MALTA E LA GUERRA DELLE MUTANDUNE

 
La cattura da parte dei Cavalieri di Malta di una nave di proprietà del capo degli eunuchi del potente sultano Solimano il Magnifico, carica di stoffe destinate alle donne del suo harem, fornì a quest’ultimo il “casus belli” per attaccare l’isola di Malta, ultimo baluardo cristiano nel Mar Mediterraneo meridionale che nel corso degli anni era ormai diventato una specie di “lago ottomano”.
Se gli Ottomani fossero riusciti nell’impresa, si sarebbero assicurati il possesso di una base logistica strategica per tentare prima o poi la conquista della Sicilia, di Roma e dell’Italia intera.
Nella primavera del 1565 la notizia che si accingevano ad attaccare l’isola si diffuse a macchia d’olio in tutto l’Occidente, inducendo il Gran Maestro dell’Ordine dei Cavalieri di Malta, il settantenne Jean Parisot de la Vallette, a richiamare i confratelli sparsi un po’ in tutta Europa con la frase: “Cavaliere torna al convento!”.
Nell’arco di poche settimane, circa settecento Cavalieri rientrarono alla spicciolata, unendosi ai circa ottomila militari maltesi e di varie altre nazionalità europee già presenti, supportati anche da un centinaio di validi archibugieri provenienti dal Ducato di Milano.
Anche se ancora primitivo, l’archibugio costituiva l’arma segreta delle forze cristiane, colpevolmente sottovalutata da Solimano che invece puntava molto sul potente arco a doppia curva dei suoi giannizzeri, perché secondo lui “nel tempo necessario per caricare un archibugio, si tirano ventisette frecce”.
Vero! Peccato per lui però che queste ultime ormai si spuntavano contro le sempre più resistenti corazze dei Cavalieri, risultando letali solo se centravano i pochi punti scoperti, cioè la celata mobile della visiera o le giunture.
Così nella giornata del 18 maggio del 1565 dalle circa centoquaranta navi comandate dal “Kapudan” (ammiraglio) Piale Pascià sbarcò nella rada maltese di Marsa Scirocco (odierna Marsaxlokk) un totale di quasi 40.000 uomini agli ordini del generale Lala Moustafà.
Per fortuna dei difensori cristiani, i due comandanti ottomani, che erano di pari grado, pretendevano di dare l’uno gli ordini all’altro, senza mai mettersi d’accordo fra loro.
Il primo infatti voleva iniziare l’attacco dal forte di Sant’Elmo, eretto a guardia del porto e difeso soltanto da una cinquantina di Cavalieri, per mettere al sicuro le sue imbarcazioni. Il secondo invece avrebbe preferito, con le truppe ancora fresche, concentrarsi subito sulla presa dei forti di San Michele e di Sant’Angelo, all’interno dei quali c’era il grosso delle forze resistenti.
Alla fine fu il “Kapudan” ad averla vinta, ma con sua grande meraviglia Sant’Elmo resistette strenuamente, impegnando sino allo sfinimento le forze ottomane per oltre un mese, fino a quando cioè la situazione si sarebbe risolta in favore di queste ultime in seguito all’arrivo in loco di un contingente guidato dall’esperto Dragut, ottantenne re di Tripoli, accompagnato dai suoi terribili “Matasiete” (i famosi “Ammazzasette”), terribili guerrieri rivestiti di pelli di leone ad armati fino ai denti.
Difendendosi da eroi, grazie anche all’utilizzo di armi nuove ed efficaci come le “trombe” (rudimentali lanciafiamme che sputavano a decine di metri di distanza olio e pece bollente) e i “cerchi infuocati” (cerchioni di ferro foderati di stoppe imbevute di catrame infuocato, poi fatti rotolare fra le file nemiche), quelle poche decine di Cavalieri tennero in scacco per settimane le preponderanti forze nemiche, facendone strage, ma alla fine furono sopraffatti dal numero degli avversari.
La vendetta di Lala Moustafà fu crudele, perché i pochi superstiti furono crocifissi su zattere lasciate andare alla deriva verso il forte di San Michele, così però provocando la vendetta del La Vallette, che fece decapitare tutti i prigionieri in sue mani, sparandone le teste a cannonate fra le fila avversarie.
Il sacrificio degli eroici difensori di Sant’Elmo, che riuscirono con un preciso tiro di cannone ad ammazzare Dragut, non fu però vano, perché privò gli assedianti del loro leader carismatico e consentì al grosso delle forze cristiane rinchiuse negli altri forti di prendere tempo ed organizzare a loro volta la resistenza nell’attesa dell’arrivo dei “nostri”, cioè dei tanto attesi rinforzi, le cui navi furono finalmente avvistate nella mattinata del 6 settembre del 1565.
Un contingente di circa diecimila volontari cristiani aveva infatti preso il largo qualche giorno prima da Siracusa agli ordini dell’ammiraglio Gianandrea Doria, luogotenente di re Filippo II di Spagna, giungendo sull’isola prima che fosse troppo tardi.
Presi fra due fuochi, da terra e da mare, agli Ottomani, ormai allo stremo delle forze e senza viveri, l’8 settembre del 1565 non restò che riprendere il mare, così levando un assedio durato quasi quattro mesi, per fare mestamente ritorno a casa.
Avevano lasciato sull’isola circa 30.000 caduti, contro i “soli” 239 cavalieri morti in battaglia, cui si univano nella triste conta dei defunti circa 7000 soldati europei di varie nazionalità.
Per ricordare il glorioso nome del Gran Maestro,artefice di una vittoria così clamorosa contro forze soverchianti per numero, la capitale di Malta da allora avrebbe assunto il nome di “La Valletta”.
Accompagna questo scritto: “La presa del forte di Sant’Elmo”, affresco di Matteo Pérez da Lecce, 1575 circa, Palazzo del Gran Maestro, La Valletta, Malta.
(Testo di Anselmo Pagani)