DECEBALO. L'ULTIMO RE DEI DACI

La figura di Decebalo è legata agli avvenimenti che ebbero luogo nei territori oltre il Danubio tra la fine del I e l’inizio del II secolo d.C. Essa emerge per la prima volta al tempo della campagna dacica dell’imperatore Domiziano (85-89 d.C.), quando l’allora re dei Daci, Duras Diurpaneo, decise di affidare a lui il trono e il comando dell’esercito. Le alterne fasi della guerra ma soprattutto la rivolta di Lucio Antonio Saturnino nella Germania Superiore (88 d.C.) costrinsero Domiziano ad accordarsi per una pace che si rivelò nei fatti favorevole a Decebalo, il quale di conseguenza per diversi anni poté usufruire non solo di un tributo annuale ma soprattutto di maestranze ed ingegneri provenienti da Roma, dai quali apprese conoscenze sulle tattiche di combattimento e sulla costruzione di fortezze e opere difensive.
Decebalo compare come un abile politico, un valente guerriero e un fine stratega. Nella Historia Romana (LVII 6, 1) Cassio Dione conferma come egli fosse «[…] doppiamente scaltro, tanto nella tattica quanto nelle azioni belliche; abile sia nel lanciare l'attacco, sia nella scelta del momento migliore per ritirarsi; esperto d'imboscate e maestro di scontri campali; non solo sapeva bene come sfruttare la vittoria, ma era abile a limitare i danni in caso di sconfitta». Tale descrizione ben si sposa con il ritratto di Decebalo più volte raffigurato sui rilievi della Colonna Traiana: un uomo di media statura, con folta barba e capelli corti coperti quasi del tutto dal pileus, il copricapo degli aristocratici daci; sopracciglia pronunciate, zigomi sporgenti, naso con ampie narici, bocca grande e labbra polpute. Ma ciò che colpisce da questi rilievi è lo sguardo intenso del grande condottiero dace, ad eterna memoria della straordinaria forza che lo caratterizzava.
Consapevole che un capo carismatico come Decebalo avrebbe potuto far assurgere un’entità politica unitaria quale la Dacia a fulcro di una coalizione barbarica antiromana in un settore strategico come quello danubiano caratterizzato da delicati equilibri, e, motivo non secondario, persuaso dalle ricchezze di quella terra (in particolare oro e argento), Traiano intraprese ben due spedizioni al di là del Danubio (101-102 e 105-106 d.C.), dapprima per ricondurre Decebalo sotto il controllo di Roma e poi con l’intento di annientarlo del tutto.
Le virtù strategiche e politiche non impedirono a Decebalo di temere un nemico come Traiano: il suo stato d’animo è così descritto da Cassio Dione (HR LVIII 6, 2): «Decebalo, venuto a sapere dell’arrivo di Traiano, ebbe paura, poiché egli sapeva che in precedenza aveva sconfitto non i Romani ma Domiziano, mentre ora si sarebbe trovato a combattere sia contro i Romani, sia contro Traiano». A nulla valsero infatti la strenua resistenza e il sacrificio di migliaia di Daci. Sarmizegetusa Regia, la capitale politica e religiosa della Dacia, cadde e lo stesso Decebalo trovò la morte nel corso della fuga che egli volle compiere sia per non cadere in mani romane sia per provare a riorganizzare la resistenza. Scrive Cassio Dione (HR LVIII 14, 3): «Decebalo, poiché la capitale del regno e tutta la regione erano state prese, ed egli stesso correva il rischio di essere catturato, si uccise e la sua testa fu portata a Roma».
Gli ultimi istanti del sovrano dacico sono raffigurati su un rilievo (scena CXLV) della Colonna Traiana. Qui Decebalo, circondato da ausiliari di cavalleria romana, si toglie la vita con la falx, il tipico pugnale in uso presso i Daci. La scena del rilievo si svolge in una foresta presso Ranisstorum (località da identificare, forse, con l’odierna città romena di Sub Cununi). Il luogo dove si consumò il suicidio di Decebalo è noto dall’iscrizione in latino della stele funeraria di Tiberio Claudio Massimo (AE 1974, 589), «cavaliere nella legione VII Claudia Pia Fidelis […], fatto duplicario dal Divo Traiano nell’ala seconda dei Pannonici e dallo stesso […] fatto decurione nella stessa ala, per aver preso Decebalo e aver portato la sua testa a Ranisstorum». In uno dei registri figurativi di questa stele appare un’altra scena del suicidio del re dei Daci, molto simile alla parte centrale del rilievo della Colonna Traiana: è lo stesso Tiberio Claudio Massimo a cavallo che incalza Decebalo accasciato a terra, subito dopo che questi si è colpito a morte con il pugnale.
La morte di Decebalo segnò la fine dell’indipendenza di un regno che già dall’età di Cesare aveva destato non poche preoccupazioni ai Romani. Tuttavia, seppur la Dacia cessò di esistere in quanto entità statale indipendente, inglobata nel sistema politico romano, a Decebalo venne reso omaggio da quello stesso nemico che egli combatté con indomabile eroismo, esaltato nella forza e fierezza, sua e di un intero popolo, i Daci, di cui fu l’ultimo sovrano, e questo perché, riprendendo le parole dello storico veronese Girolamo della Corte, «[…] quanto più forte, e più nobile è il nemico, tanto è più onorata, e gloriosa la vittoria […]».