri del Vicenza riesce a contenere e a respingere l'attacco avversario. Il valoroso tenente colonnello Mondini , gravemente ferito, cessa di vivere poco dopo su una slitta del 5' alpini.

Temendo di non poter resistere con il suo reparto ad un nuovo attacco delle fanterie russe, la 45' ripiega sul paese e schiera i pezzi tra le prime isbe di Opyt, sotto la protezione della 54' compagnia del Vestone.

Cessato il combattimento il colonnello Signorini parte verso Repjewka che dista otto chilometri da Opyt con la compagnia reggimentale, il gruppo Bergamo ( meno la 33' batteria che è con il verona) e i reparti tedeschi. Alle ore 7, appena la colonna esce da Opyt si riaccende il combattimento dei russi contro la 45' del Vicenza, II battaglione misto genio e 54' compagnia del Vestone. Tutti i reparti disponibili vengono impegnati per arrestare lo sforzo nemico , che riuscendo, avrebbe distrutto o catturato i comandi e tagliato in due la divisione. I reparti non riescono nell'intento , e allora per ordine del generale Reverberi , il II battaglione genio, al comando del capitano Luigi Collo, , contrattacca con irruenza decisiva su un fianco del nemico, lo arresta, lo ributta ed elimina così il gravissimo pericolo incombente. Il contrattacco condotto con slancio irresistibile costa sanguinosissime perdite ai genieri ( più del 60% della forza) ma il loro sacrificio consente il deflusso dei comandi e delle unità a Opyt.il valoroso capitano Libero Vinco di Verona cade alla testa dei suoi artiglieri della 45' batteria dopo due giorni e due notti di disperata resistenza. Assalito dai carri armati che travolgono cannoni e artiglieri ,benchè ferito, ordina ai superstiti di ripiegare e con pochi mitraglieri si porta su una posizione dominante per proteggerne il ripiegamento. Imbracciata un'arma automatica, mentre sta facendo fuoco sull'avversario , cade colpito a morte. Cade anche il capitano di complemento del genio alpino Riccardo Fabiani. Ferito all'addome dal fuoco di arma automatica, consapevole delle sue gravi condizioni impone al suo plotone di mettersi in salvo e solo, nella steppa sconfinata, attende con sublime stoicismo il nemico incalzante sul quale scarica le ultime cartucce prima di chiudere la sua eroica esistenza. Dice il generale Nasci nella sua relazione: “ Alle ore 7 carri armati e fanterie autotrasportate russe attaccano Opyt dove ancora mi trovo con il mio comando. La difesa , nonostante la disperata resistenza degli elementi in posto e il sacrificio di alcuni reparti, viene travolta. Il mio comando perde tutto il suo carteggio e il materiale, quello di collegamento compreso. Rimane una sola stazione radio del comando del Xxiv corpo d'armata corazzato germanico che, montata su un automezzo cingolato tedesco riesco a portare con me “.

Intanto alle ore 6 il colonnello Signorini era arrivato a Repjewka dove tiene a rapporto tutti i comandanti per l'azione di conquista di Postojalji. Dopo una breve preparazione di artiglieria, alle ore 10, il “Vestone “e il “Valchiese” attaccano Postojalji entrando subito dopo senza quasi incontrare resistenza.

E' da ritenere che i russi visto lo schieramento delle nostre forze abbiano ritenuto preferibile abbandonare l'abitato.

Occupato il paese il colonnello Signorini fa proseguire il Vestone, il Valchiese, i gruppi Vicenza e Bergamo verso Nowo Kharkowka . Il II battaglione genio, ridotto ad una compagnia di formazione, viene aggregato al Vestone” che ha perso la 54' compagnia a Opyt e vi rimane inquadrato per tutto il periodo successivo partecipando a tutti i combattimenti.

quando la colonna che marcia verso Nowo Kharkovka sta per raggiungere Kosino, a quattro chilometri a est da Postojalji viene raggiunta dai generali Nasci e Reverberi. Verso le 16.30, con il sole già tramontato, la testa della colonna arriva in vista di Nowo Kharkowka e viene accolta da un nutrito fuoco di mortai e di cannoni da 105. Segno evidente che il paese è occupato da forze nemiche ed occorre conquistarlo combattendo. In mezz'ora i reparti sono schierati e mentre le batterie del Vicenza e Bergamo aprono il fuoco contro l'abitato, i battaglioni Vestone e Valchiese muovono all'attacco. Il Vestone attua uno sbarramento protettivo a sud e il Valchiese ha il compito di accerchiare il presidio russo ed annientarlo. A questo scopo la 253' compagnia preclude ai russi ogni possibilità di ritirata verso nord mentre le altre due compagnie, 254' e 255' , facendo perno al centro sulla compagnia comando e sulla 112' armi di accompagnamento , si dispongono a tenaglia. Il combattimento si protrae nell'oscurità per un paio d'ore senza soluzione quando sul fianco sinistro dei nostri reparti si profila la minaccia di un contrattacco nemico preannunciato dal tiro di alcuni mortai. Quando i russi cominciano il loro tiro rabbioso contro la testa della colonna, i nostri alpini hanno già percorso più di trenta chilometri nella neve alta e farinosa e non hanno potuto mangiare che un po' di galletta camminando. Senza alcuna sosta.

La loro stanchezza è evidente ma rispondono agli ordini con mirabile prontezza e disciplina perché in tutti vi è la ferma volontà di andare avanti. Bisogna uscire dalla balka a qualunque costo. Lo comprendono tutti ed in particolare gli alpini della 255' compagnia, che ,guidati dall'esempio del loro capitano Luciano Zani, benché quasi privi di forze hanno un ultimo scatto di ribellione al duro destino , balzano in piedi e si lanciano nella corsa folle che li porterà alla vittoria.la manovra avvolgente ha pieno successo nonostante il violento fuoco avversario che spazza letteralmente il terreno. A balzi , con lievissime perdite, gli alpini si riuniscono all'estremità destra dell'abitato e piombano alle spalle dei russi. L'assalto anche se breve è violentissimo, tra casa e casa a colpi di bombe a mano e di moschetto e a raffiche di mitragliatrice. Il successo di questa azione assume importanza perché nessun soldato russo riesce ad uscire dal villaggio e quindi i comandi russi non vengono a sapere che Nowo Kharkowka è occupato dai nostri. Infatti durante la notte numerosi automezzi russi con i fari accesi ea normale velocità entrano nelle nostre linee e vengono catturati. Nella relazione del comando del battaglione “Valchiese” viene messo in risalto il comportamento del tenente Giorgio Gaza, e del tenente Gino Ferroni, oltre al tenente Achille Galbiati, comandante di una sezione cannoni da 47/32 della 216' compagnia controcarri , che con il suo deciso intervento, benchè centrato da una batteria di mortai , continua a mettere in posizione i pezzi e con tiro calmo e preciso riduce al silenzio un'altra batteria il cui fuoco è particolarmente pericoloso per le truppe attaccanti.

Nel frattempo il Verona era rimasto schierato sulla strada per Karpenkowo e avvisati da una colonna di ungheresi, vengono a sapere che un grosso contingente nemico si sta avvicinando.

Infatti alle 16 appare all'orizzonte sulla grande strada una colonna di circa un migliaio di russi con numerose slitte.

arrivata a due chilometri il Verona apre il fuoco con i pezzi da 75/38 che la centrano in pieno provocando scompiglio. La colonna riordinatasi riprende ad avanzare e ai milletrecento metri è battuta dal tiro delle nostre artiglierie, simultaneamente aprono il fuoco due pezzi da 75/38, quattro mortai da 81 e dodici cannoni da 47/32. L'effetto del tiro è terrificante e i russi fuggono a precipizio verso nord lasciando sul terreno morti, carogne di animali, armi ,slitte e materiali. Successivamente il “Verona”, per ordine del colonnello Signorini, raggiunge Postojalji e si sistema a difesa a nord dell'abitato. Nei pressi di Postojalji la neve è cosparsa di cadaveri russi e di quelli degli alpini del “Verona”, caduti il giorno precedente e non ancora sepolti.

Veniamo invece alla colonna del 5' alpini: Sempre nella giornata del 20 il 5' alpini del colonnello Adami inizia il movimento previsto alle ore 7.Il battaglione “Tirano”, davanti, dopo qualche ora di marcia trova davanti a sé una colonna della “Vicenza” e una della “Julia” e viene a sapere che il paese di Werklessinskanskj è occupato dalla stessa divisione “Vicenza”. Di conseguenza il colonnello Adami fa deviare a nord l'intera colonna.

Verso le ore 12 si riunisce con la colonna di destra del colonnello Maj e prosegue verso Postojalji. Poco dopo vengono segnalati nuclei russi appostati in un gruppo di case sopra un'altura e viene dato incarico al Tirano di snidarli ,cosa che viene fatta in breve tempo. Gli alpini catturano in paese un autocarro ancora con il motore acceso sul quale trovano una cesta di pane nero e una damigiana piena di un liquido denso e giallastro che scambiano per miele. Affamati come sono ne mangiano un po' tutti . Ma quel liquido anziché essere miele pare fosse anticongelante per motori e poco dopo una sessantina di alpini , quasi tutti della 48' compagnia muoiono per avvelenamento tra atroci dolori nonostante le cure dei medici impotenti. Scrive il generale Reverberi nella sua relazione: “ In questa giornata densissima di avvenimenti , che per parecchie ore crearono per noi una situazione quasi disperata, veniva rotto il primo cerchio nemico e frustrato il tentativo russo di frantumare la Tridentina.

L'incrollabile tenacia di tutti , alpini, artiglieri, genieri , e la loro ferma volontà di aprirsi un varco a qualunque costo , avevano trionfato. Qui furono riconfermate e superate le tradizionali virtù delle truppe alpine. Innumerevoli furono gli atti di eroismo.

Eroismo che ha del leggendario se si considera che in questa durissima e lunga giornata i combattimenti ebbero luogo contro forze soverchianti appoggiate da numerosi carri armati, in condizioni di clima avverse, con gli uomini affaticati da lunghe marce quasi senza soste , con collegamenti eseguiti solamente a mezzo staffette. Essendo andati distrutti quelli radio e telefonici., con l'intralcio provocato dall'incolonnamento della enorme massa degli impedimenti e dei servizi.

Il comandante del corpo d'armata alpino , esaminata la situazione, comprende che le offese nemiche, più che da dietro come azioni di inseguimento, si manifesteranno in successivi sbarramenti sulla direttrice di marcia per bloccare le colonne in ritirata, accerchiarle ed annientarle.

A questo scopo occorre organizzare in un unico blocco tutte le unità del corpo d'armata, Tridentina, Julia, Cuneense e Vicenza e farle precedere da una forte avanguardia. Data l'importanza del compito viene affidato il comando dell'avanguardia della “Tridentina”al generale Reverberi il resto dell'unità invece sarà guidata dal colonnello Adami. Il “Morbegno” torna alle dipendenze del colonnello Adami, così come anche il “Verona”. Il II battaglione del 278' fanteria viene restituito alla divisione “Vicenza”.

Considerata la situazione e l'inopportunità di frapporre eccessivo spazio tra la sua colonna e quella del 6' alpini , già da tempo partita in avanguardia, il colonnello Adami sollecita presso il comando del corpo d'armata la partenza da >>Postojalji. Alle 19 infatti riceve l'ordine e riprende la marcia lasciando a Postojalji il “Verona “a difesa del margine nord dell'abitato con la raccomandazione di partire non oltre la mezzanotte. . La colonna che procede faticosamente a causa dell'oscurità e del continuo inserirsi di elementi sbandati dalle altre divisioni e di reparti di salmerie tedesche, subisce continue offese da parte di nuclei russi. Questi, appostati ai margini di un bosco e lungo i dossi tra >Postojalji e Nowo Karkhowka, possono impiegare armi automatiche e mortai e causare dolorose perdite senza che i nostri possano snidarli dalle loro posizioni a causa dell'oscurità. Il generale Reverberi raggiunge l'avanguardia a Nowo Kharkowka e le informazioni avute dopo l'interrogatorio ad alcuni prigionieri mettono in evidenza la necessità di riprendere al più presto il movimento in avanti per occupare Seljakino, un nodo stradale di capitale importanza per il proseguimento della marcia. Ancora Reverberi nella sua relazione. :Nella notte sul 21 si poteva considerare rotto e superato il secondo sbarramento che il nemico aveva creato sul nostro itinerario di ripiegamento. Il concetto informativo dell'azione nemica è ormai chiaro. >Interdire il movimento con successivi sbarramenti sulle rotabili che tagliano l'asse di marcia della nostra colonna sfruttando i mezzi motorizzati di cui il nemico ha grande abbondanza. Quindi i provvedimenti da prendere sono: non concedere tregua al movimento a costo di sforzi sovrumani allo scopo di non dare tempo alle forze nemiche di organizzarsi su posizioni retrostanti e disorientare i comandi avversari con rapide azioni in profondità ; effettuare i movimenti in buona parte nelle ore notturne allo scopo di lasciare incerto il nemico sulla direzione del ripiegamento e sfuggire almeno all'azione a massa dei carri armati e l'offensiva aerea ; evitare (fin dove possibile) lungo il movimento, le rotabili e gli abitati; cercare di impedire all'enorme massa di elementi delle altre grandi unità italiane ed alleate che affluiscono verso la “tridentina” di frammischiarsi ai reparti combattenti perchè non ne sia rotta la compagine organica e non ne venga intralciata l'azione; sfruttare durante le brevi soste di riposo gli abitati per dare ricovero alle truppe che già cominciano a subire le conseguenze degli estremi rigori del freddo ( circa 30 gradi sottozero nella notte). Concetti semplici ma di difficile attuazione date le particolari contingenze ed all'esecuzione dei quali si doveva pervenire ad ogni costo con abilità e ferrea volontà da parte dei comandanti di ogni grado. Ogni infrazione, tergiversazione o debolezza poteva compromettere il risultato che si cercava: sfuggire alla cattura o alla distruzione.”

La grande massa si snoda ormai su un'unica grande pista segnata da carri armati e automezzi distrutti, artiglierie sfasciate, animali squarciati, slitte abbandonate e cadaveri , molti dei quali simili a squallidi mucchi si stracci ricoperti di neve. . >La folla di sbandati di tutte le nazionalità che tenta disperatamente di porsi in salvo dai russi , dal gelo, dalla fame affidando la sua parte ,al coraggio e alla compattezza dei reparti alpini , crea seri impedimenti all'azione dei reparti della “Tridentina”, molte volte ostacolati nella marcia o nel combattimento. Ma più che altro gli sbandati , quando i reparti hanno espugnato combattendo un paese o un gruppo di isbe, si precipitano dentro le abitazioni costringendo gli alpini a pernottare all'addiaccio con temperature rigidissime che i fuochi di bivacco non riescono ad attenuare. Egisto Corradi ricorda i resti di un fuoco con delle braci ancora accese, e attorno a questo cinque o sei alpini seduti o accucciati a cerchio che fanno tutt'uno col ghiaccio e con la neve, irrigiditi come li ha colti la morte per assideramento. Enzo Manusardi , capitano veterinario del 5' alpini , così descrive la colonna in ritirata: “ E' un quadro grandioso che ha spesso assunto proporzioni bibliche, uno spettacolo di massa dei più imponenti, dove una moltitudine senza più sorriso si snodava e si svincolava come un ciclopico millepiedi, attraverso una continuità sempre più crescente di agguati e disagi. Sembrava un fiume secolare che dilagava melmoso ed inarrestabile, sembrava un'enorme colata di lava, vomitata da chissà quale misterioso vulcano, che, avanzando, tingesse di nero il cammino ed esplodesse in bagliori di fuoco. Un urtarsi violento, un vociare concitato, un confondersi di dialetti e lingue straniere che si mescolavano nel tumulto al rombo minaccioso degli aerei, al tuonare delle artiglierie, allo schianto delle bombe dei mortai e delle katiusce, al crepitio inesorabile delle mitragliatrici, al lamento disperato dei feriti. A questo punto si aggiungano le notti insonni, all'addiaccio, con temperatura sempre intorno ai 40 gradi sotto zero, che impietriva le scarpe, agghiacciava l'acqua nelle borracce, congelava ( fin che ce n'era) la carne in scatola, riduceva la pagnotta a un pezzo di roccia. Tragica odissea di quindici giorni, dove la tempra e la volontà dell'alpino diedero la loro prova suprema, dominando le avversità unicamente grazie a tutte quelle doti d'eccezione che sono proprie delle nostre truppe di montagna. Gli episodi di eroismo , scaturiti da quella bolgia infernale, sono commoventi e fu instancabile lo slancio, il fervore combattivo e lo spregiudicato sprezzo del pericolo con cui gli alpini, fin dal primo giorno, si batterono contro un nemico agguerritissimo, spezzando per ben undici volte, con altrettante battaglie vittoriose, la cintura di ferro e di fuoco entro la quale tentava di annientarli. Ognuno sapeva esattamente che se , in altre circostanze, il “contenere” la pressione avversaria sarebbe stata ragione di buon successo, qui non era invece un risultato soddisfacente. Bisognava pertanto “andare fuori” ad ogni costo, senza esitazione, non permettendo al nemico di guadagnare tempo. Da qui quegli episodi di ardimento che decisero spesso situazioni oscure durante le quali anche la tecnica militare più avveduta, esaurito ogni suo compito, doveva fare appello unicamente al sacrificio dei più generosi. In questo grandioso e tragico episodio della nostra guerra di Russia è rifulsa una delle virtù che meglio contraddistinguono il popolo italiano: l'amor proprio. Solo così si spiega come mai si sia potuto sopportare il peso di una marcia che pareva interminabile, durante la quale, pensare ad una sosta o a un turno di riposo era un'ingenuità imperdonabile. Nessuno che non abbia vissuto quei giorni, può farsi una pur pallida idea dello strazio che era nel cuore di ogni alpino quando, dopo la battaglia o lungo la via faticata della steppa inospitale, si sentiva chiamare per nome dall'amico ferito, congelato o sfinito, con l'invocazione di un soccorso che nessuno poteva dare, poiché tutti si era privi di ogni e qualsiasi materiale di medicazione, e perchè soprattutto non vi era nemmeno la possibilità , dopo i primi giorni, di raccogliere i feriti e caricarli sulle slitte già sovraccariche dei feriti dei giorni precedenti. Non è possibile raccontare i fatti con il consueto vocabolario. Marciare non è mettere un piede davanti all'altro, ma è ripetere per giorni e per notti la tortura di posarlo sulla gelida coltre, che ora resiste con la crosta lucida del ghiaccio , ora cede soffice sotto la scarpa, sì che la gamba sprofonda sino al ginocchio. >Combattere non è affrontare un nemico che si vede in faccia, è buttarsi con armi da mischia corta contro ordigni corazzati. Fermarsi per riprendere fiato è entrare insensibilmente nella immobilità statuaria che solo il tepore della primavera avrà il potere di scomporre. Cercare asilo per la notte non è bussare a un' isba, è espugnare d'assalto un villaggio , dopo di che ci sarà un pavimento per stendersi. Occorre tenere presente che nei quotidiani combattimenti che i vari reparti della “Tridentina” hanno dovuto sostenere , non vi è stata mai alcuna differenza tra il comandante ed il più umile dei soldati; ora in coda, ora sui fianchi dell'immensa colonna , per chi si trovava nel punto ove l'attacco si era sviluppato doveva combattere come chi , nella guerra di posizione, si trova in prima linea. Occorre inoltre tener presente che mentre il nemico ci attaccava ogni giorno con truppe fresche, autotrasportate, bene armate e rese baldanzose dal successo, le truppe della divisione “Tridentina” erano forzatamente sempre le stesse, assottigliate ogni giorno sempre di più dai disagi, dai morti, dai feriti, dai congelati, dai prigionieri, in condizioni fisiche ogni giorno più precarie col morale sempre più scosso.