PROCESSO ALLE STREGHE IN VAL DI NON

 

 

 

- 19 MARZO 1612 -

PROCESSO ALLE STRGHE NELLA CASA DELLA “FREDAGLIA” DI VAROLLO DI LIVO -

Pubblico alcuni stralci dei processi tenutisi in val di Non, tratti dal libro di G. Nertagnolli “ Processo alle streghe in val di Non

* * *

 

La terza seduta, del 19 marzo, ( 1612 ) si tenne a Varolo, in domo detto la Fredaja.

 

Anche la Pieve di Bresimo appare copiosamente infestata da streghe, non solo, ma anche da strioni, come racconta un loquace Iacobus Florianus de Bresimo: fra le vittime dell’accusa: la Gadenta, vedova di un Caloveti, e un Simon Rodeger da Praia, una Gabrielli che faceva andare « i sorzi su per la segosta ». una Anna della Cia di Manfredi, un Paolo Caloveto: altre strie dovevano esistere a Preghena, a quanto depone il sindaco Petro Augustino; una, la più famigerata, era la Pasqueta del Zoan di Sandri, che si trasformava in gatta e ammaliava « creature nella cuna »: a Livo, dice il teste Matteo Stanchino, non c’era che una sola donna in fama di malefica: Malgarita, moglie di Zoan d’Agostini del Mezalone. A Cis — dice Bertoldo da Vian detto dal Piaz — si nominavano come streghe: Catarina, moglie di tal Zoan da Poz, sua figlia Maria « moier di Peder della vesta », Doratea vedova del Guarent, e Catarina, moglie del Zoan Pizol (o Pepol), detta Catharina Pepola. Il teste Iosefo dal Spiaz aggiunge: una Gnes del Martin Zader; poi una Maddalena Caloveta, accusata da Bertoldo della Caminada di Cis.

 

In una seconda tornata dei 20 marzo, nella stessa villa, depongono alcuni testi di Livo e della pieve circostante: un Andreis di Scanna, un Bondi, un Zanolli, un Aliprandi, uno Sparapanni, una Catoni, tutti di Livo e via via 30 testimoni, seguiti il giorno dopo, mercoldì 21 marzo, da un’altra infornata che si presenta alla quarta citazione nella villa di Dambel (villa de Ambulo), nelle case di Salvador Benetti. Vigilio Zuccal cita solo quattro persone sospette: una Antonia Pedrotta, una Maria Bettol, una giovena da maritar, Domenega, figlia del quondam Galiaz e uno stregone, un Zoan Rosà, sartor.

 

 

La prima vittima è la Gadenta di Bresimo: il verbale incomincia la sua prosa coll’invocazione della santissima Trinità e colla data 13 dicembre.

 

Nella stuba inferiori domus clarissimi domini commissari la povera vecchia viene esorcizzata: tre volte le si porge il calice di acqua benedetta colla formola sacramentale: In nomine Patris, Filii e Spiritui Sancti per istum potum aquae benedictae dissolvatur in te omnis virtus demoniaca! Le si chiede se voglia fare altre difese; risponde: «Signor non, che non voglio far’altre diffese. Iddio le faccia per mi!»

 

Il giudice — Quibus dictis et acceptis pro fischo proficuis — considerando che la figura della accusata è più simile a quello d’una scimmia che a quello di creatura umana (!!) s’induce alle interrogazioni di rito e all’ammonizione a parlare, al che la vecchia risponde:

 

Non so che dir altro di quello che ha detto, mi no voi nar a dir’et questa o quell’autm quel che no sai, ne ho mai creduto che ge siano strie!

 

Si ripete l’invito a riconoscere la colpa di fattura d’impotenza matrimoniale contro Antonio Florian, il quale per un sasso da lei gettato nel giorno delle nozze ecc. ecc. non era stato capace di consumare il matrimonio. Risponde: Quel che ho detto, ho detto, ne ho mai tirato preda alcuna.

 

Quibus dictis et acceptis il Commissario ordina torqueri in pollicibus! Sotto le pene della tortura la povera donna mantiene le negative:[p. 20 modifica]

 

«No ho mai tirato sasso alcuno. Jesus, Jesus, Jesus».

 

» No ho mai sentu che ge sia streghe a Bresimo».

 

«Non fui mai stria nè sarai mai nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo».

 

Queste risposte fra sospiri e invocazioni di Cristo e della Trinità si ripetono per tre volte sempre eroicamente mantenute, ed è ammirevole tale costanza fra un tormento di più d’un quarto d’ora.

 

 

Alle sue negative il giudice: decrevit illam ponendam ad tormentam sea potius probationem vigiliae, proetermissis guibusdam aliis tormentis: in dictam malierem — constituta videtar et robusta obstinata — mandavit eam poni saper scano ibidem preparato, manibus post terga ligatis et recommendatis ad stangam superius perfixam et taliter ut vigilare debeat at volens dormire tormentum sentiat et eo vigilet, mandando eam ipsam propriis pannis spoliari et aliis ibidem preparatis indui et ita iustis de causis ligaretur, hortata fait et monita veritatem dicere. Essa mantiene le negative: Volè che diga quel che no sai — risponde stizzita — ne so che dir’altro di quello ch’ho detto; cole che diga che son una stria se no son, ne mai nè sarò. E così si abbandona per il resto della notte e per il giorno dopo sullo scanno del supplizio.

 

E’ registrato a verbale — il dì seguente — che è lasciata libera quel tanto di tempo necessario per accudire ai bisogni corporali. La mattina (non è ben chiaro se del lunedì 4 o del martedì 5 dicembre) la prima vittima muore. Un semplice tragico accenno:

 

Die quinta (?) in mane obiit Gadenta in carcere quam hesterna die circa duas horas noctis cum Zambono ofiiciali, ego notarius D. nostri S. D. invisi, dixit clara et intelligibili voce loquens se velle confessionem differre in crastinam ecc. ecc. fuit evocatas. N. O. Plebanus, qui cam ad eam pervenisset loquellam amiserat, nec potuit confiteri, et paulo post, at officiales retulerunt, animam efflavit.

 

I PERSONAGGI DEL DRAMMA SONO:

 

il m. r. Giovanni de Ramponi, parroco di S. Sisinio, decano foraneo delle Valli di Non e di Sole, inquisitore contro le [p. 3 modifica]sone malefiche, detto anche commissarius c. p. m. oppure semplicemente commissario:

 

il n. signor Gabriele Barbo, assessore della valle di Non e di Sole e già vicario foraneo della stessa giurisdizione e cancelliere nelle cause contro le persone malefiche:

Baldassare Arnoldo, notaio;

Zambono e Pasquino, officiali di Castel Coredo:

Matteo Caldana (Matheus Candana) viatore o avvisatore.

Nella monografia « Nonsberger Hexen-Prozesse in den Jahren 1614 e 1615 » si afferma che Lorenzo Torresani fu difensore di gran parte degli inquisiti; infatti trovai che nella prima ripresa egli intervenne (1612) (2) senza interloquire. Nel 1615, e precisamente nel maggio, il Barbo uccideva sua moglie, la nobildonna Anna Maria degli Alessandrini, gravida e, già prossima al parto, per la qual cosa fu chiusa l’inquisizione, presenziando nelle ultime, ulteriori pertrattazioni Lodovico Particella.

 

A giudicare per induzione, l’anima brutale dell' inquisizione e il Barbo, il cui carattere è poi fatalmente lumeggiato dal suo delitto. Su lui grava la maggiore responsabilità.

 

( Tratto da : “ PROCESSO ALLE STREGHE IN VAL DI NON “ di G. Bertagnolli

La casa della FREDAGLIA a Varollo di Livo e il PALAZZO NERO di Coredo

 

 

 

 

 

PROCESSO ALLE STREGHE IN VAL DI NON

 

PARTE I.

 

L’ISTRUTTORIA

 

 

Se per un istante mi allontano dalla pace serena delle ricerche letterarie per avventurarmi nell’officina dei tormenti inquisitoriali, non è colpa mia: volli, in sul principio, occuparmi dell’elemento folcloristico nel processo delle streghe della Val di Non: ma, rovistando nei manoscritti relativi, specialmente nel bel Ms. 618 della Tridentina, mi accorsi che questo materiale non era stato storicamente sfruttato: l’Ambrosi, il Panizza, il Rapp s’erano accontentati di trarne degli accenni generali senza dar molta importanza a quel piccolo mondo di particolari che rendono questo processo — a mio credere più interessante di tanti altri. Non ho la pretesa di scrivere la storia dei processi, o meglio della prima infornata di processi (1612-15) della Val di Non, oh no! Do un primo contributo il quale riuscirà utile a chi rintraccerà negli atti notarili e inquisitoriali del tempo le notizie che a me mancano.

 

 

I Manoscritti.

 

Sono due; l’uno, in foglio, cartaceo porta nella cartapecora che serve di copertina la scritta Processo generale e particolare contro le streghe formato sotto il Signor assessore Barbi (MS. 618 della T. mutilo delle prime 66 carte [pag. 1-132]).

 

Il secondo porta il numero Ms. 615 T e il titolo Desunto d’un vecchio manoscritto de fogli 388 che ha per titolo «Laurentis Turresani ex Diocesi Tridentina I. U. D. Annotationes ex approbatis [p. 2 modifica]Pontificii Cesarei q. iuris professoribus collecte ad Statuta Tridenti suis quibusque locis accomodate ed nunc primum in Avocatorum et Notariorum Anauniensium iurisque gratiam et levamen impressorie udet commisse cum indice rerum omnibum copiosius ex iisdem declarationibus congesto sub firmissimo presidio, tutelarique nomine Ill.m ac R.mi D. D. V. Tridenti D. D. superiorum permissu excudedebat Anno humani generis instaurati MDCXXX.1

 

Da questi due manoscritti balza fuori nettamente l’andamento del processo — per ironia di motto chiamato poi: la stupenda inquisitione — e, quantunque la materia non offra la ricchezza di forme che troviamo nel posteriore processo di Nogaredo, illustrato dal Dandolo, pur tuttavia sa plasmarsi, sotto l’occhio d’un paziente lettore del Manoscritto, in un tutto organico, armonico, e non meno commovente.

 

 

Origine del Processo.

 

La frammentarietà dei nostri documenti ci costringe a far congetture sul primo, primissimo punto di partenza della persecuzione giudiziale. Pare, a buon conto, escluso che una denuncia privata sia pubblica, sia anonima, sia per via diretta, sia per mezzo della «bussola» parrocchiale abbia mosso l’autorità ad inquisire. Ci pare assai probabile che la pubblica fama, la voce corrente dell’esistenza di streghe numerose in Val di Non, frequenti nelle tregende roveniane, abbia attirato l’attenzione del pubblico commissario super maleficus e lo abbia spinto a occuparsi della cosa.

 

Indiziate più che mai sembrano esser state le pievi di Tòs, di Bresimo e di Romeno. L’unico caso di accusa esplicita — per auctorem — è quello di Nano: qui il notaio Arnoldo eleva — coram judices — querela di maleficio, operato in danno del proprio figlio da tal Maria Vito di Nano. Dopo i processi di Fiemme era naturale che un commissario zelante tenesse d’occhio la sua giurisdizione e la pubblica superstizione aiutò il suo buon volere.

 

I personaggi principali del dramma sono:

 

il m. r. Giovanni de Ramponi, parroco di S. Sisinio, decano foraneo delle Valli di Non e di Sole, inquisitore contro le [p. 3 modifica]sone malefiche, detto anche commissarius c. p. m. oppure semplicemente commissario:

 

il n. signor Gabriele Barbo, assessore della valle di Non e di Sole e già vicario foraneo della stessa giurisdizione e cancelliere nelle cause contro le persone malefiche:

Baldassare Arnoldo, notaio;

Zambono e Pasquino, officiali di Castel Coredo:

Matteo Caldana (Matheus Candana) viatore o avvisatore.

Nella monografia « Nonsberger Hexen-Prozesse in den Jahren 1614 e 1615 » si afferma che Lorenzo Torresani fu difensore di gran parte degli inquisiti; infatti trovai che nella prima ripresa egli intervenne (1612) (2) senza interloquire. Nel 1615, e precisamente nel maggio, il Barbo uccideva sua moglie, la nobildonna Anna Maria degli Alessandrini, gravida e, già prossima al parto, per la qual cosa fu chiusa l’inquisizione, presenziando nelle ultime, ulteriori pertrattazioni Lodovico Particella.

 

A giudicare per induzione, l’anima brutale dell' inquisizione e il Barbo, il cui carattere è poi fatalmente lumeggiato dal suo delitto. Su lui grava la maggiore responsabilità.

 

Per colpa dei documenti mutili ci presentiamo al processo in ritardo. Siamo probabilmente in una « villa » della bassa Anaunia: sfilano davanti a noi alcuni testimoni i quali depongono in lingua volgare. Le domande dei giudici non sono registrate, cosicchè le truci figure degli inquisitori ci paiono quasi ravvolte dal mistero, dal silenzio: specialmente nella prima parte — informativa — del processo. Le deposizioni lumeggiano il grado di superstizione dei singoli luoghi: in alcuni non c’è nulla: in altri troppo. Il testimonio primo, del quale sappiamo il nome, è l’ottantesimo quinto citato: Antonius Lilijs di Quetta. Che cosa fu deposto prima? Ci duole di non poterlo dire: lui asserisce di aver sentuto nominar una « stria » a Quetta, una vedova Menega detta la Tronella, che pare la figura più compromessa della pieve: ha fatturato animali, e s'accusa, d’altro canto, di aver « sfantato un'altra fattura d’ impotenza coniugale » conducendo la sposa ammaliata sopra un « zoffo di salvia ». Sfilano 15 testimoni: di Quetta (Gili e Fedrizzi (3) di Dercolo [p. 4 modifica]Noldin, Enrici, Sommavilla, Bertol), di Segonzon (Biava) di Loverno (Bernardi, Betta, Bendet, Tonioli), di Campo d'Enno (Zanoni, Pangrazi). Le accuse degli uomini sono parche, si afferma di aver udito mormorare, si constata la voce pubblica, null’altro.

 

Ciò che meraviglia e il trovare in una persona istruita (rara avis!) un terribile teste d'accusa: il notajo Noldin Giovanni di Quetta, il quale aggrava la posizione della Tronella, affermando di aver « sentuto dir che dessa teneva le bussole, e che segnava gli occhi malati », e accusandola di essersi trasformata in «gatta che sgnaulava». Non prova però anch’esso che la fama pubblica.

 

L’unica donna di questa seduta giudiziale è Brigida detta la Braita Portolana, vedova, di Tosio, che depone contro una tal Antea, cioè Dorotea di Fior, Portolana, e contro Maria Rigoli di Thos detta la Grill, figlia di un'Orsola pure diffamata per stria, per fatturamenti di giovani e fanciulle e per aver fatto gesti strambi nella « sesla dell’ horzo ».

 

La seconda tornata giudiziale è documentata integralmente: siamo in Burgo Clesii in domo Jac.i Tomazolli in un brutto venerdì, 16 marzo, 1612.

 

Già il primo teste (centesimo del processo) dà un elenco minutissimo di donne in voce di streghe: una Veronica Morati da Mechel, Maria Melchiori, la moglie di Bennassù Cheller, la moglie di Faci Trepen, la vedova di Cristofollo Pillon, la moglie di Antonio Zambart da Cestione, Maria Bolognini, Isabetta del Valent da Majan, e la vedova di Simone Simonzel. Questa serie spaventosa di Lamie prodotta da Antonio Pillone si sfronda poi nelle deposizioni seguenti: restano aggravate la Pilona da Spinazeda, una Isabetta Valenta di Galinari, da Dres, e Veronica da Pez.

 

Chiacchera molto una donna, Diana Tomazzolli, moglie di Francesco di Brez, la quale mette a brutto partito la Isabella Valenta per certe fatture fatte sur una figlioletta della teste; mentre un Giovanni Pontati parla di altre streghe. In fine entrano in scena due anime oneste: Domenica Simoncella e Malgarita Simoncelli che rispondono « nihil scire ». In generale le accuse nella pieve appaiono vaghe e di natura assai leggera: molto le persone indiziate, ma pochi i testimoni e insignificanti i fatti da essi addotti.

 

La terza seduta, del 19 marzo, si tenne a Varolo, in domo detto la Fredaja.[p. 5 modifica]

 

Anche la Pieve di Bresimo appare copiosamente infestata da streghe, non solo, ma anche da strioni, come racconta un loquace Iacobus Florianus de Bresimo: fra le vittime dell’accusa: la Gadenta, vedova di un Caloveti, e un Simon Rodeger da Praia, una Gabrielli che faceva andare « i sorzi su per la segosta ». una Anna della Cia di Manfredi, un Paolo Caloveto: altre strie dovevano esistere a Preghena, a quanto depone il sindaco Petro Augustino; una, la più famigerata, era la Pasqueta del Zoan di Sandri, che si trasformava in gatta e ammaliava « creature nella cuna »: a Livo, dice il teste Matteo Stanchino, non c’era che una sola donna in fama di malefica: Malgarita, moglie di Zoan d’Agostini del Mezalone. A Cis — dice Bertoldo da Vian detto dal Piaz — si nominavano come streghe: Catarina, moglie di tal Zoan da Poz, sua figlia Maria « moier di Peder della vesta », Doratea vedova del Guarent, e Catarina, moglie del Zoan Pizol (o Pepol), detta Catharina Pepola. Il teste Iosefo dal Spiaz aggiunge: una Gnes del Martin Zader; poi una Maddalena Caloveta, accusata da Bertoldo della Caminada di Cis.

 

In una seconda tornata dei 20 marzo, nella stessa villa, depongono alcuni testi di Livo e della pieve circostante: un Andreis di Scanna, un Bondi, un Zanolli, un Aliprandi, uno Sparapanni, una Catoni, tutti di Livo e via via 30 testimoni, seguiti il giorno dopo, mercoldì 21 marzo, da un’altra infornata che si presenta alla quarta citazione nella villa di Dambel (villa de Ambulo), nelle case di Salvador Benetti. Vigilio Zuccal cita solo quattro persone sospette: una Antonia Pedrotta, una Maria Bettol, una giovena da maritar, Domenega, figlia del quondam Galiaz e uno stregone, un Zoan Rosà, sartor.

 

La più aggravata è Maria Bettol, sospetta di stregheria commessa durante la segagione.

 

A Clouz, accanto ad un Rizzi che accusa tal Caterina di Michel Cleta ossia Zanon, troviamo dei galantuomini: un Nicolò Clauser, un Leone Zaffon, un Romedio Cembrin, i quali tutti affermano di non aver mai sentito nominare delle streghe in quel territorio, mentre un Biagio Gras ne annovera ben quattro (cioè una Antonia del Bugnat, una Catarina di Micel Zanon, una Maria di Anton Franzesc di Violini, una Maria di Calovini, vedova).

 

A Vasio, a Margnon, a Seio, poca cosa: dicerie vaghe e inconcludenti.[p. 6 modifica]

 

Nella quinta audizione (22 marzo — ibidem) continua la filza dei testimoni, tutti assai miti, di Soio, Vasio, Cloz e Dambel: e si inizia l’inchiesta nell’Alta Valle: un Tomazzoli di Cles. abitante a Cavareno, afferma che nè a Malosco, nè a Seio, nè a Cavareno sentì mai fiatare di streghe, mentre un Bartolameo Inama ne cita vagamente, « per aver sentù dir », un paio; seguono alcuni altri, Inama, Cristanelli, de Moris, Selva, Colò di Malosco, Inama di Ronzone, Calovini da Sarnonico, Zuccali di Sernonico, Ranzi di Ronzone, Zini di Cavareno, che non portano accusa alcuna, che sia di speciale rilievo.

 

La sesta giornata processuale fu indetta nello stesso giorno, pare, a Romeno nella casa di Nicolò Micheli, vicino al Maso di S. Tomè.

 

Qui le deposizioni si aggravano e si concretano: la vittima più in vista è una Pillona, assente e in quel torno di tempo dimorante nel Longadese; poi, meno attaccate, una Pasca da Banch, una Maria Greif, una Catarina Coret, e Leonardo Perizalli, una persona notabile, scrivano del Giudizio di Castelfondo, uomo ricco « vir alias magnae in hac regione authoritatis et de ditioribus » con sua moglie Anna Maria Crivella, una Barbara del Fattor, un Marino Caliar, tutti enumerati da una lunga deposizione di Nicolò di S. Tomè; le seguenti testimonianze (tutte lunghe comprovano la presenza d’un forte focolare di superstizione: Johannes Plazolla, Antonio de Romedi, detto il Furlano, Vigilio Rosal rincarano la dose; e così l’incartamento cresce nell’audizione, settima, del venerdì 23 marzo; una grandine di fatture su bimbi e adulti, fatture sulla virilità di sposi, malìe sul bestiame, sottrazioni del latte alle madri e alle vacche, malocchio ai maiali, evocazioni di temporali e di fulmini, metamorfosi di streghe in gatte!

 

Si vedono tutti i sintomi della suggestione collettiva, un teste infiamma l’altro: la stessa accusa si ripete, si ingrossa, si specifica, scompare e ritorna come una serpe; una Specialita del luogo è il ripetuto tentativo di rabdomantismo per mezzo del cosidetto crivel, particolare questo che dal commissario è preso assai sul serio ed è zelantemente ventilato. Si arrestano già parecchi accusati.

 

Nello stesso giorno, settima tornata, si raccolgono testimonianze in Sanzeno (In Villa Sancti Sisinii) nella casa del Signor Martino Ziller: la messe è scarsa: un Bertoldi di Salter fa il nome di una Dorotea (Dorathia de Saltero) moglie di un Bonvesin, e [p. 7 modifica]quello di una morta, la Maria del quondam Poloni di Malgolo, a Banco, Roschel e Sanzen nessuna traccia di malefiche. A Casez una moglie di Romedio Gatti che aveva il foletto in casa; a Salter: certa Maria del Zoan Cristoflet, e qualche altra: le deposizioni sono mediocremente concrete, parlano ripetutamente i testi di Salter: Bertoldi, Gabaudi, Lugarini; di Malgolo: Sarcleti; di Bancho: Moscoti di Procheri, Stancher; di Casez: Gezzi, Bonadoman; di Plan: Parolini; di Roschel: Bonadoman ecc.

 

Nello stesso luogo, il 24 marzo, si arresta un altro dei « crivellatori » di Romeno e si passa a estendere l’inchiesta nel contado di Coredo, altro focolare notevole di superstizione.

 

Parla un Beltrami contro Barbara, moglie di Federico detto il Buzat; e racconta una lunga storia di fatturamento e di sfatturamento, operati con 1m cerimoniale curioso e romanzesco dalla detta Buzata: più largo nel deporre è Vigilio Moncher il quale nomina una Maria Moncher detta la dottorella, una Catarina Molinara, la detta Barbara Rizzardi detta la Buzata, una Antonia di Antonio Zannet detta « la ’ncredada »; danno schiarimenti un Silvester Papa, un Antonio Widman, un Nicolò Zanot et altri.

 

A Smarano poca cosa: una untorella: Maria Vedova del quondam Valentin Casar, a Sfruz qualche nome: Antonia Bendeta, Gnes Cristofletta Partli, accusata da un Polli e da altri (Partli, Ossana, Chaon. ecc.).

 

Un Barbacovi di Tres fa il nome di Anna vedova di Simon Margon, una vedova Franceschina del quondam Trelmo e Maria Felomena: vittime principali la Margona e tal Menega di Zoan Brisa suggerita più tardi, tutte di Tres.

 

Di Taio si nomina una Regnuda di Guielmo di Vielmi. Cosi giungiamo al bel numero di 238 testimoni. Si finisce il processo contro i gettatori del crivello di Romeno: Giovanni Signorelli, Paulo de Pauli, Niccolò Fattore detto Andreol, famiglio del Pie- vano da Romeno, passando gli atti al fisco.

 

Dopo l’ interruzione di qualche giorno, il 16 aprile ecco la commissione di nuovo raccolta in S. Zeno. Si presenta, non un testis citatus o un testis casualiter repertus, ma un tal Michael Martinus de Priodo, sponte deponens; il quale spiattella il nome di alcune streghe di Priò e circondario: Maria Caliari, Anna Ambrosi, Malgarita detta la Rea de Darden, una moglie di un Zoan Menghin da Vervò, e il notaio segna pazientemente in margine, [p. 8 modifica]accanto al nome, una stellina od una linea per indicare: sunt ergo citandae ad judicium inquisitionis.

 

Cosi termina l’atto istruttorio, scritto maledettamente e con poca cura dall'Arnoldi. Sono 346 pagine e 247 deposizioni di testimoni, l'ultimo dei quali è un Clauser di Romeno, punito con multa per la sua ritrosia nel comparire.

 

L’ istruttoria è condotta secondo i criteri adottati dal Malleus Maleficorum (4) pag. 222. Non pare però che la corte giudicante si sia attenuta solamente alla così detta norma del Processus per citationem generalem.(5) Perchè, se qualche teste si annuncia spontaneamente, il maggior numero dei comparsi a deporre è definito colla formola citatus;: da chi fu fornito l’elenco delle persone escutibili? E’ cosa notevole che nissun ecclesiastico è nel novero dei testimoni: pochissime le persone accademiche: la maggior parte sono contadini. Mancano i nomi delle due honestae personae che avrebbero dovuto assistere al processo, forse si volle trascurare questa norma (Quaest. I, Modus incohandi processum, pag. 223) durante l'istruttoria per applicarla solo nel dibattimento.

 

 

Le deposizioni nell’ istruttoria e l'elemento superstizioso.

 

Le affermazioni dei testimoni hanno quasi tutte una forma onesta: si confessa candidamente di aver sentito dire, si attesta la voce pubblica, la mala fama, non più.

 

Son, dunqe, in gran parte laeviores probationes (M. Quest. I. pag. 225). Qualche volta appare però chiaro l'animus inimicus; una contesa per una gallina, per un porcello, odii inveterati di vicinato sono velati dallo zelo di salvare la purezza delle credenze.

 

L’elemento superstizioso è scarso di motivi leggendari; è riflesso, quanto pare, dal codice, è parallelo alla materia considerata dalla letteratura contemporanea: non si potrebbe quindi provare dalle sopradette deposizioni l’esistenza d’un folclore, d’una tradizione antica, d’una mitologia lamiaca; una strega deporrà nella seconda parte del processo d’aver sentito parlare delle streghe solo quando s’iniziarono i processi: nulla di più probabile. [p. 9 modifica]Ecco le principali specie di reato lamiaco che compaiono nel nostro processo:

 

1. Fatture di „persone umane“; bimbi ammaliati dal malocchio muoiono di mal sottile: in generale si tende ad ascrivere la consunzione lenta che porta il malato all’ inscheletrimento (« no era pu che pelle e osso ») a influsso di strega, prodotto semplicemente da segni, occhiate, da oggetti (grani di miglio, aghi, pagliuzze) deposti nella culla.

 

Giovani adulte sono ammaliate con bocconi: garofolo, « smalzo » , poina, miazza e fugazza, frutta, torta, pinze, pane, uova, vino, latte; oppure con imprecazioni e formole maledicali, o semplicemente collo sguardo. Nelle uova si credette di trovar dentro unghie, aghi, veleni e bava.

 

2. Fatture di bestie, le quali « vanno in drio e diventano secche » Fattura del latte, al quale si toglie lo smolz (la produttività grassa).

 

3. Dispersioni di parto prodotte con bocconi (a Banco).

 

4. Dispersioni di latte nelle madri, con boccone e malocchio.

 

5. Dispersioni del latte nelle mucche col malocchio e col toccamento (« ciuciar el lat alle vache »).

 

6. Curiosissima è la Fattura d’impotenza maritale, citata, con qualche insistenza e con ricchezza di particolari, in tre casi. In un caso (Coredo) la strega opera la fattura gettando avanti gli sposi che tornano dalla cerimonia nuziale un sasso così che passi fra le gambe al marito novello; in un altro caso (Bassa Anaunia) si accenna alla noce la quale scissa nelle sue valve e gettata « in dispersia » impediva l’atto matrimoniale fino che le valve si fossero riunite nuovamente.

 

La Gadenta trovò in questa fattura il suo crimine fatale!!(6)

 

7. Scongiuri di tempeste. Coll’andare nei campi nel giorno del Corpus Domini, col guardare il cielo, col soffiare tre volte in terra.

 

8. Miracoli diabolici, far uscire Vino o latte da un larice, far uscire da una pera lampi, nugoli, e fumo, così da far venire il sangue in bocca a chi l’addenta.[p. 10 modifica]

 

9. esorcizzazioni, pignoramenti, controfatture.

 

Si leva il malocchio nei modi più strani: mettendo in culla o nei cuscini o nei pagliericci brandelli di vesti della fattucchiera, o con cerimonie più lunghe; col mettere le mani sulle spalle e pronunciar formole deprecatrici, col beveraggio d'acqua santa, col mettere i pegni della persona fatturata (capelli, vesti, maglie) ravvolti in un panno nello « sgaùs » d’un salice: col far tondere il capo della strega e farci una chierica.(7)

 

Questi esorcismi sono alla lor volta reati, perché non approvati dalla Chiesa e perché operati da indovini o dalle streghe stesse: appare come uso e costume divulgatissimo di rivolgersi nei casi sospetti di fattura all’indovino, che è considerato come persona tollerata dalla Chiesa e ben diversa dalla strega: l’arte dell’indovino sembra essere un’istituzione lecita come la chirurgia o la medicina. Caso strano che i testi non fanno il nome degli indovini e i giudici nol domandano.

 

10. Metamorfosi diaboliche. La strega si trasforma in gatta, la quale malmenata, battuta, colpita di forca, quasi uccisa, « sgnaula » con voce quasi umana e si rimpiatta. Il giorno di poi la persona accusata d’esser strega si trova nel letto ferita, malconcia, con un « fazzollo al col e le giambe rotte ». Oppure, in un caso, la maliarda si trasforma nel letto maritale accanto al marito, in una granata o spazzadora. Un pignoramento assai in voga era quello della « ponta »; si disfaceva la fattura pungendo di coltello la strega, alla quale si cavava prima il fazol dal cau.

 

11. Operazioni diaboliche: uno strione è accusato « di far segar le fauz, senza guzzarle, per tre giorni », altri di far andare buoi stanchi avanti e indietro a sua volontà: una donna, come vedemmo, fa andare i sorci per la segosta su nel camino: aprire con una paglia le serrature d’un uscio, spalancare senza la forza le porte chiuse a catenaccio: sono altre imputazioni del genere. Una borsa vuota posta sulla tavola si trova il giorno dopo piena di zecchini.

 

12. Rabdomanzie coi busseri e col crivello (tamis) per rintracciare cose perdute o mancanti o rubate, o per scovare i ladri. I rabdomanti prendevano il cribro con un « forfes » e dicevano [p. 11 modifica]la formola sacramentale: « Per San Pero e per San Paol è stato il tale? » Se il crivello stava fermo negava: se si muoveva e girava per la stanza assentiva. Quando si trattava di rintracciare cose perdute il rabdomante o i due rabdomanti giravano per le « stanzie » o per le « stuve » e in quella di esse nella quale si moveva si doveva trovare la cosa perduta. Questa operazione si diceva « tirar el tamis ». Altro procedimento rabdomantico, a cui si accenna, è il battere gli archi (Cloz) che potrebbe corrispondere alla vera e propria rabdomanzia virga curvata. Non troviamo invece spiegazione del procedimento nel « tocar i busseri dell' unguento » mentre si capiscono gli accenni al « buttar el piombo colà »(8).

 

13. Superstizioni particolari: e molto diffuse dovevano essere quelle « del segnar i ogi » ammalati, e del guarire il male di stomaco, toccando il paziente tre volte sul petto colla punta del timone d’un carro e dicendo la formola Toi timon, garisci sto magon. Ms. 618 pag. 219.

 

14. Sonnambulismo. Si depose di aver visto delle vecchie a ballare sui tetti al lume di luna: di essersi appese a una spreuza, coi piedi in su, di andarsene sui prati colle gonne rovesciate sul capo: di inginocchiarsi, durante le segagioni, per far atti strani e soffiare in terra e mormorar parole inintelligibili.

 

15. Possedere un folletto. Il « folet » è definito vagamente come una cosa pelosa.

 

16. Incantamento con le herbe (salvia, herba ruta, maiorana, malva). Specialmente al giorno della Ceriola, quando si ornava le candele con erbe verdi, si coglievano le herbe maliarde.

 

 

Qualche esempio di deposizione.

 

 

Un pignoramento, Ms. 618. pag. 301 e seg.

 

 

Dominica uxor Salvatoris Beltrami Coredi, testis citata monita et iurata.

 

Quae ad opportunas interrogationes interrogata respondit:

« Signori no che mi no ho sentuto dire ch’a Coredo vi siano strie ne state, fuori che già doi anni occorse un fatto che Maria mia [p. 12 modifica]figlia ch’essendomi praticato in casa una donna Barbara moglie di Arderico Rizardo detto il Buzato per un’inverno che l’haveva pigliato amicizia stretta con la detta mia figliuola, la detta mia figlia s’ammalò che non la potè andar à far del herba et a ligar come l’haveva tratatto con la detta Barbara Buzata in Longades et stete male per un pezzo: occorse che il Rev.o p. Predicator intese che el ge era la mia putta ani-alata, et però mi fece chiamar in canonica insieme con la putta, ricercandone se gli era sta fatto malia alcuna. Mi dissi che non ne sapeva. Gionta a casa venne ivi la detta Buzata e mi disse che si era contenta, l’haverebbe visto s’era sta nosù alla d.a Maria e che l’haverebbe evitata,(9) perch’anc’à lei era stà nosù quando l’era sposa et si insegnò a sua madre una cosa che la migliorò: e mi desiderosa d’aiutar la puta, dissi se la sapeva questa cosa che la dovesser aiutarla, et così la mattina seguente detta Buzada ritornò in casa mia, portando seco una balla di piombo d’archebuso et la viddi che la messe in una padella et sopra il focco a descolàr, havendo fatto sentàr la d.a Maria su l’uscio della cosina et me a tener un cozzar da segador con dell'aqua dentro sopra la testa di d. Maria, dileguato che fu il d.o piombo l’algettò nel d.o cozzar et aqua et poi si buttò fuor in una piana che l’era andato in diverse parte longete come guselette da piombin, et la d.a Buzada disse orazione e queste son guselette: et mi diede a servar d.o piombo così dileguato: la mattina seguente ritornò la d.a Buzada et dileguò il d.o piombo com’haveva fatto l’altra mattina et lo gettò anco similmente, tenendomi come feci per avanti; apparve una masseta grosseta de piombo; la d.a Buzata disse che l’era una zatta. La 3a mattina si fece il tutto con l’istesso ordine et nell'istesso luogo che fù fatto le due precedenti mattine col d.o piombo et apparve nella d.a piana una massa de piombo et sentii che la d.a Buzata disse: quest’è un crocifisso: disse la istessa Buzata, bisogna (havendo prima detto ch'alla d.a Maria ge era stà nosù) fare una fugaceta in drio man, impastarla con l’orina della putta e mettergi dentro il d.o piombo dileguato et poi portarla all'aqua corrente. Mi porta della farina a quest’effetto, fu mesdata con l’orina della d.a putta per la d.a Buzada che viddi che poi pestovvi dentro il detto piombo se ben 1a voleva che mi la fasesse che mi non [p. 13 modifica]volsi, dicendogli: se havette fatt’ il resto fatte pur anco questo che mi non me ne voglio intrigare: la la cose in sul fogolar et poi la diede alla d.a Maria, che la la portasse all’aqua corrente e la gettasse in essa in drio man et che no la se voltasse mai in drio, il che inteso dissi alla d.a Buzata: vede che la puta e tutta malada che non la può andar, audatege voi a buttarla nel’aqua; al ch’ella mi rispose: se la gi andava ella, la megliorarà più presto di quello la farà se ge andasse mi a buttarla; la d.a Maria partita con la d.a fugazza, si ritornò da li à pocco tutta sngolenta e disse che l’era stata zo al ri da vena, et che l'haveva buttata via, come ge era stato ordenato, la fugazetta. Venne il di seguente ivi in casa l’istessa Buzata, mentre che mi era a basso al bestiame et disse alla d.a Maria: sei tu megliorada, et la d.a Maria ge disse: ma di nò, et la Buzata: si che ti sei miorada et le ponte che ’havevest ti, le senti mi adosso, et tanto me ha referido la d.a mia figlia.

 

 

Dispersione di parto. Ms. 618, pag. 305.

 

Anna uxur Bartolamei Parolini de Plano testis evocata per officialem, monita et iurata in formam.

 

Interrogata respondit: Signori sì che una volta già cinq’anno in circa, essendo di già congionta in matrimonio con Bartolomeo Parolin mi sentji esser gravida, anzi anco vicina al parto et era nel nono mese della gravidanza, che mi haveva sentuto la crea— tura batter nel corpo più et più volte alcuni mesi avanti e anco havevo visto venirmi il latte dalle tette et anco m'erano tratenute per il d.o tempo le purgationi solite per otto mesi et più e haveva il ventre tanto grande et che pareva ch’ogni di dovesse partorire et però anco s’erano fatto tutte le preparationi che eran solite al parto et però m'ero anco confessata et comunicata, come costume delle donne vicine al parto ma quando mi credeva de partorir, ecco che mi sento a retirarse il ventre, a calarmi il corpo in spaccio de otto di che non pareva d'esser gravida, ne mi sentji la creatura e ciò mi avvenne doppo che mi furono dati doi garofoli et da me mangiati nel spacio di detti otto dì, perchè retrovandomi un giorno nella chiesa parochiale de Sanzen dove Maria moglie di Antonio Parolin mia cugnata essendo venuta debile le fu dato doi garofolli da una donna, ma non volendoli ella mangiare, li diede a mi et li mangiai et da li in poi mi calò il ventre e si svanì il [p. 14 modifica]parto come ho ditto di sopra. — La dona che mi diede li detti doi garofoli fù donna Dorathia moglie de Romedio Gier detto Gattel da Casez. Mi signori m’ho sempre governata bene mentre fui grossa com' ho detto, ne so mai d'essermi discomodata in cosa alcuna che m’havesse potutto far disperdere, non che morir la creatura nel ventre, come se m’è smarita e persa: e però dubito che nelli detti doi garofolli vi sii stata malia tale che m’habbi fatto succedere la perdita del d.o ventre... ecc.

 

 

Il crivello. Ms. 618, pag. 336.

 

Joanes Signorellus de Romeno comparuit per officialem evocatum ecc. ecc. interrogatus respondit:

 

Signori vi dirò circa questo fatto quello che so: stando mi per fameio già 14 anni circa col R.do nostro già Pievano di Romeno morto, occorse ch’essendo robbata una fume al d.o R.o Pievano mi risolvei insieme ad un'altro di casa d’andar da Zoan Honofrio il vecchio che harevo sentuto dir che lui sapeva indovinare col crivello il quale m’insegnò come si doveva fare a buttar il crivello ossii a indovinar con esso, cioè a tor un crivello et taccarci dentro un forfes con doi ponti et poi tenerlo da doi persone per il detto forfes col dè indice et dir uno: per san Pero per san Paol l'è sta el tale (nominando la persona sospetta) ch’ha robbato la tal cosa (nominando la cosa robbata) el che l’altro rispondesse: per san Pero per san Paol no è sta al tale (nominando il nominato dall’altro) ch' habbi robbato la tal cosa (nominando la cosa nominata dall‘altro) nominando cossi sin’tanto che il crivello se move e gira, perchè col motto che fa quando vien nominato colui che ha robbato lo scopre movendosi al nome di quello.

 

Et cossì mi e un’altro della fameia del D.o R.o facessimo et nominata una persona viddi a moversi anco il crivello conforme a quanto m’haveva detto il d.o Honofrio et di più anco si cominciò a nominar la stanza dove che detta fume doveva esser, digando uno de noi per san pero; per san paol la è nella tal stanzia (nominando certa stanzia) e l’altro: per san pero per san paol la fume nò e nella tal stanzia (nominata dall’altro) el all’ultimo se mosse il crivello et le viddi, havendo nominata una certa stanzia di casa e andando mi a guardar nella d.a stanzia, alla nominatione della

 

Vedi Sammler, 1807, III Vol., pag. 272, cap. 28.

Il Ms. 615 porta la scritta: Desunto da un manoscritto di 388 fogli, intitolato ecc. ecc.

Ms. 618, pag. 496, come procuratore di Tommaso Porlata di Tos. Il difensore pero non interviene mai nella discussione del processo e ha — come risulta dalla procedura illustrata dal Dandolo — ben poca influenza sull’esito dell’azione giudiziaria.

Detto chel.

Lugdreni, Ms. 6, 69.

L’ invito ad accusare i malefici si faceva a tutti per vincolo di coscienza con un editto affisso ad valvas ecclesiae.

Qualche volta la fattura maritale è condizionata alla vista d’una persona, della maliarda stessa (Antonio Floriani è impotente ogni qualvolta vede il proprio padre, immediatamente prima di avvicinarsi alla moglie).

Il bruciare un nido di rondola è pure annoverato fra i mezzi efficaci di pignoramento. Ms. 618, pag. 470).

Il fondere pallottole di piombo e trarne pronostico è ancor oggi in uso.

Parola indecifrabile.

Il primo processo delle streghe in Val di Non ▲ Parte II

Edizione: Guglielmo Bertagnolli. Il primo processo delle streghe in Val di Non. Rovereto, Tipografia Mercurio, 1914. Fonte: Biblioteca comunale di Trento

Categoria: Testi SAL 75%

 

 

 

LE TORTURE

 

(13-18 dicembre 1613)

 

 

 

Davanti all’esito negativo delle pratiche interrogatorie il giudice inquisitore, se non voleva ammettere d’aver incomodato un centinaio e mezzo di persone, per riferire delle pure fandonie, non aveva altra via di azione che la tortura.

 

La prima vittima è la Gadenta di Bresimo: il verbale incomincia la sua prosa coll’invocazione della santissima Trinità e colla data 13 dicembre.

 

Nella stuba inferiori domus clarissimi domini commissari la povera vecchia viene esorcizzata: tre volte le si porge il calice di acqua benedetta colla formola sacramentale: In nomine Patris, Filii e Spiritui Sancti per istum potum aquae benedictae dissolvatur in te omnis virtus demoniaca! Le si chiede se voglia fare altre difese; risponde: «Signor non, che non voglio far’altre diffese. Iddio le faccia per mi!»

 

Il giudice — Quibus dictis et acceptis pro fischo proficuis — considerando che la figura della accusata è più simile a quello d’una scimmia che a quello di creatura umana (!!) s’induce alle interrogazioni di rito e all’ammonizione a parlare, al che la vecchia risponde:

 

Non so che dir altro di quello che ha detto, mi no voi nar a dir’et questa o quell’autm quel che no sai, ne ho mai creduto che ge siano strie!

 

Si ripete l’invito a riconoscere la colpa di fattura d’impotenza matrimoniale contro Antonio Florian, il quale per un sasso da lei gettato nel giorno delle nozze ecc. ecc. non era stato capace di consumare il matrimonio. Risponde: Quel che ho detto, ho detto, ne ho mai tirato preda alcuna.

 

Quibus dictis et acceptis il Commissario ordina torqueri in pollicibus! Sotto le pene della tortura la povera donna mantiene le negative:[p. 20 modifica]

 

«No ho mai tirato sasso alcuno. Jesus, Jesus, Jesus».

 

» No ho mai sentu che ge sia streghe a Bresimo».

 

«Non fui mai stria nè sarai mai nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo».

 

Queste risposte fra sospiri e invocazioni di Cristo e della Trinità si ripetono per tre volte sempre eroicamente mantenute, ed è ammirevole tale costanza fra un tormento di più d’un quarto d’ora.

 

«Et cum parvi facere videatur — ut et à me hoc visum fuit — hoc tormentum in quo stetit paulo minus quam quadrante quarti horae, fuit iussa relaxari adaptari pollices tortos ecc. ecc.

 

La seconda torturata fu la Pillona; nella notte dei 15 dicecembre (le sedute notturne sono molte nel processo) alle ore 3, sempre nello stesso luogo, viene interrogata colle ultime insistenze la più martoriata delle vittime.

 

Alle sue negative il giudice: decrevit illam ponendam ad tormentam sea potius probationem vigiliae, proetermissis guibusdam aliis tormentis: in dictam malierem — constituta videtar et robusta obstinata — mandavit eam poni saper scano ibidem preparato, manibus post terga ligatis et recommendatis ad stangam superius perfixam et taliter ut vigilare debeat at volens dormire tormentum sentiat et eo vigilet, mandando eam ipsam propriis pannis spoliari et aliis ibidem preparatis indui et ita iustis de causis ligaretur, hortata fait et monita veritatem dicere. Essa mantiene le negative: Volè che diga quel che no sai — risponde stizzita — ne so che dir’altro di quello ch’ho detto; cole che diga che son una stria se no son, ne mai nè sarò. E così si abbandona per il resto della notte e per il giorno dopo sullo scanno del supplizio.

 

E’ registrato a verbale — il dì seguente — che è lasciata libera quel tanto di tempo necessario per accudire ai bisogni corporali. La mattina (non è ben chiaro se del lunedì 4 o del martedì 5 dicembre) la prima vittima muore. Un semplice tragico accenno:

 

Die quinta (?) in mane obiit Gadenta in carcere quam hesterna die circa duas horas noctis cum Zambono ofiiciali, ego notarius D. nostri S. D. invisi, dixit clara et intelligibili voce loquens se velle confessionem differre in crastinam ecc. ecc. fuit evocatas. N. O. Plebanus, qui cam ad eam pervenisset loquellam amiserat, nec potuit confiteri, et paulo post, at officiales retulerunt, animam efflavit.

 

Intanto la Pillona resisteva: interrotto il supplizio per una ora e mezza mangiò e poi tornò allo scanno. L’officiale però riporta [p. 21 modifica]al verbalista che la vecchia fu udita a borbottare fra sè: Se ho da morir mi voi che ne mora anca delle altre.

 

Esasperata dai tormenti, l’anima sua, retta fin’allora, medita una vendetta sull’umanità che la ha perseguitata, straziata, che la ucciderà ignominiosamente fra brove, lei innocente.

 

E la vendetta ha un corso drammatico; l’idea della vecchia ravviva d’una luce fosca tutte le ultime tenebre del processo.

 

Condotta davanti al Commissario aspetta che le si facciano le solite pressioni:

 

«Pillona è hora che diciate la verità sopra le mie domande che altre volte vi ho fatte».

 

«Siguor, son disposta hora de dirve la verita et ge ho pensato alle osservazioni che V. S. m’ha fatto più volte» — E confessa di essere una stria, non sa se per esser nassuta sotto a tal pianeta o perchè il Salvanel le abbia storta la treccia così, che le sfuggi dalle mani e si arruffò in modo che non le fu possibile di domarla col pettine. E da quel tempo non ebbe più ventura. Racconta poi aver avuto commercio carnale col detto salvanel già mentre viveva il di lei marito, sempre di notte, così che non lo pote mai vedere.

 

E’ dunque strega da 25 anni e più. Non sa definire il Salvanel che come un diavolo, peloso, che entrava dalla fenestra, aveva dimensioni umane e usava umanamente con lei, (che lo chiamò una volta: tentazione!) Rimessa alla tortura, perchè afferma d’aver finito, continua raccontando d’aver imparata l’arte malefica dalla fu Barbara del Simon dalla Tor, donna di costumi corrotti, la quale faceva «peverado di orbage, perzemoli, salviole e salvia» per rubare dal Zuppon i denari a chi dopo averne mangiato si fosse addormentato.

 

Il Salvanel aveva altre putte, cioè, fra l’altre, una tal Catarina del Tomè Fator da Romeno; segue la descrizione più esatta del Salvanel: ha forma di cane o di gatto, ma quando usa con lei è un cane; come tale la venne a trovare anche in prigione nel Castello e nel revoltello. Non confessò mai tal relazione perchè credeva che non fosse peccato.1 [p. 22 modifica]Continua il tormento perche all’inquisitore non basta la confessione fin qui estorta.

 

Il martedì 17 dicembre la buona donna, persuasa che a parlare non c’era più gran che da perdere e gia allenata a inventare per guadagnarsi un po’ di riposo, continua la sua epopea. Dopo aver confessato d’aver pisolato un pochetto nel venir in tribunale, racconta come divenne stria e ci dà così un quadro del sabba classico ananne o strioz del monte Roen che si voglia chiamare.

 

Mi son deventafa stria in occasion che essendo andata ai fieni sul monte di Romeno con la quondam Barbara già nominata a far della legna e havendone fatto un brazzo per una comissione e delle noselle et ballassimo tra di noi et vi erano dei diavolini in forma di cani e li vidi che ballavano con noi et questo fa su un prato nominato alla malgeta, il qual prato era del marito della detta Barbara la qual m’haveva prima dato a intender che andassimo a far fuori del fen, ma lo trovassimo bagnato che no lo podessimo voltar et stessimo ivi per trei hore e mangiassimo noselle e del pane e andassimo zo alla fontana a bever acqua. Li detti cagnolli li viddi vegnir via per il prà chiamati dalla detta Barbara digando: bò, bò, e la ge diede del pane et poi ballassimo con quei cani et viddi che erano grandi come mezzi cani et havendo ballato così per un’hora si si sfantorno da noi e non li vedessimo più all’hora. Ma ritornata su un’altro dì colla detta Barbara a far de la foia, quando incominciarono a mangiar del pane, la d.a Barbara s’accostò a un lares e vi piantò dentro il cortello, dicendo alcune parole che l’accusata non rammenta: ma ricorda d’aver visto uscirne un ottimo vino bianco che ella bevette. Pensandoci meglio, può descrivere la scena nei particolari: il coltello aveva il manico bianco: la Barbara tagliò la corteccia in basso, fino al legno duro, vi fece tre croci e disse: In nome del Pader, del fiol et del Spirito Santo et de San Zoan che ne daga del vin e del pan for de sto legnam!

 

Poi ricorda altri balli di streghe in montagna, dove i diavolini apparivano in forma di cani rossi, confessa d’aver somministrato a una sua comare nemica una pinza con dentro il tossico formato di menta-celidonia e salviola, taiade menude e mescolate con una polvere comperata dai crameri per uccidere i pidocchi dei bestiami e per uccidere i topi. Il posto della pinza dove c’era il tossico era contrassegnato.[p. 23 modifica]

 

E continua via via: basta che l’Inquisitore domandi, la confessione prosegue: Ricorda d’aver colla polvere di cervello di gatto affatturate persone cosi da farle impazzire; la formola incantatoria era:

 

Nel nome del pader del fiol e de lo spirito sant e san Zoan che lo no nosia a mi e si la nos ad altri so dan! E chesto lo dissi trei volte sora la polvere. Messa la roba in terra sopra un tagliere, vi fece intorno un ballo in compagnia del tintin, cioè del diavolo in forma di cane (di cane ha solo due zampe sulle quali va diritto, ha un poco di coda e un muso brutto nè d’uomo nè di bestia). Col demonio si ricorda di aver parlato. Leggiamo:

 

Ritrovandomi mezza desperata sul monte dissi:

 

« Piùttosto che stentar tanto voi esser serva del diaol » et all’hora el diavolo mi comparve nella forma predicta et me disse: Se tu me voi servir, t’aiutarai; e mi risposi che si che l’haverei servì, con quando ch’el m’aiutasse; et magnassimo et bevessimo tra di noi come se fossimo stati zoveni et lui portò ivi pan e formai e vino in un bocal di pietra biaveta che no somigliava agli nostri boccali che usamo noi e mi promise de vegnir a trovarme com’el vene la sera a trovarme a casa.

 

Cosi il Salvanel è diventato il demonio Tintin, il seme genitale del quale ha una temperatura fredda; egli si presenta alla femmina, quando essa lo desidera o lo chiama per nome: e le fa le sue confidenze; quando essa era imbostiata, la consola dicendo che lui pure è spesso imbostiato coi suoi discipoli.

 

Ai comaregi le streghe di Val di Non andavano la Zobia de note in Roven su in quelle cime dove vi sono di bei plazoi. Ecco la lista degli invitati:

 

La Marinolla, la Zadrella, la madre della Nicoletta, la Nicoletta, la sua figliuola, Caterina moglie di Pier Antonio da Coret molinaro, Maria, mojer d’Antonio della Fattora detta la Mussata, Maria moglie di Tomio Zannanvu, Catarina moglie di Zoan Badessarol; uomini:

 

Marin, figlio della Marinolla, Nicolò Zadrel, El Pol dei Frai, Nicolò del Zoan della Fattora; perfino il padre Zoan, che da 20 anni è a Trevis, veniva a questo Zogo. Poi Nicolò figlio di Simon, detto il dottor de Amblar; Antonio del Zoan Onofri da Romen detto el trinchota, Nicolò Smerza da Cavaren, Iacom Clappa da Dambel, Hendriz de Hendrizi da Salter, Pier Gabard, detto Toniol [p. 24 modifica]sguerro, Gianot ferrar da Saltor e giù una serie di nomi fra i quali non sono dimenticati i testimoni che hanno deposto contro di lei. Così la vendetta della vecchia era fatta: le comari, specie la Nicoletta, che per una gallina o per un porcello l’avevano rovinata, erano bell’e servite. La confessione della Pillona è importante per i molti elementi mitici che contiene, di qui la nostra relazione alquanto lunga.

 

 

Qui appare che il Salvanello era presso il popolo la personificazione del sogno voluttuoso, null’altro. Su questa figura mitica, la più popolare nelle nostre leggende, si veda una mia noticina sull’òm dal luminot nel fasc. l’della Pro Cultura, anno I. Oltre a ciò, per ohi s’interessi, sarà utile il dare un’occhiata ai diversi accenni al Salvanel occorrenti nella letteratura Vernacola nostrana. (Scaramuzza: L’om pelos ecc., vedi: Poesie e Poeti de Val de Non. Vol. I e II.)

Parte II ▲ Parte IV

Edizione: Guglielmo Bertagnolli. Il primo processo delle streghe in Val di Non. Rovereto, Tipografia Mercurio, 1914. Fonte: Biblioteca comunale di Trento

Categoria: Testi SAL 75%

 

 

 

 

te I

< Il primo processo delle streghe in Val di Non

Ingrandisci carattere Riduci carattere

Jump to navigationJump to search

75%.svg Questo testo è completo. 75%.svg

Guglielmo Bertagnolli - Il primo processo delle streghe in Val di Non (1914)

Parte I - L'istruttoria

Informazioni sulla fonte del testo

Il primo processo delle streghe in Val di Non Parte II

[p. 1 modifica]

 

Il primo processo dalla streghe in Val di Non

 

 

 

Guglielmo Bertagnolli - Il primo processo delle streghe in Val di Non (1914)

Parte IV - L'epilogo

Informazioni sulla fonte del testo

Parte III Appendice

[p. 24 modifica]

PARTE IV.

 

L’EPILOGO

 

 

 

 

Il Ms. 618 è mutilo, non sappiamo quindi l’esito del processo dalle sue carte; per buona sorte ci fu chi tirò il bilancio di questa nefasta inquisizione: quel Lorenzo Torresani notaio e avvocato di Cles che fuggevolmente nominammo come procuratore e deputato di qualche accusato. Del famoso suo volume di fogli 358 col titolo: Annotationes ex approbatis pontificiii cesarei que juris professoribus collectae abbiamo un paio di pagine ricopiate nel Ms. 615, della T., ma preziosissime; giacché nella prima parte dei documenti da esse riprodotti troviamo la Relazione che il Ramponi, il Barbo e l’Arnoldo fanno dell’esito del processo:

 

prima vice, così annunziano, fuerunt incineritae duae mulieres secunda vice. quinque.

 

Dunque 7 bruciate probabilmente nella primavera del 1614.

 

Se noi gettiamo un’occhiata sul nostro elenco di accusate ed al luogo della Gadenta, morta in carcere, poniamo la Maria di Paolo Vito di Nano, abbiamo, con gran probabilità, la lista delle Vittime sacrificate sul rogo della pubblica superstizione.

 

I motivi della condanna furono i seguenti:

 

quae in specie demonio se addixerunt forma tradita a Farinac.

 

q. 20 N.° 77 conventibuv nocturnis, non in somniis vel dilusorie (cabal.

 

Cont. 13 Cr. 209) sed actualiter et corporaliter in monte nominato Ruveno (de quo monte ipsius sit mentio ab Ex. D. Mattiolo) versus Mendulam spectante ad Romenos Honnos loco pasquorum et in [p. 25 modifica]illius summitate inter fuerunt, rem veneream cum Demone fecerunt, homines veneno necaverint, tempestates diabolica arte excitaxerunt et segetibus ac animalibus nocuerunt. Par di leggere la confessione della Pillona.

 

In una terza bruciata di streghe (10 aprile 1615) furono sacrificati tre penitenti e abiurati, tra i quali Leonardo Perizalli, cancelliere del giudizio di Castelfondo, abitante di Romeno. Costoro torti tormento funis et vigilia persisterunt quantunque la tortura fosse ferox et atrox ut nemo resistere posset.

 

Il Perizalli il cui nome compare gia nel Processo generale, giacchè si dice che egli al sentir dei processi contro le streghe si ammalò, fu un grosso boccone per il fisco; il Panizza scrive che l’auri sacra fames ebbe non piccola parte nei processi per le streghe, io, per debito di imparzialità, devo dire che non si può, sugli Atti generali almeno, basare un’accusa sicura, quantunque certi dati muovano a sospettare. I beni confiscati del cancellarius erano circa dell’importo di 30.000 fiorini, de’ quali parte venne devoluta a Massimiliano II che la elargì al barone e cavaliere Thunn, cubiculario supremo! L’asta della massa immobile diede 6000 fiorini versati da un Fattori. Degli altri rei, i meno indiziati furono sottoposti alla tortura, altri esiliati, altri — inabili alla tortura — condannati a una multa di 600 fiorini e al bando, altri infine multati più o meno gravemente.

 

In generale, col progredire del tempo prevale la clemenza. I giuristi sono assaliti da dubbi, da scrupoli di coscienza; si inclina a credere possibile uno spaventevole errore giudiziario; si dubita della bontà della procedura. L’inquisizione vacilla e perciò diventa più mite. Ecco che Eugenio Bartolameo Visintainer, un buon giureconsulto del tempo, ha il dubbio, un grave dubbio di fatto, che il demonio potesse assumere negli striozzi forme umane concrete, cosicchè poi le streghe torturate avrebbero — in buona fede — accusato degli innocenti, ma, dopo molto cercare, trova nei libri tecnici un assioma che egli registra nel documento sopracitato: Diabolum non passe in conventu representare innocentem, così pure trova che la confisca dei beni non si poteva applicare alle streghe o agli stregoni (sortilegi) penitenti.

 

Un quarto processo — più mite — fu quello tenuto dal Pievano di S. Sisinio Johannes Ramponi, decano foraneo ecc. assistito da Ludovico Particella assessore, consigliere del Cardinale, Principe [p. 26 modifica]Vescovo Madruzzo ecc, in Castel Nano addí 16 giugno 1615 contro i giugali Vigilio e Maria Rosati di Romeno per aver preso parte ai «conventus personarum maleficarum in monte Roveno». La multa fu grossa: al fisco 750 fiorini a testa, e 100 altri cosí distribuiti:

 

25 denari per la chiesa di S. Maria di Romeno

25 „ „ „ „ „ San Romedio

25 „ „ „ „ „ San Sisinio di Sanzeno

25 „ „ „ „ „ S. Maria del Rosario pure di Sanzeno

Insieme dunque circa 1600 fiorini, non calcolate le spese del processo. E beati loro che si salvarono dalle fiamme colla dichiarazione che alleghiamo quantunque giá pubblicata, per dare completa cornice al nostro quadro.

 

 

E ora qualche riflessione. E’notevole la poca parte che, pubblicamente e palesemente almeno, in questi processi prende il Clero. Il Decano Ramponi non appare nei documenti passati in rassegna mai e poi mai come persona agente. Testimoni di ordine sacerdotale nessuno. Se ci fu chi trasmodò — quantunque anche contro di esso non parli nessun fatto specifico — fu il Barbi, il quale fu troppo spesso negligente nelle formalitá della procedura. Infatti, quantunque il verbale del processo citi una volta il Maleus Maleficarum e le Annotaziones del Torresani enuinerino le fnnti principali delle norme procedurali cioè:

 

 

1. Prospero Farinaceo (Tractatus de Haeresi) Farinac

2. Petrus de Bimbsfeld (De Lamiis, de Confessionibus maleficarum) Binsfeld

3. Caspar Molinaeus vel Caballinus (Contentiosus) Cabal

4. Fredericus Martini (Commentarius de iure censuum, Interpelationes Caroli. Constitutionis tridentinae) Fred. Martini

5. Tommas Grammaticus (Decisiones) Gram. dec.

6. Johannes Baptista Boiardus (Practicum criminale) Baiard

il processo andò avanti a spinte senza quella coscienziositá che avrebbe (ben difficilmente) potuto forse forse salvare qualche innocente.

 

Non sappiamo infatti alcun particolare della procedura seguita nel dibattimento finale, cioè nella fase immediatamente antecedente [p. 27 modifica]alla sentenza e al supplizio, resta però fisso il fatto che nella istruttoria informativa mancano i boni viri che nei processi del Tirolo sono in numero di 3, di 6, di 11. Ne si può dire che la giustizia abbia seguito qui le norme volute dall’Arsenale (pag. 175).

 

Difficile per certo ed intricata molto è la materia delle Streghe e perchè sovente assai s’ha per le mani e agevolmente ancora si può in ogni modo errare, dice l’Autore serenamente; e continua più giù: non siano facili i giudici a proceder contro ad alcuna donna per la mala fama d’essa; perché facilmente si leva cotal fama contro a qualche donna, massimamente quando è vecchia e brutta.

 

Il Rapp attribuisce la sciatteria nella procedura alla modificazione dei criteri giudiziali subentrata coll’adozione dei giudici di carriera (gelehrte Richter) e del sistema segreto di processo; a quanto pare dunque questo vero e proprio regresso nell’arte inquisitoria e istruttoria non è un fenomeno trentino, ma generale (op. cit. 18 Nota).

 

E’ deplorevole, però, che la procedura del Barbo non solo non sia stata biasimata e criticata, come successe a qualche inquisitore del Tirolo che s’ebbe le minacce di vendetta di molti mariti o di parenti delle accusate e l’ammonizione, anzi perfino il bando, dal vescovo, ma sia stata subita supinamente dalla popolazione e approvata dalla autorità Vescovile, meno cosciente e meno giusta di quella d’altre diocesi vicine.

 

La splendida inquisitione d’Anaunia rimase impressa nella memoria dei contemporanei e dei posteri come un portento di processo, come provvedimento salutare, come un capolavoro dell’arte forense. Il processo, magistralmente sfruttato dal Dandolo, non è che la copia, più interessante, più ricca di particolari e di tratti tipici, ma sempre una copia del nostro. Il Manoscritto di quella inquisizione è, fortunatamente, conservato in tutta la sua integrità, cosicchè lumeggia anche il nostro in ciò che riguarda la denunzia, la sentenza e l’esecuzione. Le somiglianze sono innumerevoli nei costituti; ci sono dei passi che coincidono quasi letteralmente: certe descrizioni di contatti impudichi del demonio con le streghe, delle trasformazioni di vecchie in gatte e delle loro peregrinazioni notturne; le ricette per la preparazione di fatture erbarie o magiche; pur tuttavia il nostro manoscritto offre un quadro più mite, più umano, più sobrio, più corretto, più morale. La fantasia c’entra poco, quasi solo sforzata dalle torture e dai tormenti, il [p. 28 modifica]verisimile campeggia sempre e dovunque, mentre nel processo di Nogaredo gli elementi si allargano, si accendono, si gonfiano: qui la tregenda si delinea, come nei processi tedeschi, in tutta la più romantica ricchezza di fantasia, i particolari delle confessioni, delle deposizioni ricalcano motivi già adombrati nel nostro ma con una passionalità tutta meridionale: anche se è da supporsi che in Val di Non l’astio, l’odio personale, la vendetta, la rappresaglia abbiano alcunchè collaborato a intessere la trama delle accuse: ciò accadde sporadicamente, con molta mitezza e con una certa parsimonia d’impudenza: nel costituto dandoliano invece il livore si fa sfacciato, calpesta ogni coscienza, ogni pudore, ogni più esile parvenza o simulazione di veridicità, mentre il giudice, solo il giudice, non se ne accorge e fa tesoro di ogni scioccheria in barba a quel po’ di buon senso sancito dalla legge di Roma codificata nell’Arsenale, in barba alle esperienze fatte nel nostro processo e rilevate onestamente dai Visintainer e dai Torresani. Insomma nella stupenda inquisitione si può parlare di errore giudiziario causato dai tempi, dalla tradizione forense, in cotest’altro al contrario appare netta la corruzione del foro e dell’ambiente. Infatti sul finire della azione giudiziaria di Val di Non s’era incominciato a prescindere dalla pena capitale; si limitava la pena alla multa, una multa esosa, commisurata da criteri schifosamente interessati, ma sempre una semplice multa. e si sarebbe potuto sperare che il brutto capitolo dell'esecuzione cruenta fosse chiuso definitivamente a tutto onore della tecnica forense, del buon senso e dell’umanità. Ma la resipiscenza fu di breve durata e di lì a trent’anni si ebbe nel processo di Nogaredo una replica, storicamente più interessante e più commovente, umanamente parlando più ignobile della prima copia. Naturalmente non mancano divergenze essenziali nelle dimensioni dell’inquisitoria. Il processo dandoliano è scarso di attori: i personaggi sono vivi, bene individualizzati, nervosamente delineati dalle deposizioni, ma sono pochi; il nostro ha comune con quello del 1485, di Innsbruck e di Wilten, la larghissima partecipazione del popolo: le persone sospette sono parecchie in ogni villaggio, i testimoni sono numerosissimi; vestendo con parole d’oggi criteri d’altri tempi si potrebbe parlare di una strana epurazione religiosa, di un referendum pubblico, di una ancor più strana statistica dei peccati contro l’ortodossia confessionale.[p. 29 modifica]

 

La fama pubblica dà, per concludere, alla prima persecuzione delle streghe di Val di Non una attenuante di soggettiva buona fede che manca al processo di Nogaredo. Resta aperta la questione se nel primo caso si sia fatto abuso della tortura con eguale larghezza e leggerezza che nel secondo. I documenti fin’ora esplorati tacciono, come già abbiamo constatato, ma quel tanto che dall’istruttoria emerge parla a favore di maggiore coscienziosità e correttezza (una correttezza sempre relativa, ben s’intende!) anche in questo rispetto. — Dunque chi volesse tracciare la traiettoria del furore fanitico attraverso il seicento dovrebbe, purtroppo, darne un diagramma parabolico: incominciando con un certo buon senso, con quasi certa buona fede e con maggiori cautele la pratica forense venne man mano a cadere in preda della cecità superstiziosa e, aiutata da una più larga inventiva della fantasia popolare, finisce cogli eccessi deplorati e illustrati dal Dandolo cogli orrori degli ultimi processi.

 

 

L’elemento folcloristico.

 

 

I primi processi contro le streghe tenuti in Völs (1510) a danno di nove imputate (Documenti del Ferdinandeo) come pure quello a carico di Orsola Zanggerin di Neunkirchen nel Salisburghese condannata dal giudizio urbano e circolare di Kitzbühel (1594) ànno la caratteristica comune di una larga infiltrazione di elementi leggendari e tradizionali nelle confessioni delle vittime. Sia per vera e propria mania religiosa, sia per isteria prodotta da suggestione individuale o collettiva o dal dolore della tortura, sia per mera obbedienza ai suggerimenti del giudice inquisitore, le poverette descrivono nella loro confessione tutto le avventure che s'intrecciano nel mito medioevale delle fate, del sabba e della vita sovranaturale delle devote al demonio. Tipico il tratto antropofagico del pasto di bambini: costante il particolare della fuga (sulla granata) attraverso i comignoli, nel vortice del vento (Windsbrant) per portarsi ai conventicoli notturni del diavolo, ai festini sacrileghi, alle orgie saturnali sul monte Rosengarten, sullo Schlern o in altri noti boschi diabolici (luci demoniaci). [p. 30 modifica]Nella nostra istruttoria questa descrizione è assai sbiadita: un semplice accenno nel particolare della tregenda sul Roen: la fantasia manca, o si riduce a povere invenzioni: si vede che questa mitologia non e indigena nel paese o è ridotta a pochi elementi importati dal furore antilammico stesso o dai rapporti internazionali fra latini e germani iustaconfinanti.

 

L'unica creazione che pare indigena è quella del Salvanel o homunculus silvanus, un derivato delle figure mitologiche di Satiro o di Pan: questa contaminazione (come direbbero i filologi) cioè questo frutto della commistione di due concetti, l’uno cristiano del demonio, l’altro della divinità binaturata boschereccia del Fauno, è abbastanza esattamente delineata: nei processi tedeschi abbiamo la forma diabolica: die teuflisch Gespenst, che ricorda il nostro Salvanel ma è assai meno concreta negli attributi; essa corrisponde piuttosto al nostro fantasma. Un parallelo fra il cosidetto Basadonne e la Windsbraut avrebbe qualche buon argomento a sua giustificazione, ma nel nostro materiale non c’è traccia che possa indurci a tentarlo. Maggior ricchezza di particolari fantastici appare nel processo di Nogaredo, ma essi, lungi dall'esser prodotto autoctono del folclore terraneo, mi paiono piuttosto il frutto nefando della leggenda e della letteratura forense. I processi stessi diedero l’indirizzo, la materia prima e il primo germe a un vasto ciclo di superstizioni sulle fatture, sulla tregenda e sul connubio col diavolo. Siamo di fronte all’evoluzione d’uno strano concetto del soprannaturale (i filosofi che negano la vitalità delle idee, mi perdonino questa sintesi) che da oscure e incerte origini viene concretandosi, materializzandosi in un mondo tutto nuovo di creazione collettiva e di innegabile valore estetico; la scuola romantica lo seppe! Ciò non toglie che di queste, come di altre consimili produzioni della fantasia, il mondo avrebbe potuto fare a meno, anche a costo, forse, di rinunciare a qualche pagina delle più tipiche del Faust.

 

Interessanti sono i piccoli saggi di folclore religioso che faccio seguire nell’Appendice. La preghiera della Croce è forse il monumento più ben conservato ed ha un senso compiuto espresso in un giro stilistico abbastanza corretto. Ricorda la preghiera della antica scuola lombarda (Bonvesin da Riva) del secolo XIV e non è punto escluso che da essa provenga, quantunque mi lusinghi più l’opinione che si tratti di una giaculatoria indigena, d’un primo gioiello della letteratura religiosa anaune.[p. 31 modifica]

 

La canzone di Santo Stefano è conservata in uno stato miserando: la grafia aggrava le oscurità e le difficoltà della versione. Già la prima parola: Bramant - Chiamant - Beamant è indecifrabile e tutti i primi periodi sono privi di un senso definito. Nel resto della cantilena si delinea un dialogo che arieggia pure la scuola lombarda e si veste di proposizioni un po’ più chiare.

 

L’orazione della Cattarina Castellana confonde Massenza con Maddalena e Maria Santissima, almeno così mi pare; è una giaculatoria popolare abbastanza ingenua.

 

L’orazione delle tavole da Roma, un prezioso monumento di cicalata religiosa, è bene conservata; solo il principio e un po’ oscuro. Come la Ricetta contro el mal de cau s’avvicina molto a quei poveri squarci di rimele popolari che ancor oggi, ultimi fossili di una letteratura passata, sopravivono nelle menti e nei discorsi del popolo.

 

Con queste povere reliquie ci riesce di sospingere d’un secolo indietro la soglia della letteratura nonesa finora conosciuta.

 

 

L’elemento linguistico.

 

 

Il fatto che la stesura dell’istruttoria non è latina, come in altri processi del genere, ma volgare, mi fece sulle prime concepire delle speranze che poi rimasero, in parte, disilluse: il linguaggio è il dialetto veneto aulico, proprio di tutti i documenti del tempo deformato da elementi trentini e anauni mescolati a toscanismi già frequenti nel mosaico artificiale del parlar zevil. Qualche volta la lingua aulica — nei momenti più commossi e più dominati dall’emozione — si avvicina assai al vernacolo anaune puro: ma solo per breve giro di frasi che ci lasciano intravedere uno stato glottologico non molto diverso dal presente.

 

Ecco un elenco degli elementi che mi paiono degni di nota:

 

lessico significato

 

 

 

 

 

 

 

Processi contro le streghe nel Trentino

Augusto Panizza

1888

Informazioni sulla fonte del testo

 

 

 

 

 

I PROCESSI

 

 

CONTRO

 

 

LE STREGHE NEL TRENTINO

 

 

 

Anile sane et plenum superstitionis nomen....

Superstitio fusa per gentes oppressit omnium

fere animos atquo hominem imbecillitatem

occupavit....

O delirationem incredibilem! Non enim omnis

error stultitia est dicenda....

 

Cicero, de Divin. II. 7. 72. 43.

 

 

 

Introduzione

 

 

 

 

Confortato da amici a mettere mano alla pubblicazione dei processi contro le streghe nel Trentino, stetti per qualche giorno in dubbio se dovessi stampare senz’altro le carte che si riferiscono a questo lacrimabile soggetto, o se dovessi premettere alla stampa qualche cenno storico sull’argomento. Mi decisi per il secondo partito, e perché forse fra i lettori di questa memoria, se ne troverà, alcuno potrebbe desiderare di avere delle preliminari notizie, e perché quasi a colpo d’occhio si possa vedere quale è la parte cui rappresenta il Trentino nel lugubre dramma psicologico-giuridico che funestò per secoli tutta l’Europa civile, e finalmente perché, discutendosi fra gli scrittori [p. 4 modifica]dove abbia a trovarsi la radice prima della “ stregheria „1 forse non sarà inutile che raccolga qualche osservazione e qualche piccolo studio fatto su cotesto argomento. Il quale a me sembra più grave ed importante che forse non paja a prima vista, non tanto per la ragione che è giustizia restituire a ciascuno quello che gli spetta, quanto perchè solo conoscendo un fenomeno storico dalle sue prime origini se ne può meglio e stimare la indole e spiegare il procedimento.

 

In fatti, senza la notizia di tali origini non deve rimanere quasi enigma ribelle ad ogni interpretazione il fatto, che la stregheria ed i processi contro le streghe giunsero al massimo di loro intensità in un tempo quando l’Europa era rinata ai buoni studi e procedeva già su quella via di avanzamento morale, intellettuale e scientifico, che la condusse alla presente civiltà, promessa ed arra di migliori destini?

 

Fra coloro i quali scrissero di proposito, o per incidenza, sulla storia della stregheria v’ha divergenza d’opinioni sul punto dove sieno a trovarsi i primi germi di cotesta superstizione. Le principali teoriche più recenti — ché delle remote non accade parlare — sono due, mentre taluno vuole, che la mala pianta sia quasi un pollone delle superstiziose credenze dell’antichità classica, greco-romana, fattosi poi indipendente e cresciuto gigante nell’età di mezzo tra le genti barbariche né ben idolatre né ben cristiane, 2 dove altri crede, essere dessa nata quasi spontanea tra’ popoli di razza germanica, i quali, non ancora intimamente convertiti al cristianesimo, portarono seco parecchie delle superstizioni [p. 5 modifica]degli antichi loro avi.3 Se mi venga permesso dire la mia opinione, pure avvicinandomi più a quest’ultima teorica che non alla prima, sono dell’avviso, che anche tra i Germani sia stata gettata la triste semenza da altre genti, e che essi nelle loro trasmigrazioni e coi loro imperi la abbiano poi sparsa di seconda mano sulla faccia dell’Europa, dopo averla nel corso del tempo, per così dire, rinvigorita e ravvivata con qualche parziale ritaglio di classiche rimembranze superstiziose.

 

Che gli antichi greci e romani avessero molte superstizioni è cosa provata e nota a tutti; ma non è certo nelle strane ed irragionevoli credenze o nelle ridicole pratiche personali e domestiche della gente privata, o nei riti religiosi degli oracoli, degli auguri, degli aruspici che troveremo le traccie originarie della stregheria. Si potrebbe invece sospettare di vederle nella quasi universale credenza alle arti magiche ed ai portenti, che si attribuivano all’opera di maliarde, di saghe e simili.4 Ma se deve ammettersi, che tanto la superstizione antica, quanto quella barbara e la moderna, si rispondono in ciò che attribuiscono fede ad un’arte ultranaturale colla quale si possano costringere gli spiriti a mostrarsi visibilmente o in altro modo a manifestarsi ai nostri sensi, ed in ciò che si dovrebbero

 

[p. 6 modifica]attribuire all’opera diretta od indiretta di cotesti spiriti dei portenti, non è però meno vero, che passa una sostanziale differenza tra magia e stregheria, come vedremo tantosto, e che per ragionare giusto di quest’ultima, non bisogna mai confonderla con la prima, giacchè con essa ha solo qualche parziale contatto, ma non identità, e non istà colla medesima in relazione di dipendenza o di discendenza. — La stregheria si avrebbe potuta sviluppare e svolgere nelle sue parti essenziali senza che fosse esistita punto nè la mitologia nè la superstizione classica. — L’antichità greco- romana, infatti, non conosceva nella sua mitologia i due “ principî del bene e del male, „ l’uno in opposizione continua e necessaria coll’altro, la quale premessa è necessaria alla teorica della stregheria. Poichè questa ha il suo substrato nella lotta del “ diavolo „ contro i fedeli di Dio per trarli seco a dannazione. Nè l’antichità classica poteva conoscere il “ diavolo, „ od angelo rubello precipitato nell’inferno, nè gli dêi dell’inferno pagano sono a confondersi coi “ diavoli, „ nè l’inferno della gentilità somiglia punto a quello dei cristiani.5 — Aggiungasi, che la classica mitologia non ammette la diretta comunicazione de-

 

[p. 7 modifica]gli uomini cogli enti sovrumani tranne che nei tempi eroici,6 che gli scopi per i quali fra’ nostri antichi si esercitavano le arti occulte o si invocava l’opera dei maghi, — in generale, predizione del futuro od ajuto in faccende d’amore — erano ben diversi da quelli per i quali le streghe volavano colla tregenda e si davano anima e corpo al “ diavolo, „ che in nessun autore — per quanto io mi sappia — si legge qualche cosa che si avvicini alle sudicie, sinistre orgie e nefandezze tra uomini e spiriti, quali sono quelle che si narrano dei convegni delle streghe, e che la stregheria domanda come conditio sine qua non la preesistenza del cristianesimo. E quindi si spiega perchè le leggi romane anteriori all'epoca cristiana non si curassero della magia e de’ suoi adepti se non in quanto per opera loro taluno venisse danneggiato nella roba o nella vita,7 dovecchè quelle posteriori hanno un carattere essenzialmente diverso. 8 — Non isfuggirà per il resto, chi [p. 8 modifica]bene guardi, che nella legislazione romana troviamo non di rado messi insieme e trattati colla stessa severità indovini, negromanti, ciarlatani, maghi e avvelenatori, la qual cosa venne probabilmente solo da quel mistero di che tutti si circondavano, quando anche per iscopi ben diversi.9

 

Esistono, dopo tutto, tra magia e stregheria anche altre differenze importanti, le quali non permettono credere, che la prima sia la legittima madre della seconda. Così il mago e la maliarda, operano da soli o in piccola compagnia di soci o di ancelle,10 dove le streghe costituiscono una innnmerabile associazione regnata da un despota; maghi e mali-arde agiscono da sè, quand’anche per virtù ottenuta, spontaneamente o forzatamente non importa, dall'ente superiore, a profitto loro o dei loro clienti, dove nella stregheria l’agente è sempre il “ diavolo, „ che si serve dei suoi adepti come di semplici strumenti per fini suoi esclusivi; ed anche tra i portenti che si attribuiscono all’opera dei maghi e quelli che si attribuiscono all’opera delle streghe se c’è somiglianza parziale — cosa spiegabilissima — non c’è af-

 

 

[p. 9 modifica]fatto identità. Le favole degli antichi nostri, raccogliendo molto in poche parole, sono il prodotto di menti serene, di fantasie meridionali ed artistiche, di una immaginazione ridente come il cielo di Italia e di Grecia, — le favole proprie delle streghe sono oscure, paurose, annebbiate di quel misticismo che è retaggio speciale di genti settentrionali, figlie di una mitologia bellicosa, tempestosa, cavernosa, e sono, diciamolo pure, inquinate da certe sudicerie puzzolenti, che ripugnano al senso estetico delle popolazioni di sangue latino.11 — Alcune favole della poesia classica sono passate ad ogni modo ad arricchire il patrimonio della stregheria, e tra queste, quella che panni abbia maggior importanza per noi è quella delle “ Striges. „ Non rincresca all’indulgente lettore se ne dico alcuna cosa, perchè servirà a far vedere da un caso singolare, come e con quali mutazioni la creazione fantastica dei classici è passata nella leggenda delle streghe. — Da Ovidio sappiamo che cosa fossero e che cosa facessero le “ Striges „ — dalla qual voce discende l’italiano Strega, e l’appellativo del latino barbaro e dei nostri dialetti Stria. —

 

Sunt avidæ volucres, non quæ Phiueïa mensis

Guttura fraudabant, sed genus inde trahunt.

Grande caput, stantes oculi, rostra apta rapinis,

Canities pinnis, unguibus hamus inest.

N octe volant, puerosque petunt nutricis egentes,

Et vitiant cunis corpora rapta snis.

Carpere dicuntur lactentia viscera rostris,

Et plenum poto sanguine guttur habent.

 

[p. 10 modifica]

Est illis strigibus nomen, sed nominis hujus

Causa quod horrendum stridere nocte solent.

Sive igitur nascuntur aves, seu carmine fiunt,

Noniaque in volucres marsa figurat anus,

In thalamos venere Procæ....12

 

 

Non sa adunque il poeta se le “ Strigi „ sieno uccelli — come in certo modo, meno il capo di fanciulla, sarebbero le Arpie,13 — colla famiglia delle quali sono però imparentate, oppure se sono donne, mutate in uccelli per virtù di incantesimi. Della qual cosa non è a farsi meraviglia, poiché certe donne avevano il potere di trasformarsi in uccelli.14Ma sa, che si recavano so-

 

[p. 11 modifica]pra le cune dei bambini, assenti le nutrici, ne laceravano il corpo cogli artigli e ne succhiavano poi il sangue. — Anche alle streghe era dato cambiarsi in animali, ed anche esse si dilettavano talora di mandare a male i fanciulli, ma però erano, in certo modo, più umane, poiché non ne sbranavano le tenere membra e si contentavano di succhiarne il sangue dalle dita, o più di frequente dai piedi, senza lasciar traccia di ferita. Come non conosco altre malefatte delle Strigi che quella di sopra notata, e non trovo nè che fossero molto numerose, nè che costituissero una società, nè insomma altri particolari che le avvicinino maggiormente alle streghe, così mi pare logico dedurre, che errerebbero a gran pezza coloro, che nelle “ Striges „ Volessero ravvisare le classiche Megere della tregenda, dovecchè esse non vi furono assunte, che per dare in Italia un nome greco-latino alle paurose versiere della leggenda settentrionale, cui portarono in dote un piccolo contributo.15

 

Ma un altro nome doveva venire carpito alla mitologia italica dalla leggenda delle streghe, quello di “ Diana „ , e questo per vero sotto tali circostanze, che potrebbero condurre qualche osservatore superficiale a credere, che l’elemento latino sia entrato più che non paia a me nella sua formazione.

 

Reginone ab. di Pruem (provincia di Treviri), morto nel 915, nella sua Raccolta di Decreti riporta quasi alla lettera un brano del così detto Canon Episcopi che suona:16

 

Cum voluit puro fulget in orbe dies.

Sanguine, si qua fides, stillantia sidera vidi,

Purpureus lunæ sauguine vultus erat.

Hanc ego nocturnas versam volitare per umbras

Suspicor et pluma corpus anile tegi.

Suspicor et fama est. Oculis quoque popula duplox

Fulminat et gemino lumen ab orbe vonit.

Evocat antiquis proavos atavosque sepulchris

Et solidam longo carmine findit humum etc.

 

[p. 12 modifica]

Illud etiam non ommittendum, quod quædam sceleratæ mulieres retro post Satanam conversæ dæmonum illusionibus et phantasmatibus seductæ, credunt se et profitentur nocturnis horis cum Diana paganorum dea et innumera multitudine equitare super quasdam bestias, et multa terrarum spatia intempestæ noctis silentio pertransire, ejusque jussionibus velut dominæ obedire et certis noctibus ad ejus servitium evocari. „ — Dopo Reginone ricordano questo “ Corteo di Diana „ molti autori, e se ne parla in qualche processo di streghe17; se non che per quanto è a mia notizia nessuno sospetto, che esso sia in vero un corteggio condotto da una divinità ben diversa dall’italica Diana, e che anzi in questo episodio si trovi una delle prove, che tutta la leggenda poggia sopra un fondamento settentrionale.

 

Nel seguire passo per passo la storia della stregheria l’ab. Tartarotti18 trova, che, circa un secolo dopo Reginone, parla del detto Corteo Burcardo vescovo di Vormazia19 con queste parole: “ Credidisti ut aliqua femina, sit quæ hoc facere possit, quod quædam a diabolo deceptæ se affirmant necessario et ex præcepto facere, idest cum dæmonum turba in similitudine mulierum transformata (quam vulgaris stultitia20Holdam vocat) certis noctibus equitare debere super quasdam bestias et in eodem se consortio annumeratam esse? „

 

 

[p. 13 modifica]

 

Non potendo dubitare l’eruditissimo Tartarotti — e nessuno il potrebbe, — che la compagnia accennata da Burcarde sia quella medesima della quale fa parola Reginone, egli si tormenta per trovare la spiegazione del come e del perchè la compagnia di Diana paganorum dea di questo si sia cambiata nella Holda vulgaris stultitiæ di quello.21 È un fatto, che il passo di Burcardo torna alquanto oscuro. Quel turba in similitudine mulicrum transformata (quam vulgaris stultitia [superstitio] Holdam vocat) verrebbe a dire, che tutto il corteo si appellasse Holda, dove noi sappiamo per cosa certissima, che Holda era detta non già la compagnia, ma la condottiera della compagnia. Dal che si dovrebbe conchiudere, o che Burcardo non conobbe con tutta esattezza la volgare leggenda, o che il testo che nei abbiamo del suo scritto per qualche onimissione o storpiatura di amanuense è difettoso.

 

Comunque sia la cosa, che per il resto è indifferente, al Tartarotti sfuggì la Vera importanza di questo passo, la quale sta in ciò, che restituisce alla Diana paganorum dea il suo vero nome nazionale di Holda. Questo ci viene imparato dalla mitologia tedesca, la quale al tempo dell’esimio critico roveretano era ancora poco meno che per intero nascosta in vecchie carte e nelle tradizioni popolari allora quasi inesplorate.22

 

Chi conosca il mito della brigata di Diana come ci venne tramandato dai poeti troverà impossibile a spiegarsi il modo col quale essa si sia potuto trasformare nella compagnia di Reginone e di Burcardo. Diana in origine era una divinità nazionale italica, ma l’influenza ellenica già in tempi molto remoti la confuse [p. 14 modifica]e la identificò con la greca Artemisia. Simboleggiò la luna, e perciò fu creduta sorella gemella di Apollo (il sole), figli di Giove e di Latona. Ottenne in grazia dal padre di restare vergine, e di vivere e di regnare tra le sue compagne, ninfe figlie dell’Oceano, e le sue ancelle, ninfe cretesi, sui monti e nelle selve, trascorrendo il tempo fra la caccia e le danze, protetta dalla densa ombra del bosco quando con esse scendeva abagnarsi. Così ci parla di Diana e della sua gentile brigata Virgilio:23

 

Qualis in Eurotæ ripis aut per juga Cynthi

Exercet Diana choros, quam mille secutæ

Hinc atque hinc glomerantur Oreades,24 illa pharetram

Fert humero, grafiiensque deas supereminet omnis,

Latonæ tacitum pertemptant gaudia pectus —

Talis erat Dido....25

 

Concedasi pure, che da taluno Diana venne confusa con Ecate, diventata nel processo del tempo terribile dea infernale, che come tale fu detta triforme, e regnò la notte, e trescò coi Mani sui trivii, concedasi eziandio, che la credenza dei primi secoli cristiani trasmutò gli dei falsi e bugiardi in altrettanti “ diavoli, „ — tutto ciò a me non pare sufficiente a spiegare la metastasi della virginea e meridionalmente estetica brigata delle Oreadi nel pauroso codazzo, che cavalca strane bestie, e nel cuor della notte trascorre molti paesi. Anche la trasformazione della favola, diventata leggenda, segue certe regole, che non isfuggono all’attento osservatore, e due fra queste si possono accettare ad occhi chiusi, vale a dire, che nulla vi procede per salto, e che gli estremi non vi si toccano.

 

Nella Mitologia tedesca Holda è la dea del sole26 e delle [p. 15 modifica]nubi piovose, abitai monti e le selve, presso le fonti ed i laghi, allo specchio dei quali intreccia le sue chiome dorate. È giovane, bella, benefica. Ma talora muta indole, costume e figura: in compagnia di Odino (Wuotan), di Freyja e di Berchta27 corre l’aria fra le tempeste. Essa, identificata con Freyja, ha aggiogati al suo cocchio due gatti, e s’incontra con Thor (dio del tuono), che ha il suo carro tirato da becchi.28 Nella leggenda germanica poi si ha, che Holda, con o senza Odino, Freyja e Berchta, è una delle principali o la principale condottiera dell’ “ esercito sterminatore „ o “ della caccia selvaggia „ (wüthndes Heer, wilde Jagd). Specie nelle dodici misteriose e leggendarie notti circa al solstizio d’inverno (in den Zwölften) una infinita turba di spettri a cavallo di mostruose, fantastiche fifende l’aria rasente terra con un romore infernale, e travolge nella sua rapina ed uccide quanto incontra 0 si oppone al suo precipizio.29 Questa favola è antichissima nei paesi tedeschi, — e diciamolo di passaggio, vi è ancora moneta non del tutto fuori di corso. — Provato, che Holda e come dea della luce, e come abitatrice delle montagne edelle selve, e come protettrice delle acque trova nella mitologia classica il suo parallelo in Diana, che cosa è più facile, anzi naturale a credersi di quello, che i semi barbari tedeschi, famigliarizzati per i loro contatti coi romani, e coi miti classici abbiano adottato per la loro dea il nome della dea italica? Simili scambi non sono fuori del naturale nè rari. 30 [p. 16 modifica]E giacchè sono sul parlare di Holda credo non del tutto superfluo ricordare eziandio, che dessa con Berchta, o confusa con questa, era la divinità che aveva in protezione le filatrici, e ne sorvegliava l’opera. Come nei cosi detti filò (convegni serali e notturni delle filatrici) il maggior numero era di donne vecchie, e le streghe sono vecchie, ed il solito divertimento di tali convegni era quello di narrare le Storie (fiabe, novelle), ed uno degli argomenti prediletti di coteste Storie era la stregheria, non viene anche per codesto messa in relazione Holda colla leggenda delle streghe?31

 

Purgata per dir così la antichità classica greco-romana dalla accusa di avere portato essa all’Europa la peste della stregheria, coll’ultime considerazioni fatte sono venuto, quasi non volendolo, a trovarne il paese d’origine. Ma poichè da un fatto singolare, per quanto grave, non è lecito cavare conseguenze assolute, sia a me permesso notare, che secondo la Mitologia tedesca tutto il creato era dominato da misteriosi demoni, che Sotto gli svariati nomi di Giganti, di Nani, Dame-bianche, di Vergini-cigni, di Elfi, di Coboldi, di Nixi, di Incubi (Alp), di Gnomi e Gnumidi, di Ondine, di Silfi, di Salamandre e di non so quali altri generi di spiriti benefici, malefici, innocui, irrisori ecc. popo-

 

[p. 17 modifica]lavano l’aria, la superficie e le caverne della terra, le acque, il fuoco, le case, i campi, i monti, i deserti, — ogni cosa, in una sola parola. — — Questi spiriti o genî erano in continuo contatto coll’uomo, dalla nascita alla morte, favorendune le fortune, cagionandogli le disgrazie. La credenza negli spiriti, che formavano come un anello di congiunzione tra il mondo materiale ed il mondo immateriale, non cessò tra’ popoli settentrionali coll’introduzione del cristianesimo, ma durò per vari secoli; e tanto è vero, che le diverse famiglie umane alterano la forma delle loro avite credenze solo procedendo a minimi passi, che anche oggi, come nella bassa Italia il volgo crede al malocchio e alla jettatura, cosi in Germania non viha ancora perduta ogni fede negli spiriti. — Questo premesso, produrrò qui, compendiandole, le ragioni per le quali i fratelli Grimm già avanti 50 anni e più credettero indiscutibile il fatto, che la stregheria abbia avuto le proprie radici nella costumanza, nelle credenze e nelle leggende tedesche.32

 

Viene da loro anzitutto osservato, che quando il cristianesimo penetrò in Germania vi si conoscevano, e ab antico, e la magia ed i maghi, ed in ispecie le maliarde; e quindi acutamente assodato, che la stregheria stava in istretto collegamento e colla credenza nel regno degli spiriti da una parte, e coi sagrifizi e colle adunanze dall’altra. I tempi ed i luoghi de’ convegni delle streghe coincidono con quelli delle feste, delle assemblee popolari e dei giudizi alemanni; le streghe che si affaccendano di notte, armate di forche e di cucchiai, intorno alla bollente caldaia, sono un ricordo delle operazioni che si facevano per l’estrazione del sale. Quanto a’ convegni delle streghe i Sigg. Grimm ne spiegano la genesi cosi:33 “ Quand’ anche il maggior numero dei tedeschi fosse già convertito alla nuova religione, il cristianesimo, singole persone rimasero per qualche tempo ancora fedeli all’antica, ed in segrete conventicole celebravano i riti pagani. La notizia di questi sacri convegni (Heidinnin) venne sussurrata tra’ cristiani; alle vociferazioni si mescolò la demonologia avita; e i fatti e la fantasia poi crearono la favola della tregenda e [p. 18 modifica]de’ congressi delle streghe dove s’avevano a continuare a commettere tutti gli abbominî del paganesimo. „

 

I sigg. Soldan e Heppe nelle Conclusioni della loro citata storia si ingegnano bensì di combattere le argomentazioni dei sigg. Grimm, ma lo sforzo e l’artifizio sono così evidenti nella loro difesa da non meritare una seria confutazione. E questo dicasi a tanto maggior ragione, quanto più essi medesimi in altro luogo di detta opera34 ci danno in mano l’arme migliore per combatterli, mettendoci sulle traccie del modo col quale la credenza nelle streghe penetrò fra i popoli di razza alemanna. Tolgo e traduco dalla indicata storia una notizia, che per sicuro non è senza interesse, lasciando però ogni responsabilità sulla sua esattezza cui incombe.

 

Soltanto negli ultimissimi tempi è riuscito alla scienza di aprire i segreti, che racchiudeva in sè la sala della Biblioteca dei re a Ninive, giacche Enrico Rawlinson, il grande orientalista inglese, l’anno 1866, nel secondo volume della sua opera Cuneiform inscriptions of Western Asia, comunicò una tavola abbastanza grande con 28 scongiuri magici, ed in seguito trovò nella biblioteca del vecchio palazzo reale, tra migliaia di rottami di tavolette di terra cotta, i frammenti di una voluminosa opera di argomento magico, che nella sua totalità abbracciava non meno di 200 tavole. Questi inestimabili documenti, come tutti quelli della Caldea che hanno relazione con cose di magia, sono compilati in lingua accadica, vale a dire, in quella lingua turanica, parente cogli idiomi finlandesi o tartarici, che era parlata dalla popolazione originaria, preistorica, della pianura del Basso Eufrate (Caldea). Assurbanhabal, re d’Assiria, nel settimo secolo a. C. li fece trascrivere assieme alla versione interlineare assira colla quale erano stati conservati, e li unì alla sua Biblioteca. Perché senza questa versione interlineare le vecchie iscrizioni non sarebbero state intese, conciossiachè la lingua degli Accadi era già allora cessata e morta da circa un millennio... „

 

Dopo avere considerate le teoriche religiose di cotesto po[p. 19 modifica]polo antichissimo, accennando che era dato quant’ altri mai alla magia (e si sa che la magia ebbe quasi per patria la Caldea. dal che venne che Chaldœus equivaleva a Mago), che esistevano moltissime formule di scongiuri e di pratiche cabalistiche, e che gli Accadi conoscevano e distinguevano i due principi del bene e del male, costituiti da due distinte famiglie di enti superiori, gli Autori continuano:35

 

Nel paese degli Accadi, come si vede dagli Scongiuri immaginati contro gli affascinamenti, esisteva gran numero di incautaturi e di incantatrici, che vengono designati come scollerati, tristi, alle cui operazioni si osava solo di accennare velatamente, perchè la paura che se ne aveva, metteva in agitazione gli animi di tutti. Infatti non si avrebbe potuto figurare qualsiasi malanno, cui fosse loro riuscito impossibile di produrre. Affascinavano col malocchio e con parole, e costringevano cogli scongiuri i demoni a fare quanto essi volevano. Aggiungasi, che presso gli Accadi ed i Caldei (come più tardi in Tessaglia) erano specie le donne che esercitavano la magia diabolica per la quale usavano formule, nodi, filtri, ed in peculiare modo artificiali immagini delle persone di che si trattava. Per il resto fra gli Arcadi era già diffusa la credenza, che le streghe tenessero i loro congressi, e che si recassero ai medesimi cavalcando un bastone! „

 

Questa Magia presso gli Accadi poggia sopra un sistema mitologico completo e collegato in tutte le sue parti, e tale che mostra la miglior concordanza colla mitologia dei Finni. Ond’ è che siamo autorizzati a far risalire cotesta credenza nei demoni (spiriti del male) e nella magia che vi è collegata ai primordi dell’umanità, quando gli Accadi, che vivevano presso l’Eufrate ed il Tigri, formavano un solo popolo coi Finni dell’alto settentrione d’Europa. „

 

Non si conosce con precisione l’epoca nella quale i Finni dall’Asia vennero in quella parte del mondo che abitiamo noi, ma o che questa coincida circa coll’éra volgare, oche sia di qualche secolo posteriore alla stessa, è però certo, che essi occuparono una volta molto maggior paese che non ora, e che si estesero an[p. 20 modifica]che sopra una parte almeno della Germania. — Ne per altro rispetto si può dubitare, che non sieno venuti a contatto con popoli di razza germanica.

 

Dato questo, non pare egli probabile il cammino fatto dalla credenza nelle streghe? Dall’Asia coi Finni (Accadi) passò in Europa, ed i popoli di razza alemanna la presero da quelli, portando alla orientale leggenda quelle aggiunte che l’antica mitologia tedesca offriva più proprie ad arricchirla. Ed i popoli germanici poi la diffusero nei paesi da loro occupati e fra le genti colle quali ebbero commercio, dove di nuovo essa leggenda si appropriò tutte quelle superstiziose credenze e tutte quelle mistico-demoniache opinioni che si adattavano alla speciale favola, per così dire, cristianizzata.

 

Quest’ultimo passo ad ogni modo si può, a mio avviso, seguire nei documenti. Metterò come caposaldo il fatto, che i popoli di razza germanica (Franchi, Alemanni, Goti, Longobardi, Sassoni, ecc.), quand’anche convertiti al cristianesimo, conservarono per qualche tempo ancora parte delle loro avite credenze mitologiche, come il culto a certi alberi, alle fonti, ai sassi, e certe luminarie e fuochi sacri, e certi usi gentileschi nella sepoltura dei cadaveri, e certi sagrifici notturni a’ loro dei, dove non venivano risparmiate neppure le vittime umane,36 spingendo [p. 21 modifica]perfino le cose tauto innanzi da mescolare i loro riti pagani coi cristiani e da trasportare presso le chiese cattoliche qualche parte di loro solennità idolatre.37 — Le leggi invero punivano coloro che continuassero ad osservare le pratiche pagaue o ricorressero ai maghi ed agli indovini con pene più o meno severe,38 ed era caldamente raccomandato alle persone ecclesiastiche di istruire i popoli, ma dalla stessa abbondanza delle disposizioni legislative si può argomentare alla frequenza della loro infrazione. Ordini e pene non fanno molto profitto, se la coscienza e la coltura della gente governata non vi risponda.

 

Nessuno si farà meraviglia se tra cotesti popoli resistesse ferma contro ogni urto la credenza portenti, che si ascrissero all’opera delle streghe. Eccone degli esempi: “ Si quæ mulier alteri mulieri malefucium fecerit ut infantem habere non possit MMD denarios qui faciunt solidos LXII cum dimidio culpabilis judicetur.39 — Si quis alteri aliquod maleficium superiactaverit, sive cum ligaturis in aliquo loco miserit. MMD denarios.... „ ecc., come sopra.40 — “ Si quis vero infantem in ventre matris suaæ. [al. aut antequam habeat nomen, aut natum inter novem noctes] occiderit VIIIM. den., qui faciunt

 

 

[p. 22 modifica]sol. CC. (culpabilis judicetur). „41 — Nel citato Indiculus superstitionum al §. XXIV si parla “ de paganus cursu, quem Yrias42vocant scissis pannis vel calceis, „ ed al §. XXX “ de eo quod credunt quia feminæ lunam comedent, et quod possint corda hominum tollere juxta paganos. „ — Nelle leggi de’ Baiuvari leggiamo: “ Si quis messes alterins initiaverit maleficis artibus et inventus fuerit, cum duodecim solidis componat, quod aranscarti dicunt, et familiam ejus et omnem substantiam ejus vel pecora ejus habeat in cura usque ad annum.... „ 43 Nella legge dei Visigoti: “ Malefici et immissiores tempestatum, qui quibusdam incantationibus grandinem in vineas mittere perhibentur, et hi qui per invocationem daemonum mentes hominum conturbant.... ducentenis flagellis publice verberentur, ecc. „44

 

In questa piccola rassegna, che non è certo completa ma che sarebbe superfluo condurre più innanzi, abbiamo esempi di impedito parto, di feto ucciso nell’alvo materno, di malefici operati mediante scongiuri, di donne che divorano la luna e tolgono il cuore, di incantagione di messi, di danni recati alle campagne con grandini provocate mediante malefici e ligaturæ (nodi), di trasporti di persone da un luogo all’altro, di offese recate alla ragione degli uomini, e se non erro perfino un cenno del Congresso notturno delle streghe.45 Poco manca, adunque, perché sia costruita la leggenda, e questo poco ci viene presentato dagli stessi irrefragabili documenti, che ci hanno offerto gli elementi sino qui considerati.

 

Tra i Franchi-Salii credeva alle streghe ed a’ loro misfatti [p. 23 modifica]non solo il barbaro ed ignorante volgo, ma lo stesso re ed il suo consiglio nella seconda metà del secolo V, se a questo tempo si può far risalire il Pactus logis Salicæ. “ Si stria hominem comederit et convicta fuerit VIII.M. den. qui faciunt sol. CC. culpabilis judicetur. „46

 

Da questa universale credenza viene logico, che se si avesse detto ad una donna onesta, essere ella una strega, ciò sarebbe stato tenuto per una atroce ingiuria. “ Si quis mulierem ingenuam striam clamaverit aut meretricem, et convincere non potuerit, VII. M. denarios, qui faciunt solidos CLXXXVII, culpabilis judicetur „47 — Nelle Aggiunte alle leggi degli Alemanni si ha una sanzione penale simile: “ Si quis alterius ingenuam de crimine sen stria aut herbaria sistit et eam priserit et ipsam in clida (prigione?) miserit et ipsam cum XII medios electos aut cum spata tracta quilibet de parentes adunaverit DCCC solidos componatur. „48 I legislatori longobardi non credevano, in vero, alle streghe, ma ci credeva il popolo, presso il quale era sempre un’ingiuria gravissima dare tale nome ad una donna. “ Si quis mundium (tutela) de puella libera aut muliere habens, eam strigam, quod est mascam,49 clamaverit.... ammittat mundium ipsius.... „50 — E subito dopo: “ Si quis puellam aut mulierem liberam, quæ in alterius mundio est, fornicariam aut strigam clamaverit, et pulsatus pœnitens manifestaverit, se per furorem dixisse, tunc præbeat sacramentum cum XII sacramentalibus suis, quod per furorem ipsum nefandum crimen dixisse.... „51 Le leggi di Rotari però ci dicono qualche cosa di più, perchè provano, che tra’ Longobardi il volgo si vendicava delle streghe uccidendole: “ Nullus praesumat aldiam alienain aut ancillam quasi strigam, quae dicitur masca, occidere: quod christianis mentibus nulla[p. 24 modifica]tenus credendum nec possibile est, ut hominem mulier vivum intrinsecns possit comedere. „52 Che se crudeli furono i costumi de’ Longobardi contro le streghe, inumani all’atto furono quelli dei Sassoni, che le bruciavano e non rifuggivano (orribile a dirsi) dall’imbandirne le carni. “ Si quis a diabolo deceptus crediderit, secundum morem paganorum, virum aliquem aut feminam strigam esse et homines comedere, et propter hoc ipsam incederit et [vel] carnem ejus ad cumedendum dederit [vel ipse comederit] capitis sententia puniatur. „53

 

Ma quali fossero le opinioni del volgo intorno alle streghe, oltrecchè da ciò che si è fin qui detto, è indicato dal titolo: “ De Herburgium „ del Patto delle leggi saliche. Da questo apprendiamo, essersi creduto, che tenessero delle Congreghe, che vi si recassero portate da qualche ente o persona, colà non determinata, che a tali convegni venisse recata una caldaia di rame o di bronzo, e che nella medesima cucinassero qualche cosa. Tale credenza tra i Franchi era viva anche al tempo di Carlo Magno, se a questo può ascriversi la emendata lezione del patto suindicato. — Ecco il testo: “ De Herburgium. — Si quis alterum Chervioburgum, hoc est Strioportium clamaverit, aut illum qui Inium dicitur portasse ubi Strias cocinant, et eum convincere non potuerit, MMD denarios qui faciunt solidos LXII et dimidium culpabilis jndicetur. „54 [p. 25 modifica]La leggenda poi viene compita con quanto si legge nel Canon Episcopi, altrove citato. Giacchè da questo apprendiamo, che era divulgata la credenza, che certe donne, indubitatamente le streghe, cavalcando certe bestie — strioportia — trascorressero molto paese seguendo Holda, convertita in Diana od in Erodiade. Anche il Canon Episcopi cade intorno al tempo del quale parliamo ed è di origine probabilissimamente franca o tedesca. In fatti, mentre è provato, che solo per un errore di Burcardo vescovo di Vormazia quel canone si attribuì al Concilio di Ancira (314), si ha che la massima parte del materiale del quale si servì Reginone abate di Pruem per la compilazione della sua Raccolta di decreti, dove il detto canone compare in parte per la prima volta, è di origine germanica.55 Il Baluzio anzi lo reputa un antico capitolare franco, e questa opinione ha per se molta probabilità, anche prescindendo dall’autorità grandissima dello scrittore cui si deve la raccolta dei Capitolari.

 

Veduto come, quando e fra quali genti si sia maturata la leggenda delle streghe, sarà facile ad ognuno conchiudere, che essa dovette nel progresso del tempo vestire l’aspetto demoniaco col quale ci si presenta all’epoca dei processi, solo che consideri, che secondo l’opinione universale gli dei pagani dovevano essere altrettanti demoni, che il culto accordato a questi, come le reliquie delle superstizioni antiche, erano qualificati a peggio che eresia, ad apostasia, e che il “ diavolo, „ individualizzato, era creduto fermamente in continuo contatto coll’uomo per trarlo a perdizione, e sostituire sè a Dio nella fede e nel cuore di lui. Forse che tra gente rozza e barbara era lungo o difficile il passo tra la credenza nelle perfide malefiche e la persuasione, che le opere loro fossero istigazioni e portenti dello spirito delle tenebre? Tra la credenza [p. 26 modifica]nella tregenda e nei convegni delle streghe e la persuasione, che fossero dirette e presiedute dal diavolo? — Se non troviamo, in vero, nei documenti del tempo del quale parliamo impresso un chiarissimo sigillo demoniaco alla stregheria, se manca fino ad ora, che io mi sappia, specie ogni cenno di un commercio tra l’essere umano e lo spirito delle tenebre (d’incubi e di succubi si parla solo al tempo dei processi contro le streghe), non mancano però dati stringentissimi per dover credere, che anche nei secoli V al IX, de’ quali ci siamo occupati, il diavolo fosse tutt’altro che estraneo alle volgari superstizioni. Le leggi barbariche che ho citate ricordano non poche volte i “ dæmones „ ed il Canon Episcopi dice espressamente: “ Sacerdotes per ecclesias sibi commissas populo Dei omni instantia prædicare debent, ut noverint, hæc „ (la credenza nella tregenda) “ omnino falsa esse et non a divino, sed a maligno spiritu talia phantasmata mentibus fidelium irrogari. Siquidem ipse Satanas.... cum mentem cujuscumque mulierculæ ceperit et hanc sibi per infidelitatem subiugaverit, illico transformat se in diversarum species personarum atque similitudines, et mentem quam captivam tenet, in somnis deludens.... per devia quæque deducit.... Omnibus itaque publice annuntiandum est, quod.... qui fidem in Domino non habet, hic non est ejus, sed illius in quem credit, id est Diaboli.... „

 

Tutti per il resto sanno, che sono molto rari i documenti di cotesti secoli, per istruzione e lettere barbari tra i barbari, e che i pochissimi, i quali ci furono come che sia conservati, non contengono notizie del genere di quelle che vorremmo trovare. — Ma il vedere, che nella seconda metà del secolo XIII la credenza alla possibilità del commercio col diavolo era già tanto ferma da trovarne accusata una povera donna, per me è una prova eloquente, che dessa era penetrata nei popoli molte età prima, avendo avuto tempo di abbarbicarsi e di gettare profonde radici nella coscienza universale, così che dei giudici, che a priori non s’hanno a classificare tra il volgo ignorantissimo, non dubitarono condannarla al rogo.56 [p. 27 modifica]Prima che passiamo ad un altro genere di considerazioni stimo opportuno notare, che, comunque la leggenda sulle streghe si sia svolta da’ suoi principi tra i popoli di razza germanica, tra quelli di razza latina — quando penetrò fra loro e fino a che non venne generalizzata da’ processi contro le povere vittime della universale superstizione — ebbe un carattere se non più estetico, almeno certo più umano. Arrivo anzi a credere, (se non mi faccia velo agli occhi un sentimento di carità per la gente della mia gente), che tra’ meridionali la stregheria sarebbe passata come una fiamma sinistra, ma quasi innocua, se non fossero venuti a fermarne le scintille ed a soffiare nel fuoco degli uomini disgraziatissimi, che furono più infesti all’umanità d’ogni crudelissimo tiranno.

 

Secondo quanto abbiamo da Guglielmo vescovo di Parigi, (1230 circa) la brigata delle streghe o tregenda, così paurosa in Germania, presso i francesi era creduta una specie di società di enti incorporei (substantiæ), detti dominæ Nocturnæ, condotte da una “ Signora Abbundia, o Satia, „ la quale società penetrava nelle case, vi mangiava e beveva, e vi portava l’abbondanza.57 — E Vincenzo di Beauvais (V. Bellovacensis † 1264) ne è testimonio, che la si teneva per cosa tanto poco terribile, che narra delle burle fatte a persone semplici che ci credevano.58

 

Che la detta brigata fosse condotta, per quello che correva fama in Francia, da una “ Dame Habonde, „ e detto anche nel “ Roman de la Rose; „ ed il Du Cange, riportando un passo di Augerio II vescovo di Conserans, ci da anche un altro nome della conduttrice della brigata notturna. e cioè “ Bensozia, „ che certo non è nome da far paura.59

 

Per quello poi che riguarda l’Italia, e anzi tutto ben notevole il fatto, già osservato dall’acutissimo Tartarotti, che il Muratori nelle dissertazioni sulle Antichità italiane del Medio-Evo non fa, tra le altre molte superstizioni, alcun cenno della Tre-

 

[p. 28 modifica]genda.60 La qual cosa nessuno vorrà ascrivere a negligenza od a dimenticanza dell’insigne storico, bensì a ciò, che egli non trovò, nei moltissimi documenti da lui consultati, intorno alla medesima notizie degne di venire ricordate. — Che se vogliamo trovarne nei nostri scrittori, il pensiero corre quasi involontariamente alla ridevole descrizione del congresso notturno fatta da Bruno dipintore “ alla qualitativa melonaggine da legnaja „ di Maestro Simone da Villa. 61 Ne si dica, che la pruriginosa novella del Certaldese non può farci fede delle credenze nelle streghe del volgo fiorentino, perchè toltene le frangie s’accorda troppo bene con altro scrittore quasi contemporaneo del quale parlerò fra poco; ad ogni modo poi ognuno può considerare, che se egli si permise di ricamare sulla stregheria la burla fatta da que’ cervelli bizzarri che furono Bruno e Buffalmacco alla zucca di Maestro Simone, certo è, che la tregenda ed il notturno convegno delle streghe non erano tenute dai fiorentini del sec. XIV quelle cose spaventevoli, che ci vengono figurate dalla leggenda germanica. — E giovi notare, che, credo, tranne il Boccaccio nessun altro novelliere antico italiano fa menzione di streghe o di stregheria, cosa che mi penso non sarebbe mancata, se la credenza in quelle e in questa fosse stata in Italia cosi diffusa e ferma come altrove, mentre, per contrario e nel Novellino, e nel Sacchetti, e in Ser Giovanni Fiorentino ecc., si hanno racconti di maghi e di loro portenti. — Dante, nella Divina Commedia, per quanto mi sappia, usa una sola volta la voce “ Strega, „ ed anche questa solo figuratamente,62 e dove trova tormenti peri maghi, gli indovini, gli eresiarchi, gli atei e via dicendo, non ne trova alcuno per le streghe, che pure nella posteriore opinione dei popoli erano molto più condannabili di tutti costoro. È questo, se si voglia, un argomento negativo a sostegno del mio avviso; se non che per me ha molto valore.

 

Dico questo tanto più sicuramente quanto più mi conferma [p. 29 modifica]nella mia opinione il dotto e pio Jacopo Passavanti, il quale — forse solo tra gli scrittori italiani del trecento — parla un po’ distesamente della tregenda: “ Cosi si truova „ — dice il buon domenicano63 — “ ch’e’ dimonii prendendo similitudine d’uomini e di femmine che sono vivi, e di cavagli e di somieri vanno di notte in ischiera per certe contrade, dove veduti dalle genti credono, che sieno quelle persone la cui similitudine mostrano: e questo in alcuno paese si chiama la tregenda. E ciò fanno i dimoni per seminare questo errore e per mettere iscandalo e per infamare quelle tali persone la cui similitudine prendono, mostrando di fare nella tregenda alcune cose disoneste.64 Ben si trovano alcune persone e spezialmente femmine, che dicono di sè medesime, che elle vanno di notte in brigata con cotale tregenda, e compitano per nome molti e molte di loro compagnia, e dicono, che le donne della torma. che guidano le altre, sono Erodia che fece uccidere San Giovanni Battista e la Diana antica dea dei Greci. „65

 

Se non che lasciando ora di parlare della stregheria, che come si può agevolmente immaginare entrata una volta nella mente delle moltitudini potè prendere tutta quella dovizia di forme [p. 30 modifica]che l’indole e la civiltà di ciascuna nazione le seppe dare, è tempo che venga a toccare della storia del processo contro le streghe.

 

Già gli imperatori romani dopo l’introduzione del cristianesimo avevano stabilite nei loro editti66 pene severissime contro gli auguri, gli aruspici, gli indovini, i maghi e simile gente, la quale, data la nuova fede, non poteva esercitare le arti occulte senza cadere in grave sospetto di apostasia. Ed in codesti editti troviamo i germi del processo, che a suo tempo incominciò a farsi contro gli eretici, e quindi a mano a mano contro le streghe, poichè vi troviamo sancito l’uso della tortura per estorcere la confessione,67 e la pena del rogo, e quella della confisca dei beni. È però debito osservare, che, vivo l’impero di Roma, non abbiamo molte memorie di processi fatti specificatamente contro accusati di sola magia, e cosi in quello che si trattò in Antiochia sotto l’imperatore Valente (364-78), dove molti accusati furono mandati a morte, la severità dei giudici pare sia stata dettata meglio dall’accusa per titolo politico che non per quello di magia. — Ma intorno a codesto tempo (385) avvenne un fatto, che desto un senso di dolore negli uomini meglio veggenti, specie ecclesiastici, e cioè la prima condanna a morte di eretici: Priscilliano, vescovo Spagnuolo, ed alcuni suoi compagni furono decapitati a Treviri, ad onta delle difese e delle proteste di uomini insigni per pietà e per sapienza, come S. Martino, vescovo di Tours, e S. Ambrogio, arcivescovo di Milano. Se non che anche in questo caso va osservato, che i Priscillianisti erano in sospetto di essere dati alle arti diaboliche, e che, oltre lo spirito di vendetta, forse anche in questo caso ebbe la sua parte, sempre fosca nei processi penali, la passione politica, giacché è noto, che l’eresiarca s’era saputo tanto aiutare da rendere irrito un decreto di Graziano, che lo aveva esiliato dalle provincie dell’impero.

 

Ho fatto cenno di questo supplizio, perché nel pro[p. 31 modifica]gresso del tempo le streghe non furono già condannate semplicemente come streghe, ma per la ragione, che il principale titolo di reità stava, — secondo la mente dei giudici, s’intende — nella loro apostasia dalla fede cristiana; e sotto questo aspetto i processi contro gli accusati di stregheria si confusero coi processi contro gli infedeli e gli eretici. — Ma la condanna dei Priscillianisti stette come un fatto unico per lungo tempo nella storia giuridico-ecclesiastica, però che fino al principio del secolo XI la Chiesa procedette molto umanamente si contro gli eretici e si contro gli accusati di magia (non parlo di accusati di stregheria, perche non ve n’ ha memoria), condannandoli soltanto a pene canoniche. — Nelle legislazioni dei popoli di razza germanica, si hanno a fare delle distinzioni. Presso i Visigoti i tempestarî, coloro che sacrificavano ai demoni, o li scongiuravano, coloro che ricorrevano a cotesta gente, coloro che con arti occulte recavano danno alla persona od alla roba altrui, coloro che avessero interpellato indovini e simili intorno alla salute od alla morte del principe, ed i giudici che loro ricorressero per iscoprire malfattori, erano puniti con certo numero di percosse.68

 

Più severi pare dovessero essere i Goti, se è lecito conchiudere da un capitolo dell’Editto di Teodorico. “ Si quis pagano ritu sacrificare fuerit deprehensus, arioli etiam atqneum umbrarii si reperti fuerint, sub junsta extimatione convicti, capite puniantur; malarum artium conscii, id est malefici, nudati rebus omnibus quas habere possunt, honesti perpetuo damnentur exilio, humiliores capite puniendi sunt. „69 Nelle leggi de’ Franchi troviamo, che contro i Sassoni soggiogati e recalcitranti al cristianesimo, quando si nascondessero per non venire battezzati o sacrificassero vite umane al diavolo, e statuita la pena di morte;70 che se invece avessero soltanto fatto atti di culto pagano a fonti, ad alberi, a boschi, o banchettato in onore degli [p. 32 modifica]dèi venivano condannati a multe pecuniarie, notandosi però, che qualora non fossero in grado di pagarle erano assegnati quali servi a chiese. Quest’ultima specie di gastigo toccava anche agli indovini ed ai sortilegi.71 Tra gli uomini di nazione Franca invece, se nei delitti di magia s’aveva tinta di politica, la pena era di morte;72 i semplici indovini dopo essere stati battuti venivano cacciati dalla citta.73 Ma notevole è per mio avviso quanto si legge nel secondo Capitolare di Carlo Magno dell’805 (XXV) De incantatoribus et tempestariis. “ De incantatoribus, auguriis vel divinationibus et de his qui tempestates vel alia maleficia faciunt placuit sancto Concilio (Nicæno?) ut, ubicumque deprehensi fuerint, videat Archipresbyter diocesis illius ut diligentissime examinatione constrigantur, si forte confiteantur malorum quæ gesserant. Sed tali moderatione fiat eadem districtio ne vitam perdant, sed ut salventur in carcere afflicti usque dum Deo inspirante spondeant emendationem peccatorum. Et ut nullatenus per aliqua præmia a Comitibus vel Centenariis absque districta examinatione remittantur. Et hoc si fecerint, Archipresbyteri, dum hoc cognoverint, nequaquam Episcopis celare andeant, et ab Episcopis, ut dignum est, pro hoc corripiantur. „ — Qui trovo affermata la competenza degli uomini di chiesa nei processi per delitti che hanno relazione a magia, e trovo un vago cenno, che costoro procedessero contro gli accusati con troppa severità, perché è loro raccomandato di usare moderazione; dal che mi pare lecito conchiudere, specie se considero le parole tali moderatione fiat eudem districtio ne vitam perdant, che fosse già prima del secolo IX invalso nel processo ecclesiastico-penale l’uso della tortura, o quello di mandare gli accusati di tali crimini a morte. Ond’è che deve darsi lode a Carlomagno della umanità che inculca, quand’anche sia a dubitarsi, se le sue raccomandazioni portassero molto giovamento. [p. 33 modifica]Circa però al processo penale in cotesti tempi è da toccare una differenza gravissima da quello che sanci poi la pratica dei secoli seguenti, e cioè che nelle stesse leggi barbariche si ebbero de’ riguardi ragionevoli quanto a’ testimoni. Così presso i Visigoti non si potevano ammettere come testi gli omicidi, iladri, i rei di ratto, coloro che avessero deposto il falso, criminosi seu venefici, coloro che avessero ricorso ad indovini o sortilegi, e le stesse eccezioni si hanno presso i Franchi.74

 

Ed ora, avvicinandomi alquanto ai processi formali contro gli accusati di stregheria, dei quali specificatamente non s’è fatta parola, è bensì a dire, che non abbiamo atti sincroni che ne trattino, nè conosciamo testimoni che ne parlino per il tempo del quale discorriamo; ci sono però dei fortissimi indizi per dover credere, che tra le genti di sangue alemanno le streghe come tali fossero nei secoli V-IX sottoposte a giudizio punitivo. Questo ci viene dal fatto indiscutibile, che presso i Longobardi ed i Sassoni erano messe a morte dal popolo, e nessuno negare, che le leggi, specie tra genti barbare e semi-barbare, sieno il riflesso o l’eco delle popolari consuetudini. Per altra parte e noto, che presso i Franchi ed i Bajuvari75 venivano puniti delitti che sono quasi esclusivamente propri della stregheria, come l’impedito parto, l’uccisione del feto nel corpo della madre, la maleficii superjactatio, il mandare taluno da un luogo all’altro per arte di magia, l’incantare le messi e via dicendo. Ma quello che più d’ogni altra considerazione mi prova, che donne venissero in effetto messe sotto processo per istregheria, è il vedere, che presso gli Alemanni erano, se non erro, cacciate in prigione,76 e presso i Franchi erano condannate alla pena statuita per l’uccisione, qualora fossero state convinte di avere mangiato uomini.77 Che se si opponesse, essere questo un crimine tutto fantastico, vorrei rispondere, che tale non deve essere stato nella opinione di quella [p. 34 modifica]gente, perchè il vedere nel corpo delle sue leggi sancita la punizione del medesimo dimostra, che di esso venivano portate non rade querele.

 

Nei processi per magia e per istregheria de’ quali abbiamo toccato ebbe una qualche parte l’Autorità ecclesiastica? La domanda ha la sua importanza sotto l’aspetto giuridico-storico, ma io non mi sento ne di negarla, se considero il riferito brano del secondo Capitolare di Carlo Magno dell’805, nè quello di affermarla per mancanza di documenti che ce ne diano fede. Questo però va detto, che nei secoli de’ quali si ragiona le pene cui la Chiesa infliggeva a’ rei di delitti magici erano, in genere, miti e di natura canonica, però che essa non invocò l’aiuto dell’autorità laica — il cosi detto “ braccio secolare „ — che qualche secolo dopo, mentre d’altra parte Pontefici e Sinodi reclamarono contro la irragionevolezza e le crudeltà delle norme processuali e dei processi condotti dalle autorità dello stato. Ricordano gli storici, che Papa Nicolò I (858-067) rinfacciò ad un principe la barbarie della tortura, e che Gregorio VII (1073-1086) si interpose presso il re di Danimarca, perchè impedisse la persecuzione di donne accusate di avere prodotto tempeste e morie.78

 

D’un vero processo contro le streghe si parla dal gesuita Mariana come seguito in Ispagna nel secolo IX,79 d’ un altro è cenno negli Annali di Corvey nel 914;80 tuttavolta bisogna andare cauti nell’accogliere queste notizie siccome quelle che non paiono documentate a dovere; ad ogni modo poi non si hanno su tali processi notizie particolari.

 

Ma circa un secolo dopo, verso il 1020, l’eresia dei Cathari, che s’era largamente diffusa in Europa, provocò una severa reazione da parte dell’autorità ecclesiastica unitasi a quella temporale. Non è del nostro assunto narrare le vicende della persecuzione cui furono soggetti quegli eretici; basti qui accennare, che per estirparne le dottrine e castigare gli eterodossi arsero roghi e in Francia e in Italia ed in Allemagna, e quello che ha mag[p. 35 modifica]giore relazione col nostro argomento, che di essi si diceva non solo che nutrivano crdenze contrarie ai dogmi cattolici, ma che praticassero eziandio i culto del diavolo. — Si legge in fatti presso scrittori del secolo XI, che si radunavano in notturne congreghe dove, scongiurati i demoni, quasi comparivano in forma di bestie, e dopo compiute certe cerimonie, spenti i lumi che ciascuno portava con sè, i comparsi commettevano atti osceni, venivano bruciati bambini e conservate come reliquie le loro ceneri81. Per vero tali eccessi sono ben lungi dall’essere dimostrati da’ documenti dei processi, ma ad ogni modo giova tenerne conto, se non altro per far vedere, che in quel tempo era passato già nella universale credenza de’ popolo e delle stesse autorità della Chiesa, che il diavolo possa comparire, scongiurato, tra gli uomini, e che nelle riunioni da lui presiedute si commettessero orgie d’ogni specie.

 

Colla persecuzone della setta dei Cathari comincia a mostrarsi la massima di diritto penale, la quale a poco a poco fu accolta quasi generalmente, che cioè l’eresia costituisca uno dei più gravi delitti non solo canonici ma pubblici, cui l’autorità dello Stato fosse in diritto di punire colla infamia, colla carcere, colla morte, colla confisca dei beni.82 — In cotesto genere di delitti l’autorità ecclesiastica giudicava, — e la civile poi dava esecuzione alla sentenza. E quando si accordi, che l’eresia costituisca un crimine pubblico — massima che, se non adesso, poteva venire messa innanzi nell’età di mezzo — e si ammetta d’altra parte, che la Chiesa sola può giudicare se esista eresia, mentre però agli ecclesiastici non è lecito bruttarsi di sangue, avremo che la teorica non fa grinza nè in diritto nè in logica.[p. 36 modifica]

 

Se non che la parte attribuita agli uomini di chiesa nei processi contro gli eretici raggiunse il suo apogeo colla istituzione della sacra Inquisizione, o santo Uffizio. — La Provenza verso la fine del secolo XIII erasi gran parte staccata da Roma; e questa fu la ragione od il pretesto della crudele, ferocissima guerra che la disertò per vent’anni (1209-1229), e che soffocò nel sangue, fatto unico forse nella storia del tempo cristiano, un popolo ed una lingua fiorentissimi. Innocenzo III (1198-1216), partendo da quanto aveva decretato contro gli eretici il Concilio di Verona (1183), e proseguendo nel suo cammino fermo e diritto, vi mandò speciali suoi messi, Legati, a scoprire, processare e punire gli eretici Albigesi. Questo Tribunale speciale, che fu sostituito alla stolta e cieca ira degli uomini di guerra e di parte, potè essere sul principio e nella mente di chi lo ideò, una benefica provvidenza (a tempi eccezionali occorrono provvedimenti eccezionali); ma esso, come nel progresso del tempo portò una alterazione alla tradizionale autorità degli Ordinari, cui spettava vegliare alla conservazione del dogma, alla purezza della morale ed alla osservanza della disciplina, così si creò tale fama, che il suo nome anche spogliato dalle esagerazioni “ desta giusto raccapriccio o rammarico ad ogni buon cristiano „83 Per il resto nella Inquisizione contro gli eretici cessò quasi ogni autorità dei diocesani — in quanto non vi ostasse qualche privilegio accordato — sotto Gregorio IX (1227-41), il quale ne trasferì il mandato all’Ordine de’Domenicani, che avevano ad esercitarla per incarico speciale della sede pontificia. Il procedimento, cui adottò il S. Uffizio e che si maturò, come è naturale, nel corso del tempo (non essendonscito come Minerva finito ed armato dalla mente che ideò lo speciale tribunale), rigetta le vecchie pratiche: da accusatorio si fa inquisitorio; i Legati — mandati quando e dove si credeva necessario — cominciano la istruzione non solo in seguito a denuncie documentate, ma sopra sospetti, indizi, fama, voci. Ma tutti sono obbligati a farsi delatori, tutti a prestar testimonianza, [p. 37 modifica]e non si conoscono testi inabili o viziosi. Però l’accusato non viene messo a confronto nè col delatore nè con i testi, i cui nomi perfino gli vengono tenut nascosti. E per cavare a lui di bocca la confessione, senza la quale nessuno si sarebbe potuto condannare, si ricorre alla tortura, ma a differenza di quello che insegnava la pratica del processo ordinario, che per la validità di detta confessione domandava fosse confermata qualche tempo dopo subiti i tormenti, nel processo nostro non si bada troppo a questa poverissima cantela. La difesa o del tutto nulla, o quasi solo accordata per forma, nessuna appellazione della sentenza. E questa, oltre oltre alle pene canoniche, porta sia il carcere, allora crudelissima , per maggiore o minor tempo, sia il rogo, ed accessorio alla pena principale la confisca dei beni del condannato, i quali nel primo tempo per un terzo, poi per due terzi, poi per intero cadono a profitto de’ giudici. Così alla ignoranza ed alla ferocia del tempo, s’aggiunge la maledetta fame dell'oro a dar sì che non si pecchi di misericordia. Immanissime pratiche, dettate da sentimenti nè cristiani, anzi, nè pure umani, ma da fanatismo e da gnadagneria, pessimi consiglieri in qualsiasi età.

 

Non è tuttalvolta a credersi, che i tribunali della Inquisizione fossero accolti dovunque senza opposizione, ed i processi da loro formati non urtassero contro proteste. In Germania nel 1233 fu assassinato l’Inquisitore Corrado di Marburgo, in Francia nel 1208 venne ucciso Pietro di Castelnau, a Tolosa, Narbona ed Albi s’ebbero rivolte nel 1234-35-42, e nell’ultima perdettero la vita quattro inquisitori, in Italia nel 1252 fu morto Pietro da Verona e del 1285 si ricorda una sollevazione a Parma;84 e verso a fine del secolo, mentre la Sorbona si grava delle irregolari procedure dell’Inquisizione, Luigi IX in un editto richiama al dovere l’Inquisitore di Carcassona.

 

E per far vedere, che le opposizioni venivano anche da parte [p. 38 modifica]del clero, ricorderò il ritorno alle ragionevoli teoriche della Chiesa proclamate dal Concilio di Grado (Venezia) del 1296, dal Concilio di Treviri (1310) e da altri, che dichiararono vuote superstizioni le favole della magia e della stregheria, castigando chi vi credesse con pene canoniche.85

 

Ma sei processi della S. Inquisizione procedevano fra ostacoli, camminava a grandi passi nel secolo XIII la volgare superstizione, e d’intorno a questo tempo appunto si può constatare che era venuta a maturità. la teorica del commercio diavolo cogli esseri umani, e dell’omaggio reso a Satana. Per il resto era universale la credenza che si potesse venire a patti col demonio, che per lui si abusasse sacrilegamente di cose sacre, ecc. e ce ne fa fede un Breve di Giovanni XXII del 1320 a Guglielmo inquisitore di Carcassona 86 e la sua Bolla “ Super illius specula. „87 — Processi contemporanei attestano, che nei convegni delle streghe il diavolo avrebbe dovuto comparire personalmente in forma di becco, che esse vi si recassero portate da lui, che vi si mangiassero e cibi schifosi e carne di rapiti bambini, che vi si facessero ridde sataniche, che vi si commettessero infande oscenità e gli stessi ci fanno fare la conoscenza anche coi libri posseduti dalle streghe e dagli stregoni, dove erano a vedersi “ moltos characteres, plurima dæmonum nomina, modum eos invocandi et eis sacrificia offerendi, per eos et eis mediantibus domos et fortalitia diruendi, naves submergendi in mari, magnatum et etiam aliorum amorem ac credulitatis et exanditionis gratiamapnd istos vel illos, nec non mulieres in coniugium — habendi, cæcitatem, cassationem membrorum, infirmitates alias ac mortem etiam præsentibus vel absentibus, mediantibus imaginibus et aliis actis superstitiosis, inferendi et multa mala alia faciendi. „88[p. 39 modifica]

 

Come si vede nel secolo XIV la stregheria con tutto il suo arsenale satanico era formata e matura in tutte le sue parti, i processi erano aperti, gli strumenti della tortura pronti, i roghi accesi!

 

È a dirsi ora qualche cosa per determinare l’epoca nella quale si trattarono da prima processi contro le streghe nell’Italia centrale e superiore.89 Il nostro Tartarotti90 crede, che fossero già introdotti verso il 1350, deducendolo da un passo del “ Tractatus de strigibus „ dell’inquisitore Bernardo da Como (Rategno),91 e dal consiglio di Bartolo che ci toccherà di esaminare tra poco. — Se non che il Breve di Giovanni XXII del 2 maggio 1321, che ho citato avanti e dove è detto, che gli inquisitori di Lombardia avevano concesso a taluno dei loro famigliari in Bologna di portare armi, fa sorgere in me il sospetto, che già a quell’epoca fosse introdotta in Italia la persecuzione inquisitoria contro le streghe, e questo anche più se considero, che lo stesso pontefice in altro Breve del 10 agosto 1325 a Lamberto inquisitore per la Lombardia inferiore92 parla di dannati eretici e di loro leghe e società, sollecitandolo a procedere contro gli stessi, i loro fautori ed i sospetti di eresia. Che se nei detti Brevi non è nominata la stregheria, io credo trattarsi però probabilissimamente di cotesto crimine, perchè non sarebbe stato necessario estendere o rinnovare le facoltà già inerenti all’uffizio coperto dall’inquisitore, se non si avesse dovuto procedere contro un delitto diverso dalla vera e propria eresia. [p. 40 modifica]Non conoscendo io il processo fatto a Villafranca (Piemonte) del 1272 contro certa Pasqueta, che “ faciebat sortilegia in visione stellarum, „ e fu condannata ad una pena pecuniaria,93 non lo porterò innanzi come un’altra prova di ciò, che il processo contro le streghe sia stato introdotto in Italia parecchi anni prima del tempo cui lo fa salire Bernardo da Rategno; lo ricordo però, affinchè chi abbia agio di informarsene vegga a quali conclusioni può condurre.

 

Ma comunque sia tutto questo, il più antico atto italiano che ci parli di un vero processo contro streghe è un consiglio di Bartolo da Sassoferrato (1313-1355).94 Essendo vescovo di Novara Giovanni de Plotis, questi e l’inquisitore mandarono a quell’insigne giureconsulto per il suo parere un processo istruito contro una strega. — Il consiglio di Bartolo che gioverà conoscere alquanto da vicino, suona nelle sue parti principali così:

 

Mulier striga de qna agitur, sive latine loquendo lamia, debet tradi ultimo suplicio et igue cremari. „ Qui egli enumera i delitti dell'accusata, confessa di avere abjurato a Cristo ed al battesimo, — di avere fatto una croce ex paltis e di averla calpestata, — di avere adorato il demonio piegando i ginocchi,95 — di avere col tatto affascinato e stregato dei fanciulli sì che morirono, per la qual cosa le loro madri avevano sporto querela; e per ognuno di questi titoli Bartolo, trova giusta la pena di morte, citando i rispondenti testi di legge; ma quanto all’ultimo capo, notisi bene, fa queste osservazioni: “ Ergo ipsa striga tamquam [p. 41 modifica]homicida debet mori.... Audivi enim a sacris quibusdam Theologis, has mulieres, quæ lamiæ seu strigæ nuncupantur, tactu vel,visu posse nocere usque ad mortem fascinando homines seu pueros ac bestias, cum habeant animas infectas quas dæmoni noverunt.... Sed in hoc loco ultimo, an tactu vel visu possint strigæ seu lamiæ nocere maxime usque ad mortem, remitto me ad sanctam matrem Ecclesiam et sacros Theologos, quia in hoc punto pro nunc nihil determino, cum aliæ causæ præmisæ sint sufficientes ut ipsa striga ultimo suplicio detur et ejus bona confiscentur ac publicentur fisco... Sed an, ubi ista striga veniat ad pœnitentiam et ad catholicam fidem revertatur, errorem suum parata publice abjurare ad arbitrium D. Johannis de Plotis episcopis Novariæ, debeat eidem quoad pœnas temporales et mortem huius sæculi parci — dico, quod si incontinenti post deprehensionem erroris revertatur ad fidem, et signa pœnitentiæ in ea appareant, debeat in hoc casu eidem parci procul dubio.... Et si non sit incontinenti sed cum intervallo, judicis arbitrio relinquendum puto, an signa veræ pœnitentiæ in ea appareant, et tunc eidem debeat parci, aliàs non, si timore pœnæ pœniteat: hoc ant D. episcopi de Plotis et D. Inquisitioris arbitrio collocandum dico.... „

 

Chi legga il consiglio di Bartolo cogli occhi della mente aperti, intenderà facilmente, che se egli come giurisperito non poteva allontanarsi da quanto era scritto nelle leggi penali allora vigenti, pure non aggiustava fede alle fole che correvano sulla fascinazione, e che, probabilmente per questo, tentò e suggerì ogni mezzo per salvare la strega novarese dall’ultimo supplizio. Egli ad onta della confessione — estorta chi sa con quali tormenti — dice, che deve esserle perdonata la vita se abbia subito mostrato pentimento, e lascia ogni responsabilità della eventuale condanna all’Ordinario di Novara ed all’Inquisitore, qualora la giudicassero a morte, se questo pentimento sia intervenuto in appresso, quando però non sia stato prodotto dalla paura della pena. — — Quanta differenza fra questi sentimenti del severo criminalista italiano, e gli assiomi, che per poco non dico bestiali, del “ Malleus maleficarum „ e delle “ Disquisitiones magica, „ cui mi toccherà di riferire più tardi![p. 42 modifica]

 

Se il consulto di Bartolo ci fa testimonianza indiscutibile, che già verso la meta del 300 la giurisprudenza aveva fissato almeno in una parte, il regolamento del processo penale contro le streghe, il “ Directorium inquisitorum „ di Nicolò Eymerico, domenicano ed inquisitore generale di Aragona, scritto verso il 1358, ci fa fede, che allora i ministri del S. Uffizio provavano il bisogno di avere anche il loro Codice penale. Cotesto libro per vero non parla di streghe, ma ribadisce il principio, che chi esercita opere magiche si fa reo di apostasia per il patto conchiuso, tacitamente o espressamente, col maligno, per la qual cosa, coloro che sono dati a quell’arte hanno a tenersi per eretici e sono come tali da fuggirsi.96

 

Ad onta però che i tribunali inquisissero, i giureconsulti dessero consigli, ed i trattatisti scrivessero, l’opera del S. Uffizio anche nel secolo XIV trovava ostacoli. Aveva bensì l’ opposizione perduto quel carattere di popolare vendetta che abbiamo osservato parlando del secolo precedente, ma non fu meno operosa nè meno fruttuosa diventando, da violenta, legale. Il modo di procedere, specie contro le streghe, “ non poteva non eccitare del rumore assai, e di qni è, che sino dal bel principio molti vi si opposero, pretendendo che tale processo era ingiusto „ dice il nostro Tartarotti.97 Quindi avvenne, che persone istruite e nel clero e nel laicato reclamarono, e parte dimostrando, essere del tutto fantastiche e la stregheria e le malefatte delle streghe, e parte sostenendo, che il S. Uffizio non era competente a inquirire contro di loro, cercavano di scalzare i fondamenti della procedura fatta a quelle infelici creature.98 Speciale importanza pare si desse alla eccezione di incompetenza, circa alla quale, — come vedremo — gli stessi più saldi campioni del S. Uffizio, cercano ca[p. 43 modifica]varsela senza dare un giudizio definitivo. — Di questo conflitto formale, un primo cenno s’avrebbe a trovare in un Breve del 1374, (che però vidi solo citato),99 col quale Gregorio XI sostiene edifende la detta competenza; ma tale decreto non deve avere trovato gli animi disposti ad accoglierne le massime senza certe riserve, se si ponga mente, che nel 1390 il Parlamento di Parigi negò e tolse addirittura ogni competenza alla Inquisizione nei processi contro le streghe. Che se la nuova strategica non condusse, pur troppo, a debellare l’esercito che militava per il processo, abbiamo però ragione di credere, che forzasse almeno la mano a coloro che lo conducevano, perchè, ad ogni modo sul cominciare del 400 — mentre il Concilio di Langres ritornò alle buone antiche massime della Chiesa, — un processo trattato a Tolosa (1406) finì colla condanna degli accusati a semplici penitenze canoniche ed a pene pecuniarie.100 Frattanto anche la Sorbona (1398) avea condannate come erronee certe proposizioni volgari relative alla demonologia ed alla magia, ed intorno a questo tempo il cancelliere Gerson (1363-1428) combattè altre superstizioni. Tutto ciò avveniva in Francia, ma il moto colà cominciato si propagava alle altre regioni, della qual cosa fa aperta fede la circostanza, che, mentre Roma continuamente si opponeva agli inciampi gettati fra le ruote del carro della Inquisizione e ne incoraggiava il procedimento, si hanno di questo secolo i principali trattati diretti a scongiurare il pericolo, che il mondo tutto restasse vittima delle streghe, e le loro opere impunite!

 

E basti qui accennare il “ Formicarium de Maleficis „ di Giovanni Nider (1430 circa), il “ Flagellum maleficorum „ di Nicolò Jacquier (1458) il “ Fortalitium fidei „ di Alfonso de Spina (1459),101 per non parlare nè dei minori nè dei posteriori. Di questi trattati non importa ragionare per disteso, chè tutti sono diretti a provare questi assiomi: la reale esistenza delle streghe, dei loro patti ed eccessi col diavolo, e dei loro delitti contro la [p. 44 modifica]fede e contro l’umana società, e la necessità della condanna delle malefiche come eretiche, anzi come apostate. Il che tutto si tenta di dimostrare con ogni specie di ragionamento, con ogni maniera d’autorità, dalla Bibbia ai poeti gentili, dai dottori della Chiesa agli scrittori di diritto, e con tutti i più strampalati esempi, fabbricati da cervelli esaltati, superstiziosi, sbrigliati, ed anche, forse, in mala fede.

 

L’Italia in cose di stregheria nel sec. XV non offre molto. Vedo accennato un penitenziale m. s. della Palatina di Firenze, dove tra le altre domande, che il confessore doveva rivolgere al penitente, si legge questa: “ se crede, che le donne si mutino in gatte e vadano in istregonia; se crede che succino il sangue a’ fanciulli. „102 È a desiderarsi, che taluno studi questo codice, che si dice del 400, perchè se fosse roba italiana e non importata (come quasi sospetto senza averlo veduto, tanto la sua forma mi somiglia a quella di certi penitenziali tedeschi di origine) potrebbe dare qualche lume a chi volesse occuparsi di proposito della stregheria italiana. — Quanto a processi ne conosciamo per fama parecchi trattati nella diocesi di Como, che fu — per quello paja sino adesso — il principale centro della persecuzione delle streghe italiane. L’inquisitore fr. Antonio da Casale, nel 1416 e seguenti, mandò al rogo colà ben 800 vittime;103 cifra che certo non si dirà esagerata, se non si neghi di credere a quello che scrive Bartolomeo Spina: “ Millenarium sæpe numerum excedit multitudo talium qui unius anni decursu in sola Comensi diocesi ab inquisitore, qui pro tempore est, ejusque vicariis, qui octo vel decem ant plures semper sunt, inquiruntur et examinantur et annis pæne singulis plusquam centum incinerantur.104 „ In Valtellina a Ponte (Ponte di legno), a Barbano, a Chiavenna, a Mendrisio, si ebbero processi verso il 1450,105 a Edolo uno [p. 45 modifica]nel 1455,106 poi ancora a Como verso 1460, nell’84, nell’85 nell’89, notando che nel 1485 fu colà arsa quarantuna strega, ad onta che lo zelo dell’Inquisitore avesse forzato il Comune l’anno prima a metterlo in guardia contro l'ira del popolo.107

 

Forse il più importante di tutti i processi per istregheria trattati nel 400 fu quello di Arras, cominciato nel 1459. — L’inquisitore Pietro Le-Broussard fece arrestare certa Deniselle di Donay, denunziata come eretica (strega) da taluno che la aveva preceduta sul rogo. Fra i tormenti le fu estorta la confessione ed il nome di certi suoi compagni nelle orgie del diavolo, e tra questi di un Giovanni Lavite detto “ Abate di poca testa „ (Abbé de peu de sens), che denunziò altri, e questi, altri ancora, sì che la cosa pareva non dover finire si tosto. Si volle soffocare il processo, ma indarno; si tentò salvare la vita agli accusati più compromessi, ma indarno ancora, ad onta che i teologi di Cambray avessero dato un consiglio simile a quello di Bartolo, sopra riportato. Le vittime furono condotte al luogo del supplizio, e prima di consegnarle ai carnefici il Le-Bronssard descrisse in una orazione tenuta al popolo congregatoi loro orrendi misfatti. Ecco quello che ne sappiamo da un contemporaneo: “ Quand’ils “ (i con-

 

[p. 46 modifica]dannati) “ vonloient aller à la dite vanderie „ (i convegni, delle streghe ebbero in parte della Francia questo nome da’Valdesi, che colà figuravano come gli eretici ed i malefici per eccellenza), “ d’ung oignement, que le Diable leur avoit baillié, ils oindoient une vergue de bois bien petite, et leurs palmes et leurs mains, puis mectoient celle verguette entre leurs jambes, et tantost ils s’envoloient où ils voulloient etre par-desseure bonne villes, bois et eauwes, et les portoit le Diable au lieu où ils debvoient faire leur assemblée; et en ce lieu trouvoient l’ung l’autre, les tables mises, chargiées de vins et viandes; et illecq tronvoient nn diable en forme de boucq, de quien, de singe et aucune fois d’homme; et la faisoient oblation et homaiges au dit Diable et l’adoroient et lui donnoient les plusieurs leurs ames, et à peine tout ou du moings quelque chose de leurs corps; puis baisoient le Diable en forme de boucq au derière, c’est au cu, avecq candeilles ardentes en leurs mains; et estoit ledit Abbè-de-peu-de-sens le droit conducteur et le maistre de les faire faire hommaige quand ils estoient nonveaux venus; et, apres celle hommaige faite, marchoient snr la croix et racfinoient de leur salive sus, an depit de Jésus-Christ et de la Sainte-Trinité; puis montroient le cu devers le ciel et le fermament en depit de Dieu; et après qu’ ils avoient touts bien bu et mangié ils prenoient habitation carnelle touts ensemble et mesme le Diable se mectoit en forme d’homme et de femme etc., et mesme illecq commectoient.... tant d’autres crimes si trés fort puants et énormes, tant contre Dieu et contre nature, que ledjt Inquisiteur djt, qu’ il ne les oseroit nommer, pour doubte que les oreilles innocentes 'ne fuissent adverties de si villains crimes si énormes et cruelles. „108

 

Finito il discorso, l’Inquisitore domandò ai condannati se quanto egli aveva detto fosse vero, ed essi risposero che si. Allora vennero consegnati al braccio secolare chiamato ad eseguire la sentenza di morte, sul rogo, andando confiscati i loro beni: [p. 47 modifica]gli stabili a profitto del conte d’Artois, sovrano territoriale, i mobili del vescovo. — All’udire questa sentenza i miseri condannati proruppero in grida strazianti e disperate: protestarono della loro innocenza, dissero, che nulla sapevano di diavoli e di congressi di streghe, chiamarono Iddio in testimonio del fatto, che le confessioni erano loro state estorte dai tormenti e cavate di bocca dalla promessa, che facendole finirebbe il loro processo, e sarebbero giustiziati a leggiere ammende e penitenze.109 — Nulla giovò, sei vittime furono incenerite; l’anno dopo altre otto!

 

Il processo di Arras doveva avere un riscontro ad Amiens ed a Tournay, ma per fortuna que’ vescovi e teologi non permisero che l’opera de’ carnefici proseguisse. — Se non che, alcuni parenti de’ condannati, e d’altri che pure ad Arras erano stati messi nel frattempo sotto processo, s’adoperarono tanto, che fecero rivedere le cause al Parlamento di Parigi, e questo nel 1491 cassò l’iniqua sentenza del ’60, restituì ai vivi la libertà, alle vittime l’onore, — condannando il conte d’Artois, il vescovo ed i giudici ad una forte multa, per fondare una messa perpetua in suffragio dei giustiziati!

 

Nella Germania (per non parlare d’altri paesi, chè ciò mi farebbe passare i limiti che mi sono stabiliti) se è provato che la superstizione aveva occupato gli animi del popolo, le procedure della Inquisizione trovavano però strenui contradditori. I processi nei primi 84 anni del secolo XV non furono molto numerosi; se ne conoscono soltanto cinque, finiti, al solito, col rogo, tre d’ Amburgo, (1444, 1458, 1482), due di Heidelberg (1446, 1447).110 Anche in quella provincia s’era passati dalla opposizione manesca alla opposizione legale, sicchè gli inquisitori Enrico Krämer, più noto sotto il suo nome latinizzato di Iustitore, e Jacopo Sprenger non erano in grado di procedere come avrebbero voluto. [p. 48 modifica]Questi due campioni del processo contro le streghe, — chè tali ben furono e possono dirsi, a preferenza di moltissimi altri — meritano che mi occupi di loro e della loro opera con maggiore ampiezza di quello che invero domanderebbero le proporzioni di questo sommario studio.

 

A proposito dello Sprenger, che fra’ due fu probabilmente quello che ebbe maggiore ingegno e fanatismo, si narra, essersi lui dato allo studio della stregheria, per aver fatto a caso conoscenza con un giovane prete ammaliato da una vecchia, ostinata a non volere svelare dove avesse nascosto l’oggetto al quale era legato l’incantesimo.111 A Roma egli ed il suo compagno ottennero, ignorasi con quali mezzi, da Innocenzo VIII la famosa Bolla “ Sunimis desiderantes afl'ectibus „ del 5 dicembre 1484.

 

Questo documento, in sostanza, non fa che estendere nominatamente alle diocesi di Magonza, di Colonia, di Treviri, di Salisburgo e di Brema la giurisdizione ed i poteri già prima accordati ai domenicani Institore e Sprenger, per togliere dalla radice ogni eccezione di incompetenza, eccitarli a procedere rigorosamente contro l’eretica pravita, specie contro la stregheria, ed invocare in loro presidio l’aiuto del Vescovo di Strasburgo, autorizzato a punire di sospensione, di scomunica e d’ interdetto chiunque tentasse di molestare i nominati due padri Domenicani nel loro ufficio. — Ma quello che dà una importanza speciale alla Bolla dell’anno 1484 è in primo luogo il trovarvi partitamente indicate tutte le credenze allora comuni in Germania circa alle streghe ed alle loro pessime opere. Per questo capo si legge colà: che in talune parti dell’Allemagna superiore e nelle provincie, città, terre e luoghi delle dette 5 diocesi, moltissime persone d’ambo i sessi, dimentiche della propria salute e deviando dalla fede cattolica, abbiano commerci co’ demoni come incubi e succubi, e con loro incanti, carmi, scongiuri ed altre nefande superstizioni e sortilegî, eccessi, crimini e delitti, procurino [la distruzione] e facciano perire, soffocare ed estinguersi i parti delle donne, i feti delle bestie, le frugi della terra, l’uva delle viti, i [p. 49 modifica]frutti degli alberi, nonchè gli uomini, le donne, gli armenti, le greggie e gli altri animali, le vigne, i pometi, i prati, i pascoli, le biade, i grani e gli altri prodotti della terra, che con crudeli dolori e tormenti si interni che esterni dieno pene e cruccio agli uomini stessi, alle donne, ai giumenti, agli armenti, alle greggie ed alle altre bestie, che impediscano agli uomini la generazione, alle donne il concepimento, ai coniugi il loro debito, che rinneghino oltre ciò con bocca sacrilega la fede stessa, che ottennero al loro battesimo, e che non temano di commettere e perpetrare moltissimi nefandi eccessi e crimini ad istigazione del nemico del genere umano....112 Questi adunque sono i profili delle superstizioni popolari, quali erano in Germania nella seconda meta del sec. XV. — Nè si può ragionevolmente dubitare, che questa descrizione sia di molto esagerata, conciossiachè non solo la Curia romana è cauta nell’asserire fatti, ma da nessuna parte, che io mi sappia, è stato, sia allora sia dopo, contraddetto a quanto in proposito sta nella nostra Bolla.

 

In secondo luogo poi questa è importante per ciò che da essa si vuole segnare il principio di un nuovo periodo nella storia della persecuzione contro le streghe, ed invero di quello più inumano e più irragionevole. Ora come sono ingiusti coloro che afermano questo od attribuiscono quasi l’invenzione del processo contro le streghe ad Innocenzo VIII, a’ suoi consiglieri, a’ suoi tempi, cosi però pugnerebbero contro la verità manifesta coloro che volessero scagionar d’ogni colpa l’anzidetta Bolla per quello che avvenne dipoi. Bensì a spiegazione ed a scusa parziale va detto, che correvano allora tempi ben tristi e corrotti, che di fronte ad un piccolissimo numero di uomini veggenti e intieri, stavano le innumerevoli turbe immerse nella ignoranza e nel vizio, che tra le stesse persone più elette non erano certo sbandite nè la irragionevole credulità, nè la bieca superstizione, — e che la Bolla dell’84 è certo dovuta, più che alla Curia romana, al fanatismo ed alle istanze degli Inquisitori di Allemagna. Per il resto Massimiliano I imperatore, non solo la ratificò, ma con suo diploma del 6 novembre 1486 ingiunse a [p. 50 modifica]tutti gli ufficiali dello stato di prestare ogni possibile aiuto ai Domenicani contro tutte le opposizioni che trovassero.113

 

Con che dovrebbero stare contenti coloro i quali accusano Innocenzo VIII d’aversi voluto inframmettere nelle cose giuridiche della Germania, tanto più se considerino, che dove colà regnarono dopo il 1484 principi umani, giusti e prudenti, dove non si ebbero giudici fanatici, crudeli ed affamati di oro, là procedettero le cose secondo ragione, data l’indole e la civiltà de’ tempi, mentre per contrario la persecuzione contro le streghe fu feroce (e quanto!) anche in paesi protestanti, ne’ quali i decreti pontifici non avevano forza di legge e la S. Inquisizione non era mantenuta da Roma. Ad ogni modo è cosa provata, che il periodo più funesto della persecuzione principiò circa 30 e più anni dopo l’84, e solo quando il“ Corpus juris „ contro le streghe — cioè il Malleus maleficarum — diventò la “ Guida Ufficiale „ degli inquisitori, laici ed ecclesiastici.

 

Ma lasciando da parte le considerazioni generali, ritorniamo agli inquisitori di Germania. Lo Sprenger e l’Iustitore corazzati del documento di che abbiamo parlato, ricominciarono con raddoppiato zelo la loro opera di distruzione. E si sa dello Sprenger, che egli nel giro di cinque anni, a Ravensburgo e nella diocesi di Costanza, mando al rogo 48 persone per crimine di stregheria. Dell’Iustitore sappiamo, che venuto ancora nel 1454 nella diocesi di Bressanone, il vescovo d’allora, Golser, ve lo accolse abbastanza bene. Ma in breve l’opera dell’inquisitore sollevò nel popolo e fino alla corte di Sigismondo conte del Tirolo, tali dispiaceri, tali discordie e tali tumulti, che il Diocesano gli scrisse e tornò a scrivergli: se ne parta, ritorni al suo convento e quanto più presto tanto meglio: lui non avere più bisogno dell’opera sua, perchè intendeva di fungere esso il suo dovere ed il suo uffizio di vescovo. — Ma per intendere meglio da una parte quale uomo fosse l’Iustitore, dall’altra come il vescovo Golser potesse avere il coraggio di cacciar dalla sua diocesi è mestieri lo che si sappia, che alla corte dell’arciduca Sigismondo era stata ordita una iniqua [p. 51 modifica]trama contro la seconda moglie del principe, Caterina duchessa di Sassonia. Si voleva perderla, e per questo alcuni cortigiani si servirono di una mala femmina di Hall, che, rinchiusa in una stuffa, quasi fosse un demonio cola confinato, accusò molte persone d’eresia, e la arcidnchessa di avere voluto avvelenare il marito. Fortunatamente fu scoperta la frode, ma è ben facile immaginare quale ira si sia destata contro l’Inquisitore, che forse in vero non era della congiura, ma certo aveva morduto all’amo, e si era internato troppo in questo bruttissimo intrigo.114

 

Qualunque per il resto sieno state le azioni dello Sprenger e dell’Institore, i loro nomi non sarebbero venuti a noi più famosi di quelli di molti loro correligionari, qualora non li avesse tolti dal gran numero un libro da loro composto, il Malleus maleficarum, opera che in poco tempo diventò il codice e la norma del processo contro le streghe.115 Bisogna, che il cortese lettore abbia la pazienza di seguirmi nell’analisi cui vo a farne — seppure egli non preferisca leggere il volume (304 pagine in 4° a due colonne), in barbaro latino, dove il ragionamento procede col metodo scolastico, pieno di indigeste citazioni de omni re scibile et guibusdam aliis, di annedoti che non sarebbero oggi creduti neppure dalle più semplici donnaccole, di sconcissime nudità e di massime cosi contrarie ad ogni principio di diritto, di giustizia e di morale, che fanno drizzare i capelli.

 

Il Malleus maleficarum, maleficas et earum hæresim frameâ conterens, si compone di tre Parti, e le due prime hanno una speciale suddivisione.[p. 52 modifica]

 

I Parte, 1.a suddivisione:

Si argomenta, che esiste la stregheria e che il negarla è ereticale, 116 — teorica degli incubi e dei succubi (quæst. I- V).

„ 2.a suddivisione;

Perchè più degli uomini sieno infette di cotesta eresia le donne,117 e de’ varî modi coi quali ne sono ammorbate; — diverse opere maleficiali delle streghe; — castigo che queste si meritano. 118 (quest. VI-XVIII).

II Parte, 1.a suddivisione:

Dei vari modi coi quali si possono consumare maleficî, e dei diversi partenti della stregheria, (quæest. I cap. 1-16).

[p. 53 modifica]

 

II Parte, 2.a suddivisione:

Dei rimedi contro i maleficî. (quæst. II cap. 1-8).119

III Parte,

Delle norme e delle cautele nel processo contro le streghe e gli altri eretici (quæst. I-XXXV).

Questa terza parte merita una analisi, più diligente che non le due prime, come quella che ci apre i tremendi misteri del processo.

 

È premessa una disquisizione sulla competenza del S. Uffizio ad inquirire nel crimine di stregheria, dove la dibattuta questione è trattata con fine arte. Gli Ordinari, vi si legge, ed i giudici laici possono procedere contro le streghe, perchè queste sono apostate e non eretiche, e quindi l’Inquisizione è esonerata dall’occuparsi di loro, giacche dessa è istituita contro l’eresia. Possono anche i Vescovi far a meno di procedere, giacchè il delitto delle streghe è di doppia natura, ecclesiastico cioè e civile, ed il diocesano è competente solo dove il reato è meramente canonico. È però prudente, che le due autorità trattino il processo unite. Se tuttavolta il vescovo non faccia il suo dovere possono procedere gli inquisitori. Non si objetti, soggiungono gli autori, che contro questo pugni la Bolla “ Summis desiderantes, „ perchè essa non esclude, che anche gli Ordinari possano fare il processo secondo gli antichi diritti fino alla sentenza definitiva. — Che se ci fosse eresia, gli inquisitori possono delegare i vescovi, ed i vescovi l’autorità laica, anzi questo pare il miglior espediente, sgravandosi per tal modo i diocesani dalla gravissima responsabilità [p. 54 modifica]che loro incombe. — Questo ragionamento, che nel testo occupa quasi 12 pagine, che dimostra fra il resto, come gli Autori volevano salve le loro spalle, ed aperta ogni strada tanto per andare avanti come per ritirarsi, e che tende a gettare ogni odiosità addosso sia ai vescovi sia all’autorità laica, si chiude colla dichiarazione, che il Trattato sara condotto secondo questa distinzione “ quod judex sæcularis cognoscere et judicare potest usque ad sententiam definitivam ad pœnitentiam, quam ab Ordinariis recipiet,120 secus super sanguinem,121 quam per se ferre potest. „ — (Lib. III, Q. I).

 

Il processo penale si apre o in seguito ad accusa, o in seguito a denunzia, o per inquisizione d’uffizio. Il primo modo non è da consigliarsi nella persecuzione delle streghe come pericoloso, mettendo la prova della verità dell’accusa a carico dell’accusatore, che si esporrebbe alla pena del taglione qualora non gli riuscisse. È miglior consiglio tenersi agli altri due, specie all’ultimo (Ibid). Questo cominciasi facendo affiggere una citazione generale alle porte della chiesa, dove la commissione inquirente ordina, che fra un certo numero di giorni tutti coloro i quali abbiano notizie di malefizî si devano presentare ad essa e portare le loro denunzie ed i loro sospetti, minacciando a chi contravvenisse le pene ecclesiastiche e temporali (Ibid).122

 

Si odono dunque le denunzie, e bastano due testimoni, anche se l’uno deponga sopra generalità e l’altro sopra circostanze particolari, a giustificare l’aprimento del processo (Q. II); i testimoni poi si possono costringere a deporre, ed esaminare replicate volte (Q. III). In questa procedura si possono assumere come testimoni — contro il denunciato, non mai a difesa di lui — correi, partecipi, eretici, scomunicati, malefici, rei di delitti, spergiuri, infami, servi, famigliari, i figli ed anche la moglie (non trovo nominato il marito); [p. 55 modifica](Q. IV); solo si fa eccezione per i nemici capitali, ma sono tali e tante le cautele cui deve usare il giudice prima di concedere che uno s’abbia per inimico capitale, che la eccezione pare quasi vuota di senso e d’efl'etto.123 Chi ragionasse diversamente, si dice, somiglia al cieco che voglia giudicare dei colori, perché ignora le astuzie e le cautele de’ giudici (Q. 17.).

 

Si comincia il processo coll’esame de’ testimoni, avanti un consesso di almeno 4 persone, l’inquirente, il notaio e due probi- viri, come testimoni di quanto si depone, e quindi senza alcun voto ne deliberativo nè consultivo (Q. V1); ed indi si da principio a procedere nominatamente contro la dcmmziata. Deve il giudice ba- dare a tre cose, alla fama di lei, agli indizi124 od all’evidenza del fatto,125 ai detti de’ testimoni. Quando questi tre elementi con[p. 56 modifica]corrono a danno di una persona è da reputarsi come “ manifeste (leprehensa in hèeretica pravitate, „ ma basta talora anche meno. Il processo poi, si ricorda molte volte, va trattato sommariamente simpliciter et de plano (Q. VII). — L’accusata si cita e si esamina la prima volta quasi informativamente. S’ha da mettere subito in carcere? Varie sono le opinioni, nè si può dare certa regola: ad ogni modo, se venga messa in arresto non s’ha più a rilasciare. La sua casa deve essere diligentissimamente perquisita per rintracciare gli strumenti dei maleficî, e se ha socie od ancelle devono essere arrestate, quand’anche non denunziate, perchè si presume, conoscano i segreti dell’imputata. — Nell’arrestarla poi suolsi da certi birri sollevarla tosto da terra e metterla in un cesto o simile arnese si che non tocchi il suolo, e tale pratica è lecita e prudente, essendo provato, che per essa qualche strega perdette il maleficio della taciturnità (Q. VIII). L’accusata nega il tutto, vuole un difensore, vuole conoscere i nomi de’ testimoni. — A difensore non occorre darle la persona da lei designata:126 noti bene poi il giudice, che l’avvocato sia persona proba e non sospetta, lo renda attento di essere cauto nelle sue difese perché non cada nel sospetto di favorire eretici, e gli rammenti, che il processo è sommario, e non si accordano nè dilazioni nè appellazioni.127 — Stiano da parte loro bene avvisati i giudici: gli avvocati mettono bastoni fra le ruote della procedura, non sieno facili a credere loro, e se non sono persone irreprensibili li respingano, — e giudichino dagli atti senz’altro. — L’accusata non ha diritto di conoscere i nomi de' testimoni; se però essa o il suo patrocinatore insistano per conoscerli, qualora questi sia un uomo secondo il cuore del giudice, possono venirgli manifestati, sotto giuramento però di non rivelarli ad alcuno; altrimenti ci sono delle cautele e delle astuzie, che quand’anche [p. 57 modifica]sieno dolose, si possono usare in vantaggio della fede e dello stato.128 Al difensore si dia la lista dei testimoni e la copia degli atti, separata; osservando, che o la serie dei nomi dei testi non corrisponda all’ordine delle deposizioni, o che si introducano negli atti circostanze non deposte da loro. Siccome poi la domanda della lista de testimoni è fatta per opporre contro di loro o contro taluno di essi l’eccezione della inimicizia capitale, cosi il giudice potrà anche già sulle prime interrogare l’imputata, se essa abbia in genere di tali nemici, al che per solito si risponde di no; dopo di che naturalmente non potrà più introdurre quella eccezione. — Queste e simili istruzioni si danno, e solo da ultimo i domenicani soggiungono, che per vedere della sussistenza di tale eccezione si può anche fare una inchiesta. (Q. IX. X. XI. XII).

 

Ora incomincian le dolenti note.

 

 

L’accusata, innocente, quanto il candido lettore, del delitto che le viene apposto, non può confessare nulla, ma siccome “ ut comunis exigit justitia ad pœnam sanguinis non judicatur nisi [delata] propria confessione convincatur, „ cosi bisogna assolutamente ottenere la confessione.129 — Per averla può il giudice, dopo le più convenienti esortazioni sue e di gente amica, promettere all’accusata la grazia della vita, e quindi tenerla (poi che abbia confessato) qualche tempo in carcere, consegnandola indi al terribile braccio secolare; può continuare il processo sino alla sentenza e rimetterlo in questo stadio ad altro giudice, che non sia legato da promessa di sorta; e specie dopo riusciti inutili i primi duri esperimenti, di che parlerò tra poco, mandarla in altra prigione migliore, e concederle miglior vitto di prima, e là si faranno entrare persone di sua confidenza, lasciandone taluna con lei anche la notte. Queste accerteranno la grazia alla [p. 58 modifica]inquisita, e l’inquisitore venendo nella prigione ne farà promessa, sottintemlendo però, che farà la grazia “ allo stato, „ e userà altre buone parole generali. Quando nella muda saranno entrate persone intese a cavare di bocca alla denunziata delle confessioni, di fuori stieno de’ confidenti ad ascoltare, e con essi se si vuole anche uno scrittore, che metta tutto in carta. (Q. XIV. XVI).

 

Bisogna ottenere la confessione, perchè è un incanto del diavolo quello della taciturnità delle streghe, ed occorre assolutamente romperlo. Se questi mezzi soavi e morali non bastano, ve n’è uno che non falla: la tortura. Ma questa non si dà subito, si decreta a due o tre giorni di distanza, e intanto l’accusata si getta in carcere (e quali fossero le carceri d’allora è appena possibile crederlo, leggendone le descrizioni) perché la nella oscurità, nel digiuno, fra le catene, in un’aria mefitica, tra le proprie lordure pensi a’ casi suoi e venga a sano consiglio. Il dì destinato, la vittima è condotta nella camera de’ tormenti, le si fa pregustare ad oncia ad oncia quanto strazio la attende, e se non cede alle esortazioni del giudice, egli la consegna ai carnefici. Viene spogliata, viene rasa in tutte le parti del corpo, perchè non abbia nelle vesti o fra’ capelli qualche diabolico amuleto,130 poi comincia l’opera nefanda, — suprema vergogna ed ignominia del foro criminale.131

 

In questo incontro però l’inquisitore deve avere parecchie [p. 59 modifica]avvertenze. — Tenga a mente, che le streghe non possono piangere, neppure fra i tormenti. Vegga di non lasciarsi toccare dall’inquisita specie alle mani, alle giunture, alle braccia. Curi di non essere veduto da lei prima ch’egli vegga lei, per il che farà prudente cosa, se ordinerà sia introdotta nella camera a ritroso. Venga aspersa con acqua lustrale. Porti il giudice sulla sua persona delle erbe e della cera benedetta, ecc. (Q. XV).

 

Mentre si dà la tortura, presente il giudice, i muti assessori ed il notaio, continua l’interrogatorio, e lo scrivano raccoglie ogni parola che esce dalla bocca della vittima. La quale dopo un certo corso di tempo132 viene tolta dalla camera del tormento e condotta in altro luogo, perchè ripeta colà le confessioni che avesse fatto. — Indi la martire è di nuovo messa nella sua prigione, ma poiché lo strazio sofferto e l’orrore del carcere avrebbero potuto spingerla al suicidio, essa viene rigorosamente guardata a vista. — Per il resto, le leggi chiamavano responsabili i giudici se avessero coi tormenti fatta morire l’accusata, cosa che accadde non infrequenti volte. Se non che essi trovarono facilmente il modo di sottrarsi ad ogni colpa, gettandola a spalle del “ diavolo, „ come quello che veniva a prendersi la sua legittima preda.

 

Che se il maleficio della taciturnità non fosse stato vinto, o la confessione non si avesse ripetuta, s’aveva bene il modo da far rinsavire l’accusata. È vero, che nel processo penale comune era proibito di sottomettere l’accusato una seconda volta ai tormenti, quando avesse vittoriosamente subita la prima prova e non fossero sorti contro di lui nuovi indizi; ma nel processo inquisitorio — che era sommario “ et de plano „ fu trovata la maniera di deludere anche questa disposizione di legge: alla seconda, alla terza, alla decima, alla sessagesima quinta prova si dava il nome di continuazione della prima!133 (Q. XIV. XV).[p. 60 modifica]

 

Avuta, o in rari casi non potuta avere, la confessione, il processo istruttorio era finito, e la cessava ogni competenza degli inquisitori. Per non dover ritornare sui miei passi, soggiungerò qui a notizia di coloro cui non fosse famigliare la pratica del foro, che il processo così istruito si mandava o ad una facoltà teologica, o ad una facoltà giuridica, od a qualche giureconsulto per ottenerne il consilium, e che a seconda di questo, in genere, veniva proferita la sentenza definitiva del vescovo.

 

Nel Malleus si hanno 13 module diverse di sentenze (Q. XX-XXXII), che credo necessario riassumere:

 

1.° L’accusata è riconosciuta innocente. — Si deve assolvere, ma con sentenza che la dimetta ab instantia.

 

2.° È in fama di eretica. — È da assolversi, ma deve purgarsi col suo giuramento e con quello di un determinato numero di compurgatores del suo rango. Se non voglia o non possa farlo è da condannarsi come eretica.

 

3.° Nei suoi costituiti è contraddicente, o per altra ragione si potrebbe sottoporla alla tortura. — Tenutala per qualche tempo in carcere e fatta consigliare a confessare, se non confessa si torturi, osservando, che l’esperimento può essere continuato. Qualora persista a negare si dimetta; se però confessa è in seguito da trattarsi come al N. 8.134

 

4.° È leggermente sospetta d’eresia. — Si condanna a fare l’abiura.

 

5.° È mediocremente (vehementer) sospetta d’eresia. — Si deve condannare a fare l’abiura, avvisando però, che in caso di ricaduta, sarà proceduto come contro una recidiva.

 

6.° È fortemente (violenter) sospetta d’eresia. Sia tenuta in carcere, e frattanto si faccia diligente inchiesta, se a carico dell’ac-

 

[p. 61 modifica]cusata emergano altri indizî. Se non ne sorgano è da condannarsi ad abiurare ed a portare sopra i suoi abiti una veste bigia (livida) con una croce rossa sul petto per un determinato tempo.

 

7.° Riesce sospetta di eresia ed e in fama di eretica. — Si condanni alla purgazione (come al N. 2) ed all’abiura, (N. 4-5), ed oltre a ciò a qualche pena canonica, come a stare sulla porta della chiesa con un cero, a qualche digiuno e simili.

 

8.° Confessa, penitente ma non recidiva. — Si conclami ad abiurare, indi al carcere perpetuo a pane ed acqua.135

 

9.° Confessa, penitente ma recidiva. — Va consegnata al braccio secolare, cioè alla morte mediante incenerazione. Nella sentenza che rimette l’accusato al giudice temporale, si leggono sempre queste o simili parole: “ Rogamus tamen etiam efficaciter dictam curiam sæcularem, quatenus circa te [reum] citra sanguinis effusionem et mortis periculum suam sententiam moderetur.136

 

10.° Confessa, impenitente ma non recidiva. — Tenuta per qualche tempo in carcere ed in catene, ed esortata a pentirsi, sia consegnata poi al braccio secolare.

 

11.° Confessa, impenitente e recidiva. — — È da consegnarsi al braccio secolare.

 

12.° Convinta d’eretica pravità per testimoni o per l’evidenza del fatto, ma negativa. — È da fare ogni prova per indurla alla confessione. Se questo non riesca, il vescovo proceda ad una diligente inchiesta per vedere se mai fosse stata calunniosamente accusata. — Qualora poi la strega confessi, si farà come al N. 8, se neghi e la prova sia raggiunta, si consegni al braccio secolare. Che se condotta al luogo del supplizio dicesse [p. 62 modifica]di voler confessare, per tal caso gli Autori del Malleus suggeriscono, che venga trattata come fosse eretica, penitente e confessa. (N. 8-9).

 

13.° Convinta ma contumace. — Caso per noi senza interesse.

 

Alla questione XXXIII si esamina il quesito, come sia da giudicarsi una strega accusata da altre streghe bruciate o da bruciare, e si risolve, che la loro testimonianza vale come qualsiasi altra.

 

La questione penultima (XXXIV) ha poco interesse, e tranne che ricorda esservi delle mammane streghe “ quarum tantus est numerus quod non æstimetur villula ubi hujusmodi non reperiantur existere, „ non merita altra menzione.

 

Nell’ultima poi si tratta del modo di regolarsi contro co- loro che interpongono appellazione “ frivole aut etiam juste. „ Si ripete, essere il processo contro le streghe sommario e non ammettere appello; darsi però dei casi dove l’appellazione è giusta, ed in questi se si può rimediare alla ingiustizia si rimedii.

 

Per il resto sia molto cauto e guardingo il giudice ad ammettere l’appellazione, perchè ne soffrirebbe il credito della Inquisizione, dell’inquisitore e della fede, guadagnandone in audacia gli eretici. L’appellazione andava al Papa, e fino alla costui decisione l’inquisitore non poteva altrimenti ingerirsi nella causa appellata. —

 

Mi sono studiato di dare un fedele sunto della ultima parte del Malleus, perchè si veda quali fossero le norme che reggevano il processo penale contro le streghe, attingendo alla prima sorgente. Alle regole insegnate da questo libro, che in brevissimo tempo guadagnò l’autorità d’un Codice di procedura che diremmo oggi ufficiale,137 furono portate poi pochi complementi e variazioni.[p. 63 modifica]

 

Tra i primi deve essere rammentato, che la pratica tedesca conservò qua e la col giuramento purgatorio le Prove-di-Dio, ad onta che, specie queste ultime, sieno sconsigliate dagli autori del “ Maglio. „ Il giuramento purgatorio si usava nei casi più leggieri e quando altre circostanze consigliassero di decampare dai rigori di un processo. Si ricorreva alle Ordalie, in certi luoghi, prima di sottoporre l’imputata, non sufficientemente gravata di indizi, alla tortura. Tra queste Prove-di-Dio, tre specialmente sono ricordate, e cioè quelle del “ ferro incandescente, „ che viene per assoluto rigettata dal Malleus, essendo il diavolo troppo amico del fuoco, e quella dell’ “ Acqua fredda. „ — Quando taluno veniva sottoposto a questa Prova gli si legava la mano destra al piede sinistro e la mano sinistra al piede destro, poi assicurato il paziente ad una corda era gettato nell’acqua. Se sornuotava era riconvinto di reità, se andava a fondo s’era purgato del sospetto. Una singolarissima prova era quella della Bilancia (per pondera et lancem). L’imputato che voleva purgarsi con questo mezzo doveva pesare meno di quello che fosse stato ritenuto, a occhio, da’ periti o dai giudici.138

 

Di vere variazioni nel processo non conosco, che certa mitigazione circa la pena di morte. In taluni casi, cioè, il condannato per riguardi di umanità non veniva arso vivo, come sarebbe stata la regola, ma veniva prima strangolato o decapitato, indi se ne bruciava il cadavere.139

 

Del rimanente, le irregolarità e le barbarie del processo

 

[p. 64 modifica]furono tali e tante che non si potrebbero credere se non fossero accertate da irrefragabili testimoni. Bastino pochissimi esempi. La confessione, estorta si sa, suppliva anche alla prova della verità del fatto (oggettività del crimine): ed in vero si condannarono alcune donne, che avevano ammesso di avere dissepolto un bambino per farne l’unguento stregatorio, ad onta che dissotterrato il cadavere, esso sia stato trovato intatto. Un’ accusata confessa di avere stregato e mandato a male il figliuolino di una vedova, e interrogata questa, dice di non averne avuti. Ciò non ostante l’accusata si condanna. — Un’altra confessa di avere ucciso un uomo, che presente e sano assiste all’esecuzione.140

 

Ma pochi processi hanno fatto su di me la dolorosa impressione che provai nel leggere quello contro Rebecca Lemp di Nördlingen, e che riassumo brevemente per dare una idea di ciò che fosse la terribilità della procedura in Germania.

 

Ella era moglie al tesoriere della città, Pietro Lemp, donna pia, buona, senza macchia. Accusata di stregheria da altre infelici, assente il marito, viene tratta in prigione, lasciando a casa i sei figlioletti. Quali fossero questi e la loro educazione si vegga dalla lettera che scrissero alla loro madre dopo averla veduta trarre alla orribile torre:141

 

Dilettissima madre,142 abbiti di tutto cuore i nostri figliali saluti che ti mandiamo colla notizia che siamo sani. Abbiamo ricevuto noi pure i tuoi saluti e la nuova che stai bene. Ora noi crediamo, Dio lo voglia, che oggi ritorni il padre. Noi te lo faremo sapere quando verrà, intanto l’onnipotente Iddio ti conceda la sua grazia ed il suo santo spirito, cosi che tu, Iddio lo voglia, possa ritornare lieta e sana di [p. 65 modifica]nuovo fra noi. Iddio lo voglia. Amen. — Dilettissima madre, fatti comperare delle fragole e cuocere delle leccornie (Salfan und Schnittlein), manda a prendere a casa nostra de’pesciolini ed un pollo, e se t’abbisogna danaro, manda a prenderne, che ce n’è parecchio nel tuo sacchetto. Sta sana, carissima mamma; non prenditi pensiero della famiglia sino al tuo ritorno. „

 

Nel tetro carcere fra i suoi dolori la buona Rebecca era sopra modo angustiata dal pensiero, che suo marito, cui amava con tutta l’espansione dell’anima, potesse sospettarla rea. Per il che, dopo averne appreso il ritorno gli scrisse:

 

Mio carissimo tesoro, sta pure tranquillo. Quand’anche mille di coteste femmine dovessero far testimonianza contro di me, — io sono tuttavia innocente: e vengano pure tutti i diavoli a lacerarmi. E se dovessi essere messa alla tortura, io non potrei confessare cosa alcuna, ad onta che mi si tagliasse in mille pezzi. Padre,143 se ho colpa in coteste cose, che Dio non mi lasci mai per tutta l’eternità venire nel suo cospetto. Se io dovessi starmene in queste prigioni, non esisterebbe Dio nel cielo. — Deh non negarmi la tua vista, o Signore; Tu vedi la mia innocenza, e, o Dio, mi ascolta, non lasciarmi giacere in questa tremenda miseria! „

 

Il processo andava a galoppo: due volte sostenne Rebecca imperterrita la tortura senza nulla confessare, ma alla terza cominciò a mancarle il coraggio, poichè si procedette contro di lei più crudelmente di prima. In questa prova e nella quarta cui fu sottoposta, ammise taluna delle minori accuse, che le erano state fatte. Intanto trovò il modo di fare arrivare segretamente fino a suo marito un’altra lettera:

 

Mio preziosissimo tesoro, se io dovessi venire divisa da te, innocente come sono, sarebbe cosa che grida vendetta al cielo per tutta l’eternità. Ma qui si violenta, qui uno è costretto a dire qualche cosa. Io sono stata crudelmente martoriata, ma io [p. 66 modifica]sono innocente come lo è Dio in cielo. Se io conoscessi qualche minimo che di tutte queste cose, accorderei, che Iddio mi negasse la vita eterna. O mio tenerissimo tesoro, che cosa è mai del mio cuore! O guai, o guai ai miei poveri orfanelli! — Padre, mandami qualche cosa che mi faccia morire; altrimenti fra i martiri devo darmi alla disperazione. Se non puoi venire oggi, vieni domani, ma scrivimi subito. O tesoro della tua innocente Rebecca, si vuole rapirmi a te colla violenza. Come lo soffrirà Iddio? S’io sono una strega, che Egli non abbia pieta di me! Oh di quale ingiustizia sono io vittima! Ma perchè Iddio non vuole ascoltarmi? Mandami qualche cosa, altrimenti potrei aggravare l’anima mia.... „

 

Pietro Lemp, che conosceva appieno la sua donna e l’innocenza di lei, tentò ogni mezzo per salvarla. Ricorse al tribunale dell’Inquisizione, pregandolo che la volesse lasciar libera, e poichè la sua supplica venne respinta, ricorse al consiglio di città, perchè ordinasse che fosse almeno messa a confronto de’ suoi denunziatori, dando le più ampie assicurazioni e cauzioni, che ella era sempre stata il modello delle mogli e delle madri, casta, pia, amorosa, tutta data alla sua famiglia, oltre la quale nulla esisteva per lei — Che cosa giovò questo? L’inquisitore, che la aveva sottoposta già otto volte ai tormenti, com’ebbe notizia della supplica di suo marito, procedette ancora più inumanamente: il coraggio della povera vittima venne meno, — tra i martiri più crudeli disse tutto ciò che si volle farle dire; — fu condannata e bruciata viva il 9 settembre 1590!144

 

Scene cosi strazianti — ed il processo che ho riassunto non è dei più barbari — possono dare una qualche idea dello stato morale della società e de’ suoi sentimenti nei secoli XVI e XVII là dove più infierì la persecuzione contro le streghe. Un cieco furore aveva invaso le menti così, che ben pochi dubitavano della necessità e della giustizia delle crudeli esecuzioni. Villaggi, borghi, città, provincie, regni, erano corsi da spioni, da birri, da carnefici, da inquisitori che davano la caccia a migliaia [p. 67 modifica]e migliaia di vittime, i processi si seguivano senza tregua, i tormenti ed i supplizî non avevano numero.145 Or come è possibile spiegare tanta jattura?

 

Le cagioni di questo tremendo fatto sono diverse e di varia natura: io ricorderò quelle che credo le principali. — I volghi, oppressi dalla miseria e vivendo nella più crassa ignoranza, erano fatti ciechi dalla superstizione ed esaltati dal fanatismo mistico, dalla quale e dal quale non andavano esenti neppur le classi agiate e colte. Poiché tra queste ne avevano gettato il malo seme in ispecie i demonologhi, secondo i quali tutto l’universo doveva essere popolato da malefici e da demoni. E pare quasi impossibile a spiegarsi, come si sia potuto scrivere tanto sulla magia, sulle streghe, sul “ diavolo „ e nell’evo medio intorno al tempo del quale parlo, quanto se ne è scritto.146 Qualunque cosa si togliesse dall’ordinario doveva essere opera dello spirito delle tenebre e dei suoi adepti: Dio e la natura nulla più fanno, dice il p. Spee, tutto le streghe!147 — In questo stato delle menti era passato nella convinzione generale, che il distruggere col ferro e col fuoco questi nemici del genere umano fosse non solo un diritto ed un’opera meritoria, ma un dovere. L’istinto poi di imitazione e di emulazione, che ha tanta parte nelle azioni degli uomini singoli e delle loro associazioni, faceva si che tutti si rincorressero e procurassero di raggiungere e di superare quanto vedevano operarsi dagli altri. A tutto ciò aggiungeva stimoli lo spavento, perchè dove oggi una certa benevolenza fa dubitare parecchi, o molti, anche della colpa di veri delinquenti, allora, vedendo che di cento inquisiti novantanove almeno si confessavano rei — per virtù dei tormenti — di orribili delitti, la società si credeva in preda ad una fitta di malfattori, che era [p. 68 modifica]necessario togliere di mezzo, si per loro punizione e sì per dare un salutare esempio ai tristi — secondo la teorica ed il frasario di certi criminalisti de’ quali non s’è forse ancora spenta del tutto la razza. Per altro rispetto, la salute della cosa pubblica non esigeva forse piuttosto che venissero bruciati dieci innocenti, di quello che un colpevole sfuggisse alla meritata pena? La lassezza e la mitezza dei tribunali non avrebbero e tolto loro il credito e fatti più audaci i malvagi? — Ogni sentimento di misericordia, d’altronde, era attutito dalla frequenza dei tristi spettacoli ai quali numerosissimo accorreva il fiero popolo cui — prima di mandare al rogo i condannati — si solevano narrare gli spaventosi delitti che avevano confessato!

 

Che se ci voltiamo da un’ altra parte, la moltiplicazione straordinaria dei processi fu grandemente aiutata dalla assurda ed immorale forma della stessa procedura.148 — La irresponsabilità del denunziatore, il cui nome era coperto da un velo quasi impenetrabile, in un tempo nel quale la corruzione e l’ atonia del sentimento morale erano certo pari alla ignoranza ed alla superstizione, per necessario deve avere sciolto ogni freno alle basse passioni dell'invidia, della gelosia, dell’inimicizia, dell’ odio, ed alla sete della vendetta. — Una parola fatta correre ad arte fra la gente, o sussurrata all’orecchio d’ un delatore, d’ un birro, o affidata ad una denunzia, magari anonima, o fatta mettere a protocollo dal notaio del malefizio, — e si era liberati senza pericolo da un molesto vicino, da un fortunato concorrente, da un incomodo rivale, da un pauroso avversario, da un potente che vi avesse offesi.149 — Ne vuolsi tacere, che i processi generavano i processi; però che l’inquisitore doveva fortemente insistere presso l’inquisita, onde indicasse i nomi de’ suoi compagni. E qui o il malvolere o la irresistibile violenza de’ tormenti [p. 69 modifica]strappavano a lei di bocca lunghe file di nomi di socî, di correi, di istigatori, e siccome la deposizione di una strega era un’ottimo indizio, cosi una inquisizione era cagione di molte altre. — Aggiungasi anche la paura degli inquisitori, i quali per varie ragioni avevano motivo di procedere su larga scala. Non avrebbero cercato di vendicarsi sui giudici, uscite di carcere, quelle persone cui s’erano fatti cola soffrire tormenti senza misura e senza nome da ufficiali che poi non avessero trovato materia per punirle severissimamente? Questa paura traluce troppo chiara da taluni processi tedeschi, anche senza ricordare la Urfehde, che stava nelle costumanze del foro penale germanico.150 Bruciata la strega, e talora distrutti anche i suoi famigliari, od almeno denudati di ogni fortuna colla confisca de’ beni, il pericolo della vendetta era certo scemato.

 

Una delle più immorali ma anche delle più efficaci cagioni della diffusione e della crudeltà. processi fu l’ “ auri sacra fames. „ E qui perchè io non possa venir tacciato di esagerazione lascierò la parola al p. Spee:

 

Non diminuisce per certo [lo zelo dell’inquisitore] la speranza del guadagno, specie se sia uomo di poche fortune, avido e carico di figliuoli, essendoa lui costituito lo stipendio di alcuni talleri per ogni testa delle persone da bruciarsi, edi altre accidentali collette e contribuzioni cui molto volentieri gli si permette di esigere da’ villani.151 „ Altrove indica a quanto ascendesse il prezzo del sangue: “ In certi luoghi per salario de’ giureconsulti od inquisitori, che i principi [in Germania] sogliono preporre a questo negozio delle streghe è stabilita certa somma di danaro per ogni singola testa, p. e. quattro o cinque talleri. „152 Ed altrove: “ In certi siti il prezzo per ogni singolo reo è statuito non solo per i laici ma anche per i confessori (confes[p. 70 modifica]sariis), che banchettano insieme agli inquisitori: „153 — Altrove ancora: “ Non si può certamente credere incorrotta la giustizia di quell’inquisitore, il quale dopo avere esaltato l’animo dei Villani contro le streghe per mezzo dei suoi [cagnotti], promette che, chiamato da loro, verrebbe a bruciare la peste. Manda innanzi alcuni esattori, che di porta in porta gli raccolgano una ricca colletta colla quale vengagli dato come una caparra e fatto un invito. Dopo aver raccolto questo danaro e trattato un paio di processi, e dopo avere esaltate anche più le menti col racconto dei delitti e delle macchinazioni, che erano state confessate dalle incenerite, simula di volersene partire, ma frattanto studiosamente cura di venirne impedito da’ suoi esattori, che consigliano altresì una seconda colletta per trattenerlo ancora, affinché estirpi dell’altra zizzania; fino a tanto che, smunto il villaggio per quanto era possibile, egli si porta in altro luogo e colla medesima industria empie il sacchetto.154 „ — Nei paesi tedeschi tanto era diventata spudorato il mercato che si faceva delle vite umane, che il canonica Loos disse, avere gli inquisitori scoperto una nuova maniera d’ alchimia colla quale convertivano in oro ed argento il sangue delle loro vittime.155 Per il resto in certi luoghi gli inquisitori ot[p. 71 modifica]tenevano una parte dei beni confiscati a’ condannati. Ma oltre i giudici, guadagnavano egregie somme e spie e birri e carcerieri e notai e famigli del boia ed il boia stesso. Si mungevano poi le borse anche più umanamente. Se qualche persona era in fama sospetta, veniva chiamata in Uffizio, e là si faceva prestarle il giuramento purgatorio e pagare una somma di due fiorini ed un quarto.156

 

Dopo tutto, chi sappia quanto sono ingegnosi i finanzieri non si meraviglierà, se anche i principi ed il fisco degli stati cercassero il loro vantaggio nella universale jattura. Poiché cadevano a profitto dei medesimi i beni confiscati delle vittime, che colla miserabile perdita della vita tiravano in rovina la loro famiglia.157

 

Mi sono serbato a posta di parlare all’ ultimo dei Trattatisti per poter dire qualche cosa di quell’opera che per universale avviso fu, in materia di stregheria, la più erudita, come la più severa, anzi la più inumana. — Avanti i sei libri “ Disquisitionum magicarum, „ di Martino Delrio, gesuita olandese ma spagnolo d’ origine,158 tutti gli altri trattati di demonologia, di magia e di stregheria impallidiscono: venne quasi meno la fama degli scritti di Bernardo Bodin, di Tomaso Murner, di Giovanni Laurenzio, di Ambrogio da Vignate, di Leone d’Ivrea, di Giacomo da Simanca, di Alfonso a Castro, di Paolo Grillandi, di

 

[p. 72 modifica]Pietro Binsfeld, di Nicolò Remigio e dello stesso Giacomo I re d’Inghilterra e di Scozia ecc. ed anche il Malleus maleficarum per certi capi passò in seconda fila. L’opera, pubblicata per la prima volta nel 1599, e dopo in molte edizioni, tratta la materia scelta dall’Autore in questo ordine:

 

Libro I. Della magia in genere, ed in ispecie della magia naturale, artificiale e prestigiatrice.

 

Libro II. Della magia demoniaca e della sua efficacia.

 

Libro III. Del maleficio e delle vane pratiche (de vana observatione).

 

Libro IV. Della profezia, della divinazione e della conghiettura.

 

Libro V. Dell’ufficio del giudice e della forma del giudizio in questo crimine.

 

Libro VI. Dell’ufficio del confessore e dei rimedî leciti ed illeciti.

 

Per coloro che vogliono studiare a fondo la storia della stregheria, quest’opera è tutta degna di attento esame, specie poi il libro V merita di essere maturatamente considerato. Io però non farò neppure dello stesso una analisi quand’anche sommaria, perche al mio bisogno è sufficiente che dica, calcare esso, in generale, le pedate del Malleus, e togliersi dal medesimo soltanto nelle parti che più urtano col buon senso e colla legge morale. Per il resto non si creda, che, ad onta il Delrio fosse uomo molto erudito, egli rigetti tutte le stolide credenze accettate come buone dagli altri scrittori di stregheria: tutt’altro, egli è solo di poco superiore al resto dei trattatisti, e non dubita un istante di credere ai soliti incubi e succubi, alla corporea traslazione delle streghe al luogo di loro convegno,159 ai varî e mostruosi portenti che dovrebbero saper produrre, al patto col “ diavolo „ e ad una quantità di altri assurdi, che oggi farebbero ridere i pilastri.160 Ma la sua coltura è molto vasta e varia, la sua logica sco[p. 73 modifica]lastica è stringente, e dove non può altrimenti, annienta gli avversari non coll’armi della ragione, ma dell’autorità, della paura e del ridicolo,161 le solite di coloro che non hanno migliori argomenti da far valere. — Che se taluno desiderasse avere qualche saggio delle massime del Delrio gli offro qui pochi esempi. Dedico questi due ai difensori penali: — “ Quando quis patrocinatur sponte maleficas et conatur criminis enormitatem elevare et contendit non esse credendum iis quæ de illis narrantur et ea omnia vana esse et delira „ (L. V. sez. 3. 2), ha contro di se l’indizio di essere fautore di streghe. Difendere le streghe ed asserire, che la stregheria è una illusione “ quid aliud est quam tribunalia omnia catholica inscitiæ, injustitiæ, crudelitatis damnare? quam maleficis et eorum sceleri habenas permittere ad nocendum? quam reipublicae et humano generi toti, et Deo Omnipotenti Maximo tali convenientia patrocinioque teterrimæ apostasiæ atrocissimam injuriam inferre? „ (Ibidem). Nel dubbio se esistessero indizî sufficienti per sottomettere una persona accusata ai tormenti, comunemente si giudicava a favore di lei, ma il Delrio porta una serie d’argomentazioni per provare la contraria sentenza, e fra le altre questa: “ Utilius est ipsi personæ denuntiatæ, spes enim fore, ut torta delictum confiteatur et sic anima eius salvetur. „ (Lib. V. App. II. Q. I). Intorno alla punizione delle streghe porta questo assioma in caratteri corsivi: Lamiae occidendæ etiamsi hominem nullum veneno necassent, etiamsi segetibus et animantibus non nocuissent, etiamsi negromanticæ non forent, quod dæmoni fœderatcœ.... (L. V. sez. 16). Però da qualche segno di umanità dove dice: “ Impaenitentes vivi comburendi, pænitentes prius strangulandi „ (Ibid.) e dove suggerisce qualche limitazione e qualche cautela agli in-

 

[p. 74 modifica]quisitori nell’uso della tortura. Mentre disapprova alcuna fra le immoralità che si leggono nel Malleus, non dubita di permettere ai confessori una restrizione mentale, perchè possano farsi delatori. Mette come assioma, che il sacerdote non può rivelare ad alcuno quanto udì nel tribunale di penitenza, ma soggiunge: “ Imo si mente subintelligat — scilicet ut possim revelare — „ posset dicere se hoc in confessione non audivisse. „ (Lib VI. c. I. sez. 2). — E credo di avere detto abbastanza intorno al Delrio.162

 

Se dopo ciò soggiungo, che è pressoché impossibile figurarsi esattamente quali, per queste ragioni, durante due secoli, fossero le condizioni e l’aspetto dell’Allemagna circa la stregheria, mi sarà facilmente creduto. Le più autentiche autorità attestano, che nessuno era cola sicuro dalla persecuzione degli inquisitori cattolici o protestanti, ecclesiastici o laici. Non la vita intemerata e pia, non il carattere sacerdotale od i veli del chiostro, non le virtù o le santità delle madri, non l’integrità o l’onesta solerzia dei padri, non le ricchezze o l’onorata povertà, non l’età cadente, le grazie verginali, i sorrisi degli innocenti bambini erano scudo contro la rabbia de’ furiosi persecutori: per tutto, ma specie nei principati ecclesiastici, ardevano roghi, le carceri rigurgitavano di inquisiti, gli inquisitori avevano un lavoro superiore alle loro forze, i carnefici non bastavano ai loro orribili uffizî! Interi distretti caddero in rovina e v’ebbe pericolo si spopolassero.163[p. 75 modifica]

 

Ma basti; cerchiamo più spirabil aere.

 

Come procedettero nei secoli XVI e XVII le cose della stregheria in Italia?

 

In questa provincia, ad onta che non mancassero poderosi eccitamenti a chi procedeva contro le streghe, la persecuzione (al pari che in Inghilterra, in Ispagna ed in Francia) fu, e per assoluto e proporzionatamente, molto meno intensa che non in Germania e nella Svizzera.164

 

[p. 76 modifica]

 

E qui per dare una novella prova, se mai occorresse, che nè tutta nè la maggior colpa degli eccessi dei quali fu vittima l’Allemagna va data alla Bolla “ Summis desiderantes, „ come altri pertinacemente sostiene, dirò che avendo or ora fatto cenno di eccitamenti venuti agli inquisitori d’Italia, intendeva alludere a parecchie Bolle papali, che ne animavano lo zelo; e precisamente a quelle di Alessandro VI ad Angelo inquisitore per la Lombardia,165 di Giulio II a Giorgio da Casale inquisitore a Cremona,166 del medesimo all’inquisitore di Bergamo,167 di Leone X agli inquisitori e vescovi della Repubblica di Venezia,168 di Adriano VI a Modesto da Vicenza inquisitore a Como,169 e di Clemente VII al governatore di Bologna.170 Ora io argomento: come poteva la Bolla del 1484 produrre l’incendio che si vuole cagionato da lei, se molte altre e potenti cause non avessero contribuito ad alimentarlo, quando le sei Bolle ora allegate non valsero a gran pezza a produrre gli stessi effetti?

 

Ma quanto a’ processi italiani, ricorderò quelli de’ quali il ho preso memoria. Se ne ebbero a Piacenza verso il 1503,171 a Edolo e Pisogne nel 1510,172 a Como nel 1514,173 in Valcamonica

 

 

[p. 77 modifica]nel 1517-’18,174 a Como nel 1519 e nel ’22,175 a Sondrio nel 1523176, alla Mirandola nello stesso anno,177 a Venezia e nel territorio di quella repubblica nel 1541, poi tra il 1548 e il ’50178, a Bologna nel 1553,179a Roma nel 1558,180 a Mesolcina (Grigioni) verso il 1580,181 a Firenze nel 1612,182 a Macerata nel 1631,183 a Bormio dal 1672 a1 ‘76,184 a Furva (diocesi di Como) negli stessi anni,185 a Marradi (Forlì) nel 1722,186 a Bologna nel 1741.187

 

Che nell’Italia mancassero parte di quelle potentissime cause che diedero ad altro paese il lacrimevole primato nelle procedure per istregheria è cosa che viene chiara per sè stessa; pure fra il resto, ne anche qui gli inquisitori lavorarono per lucrare soltanto dei meriti spirituali. — Nella diocesi di Como si potrebbe sospettare, che venissero pagati dai comuni dove prestavano la loro opera.188 Nel milanese per testimonianza di Cornelio Agrippa [p. 78 modifica]gli inquisitori cavavano danaro di mano a nobili matrone, le quali venivano costrette a liberarsi a quattrini dal pericolo e dalla minaccia di cadere sotto i loro rigori.189 — Circa alla confisca dei beni una sentenza del 12 settembre 1523 ci attesta, che nella diocesi di Como era un accessorio della pena principale,190 e di Valcamonica sappiamo, che i beni delle giustiziate vennero confiscati a pro’ di certe Chiese.191

 

Che anche tra noi l’ inquisizione commettesse delle gravi irregolarità e delle barbarie non è a dubitarsi, fu però anche in Italia dove essa urtò contro una virile, conseguentee provvidenziale opposizione. Ma per stare attaccato al mio soggetto dirò soltanto di quella che incontrò in uno Stato la procedura inquisitoria contro le streghe.

 

La repubblica di Venezia, che nella sua oculata politica diede tanto numero di esempi degni di profondo studio da non essere seconda ad alcuno Stato nè antico ne moderno, sin sulle prime si oppose in modo categorico all’introduzione della Inquisizione delegata nel suo territorio. Nel 1249 era stato deliberato, che gli eretici dovessero giudicarsi da una apposita commissione di cittadini alla cui testa era messo il patriarca di Grado, il quale assieme agli altri vescovi dello stato aveva ad esaminare le credenze religiose degli imputati, mentre la sentenza penale era riservata all’autorità. laica. Nel progresso del tempo però intervenne ai processi anche l’inquisitore, senonchè la sua autorità rimase sempre moderata (la quella de’ giudici laici. — Ma avvenne, che in un processo contro streghe di Valcamonica (forse quello citato più avanti all’anno 1510, dove pare sieno state arse 60 infelici192) a cagione di “ innumerabili estorsioni „ occorse da parte degli inquisitori, cui i Rettori di Brescia lasciarono mano

 

[p. 79 modifica]libera, il Consiglio dei X e la Giunta ordinarono “ che — non ostante le sentenze pronunziate dall’offitio della Inquisitione — dal vescovo di Limino con due dottori deputati dalli Rettori, fossero rifatti li processi e portati a Brescia e giudicati coll’intervento delli Rettori medesimi. „193 — Qualche cosa di simile avvenne anche nei processi pure di Valcamonica del 1518 (cominciati veramente nel ’17) dove “ scoprissi grande numero di incantatori, e per poca diligenza delli Rettori di Brescia il giudizio fu lasciato all’arbitrio degli ecclesiastici. Da ciò nacquero cosi esorbitanti estorsioni e querele degli oppressi, che l’eccellentissimo Consiglio dei X fu costretto ad annullare tutte le cose fatte, e far venire a Venezia li Vicari dei vescovi ed inquisitori, ed oprar, che da altri giudici con l’ assistenza delli Rettori le cause fossero rivedute. E con tutto ciò con difficoltà fu quietato quel popolo che non si movesse a sedizione. „194 questo processo dovettero però lasciare vita e sostanze da '70 vittime,195 e certamente il cenno lasciatoci da fra Paolo non pecca di esagerazioni circa le “ esorbitanti estorsioni, „ se il Consiglio dei X fu costretto a prendere la deliberazione del 21 marzo 1521 che nelle parti priucipali suona:196 chiamato il Legato gli sarà dichiarato quanto importi, che questa faccenda dei processi contro le streghe sia trattata e terminata “ con maturità et giustizia rita et recte et per ministri, che manchino d’ogni sospitione, per il che devono essere deputati alla inquisizione uno o due vescovi assieme ad un inquisitore “ i quali tutti siano di dottrina, bontà et integrità prestanti, ac omni exceptionis maioris (sic), acciò non s’incorri nelli errori, vien detto essere [p. 80 modifica]seguiti fin questo giorno, et unitamente con doi eccell. dottori di Bressa habbiano a formar legittime i processi contra detti strigoni et heretici. Formati veramente i processi citra tamen torturam siano portati a Bressa, dove per i predetti colla presentia et intervento di ambi li Rettori nostri et colla corte del podestà et quattro altri dottori de’ Bressa, della qualità sopra deta, siano letti essi processi fatti, con aldir [udire] etiam i rei et intender se iratificheranno i loro ditti o se i vorranno dir altro, nec non fare altre esaminationi et ripetitioni et etiam torturar, se cosi giudicheranno espediente, le quali cosa fatte con ogni diligentia et circonspettione, si procedi poi alla sententia per quelli a chi l’appartien.... alla esecution della qual servatis omnibus præmissis et non aliter sia dato il braccio seculare, e questo anche si ha a servar nelli processi formati per avanti non ostante che le sententie fossero sta fatte sopra di quelli. Prœterea sia efficacemente parlato con ditto Rino legato e datogli cargo [carico], che circa le spese fatte per l’inquisitione el facci tale limitatione che sia conveniente, et senza estortion o manzarie [mangerie] come si dice esser sta fatte fino al presente, sed imprimis si trovi alcun espediente, che l’appetito del denaro non sia causa di far condannar o vergognar alcuno senza over con minima colpa, sicome vien dimostrato fin hora in molti esser seguito. Et diè [deve] cader in consideratione, che quelli poveri di Valcamonica sono gente semplice et di pochissimo ingegno et che ariano non minor bisogno di predicatori con prudenti istruttioni della fede catholica, che di persecutori con severe animadversioni.... Et ex nunc captum sit, che dappoi fatta la presente essecutione con il Rev.mo legato si venga a questo consiglio per deliberar quanto si haverà a scrivere alli Rettori nostri de Bressa et altrove.... et sia etiam preso, che tutte le pignoration ordinate et fatte da poi la suspension presa a 12 dicembre pross. præt. in questo consiglio siano irrite et nulle nè haver debbano alcuna essecutione. „

 

A principî cosi elevati, e che furono confermati anche nel tempo seguente,197 si deve se di 63 processi fatti nella Venezia dal [p. 81 modifica]1547 al 1550 in materie d’ inquisizione — non so però se tutti trattino di stregheria — 19 vennero sospesi, pochi finirono colla condanna di carcere a tempo, 1 di galera, 1 di morte, mentre per la maggior parte terminarono con la pena di multa o bando.198

 

Dove tale fu la opposizione che fece uno stato in Italia contro la procedura per il crimine di stregheria, conviene fare menzione an- che di quell’altra più generale, che se ha da dirsi meno solenne, tuttavia perseverando, ed aiutata da felici circostanze , condusse alla abolizione della procedura stessa. Sotto certo aspetto questa fu la continuazione delle opposizioni che si mauifestarono nei se- coli anteriori contro la Inquisizione e la sua competenza, ma ebbe in qualche modo un carattere diverso da quelle, giacchè, come sorse per forza di reazione provocata dagli eccessi medesimi di rigore e di irregolarità, cosi si appuntò prima contro qnesti per battere poi in breccia la terribile superstizione nella sua essenza. Fu per vero una guerra di due secoli circa, durante i quali co- loro che combatterono per la causa della ginstiziae dell’umanità ebbero per alleata la nuova civiltà, che coi risorti studi, colla filo- sofia sperimentale spastojata dalla scolastica autorità e colla dif- fusione della scienza prodotta dall’arte della stampa, mentre mi- nava le fondamenta della cittadella del feudalismo, dell’autocra- zia e della schiavitù, ogni giorno più andava diradando le tene- bre della crassa ignoranza e della cieca credulità.

 

Però non è a stimare, che quand’anche perle ragioni sual- legate la superstizione fosse generale cosi che persino gli uomini colti non ne andavano immuni, abbia in qualsiasi tempo mancato il seme di coloro alla cui mente brillassero i raggi del vero, ed

 

[p. 82 modifica]il cui cuore sentisse pietà per le infelici vittime della ingiustizia. Il nostro Tartarotti porta un catalogo di 33 scrittori dalla metà del secolo XIII alla metà del XVIII i quali negarono la verità del congresso notturno delle streghe,199 ma quell’elenco si potrebbe agevolmente aumentare, perchè egli, volendo singolarmente combattere nel citato suo libro cotesta credenza contro le teoriche del p. Delrio in modo peculiare, non prese memoria che degli scrittori cattolici che aiutavano le sue argomentazioni. Se non che è ben debito notare, che la gran parte di costoro non può aspirare al vanto di avere prodotto il lavoro più utile alla opposizione di che ci occupiamo: come non possono aspirarvi neppure quelli che da bel principio tentarono l’assalto di fronte, come fecero il can. Loseo, Cornelio Agrippa, Giovanni Weier ed altri, perchè i tempi in che vissero non permettevano una ragionevole discussione sopra un argomento che, a torto, doveva avere stretta relazione colla fede. — Quelli cui è dovuta la lode di avere aperta la breccia esponendo al maggiore pericolo la loro vita e la loro libertà — e dico questo non parlando figuratamente — sono due gesuiti, cioè il p. Adamo Tanner ed il p. Federico Spee, de’ quali mi corre stretto dovere di trattenere i lettori.

 

Il primo,200 nato ad Innsbruck (1572) fu teologo di gran vaglia, professore alle università di Ingolstadt, Vienna e Praga, scienziato e naturalista noto fra’ contemporanei. Nella maggiore sua opera “ Universa Theologia scholastica speculativa, practica „201 non nega già recisameute la realtà della stregheria — e al suo tempo lo avrebbe potuto? — , nega però la tregenda ed il congresso notturno delle streghe, e sostiene, che le confessioni che si hanno in argomento nei processi o furono estorte dai tormenti o dipendono da sogni e fantasie inferme. Dove più si estende è [p. 83 modifica]sui processi, dei quali parla con singolare franchezza e moderazione, mettendo in vista le irregolarità, le irragionevolezze e le crudeltà che vi si commettevano, in modo tale da meritarsi l’ammirazione di chi sappia, che la sola zelante difesa delle streghe era tale indizio contro il difensore da giustificare l’aprimento del processo a suo carico. Il p. Tanner corse anche il rischio di venire processato, per quello che racconta lo Spee, cui fu riferito, due inquisitori avere detto, che se avessero potuto mettere le mani addosso al pio teologo lo avrebbero certo posto alla tortura.202 — L’autore, che attribuiva massimamente alla femminile debolezza gli immaginari portenti della stregheria, sostiene, non essere già colla violenza, coi processi e coi supplizi che essa potrà. venire estirpata, ma bensì co’ buoni insegnamenti religiosi, colla educazione, colla persuasione; e quanto ragionasse giusto (non sarebbe necessario di provarlo oggi) si vide subito dopo la sua morte. Per isfuggire all’esercito svedese che condotto da Gustavo Adolfo correva la Germania, il Tanner pensò ritirarsi nel natio Tirolo, ma giunto dopo un lungo giro vizioso a’ confiui del territorio di Salisburgo, sorpreso da febbre maligna morì in un villaggio (25 maggio 1632). I suoi ospiti, che non lo conoscevano, trovarono fra le poche robe che aveva seco un certo arnese, guardando traverso a1 quale si vedeva una mostruosa bestia, maggiore del ricettacolo, coperta da grossi peli, e armata di paurosi artigli alle sue estremità. Per certo doveva essere un “ diavolo „ colà rinchiuso, e di conseguenza il defunto uno stregone. Si corse al curato del luogo, perchè venisse negata al morto la cristiana sepoltura. Ma per fortuna il curato aveva qualche notizia di ottica, e quindi aperta la prigione del “ diavolo „ ne levò un insetto, poi fattone prendere un altro lo mise al posto del primo, e lo fece osservare ai Villani, e così li rese persuasi, che il terribile magico vetro non era altro che un microscopio. Si potè dopo ciò seppellire in pace il buon avvocato delle streghe!

 

Ma più utile alla causa di queste che non la teologia del p. Tanner fu un' operetta di altro gesuita il p. Federico Spee [p. 84 modifica]di Kaiserswerth (Colonia) (1591†1635).203 Entrato in un collegio d. c. d. G. e compitavi la sua educazione, ancora giovane fu fatto professore di filosofia e di morale, poi per la sua eloquenza missionario nei paesi cui minacciava il protestantismo. Fra il resto, in tale qualità, ricondusse al cattolicismo gli abitanti di Peine, la qual cosa irritò tanto la nobiltà di Hildesheim, che assoldò un sicario il quale, appostato, lo ferì. — Passò poi nei vescovadi di Bamberga e di Erbipoli dove infieriva la rabbia de’ processi contro le streghe, e colà ottenne di poter assistere per qualche anno come confessore le condannate. All’uomo religioso, dotto, filantropo, intelligente e senza troppi pregiudizi si aprirono gli occhi sugli enormi delitti che commetteva la società sotto colore di religione e di necessaria legittima difesa, e tanto dolore lo assali, che in breve i suoi capelli incanutirono. Forse di consenso col suo potente amico Giovanni Filippo di Schönborn, prima vescovo di Erbipoli, poi elettore di Magonza, scrisse la celebre “ Cautio Criminalis, seu de processibus contra sagas „ dedicando il libro, piccolo di mole ma ricco di scienza e di cuore, ai principi ed ai magistrati della Germania.204 — In questo svela abusi, angherie e barbarie di principi, di inquisitori, di giurisperiti, mette a nudo le miserie, le malizie e le stupidità di volghi, stritola le argomentazioni goffe, ipocrite e maligne di trattatisti, e mena la sferza a tondo così da fare spruzzare il sangue dappertutto dove coglie.205 — La logica dello Spee non soffre contraddizione come [p. 85 modifica]quella che non è nè scolastica nè autoritaria, ma viene diritta dalla ragione e dalla esperienza, i fatti che adduce non si possono impugnare nè per se nè per le loro conseguenze. Vi sono delle pagine d’una eloquenza naturale che strappa le lagrime, e di quelle così argute, che si potrebbero credere scritte da Erasmo di Rotterdam o da Cornelio Agrippa.206 — Anche il p. Spee ammette l’esistenza delle streghe, ma sostiene, che fra le condannate moltissime sono ,207 e per questo suggerisce e raccomanda, che i processi sieno trattati colla maggiore circospezione e diligenza, colle maggiori cautele, coll’osservanza di tutte le formalità, col rigetto della tortura, di ogni superstizione ed immoralità, dei testimoni non sicuri, degli abusi di ogni maniera, concedendo ampia difesa: accorda. insomma bensì, che le streghe vengano processate, ma vuole che il processo si faccia loro secondoil diritto, la ragione e la carità, — ciò che torna a dire, che venga abolito.208 Gli effetti di questo libro si fecero in una parte sentire subito: nel vescovado di Magonza, che fu uno dei territori più disertati dalla persecuzione contro le streghe, l’elettore Giovanni Filippo fece tesoro degli insegnamenti e delle preghiere del ruo amico cosi, che durante il suo reggimento (1647-73) non arsero quasi più roghi.

 

Per il resto va detto, che i miserabili lamenti strappati da’ bestiali processi avevano già prima del tempo del quale parlo resa attenta Roma, che si camminava sopra. una viainiqua e che [p. 86 modifica]avrebbe condotto al precipizio, ond’ è che Giulio III (1550-’55) con una Bolla citata da Delrio209, dallo Spee210 e da altri, che io però non seppi trovare, ordinò, per iscenare l’abuso della tortura, che questa non si protraesse oltre un’ ora di tempo, e meglio ancora Gregorio XV colla Bolla “ Omnipotentis Dei „ del 20 marzo 1623, ingiunse, che i rei di stregheria non si mandassero al supplizio, se non fosse provato, che avessero cagionato la morte di taluno; gli altri si dovevano punire di prigionia. Vero è però, che troppo facilmente si potevano eludere e si elusero cotali disposizioni!211

 

Vero è altresì, che se i difensori della giustizia e della verità osavano finalmente alzare con coraggio la voce, non mancavano però i difensori delle inique pratiche e delle superstizioni. Ma di questi non ci occuperemo, perchè la loro condanna seguì nel modo più autentico, già nel 1657. La Congregazione del S. Uffizio, a Roma, in cotesto anno, pubblicò la “ Instructio pro ormandis processibus in caussis strigum, sortilegorum et maleficorum, „ che è un documento in vero non molto considerato, ma, per mio avviso, di altissima importanza.212

 

La Congregazione del S. Uffizio, messa probabilmente sull’avviso dai libri del Tanner e dello Spee, non poteva essere più [p. 87 modifica]severa di quello che fu cogli inquisitori, ai quali rimprovera, che quasi verun processo da lungo tempo sia formato rettamente e giuridicamente. Per la qual cosa fu molte volte necessario riprendere “ quamplures judices... ob indebitas vexationes, inquisitiones, carcerationes nec non diversos malos et impertinentes modos habitos in formandis processibus, reis interrogandis, excessivis torturis inferendis, ita ut quandocumque contigerit injustas et iniqnas proferri sententias etiam ultimi suplicii sive traditionis brachio sæculari, et reipsa compertum est, multos judices ita faciles et proclives fuisse ob leve aut minimum indicium credere aliquam mulierem esse strigem.... ut ab huiusmodi muliere etiam modis illicitis talem confessionem extorquerent, quum tot tamen tantisque inverisimilitudinibus, varietatibus et contrarietatibus, ut super tali confessione nulla aut modica vis fieri posset. „213 Viene quindi alla particolare enumerazione delle irregolarità e degli abusi, dei torti e delle pratiche vane e superstiziose che cadevano a colpa dei giudici, ed ordina delle prudenti cautele e regole, e delle umane misure, che sarebbe lungo enumerare. Ma non va taciuto un consiglio che si dà agli inquisitori, e cioè che quando esaminano le accusate “ melins esset ut tunc obliviscerentur eorum quæ dicunt doctores in ista materia, quia sæpe visum est, quod judices in ordine ad ea quæ perlegerunt multa præjudicia faciunt his mulieribus. „214 — Finisce poi col mettere un freno all’ingordigia de’ giudici a’ quali, fra il resto, è detto “ quando mulieres sunt pauperes caveant.... ab earum bonorum expillationem. „215

 

Oramai non Solo era passato per sempre il classico periodo dei processi contro le streghe, ma la ragione e l’umanità avevano ripreso il posto che loro spetta, e se l’edifizio della stregheria non si sfasciò come un magico castello, rotto che fu l’incanto, ben si può dire che andò squagliandosi come la neve al sole.

 

Cristina di Svezia nel 1649 ordina, che non si proceda più contro le streghe di Osnabrück, e toglie di diritto e di fatto [p. 88 modifica]le procedure nei suoi possessi tedeschi; a Ginevra si aboliscono nel 1652; Luigi XV nel 1672 chiudeiprocessi di Normandia;216 in Inghilterra cessano nel 1682. Per altra parte Baldessare Barman, olandese (1634†1698) pubblica il suo “ Mondo ammaliato „217, e per il primo prende il toro per le corna, combattendo non solo le barbarie e le irregolarità del processo, ma la stessa stregheria nella sua essenza, ciò che sollevò contro di lni e delle sue teoriche nn tale subisso da ogni parte, che gli stessi suoi correligionari protestanti perseguitarono e l’uno e le altre con un ardore, che oggi sembra poco meno che inesplicabile. — Meno radicale fu Cristiano Thomasio (Thomasen) (1655†1728) di Lipsia, che combatte la stregheria dal punto storico-giuridico in parecchie opere.218 A lui deve moltissimo la Germania protestante se fu mano mano in essa lavata la macchia della persecuzione contro le streghe, ma a lui si fa il rimprovero di non essere scevro da passione, quando getta quasi ogni colpa della medesima sul cattolicismo. Forse le lodi ed i biasimi che furono a lui fatti eccedono qninci e quindi la misura; certo è però, che egli contribuì non poco a che — come disse Federico secondo — le donne tedesche potessero diventare vecchie senza paura. Di fatti in Prussia gli ultimi processi contro streghe seguirono nel 1727-’28, avendone Federico Guglielmo decretata la abolizione. Questo esempio fu seguito dagli altri principi tedeschi a maggiore o minore distanza di tempo219. In Italia, per quanto io ne sappia, non si procedette per crimine di stregheria che in rarissimi casi sino verso la meta del sec. XVIII. Negli stati ereditari della casa imperiale d’Absburgo la gloria di avere di fatto cancellato il processo contro le streghe spetta a Maria Teresa, che [p. 89 modifica]fino dal principio del suo reggimento — come essa dice nella introduzione alla Patente dei 5 novembre 1766 — aveva rivolto la sua attenzione a questo lagrimevole argomento, ed aveva ordinato, che le sentenze relative venissero sottoposte a lei medesima.220 — Forse alle risoluzioni di quella Donna di alta mente non fu estraneo neppure il libro del nostro Tartarotti, che se in ordine di tempo venne quasi ultimo a pugnare per la causa della ragione, della giustizia e dell’umanità, non va secondo a nessuno per vastità di erudizione, per serenità di critica e per dirittura di ragionamento, e costituisce una delle opere delle quali il Trentino può andare superbo a tutto diritto. —

 

Ma avanti discorrere di questo libro e del suo Autore è necessario, che venga detto qualche cosa, in genere, sulla istoria della stregheria nel Trentino, della quale sino adesso non ho fatto cenno. — Essa vi fece la sua comparsa verso la fine del secolo XV, sapendosi dai più antichi processi di Fiemme — come si vedrà da questi, — che qualche anno avanti il 1500 e là intorno erano state bruciate alcune streghe a Salorno, e ad Egna, che allora erano bensì territorî feudali e quindi non facevano parte integrante del principato di Trento, ma erano però legati assai da vicino con esso. Vengono poi, in ordine di tempo, i detti processi di Fiemme del 1501-1505, il primo ciclo dei processi di Val di Non del 1612-’15 , i processi di Val di Fassa (1617-18, 1627-’28, 1643-'44), quelli di Nogaredo del 1646-’47, quelli di Primiero del 1647 e del 1650, il secondo ciclo de’ processi di Val di Non del 1679, il processo di Brentonico del 1716, e finalmente quello di Nogaredo del 1717 e ’18.221 La serie è pur troppo lunga, [p. 90 modifica]eppure io temo non sia completa, quand’anche abbia usata ogni diligenza per iscoprire atti, memorie ed anche tradizioni. —

 

La procedura, su per giù, fu tra noi quella stessa che altrove; le poche variazioni che si riscontreranno si devono agli speciali ordini giudiziari vigenti in qualche luogo, piuttosto che alle disposizioni degli Statuti criminali di Trento, di Rovereto e di Riva, che nel nostro paese sonoisoli che io conosca.222 Per il resto anche le poche variazioni, che questi introdurrebbero nel processo del quale ci occupiamo, hanno meno importanza di quello che mostrino, per la ragione, che, come si sara potuto vedere dall’elenco che feci, nelle dette tre città, e credo eziandio in Arco e ad Ala, non si conobbe la persecuzione contro le streghe, la quale fu limitata a qualche valle più o meno remota dai maggiori centri civili, se ne togli gli esempi di Nogaredo. — Comunque, circa agli Statuti prima detti è a sapere, che in nessuno è fatta espressa menzione del crimine di stregheria, e che soltanto in quello di Rovereto (Statuta novissima, cap. 161) è menzione di malefici “ ex magicis et demonicis artibus. „ Siccome poi tutti e tre gli Statuti trentini pongono la massima, che quando si tratti di delitti colà non contemplati s’ha a procedere secondo il giure comune, cosi bisognerebbe indurne, che contro le streghe s’avrebbero dovuto osservare le regole di questo; tuttavolta trovando, che nei crimina excepta, ai quali per certo spettava quello della stregheria, si avevano ad adottare le massime del processo inquisitorio, si può invece credere che

 

[p. 91 modifica]questa eccezione si sarebbe estesa anche contro le povere streghe. Notevoli per tanto credo le seguenti disposizioni. Lo statuto di Trento ordina , che non si possa sottoporre a tortura verun denunziato od accusato, se non si abbiano contro di lui dei legittimi indizî, e se non si tratti di tali delitti per i quali secondo lo stesso statuto sia stabilita la pena di morte, quella del taglio d’un membro, quella “ affiictiva corporis, „ o quella che ecceda la multa di lire 100 di buona moneta. All’inquisito doveva darsi un difensore, ed a questo o a quello la copia del processo, e concedere un termine di almeno 8 giorni per produrre le discolpe (delle quali aveva a vagliare il merito il giudice) in pena di nullità. La tortura poi doveva darsi alla presenza del notajo e dei Gastaldioni, o di due Consoli della città, che avevano il dovere di impedire gli eccessi. La confessione ottenuta senza che fossero state osservate coteste formalità era eo ipso nulla, ed i giudici che avessero contrafatto alle medesime venivano puniti con una multa di lire 25. Che se questi avessero cagionato la morte coi tormenti erano a punirsi secondo il diritto comune, ed a ciascuno era lecito accusarli: se durante il duro esperimento si fossero allontanati erano puniti di multa di lire 200, che per le altre persone del consesso era ridotta a L. 50. — Tutto il processo doveva essere scritto diligentemente dal notajo, ed all’esame dei testimoni doveva assistere personalmente il Podestà, che solo quando fosse stato eccepito o legittimamente impedito poteva essere sostituito da un giurisperito. La confisca dei beni non poteva pronunciarsi, che nei casi previsti dal diritto comune. Le sportule del notajo in casi criminali sono tntte fissate per legge e, tranne che per gli atti di maggiore gravita, in importi modesti.223

 

Quali cause specifiche abbiano portato nei vari tempi la [p. 92 modifica]peste della stregheria e la iniquità de’ processi contro le maliarde nelle nostre valli non è quesito agevole a risolversi, ed io non mi credo licenziato per tanto ad indicare quelle poche che mi sono suggerite da ovvie considerazioni. Per le cause generali devo richiamarmi a quanto ho scritto prima su tale oggetto. Ma non tornerà a biasimo del Trentino l’osservare, che dei molti scrittori nostri nessuno va nominato tra coloro, che hanno portato qualche notevole contributo alla generale superstizione, ad onta sia a credersi, che quasi tutti non fossero migliori o più veggenti de’ loro contemporanei. Fra loro però va lodato Jacopo Aconcio (1492-1570?), che se gode di meritata fama quale uno de’ riformatori della filosofia, ha diritto di essere qui ricordato per il suo “ Stratagemmatum Satanæ, „224 dove non soltanto si mostra coraggioso, ragionevole ed umano quando proclama non doversi costringere, e meno che meno co’ tormenti e colle pene, la coscienza di alcuno in materia di fede, doversi ajutare per contrario il trionfo del vero colla mite persuasione e cogli esempi,225 che anzi, se anche per lui Satana e il padre della menzognæ del male, non si lascia trascinare però dalle altrui dottrine demonologiche ad individualizzare, notomizzare e occorrendo classificare la famiglia dei “ diavoli, „ ma tratta il suo oggetto con tale altezza di idee, con tale chiarezza di argomentazioni e con tale moderazione di forma da parere uno scrittore cresciuto in tempi non asserviti da’ pregiudizî.

 

Ma più va lodato ancora il Tartarotti (1702-11761)226, che forse anche eccitato dalla dolorosa eco degli ultimi processi di Nogaredo, diede col suo trattato “ Del notturno congresso delle Lammie ,, il colpo di grazia all’assurda credenza delle streghe [p. 93 modifica]ed alle iniquità dei processi loro intentati. È vero, che verso la meta del secolo XVIII quella aveva perduto molto terreno nella mente delle persone colte, è vero, che i processi allora si erano fatti radi, ma e vero altresì, che nel medesimo anno nel quale usci l’opera dell’Abbate Roveretano (1749) ad Erbipoli venne decapitata e indi bruciata Maria Renata Saenger, monaca, ed a Salisburgo una povera ragazza, accusate e condannate per istregheria, come e vero, che nella Baviera si ebbero ancora per vari anni processi contro streghe, e che nello stesso Impero R. G. se erano aboliti di fatto non lo erano ancora di diritto. Per la qual cosa l’opera del Tartarotti non va considerata come l’assalto contro un nemico debellato, ma bensì come la finale carica fatta contro le nltime posizioni da lui occupate e strenuamente difese. Egli ha dunque tutto il diritto alla riconoscenza nostra, e nella storia della stregheria, cui egli per il primo indagò ed in gran parte rivelò con criteri scientifici, il suo nome merita un posto eminente.

 

L’opera del nostro antore e principalmente diretta a due scopi, e cioè a distruggere la superstizione delle streghe, ed a provare, che coloro i quali ne sostenevano la realtà, specie il maggior loro campione M. Delrio, avevano difeso l’assurdo e la iniquità coll’armi della sciocca credulità, dell’intollerante fanatismo, della falsa logica, della prosnntnosa ignoranza e della bieca ipocrisia. — Egli divise lo scritto in tre libri, che per vero non corrispondono ad una esatta partizione della materia, ma che però si possono riassumere, presso poco, così:

 

Libro I. cap. I-VIII. Storia della stregheria.

,, ,, IX. La superstizione delle streghe discende dalla leggenda del Corteo di Diana (Holda).

,, ,, X. Il processo contro le streghe non cade a colpa di Roma papale.

,, ,, XI. Erroneità di alcune massime fondamentali di Binsfeld, Suarez e Delrio.

Libro II. cap. I-VIII. Argomentazioni e prove contro la realtà della stregheria.[p. 94 modifica]

Libro II. cap. IX-XVII. Forza ed effetti della fantasia; fenomeni fantastici sulla licantropia e sull’antropofagia; caratteri distintivi tra la magia e la stregheria; difesa delle streghe.

Libro III. cap. I-III e V. La demonologia nei suoi rapporti colla stregheria.

,, ,, IV. Il processo contro le streghe (Dallo Spee).

,, ,, VI-XIII. Polemica contro il p. Delrio.

,, ,, XIV. Elenco di scrittori che negarono la realtà del Congresso notturno delle streghe ( sec. XIII-XVIII.)

,, ,, XV. Conclusione.

 

Nè prima nè al tempo del Tartarotti alcuno scrittore fu padrone qnant’egli della materia sulla quale scrisse, e ben pochi — forse nessuno — dopo di lui portò nella critica sia filosofica sia storica quella serenità di giudizio, che accorda anche agli avversari la parte che si meritano, ma non riconosce all’autorità di verun nome il diritto di dettare leggi. Oggi si direbbe che il Tartarotti è scrittore alquanto trascurato nella forma, ma sarebbe fortuna se agli autori, che si occuparono e si occupano di oggetti importanti, si potesse far colpa di un torto come questo soltanto. — Che se taluno si scandalizzasse perché egli, erudito e critico di primo ordine, credeva ancora nella magia, non mi permetterei di dire altro che questo, che perfino nel secolo XIX, fra tanto splendore e tanta superbia di scienza, si faticherà a trovare l’uomo spregiudicato; e basti ricordare i fasti dello spiritismo.

 

Il libro del Tartarotti mise arumore il campo. Avversarî e protettori delle streghe si strinsero addosso a lui, dicendo questi che era inconseguente nel voler distruggere la stregheria e sostenere l’esistenza della magia; quelli accusandolo d’empietà, perché osava impugnare le credenze, le tradizioni, le autorità e le pratiche secolari. — Così, specie per opera degli ultimi, si addensò sul capo di lui una fiera tempesta, la quale tuttavolta non iscoppiò d’un tratto. I primi segni se ne ebbero quando [p. 95 modifica]egli nella giusta indignazione destata dal processo contro suor Maria Renata non dubitò pubblicare le sue Glosse alla orazione tenuta dal p. Giorgio Gaar avanti il rogo, che bruciòi resti mortali di quella povera monaca.227 Questo gesuita si scagliò contro il critico di Rovereto, “ persona ignota in Germania, che animato non si sa da quale spirito aveva fatta una critica zoppa alla sua predica, ed aveva vituperato e quella e tutti i tribunali d’Europa. „ — A costui rispose per le rime un altro roveretano, scolare del Tartarotti, il sac. prof. Giovanni Battista Graser,228 che divideva le convinzioni del proprio maestro. Tale polemica attirò l’attenzione della Allemagna, essendo stato tradotto lo scritto del Graser in tedesco, e di qui fu che questi, pare per invito venutogli dal governo del Tirolo, pubblicò un’altra memoria nella quale combatte di nuovo la condannata superstizione.229

 

Sino qui però la lotta stette tra' confini di una discussione accademica, e non ne usci, che quando il p. Benedetto Bonelli, persona d’altronde assai benemerita della storia trentina, prese le parti de’ persecutori delle streghe. — Questi, che altra volta aveva messo in dubbio la stregheria, colle sue “ Animavversioni critiche sopra il notturno congresso delle lamie „ (Venezia 1751), intempestivamente e con modi sgarbati si eresse ad avversario del Tartarotti, sostenendo con vasto arsenale di dottrina, ma con poco criterio , le moribonde teoriche. Non vi rispose direttamente il dotto ma bollente roveretano; però nella sua “ Apologia del notturno congresso delle Lamie, ossia rispo[p. 96 modifica]„ sta... all’arte magica dileguata „ (Venezia 1751) Appendice, capo IX, lavora di staffile contro il Bonelli, e rimproveratogli d’aver cambiato bandiera, lo tratta da prosuntuoso, villano, ignorante e matto. — Il Bonelli entrò di nuovo in lizza e pubblicò il “ Sentimento critico contro l’apologia del congresso notturno delle Lamie „ (Trento 1753). A questa scrittura nulla oppose il Tartarotti, sia che isdegnasse misurarsi con un avversario troppo a lui inferiore, sia che, sicuro del trionfo, non volesse stravincere. Ma tra i due la polemica aveva fatto mal sangue, ed in questo si dovrebbe trovare la prima radice della persecuzione fatta poi al Tartarotti , ai suoi libri, alla sua memoria, ed anima della quale, vorrei dire sicuramente, fu il p. Benedetto Bonelli. — L’occasione prossima di questa si rinviene in ciò, che avendo l’abb. Tartarotti nel suo libro “ Memorie antiche di Rovereto „ sottoposto a severo esame critico quanto era accettato generalmente in torno al b. Adalpreto, vescovo di Trento, (1156-1177) ucciso da Aldrighetto di Castelbarco, fu gridato all’anatema contro tale libro ed il suo autore, e mentre questi giaceva infermo per la malattia che lo trasse a morte (16 maggio 1761), quello fu bruciato per mano del boja sulla piazza maggiore di Trento. Nè mancato ai vivi il Tartarotti quietarono le ire, che anzi avendo alcnni parenti, amici ed ammiratori di lui fatto mettere alla sua memoria un monumento nella chiesa di S. Marco di Rovereto — senza averne prima ottenuto il permesso dal diocesano di Trento — questi scagliò l’interdetto contro la città sorella nostra, dal che venne poi un conflitto, che ebbe fine soltanto quando il governo della imperatrice Maria Teresa vi si mise di mezzo.230

 

Giunto quì al termine di questa memoria, che riuscì più lunga delle previsioni fatte quando vi posi mano, avanti accomiatarmi dal cortese lettore mi permetto dire ancora due parole. Io non voglio cavare veruna conclusione da quanto ho esposto [p. 97 modifica]secondo la mia migliore scienza, e spogliandomi da ogni spirito di parte, e questo non tanto perchè ognuno che sia stato cosi paziente da seguirmi ha il diritto di non essere disturbato nei propri giudizi, quanto piuttosto perchè mi sembra; che sia ancora pericoloso venire ad illazioni categoriche. Non è lecito, parmi, giungere a questo se non dopo studiataa fondo la storia della stregheria, e (prescindendo anche dal fatto che non ho le forze nè ebbi la più lontana intenzione di scriverne neppure il Sommario) questa memoria non si occupa che di alcune fra le questioni della medesima. — Io non ho potuto che sfiorare, per mancanza di materiale, la parte che riguarda l’Italia, la quale anche per il migliore studio dei processi trentini sarebbe necessaria; e non ho neppure tentato di accennare sia alla parte psicologica, sia alla comparativa. — Lascio ad altri questo campo quasi vergine; ben contento se avessi in qualche modo incoraggiato taluno ad occuparsi di proposito dello studio di codeste parti della storia delle streghe, che è elemento da non obliarsi in quella della coltura dell’età di mezzo e della moderna.

 

Trento, Marzo 1888.

 

Augusto Panizza

 

[p. 98 modifica]

i processi

 

VALLE DI FIEMME.231

 

1501

 

Primo processo contro Giovanni Delle Piatte

 

 

In nomine Sanctissime et Individue Trinitatis Patris et Filij et Spiritus Sancti Amen etc

 

Ad honorem dei omnipotentis beatissime et gloriosissime Virginis marie Nec non tocius Curie celestis ad confutandum inimicos Dei omnipotentis nostre sancte fidei katholice et humane nature Incipiunt processus agitatus contra diabolicas maleficas et maleficos perfidos et perfidas strigones et strigas Manifestatos confessiones ratificatos et perseveraciones eorum et earum persunas pessime condicionis et fame inimici et inimice dei omnipotentis sancte matris ecclesie et humane nature que deum pre oculis nun habentes sed pessimo spiritu instigati abrenunciaverunt et denegaverunt deum omnipotentem beatissimam Virginem mariam totam Curiam celestem et sanctam matrem ecclesiam ac fidem katholicam nostram acceperunt diabolum de inferno pro domino ipsorum et ei promiserunt servire et se in anima et corpore perpetualiter in abissum inferni dederunt non parcendo humane nature nec justo nec impio nec sanguini Innocenti in corpore matris nec eorum proprijs consanguineis et ad complacendum diabolo domino suorum se dant et mittunt ad consuman[p. 99 modifica]dam omnem carnem Christianam et non solum ea sed eciam ad devastandam anullandam substanciam vite nostre videlicet blada et animalia queque per artem suam diabolicam videlicet et tempestates brumas et siccitates nec non Inundaciones aquarum in Vilipendium destrucionem et refutacionem humane nature inducunt.

 

 

Primo.

 

Incipit processus agitatus contra Johannem filium quondam lienhardi magistri dele piatte de Villa altaru232 Jurisdictionis Engne233 Comitatus tirolis episcopatus tridenti hominis diabolici perfidi strigonis male condicionis et fame inimici dei omnipotentis sancte matris ecclesie et nostre sancte fidei katholice ac humane nature indivinatoris ac deceptoris hominum nec non defraudatoris pessimi.

 

In Cristi nomine Amen Anno a nativitate ejusdem Millesimo quingentesimo primo Indicione quarta die vero lune Vigesima quinta mensis Januarij In Villa Cavalesij vallis Flemarum diocesis tridenti in domo quondam gregorij schmidt de feltre per spectabilem virum ac dominum bernhardinum gobeti civem tridentinum ac Vicarium Vallis flemarum magnifici et generosi domini Vigilij domiui de furmiano234 sescalchi hereditarij ecclesie tridentine nec non Capitanei Vallis flemarum dignissimo Loco Reverendissimi ac dignissimi principis ac domini domini Udalrici235 dei gratia episcopi et domini tridentini dignissimi et de mandato prefati magnifici domini Vigilij domini de furmiano etc detentus et incarceratus fuit Johannes de altaru etc causa et [p. 100 modifica]occasione Quia in Vigilia septem fratrum mensis Julij proximi elapsi circa mediam noctem in Villa Cavalesij supervenit maxima. inundacio et classis aquarum cum maximo impetu sic et taliter quod multa domicilia ruit et quam plures persone perierunt et emerse fuerunt Sic mense ut supra idem Johannes erat in Valle flemarum et exercebat artes suas defraudatorias cum uno Cristallo236 quem habebat et libros in quibus multa nephanda et prohibita erant descripta conjuraciones diabolorum et similia que omnia erant contra fidem nostrani katholicam et dicebat se esse medicum237 et aliquem dum volebat medicare aliquam personam aspiciebat in cristallum qua infirmitate erat oppressa et sic ipso tempore multa predixit de futuris contingencijs inter cetera ad aures prefati magnifici domini Vigilij pervenit qualiter notificavit hominibus et maxime simplicibus qualiter de ipsa classe et undacione aque que fuit mensis Julij ut supra in Villa Cavalesij bene sciebat ipsam venturam et quod aduc multa maior undacio aque et ruina in Valle flemarum supervenire cito deberet Et sic de ipsa pronosticacione ejus iniqua falsa et incerta in Valle fiemarum et maxime in Villa Castelli Vallis predicte multe persone in talem timorem et terrorem venerunt quod affugere ceperunt snpermontes et in silvis cum rebus suis Volens igitur prefatus magnificus Vigilius dominus in furmiano talia nephanda et ejus pronosticaciones diligenter persecutare et unde illam doctrinam habuisset et didicisset Cum sit quod erat notus pro simplice ideota absque litteris ideo ordinavit magnifico Vicario ut supra ut mittere magistrum238 deberet in ipsum detinere et incarcerare et procedere id quod juris requirebat etc [p. 101 modifica]Die vero lune octavo mensis februarij anno Indictione ut supra In Villa Cavalesij Vallis flemarum etc. Ibique prefatus dominus Vicarius de mandato prefati magnifici domini Vigilij aput se convocare scarium Vallis flemarum cum quatuordecim juratis tocius vallis flemarum ministrare Justiciam contra ipsum Johannem et perscrutare ab ipso de doctrina et vita ejus Sic die ut supra in villa Cavalesij in domo magna episcopatus in stuba maiori sedens prefatus dominus Vicarius simul cum domino Jacobo notario Scario comunitatis Vallis fiemarum Victore de summaripa habitatore Cavalesij Bartliolomeo de breito de Villa avarene239 jurati (le bancha Valerio Zen Johanne pappo habitatore tesidi240 et jurati de bancha Johanne Vinante et Silvestro depedonda habitatoris tesidi jurati de consilio Bartholome Jacobi de augustini jurato de consilio Jacobo de lisauzi (?) et Jorio Althamer habitatore Cavalesii jurati de consilio Johanne boscheto de Cadrano241 jurato de consilio Zuan de Zaneto de et francisco barato sacratus242 loco fratris sui antonij de furno habitatoris et jurati de villa mogene243 Ulricus magnus juratus de villa trudene244 Omnes infrascripti jurati vallis flemarum Ibique per officiales idem Johannes coram prefato domino Vicario Scario et Juratis ut supra presentatus et ibique dominus Vicarius similiter presentavit saculum ejus in quo habebat predictum librum in quo multa enormia et prohibita scripta erant et depicte multe caracteres et conjuraciones diabolorum in lingua teutonica et conjuraciones Cristalli Item et hic habebat Cristallum incapsatum in Cera dixit quod erat benedictum in quo aspicere faciebat Virgines et conjurabat posthec videbant strigas in ipso Cristallo et furta et ipsemet infirmitates in quibus ulla Veritas erat Item et habebat multas radices que pocius homines ad infirmitatem provocabant quam sanarent quum eos medicabat cum ipsis Supra predicta interroga[p. 102 modifica]tus de vita ejus et que mala fecisset cum arte ejus et in qnem modum exercebat dixit priusquam combuste fuerunt strige a salurnu didicit artem medicine a quampluribus personis et conjuraciones Cristalli et alia a fratribus religiosis et presbiteris et nichil aliud mali fecit nisi ut sic simpliciter medicabat cum ipsis herbis et radicibus Item et interrogatus de undacione aque dixjt nescire et quod unquam similia dixit quod scire deberet de alia undacione Sic aliud nichil dicere voluit et dixit nichjl aliud scire nec fecisse nisi quod sit probus et valens homo

 

Supra predicta conductus et ligatus ad cordam tum nichil aliud processum cum eo fuit245 Et de comuni consilio prefati domini Vicarij Scarij et Juratorum deliberatum et decretum fuit quod libri ejus cum cristallo et radicibus comburi deberent et quod ipse Johannes banditus esse debet a Valle fiemarum nec unquam sine licentia superioritatis reverti in vallem predictam nec similia prohibita exercere et adfirmacionem ut similia attendet et observet jurare debet juramento ad sacra dei evangelia tactis manibus scripturis Et quod si contrafaciet punitus esse debet tamquam falsarius et periurus absque remissione sic vocatus idem Johannes et coram infrascriptis assessoribus presentatus publicata fuit determinacio ut supra qui contentus stetit Et juravit ad sacra dei evangelia tactis manibus scripturis nunquam contrafacere vel venire contra infrascriptam determinacionem et deliberacionem et similia nunquam amplius excercere nec in Valle fiemarum nec extra Vallem fiemarum et contentus quod si unquam sine licencia superioritatis in Vallem predictam veniret esse punitus tamquam falsarius et perjurus Sic idem Johannes de prefato domino Vicario cum consilio ut supra a dieta Valle banditus ut sub pena juramenti in Spacio horarum trium se separaret cum Consensu prefati magnifici domini Vigilio omnia infrascripta die loco ut supra acta fuerunt Et sic idem Johannes a dicta Valle flemarum se separavit246 (Continua)[p. 103 modifica]

 

 

 

 

 

 

 

Errata Corrige

pag. 5 lin. 18 Coelicole Coelicolæ

15 „ 12 non vi ha non si ha

36 „ 9 commercio diavolo commercio del diavolo

43 „ 24 vereet vere et

48 „ 33 cacciar dalla sua diocesi è mestieri lo che si sappia cacciarlo dalla sua diocesi è mestieri che si sappia

60 „ 30 portate portati

68 „ 18-19 canonica canonico

 

Indice

vittoriosamente, quand’anche contro di lei si abbiano usati i più raffinati tormenti. Fu dovuta scarcerare, ma poiché non era possibile condannarla altrimenti, la si punì col perpetuo arresto in casa. Ciò avvenne nel 1594. — V. Soldan e Heppe, o. c. I. 474.

 

questo sta nelle ragioni, che determinarono la moltiplicazione dei processi, e che indicherò in seguito.

 

Adopero nel presente scritto la voce “ Stregheria „ non nel sonso che le dà il vocabolario, del luogo cioè di convegno delle streghe, o di stregamento, malìa, fattucchieria, ma ad indicare il complesso delle superstiziose credenze nelle streghe e delle loro credute pratiche. — Non avendo trovata una parola propria, sia adoperata dagli scrittori, sia dell’uso, ad esprimere questo concetto, avrei potuto coniare una “ Strigologia, „ ma preferii (e se ho sbagliato ne dimando scusa) di voltare ad un senso più ampio una voce già conosciuta.

Appartengono a questa scuola i sigg. W. Soldan e H. Heppe autori della storia dei processi contro le streghe (Soldan’s Geschichte der Hexenprozesse, neu bearbeitet von d.r Heinrich Heppe (Stoccarda, Cotta, 1880, due volumi). Quest’opera, che per quanto io mi sappia è quella dove si considera più ampiamente la materia, ha per certo parecchi pregi, ma non manca di difetti; e tra essi, a mio giudizio, il maggiore è quello di essere scritta con ispirito appassionato e dal lato nazionale o dal lato religioso, o, adoperando una parola dell’uso, “ confessionale. „ Né va ommesso, che dessa illustra in modo speciale la storia dei processi delle Streghe della Germania, concedendo una parte molto secondaria a quella degli altri paesi.

Questa scuola, che adesso dovrebbe contare più numerosi aderenti della prima fra gli eruditi della stessa Germania, ebbe a maestri i fratelli Jacopo e Guglielmo Grimm, troppo noti a tutti, perché io deva aggiungere una sola parola alle lodi dovute al loro ingegno, alla loro diligenza, alle loro opere.

Ad onta che non solo le persone del volgo ma ben anche certi uomini cospicui tenessero la magia ed i suoi portenti come cose salde, fu abbastanza numerosa tra i romani l’eletta di coloro che li ebbero nel conto in che li teniamo noi. — Sto, veramente, in dubbio sul concetto che ne avessero uomini dell’ingegno e della coltura di Tibullo, di Ovidio, di Virgilio; ma non vi credevano sicuramente Lucrezio, Orazio, Catone, rone, Seneca, Plinio, Tacito e molti altri, pure osservando, che allora, come forse anche ora, nessuno era immune da qualche credenza o pratica superstiziosa. Non mi so trattenere, per il resto, dal riportare qui alcuni versi di Ennio, conservatici da Cicerone (De divinat. I. 58), che potrebbero da taluno ricordarsi utilmente anche a’ giorni nostri. Parlando degli indovini dice:

Non enim sunt ii scientia aut arte divini,

Sed superstitiori vates, impudentesque harioli,

Aut inertes, aut insani, aut quibus egestas imperat.

Qui sibi semitam non sapiunt alteri monstrant viam,

Quibus divitias pollicentur ab iis drachmam petunt.

De his divitiis sibi deducant drachmam, reddant cætera.

 

Veggasi per l’inferno ed i suoi déi Virg. Eneid. VI. 266 od altri. — Una pittura satirica del medesimo si ha nel “ Menippo „ di Luciano. In quale concetto stessero l’inferno pagano e le pene che vi soffrivano certi eroi presso gli uomini di senno e colti, si può imparare da Lucrezio (De rer. nat. L. III. 976 e seg.).

Præsentes namque ante domos invisere castas

Heroum et sese mortali ostendere cœtu

Cœlicole, nondum spreta pietate, solebant.

 

Sed postquam tellus scellere est imbuta nefando

Iustitiamque omnes cupida de mente fugarunt,

 

lustificam nobis mentem avertere deorum.

Quare nec tales dignantur visere coetus,

Nec se contingi patiuntur lumine claro.

 

Catulli Epith. P. et Th. 385.

 

 

La leggenda di Numa e simili, per molti rispetti, vanno relegate a’ tempi eroici.

 

2 “ In XII tabulis cavetur ne quis alienos fructus excantassit. (Sen. Nat. quæst. L. IV. 7). “ Eadem lege [Cornelia, già Sempronia, de venificiis, portata da L. Corn. Silla, dittatore], et venefici capite damnantur, qui artibus odiosis, tam venenis quam susurris magicis, homines occiderint vel mala medicamenta vendiderint. (Inst. IV. 18. 5). „

Su ciò vale la pena di consultare tutto il tit. 18 L. IX del Cod. Giustinianeo del quale riferisco alcune fra le più caratteristiche leggi. L. 3. Nullus aruspex ad limen alterius accedat;... hujusmodi hominum amicitia (quamvis vetus) repellatur: concremando illo aruspice qui ad domum alienam accesserit, et illo in insulam deportando, post ademptionem bonorum, qui eum advocaverit, suasionibus vel præmiis. Accusatorem.... non delatorem esse, sed dignum magis praemio arbitramur. „ (A. 319) L. 4. Eorum est scientia punienda et severissimis merito legibus vindicanda qui magicis accincti artibus aut contra salutem hominum moliri aut pudicos animos ad libidinem deflexisse detegentur....„ Sono però permessi l’uso dei rimedi contro malattie ed i “ suffragi „ per impedire danni di grandini e venti ecc. (A. 321). — L. 5. Sotto Costanzo e Giuliano imp. viene severamente proibito di consultare mathematicum ed indovini. “ Sileat omnibus perpetuo divinandi curiositas. „ L. 7. “ Etsi excepta tormentis sunt corpora honoribus præditorum præter illa videlicet crimina quæ legibus demonstrantur „ [p. e. i crimini di lesa maestà] “ si quis magus vel magicis carminibus adsuetus, qui maleficus vulgi consuetudine nuncupatur, aut aruspex aut ariolus aut certe augur vel mathematicus aut enarrandis somniis occultans artem aliquam divinandi.... fuerit deprehensus præsidio cruciatus et tormenta non fugiat. „ Se nega la colpa e sia convinto “ sit eculeo deditus, ungulisque sulcantibus latera perferat pœnas proprio dignas facinore. (A. 358). — Non si può negare, che già qui esista un embrione del barbaro processo dei secoli posteriori. egli i Canoni che reggevano nella repubblica la materia della inquisizione, al punto XIX dice: “ Le leggi canoniche proibiscono agli inquisitori l’intromettersi [in processi] se non contengano [casi di] eresia manifesta. Ma tanto più sara bisogno dare esenzione a ciò quanto che le persone imputate di tali delitti [di stregheria] saranno donne od altre debole di cervello, che hanno più bisogno di essere instrutte ed insegnate dal confessore, che castigate dal giudice, e massime se oltre a ciò saranno persone honorate, quali non è condecente con Scandalo e sturbo della casa far andare per li tribunali. „

1 Si spiega in modo simile anche i1 fatto, che Medea, in origine avvelenatrice, compare come maga solamente nelle opere dei tragici.

Canidia e Sagana in Orazio, — Circe in Omero.

Chi voglia avere sott’occhio per i necessari confronti le opere che si attribuivano a chi possedeva l’arte della magia veda, fra i1 resto: Omero, Odis. L. X e XI, Teocrito, Id. II, Luciano, l’Alcione, l’Asino, il 4° dei dialoghi delle cortigiane, Apulejo, l’Asino d’oro; e fra gli scrittori latini Tibullo. Eleg. I. 2. 59, I. 8. 17. Orazio, Sat. I. 8. 20. Epist. A. P. 338, Epod. V. XVII, Virgilio, Ecl. VIII, Eneide VI, Ovidio, Amor. I. 8. 5., Heroid. IV 83, Met. VII, 177, ecc. ecc. Per dire il molto che se ne potrebbe raccontare in brevi parole, le incantazioni si facevano con iscongiuri, cerimonie, filtri, immagini, ossa, erbe o pietre di misteriose virtù, per la massima parte da donne co’ capelli sciolti, discinte, scalze, di notte, a lume di luna, e queste maghe davano ad intendere d’essere in grado di strappare gli astri dal firmamento, di farli stillare sangue, di evocare i morti ed ottenerne predizioni, di fermare e di voltare il corso delle acque correnti, di produrre la tempesta od il tempo sereno, di mutare gli uomini in fiere, di richiamare gli amanti infedeli o dimentichi, di far innamorare, di trasportare le messi da un luogo all’altro, e via dicendo. — Quali fossero i portenti che si attribuirono ad opera delle streghe si vedrà, a sazietà, nel corso di questo lavoro.

Ovid. Fast. IV. 131 e seg.

. . . . Strophades grajo stant nomine dictæ

Insulae Jonio in magno, quas dira Celæno

Harpiæque colunt aliæ, Phineïa postquam

Clausa domus mensasque metu liquere priores.

Tristius haud illis monstrum, nec sævior ulla

Pestis et ira dcum Stigiis sese extulit undis.

Virginei volucrum voltus, fœdissima ventris

Proluvies uncæque manus et pallida semper

Ora fame. . . .

 

Virg. Eneid. III. 210.

 

Chi desiderasse avere sulle Arpie più vaste notizie, consulti Servio (Eneid. III. 209), dove troverà fra il resto, che alcuni le tenevano identiche alle Furie.

 

3 V. Apulejo, Asino d’oro, e Luciano, Lucio o l’Asino. Ed Ovidio (Amor. I. 8. 5), dice della maga e mezzana Dipsa:

Illa magas artes Acaeaque carmina novit,

Inque caput liquidas arte recurvat aquas.

Scit bene quid gramen, quid torto concita rhombo

Licia, quid valeat virus amantis equæ.

Cum voluit toto glomerantur nubila cœlo,

 

Nei vari tempi la favola delle “ Striges „ non si conservò sempre eguale, ma non importa qui tenero conto di differenze che non alterano la sostanza. Piuttosto pare notevole, che dossa è a tenersi più di origine greca che italica.

È riferito anche dall’acutissimo critico roveretano Girolamo Tar- tarotti nel suo celebre scritto: “ Del notturno congresso delle Lammie, libri tre...; (Venezia, Pasquali, 1749). „ Quest’opera, che segnò 1a definitiva ed inappellabile condanna di morte ai processi ed ai supplizi delle streghe, è una ricchissima miniera d’erudizione, specie per la parte polemica, e nessuno che si occupi di stregheria può fare a meno di giovarsene. — Del Canon Episcopi trattano ripetutamente nella loro storia già citata i sigg. Soldan e Heppe, ma pur riconoscendone la grande importanza storica, non ne videro — o non ne vollero vedere — la gravità per la ricerca che ora sto facendo.

È però degno d’osservazione, che nei tempi classici del processo la leggenda pare fosse molto sbiadita e quasi passata in oblio.

Tartarotti, Op. cit. I. IV. 5.

La raccolta, Decretum, o piuttosto Pœnitentiale, di Burcardo fu fatta tra il 1012 e il ’28.

Altri legge: superstitio.

Il Tartarotti crede che il senso correrebbe meglio se invece di Holdam. si leggesse Unholdam. I sigg. Soldan e Heppe asseriscono, che qualche testo, senza indicare quale, porta questa variante. — Siccome però essi vogliono ad ogni mode e con ogni appiccagnolo provare, che la stregheria fu importata nel settentrione dal mezzodì, e d’altronde qui la voce “ unholdam „ (aggettivo) non sarebbe stata affatto a luogo, dubito che abbiano preso la idea del Tartarotti per una cosa di fatto.

La Mitologia Germanica (Deutsche Mythologie) fu illustrata dopo pazientissimi studi da Jacopo Grimm, colla collaborazione di suo fratello Guglielmo. Comparve la prima volta a Gottinga nel 1835.

Eneide, I. 498.

Il numero delle compagne di Diana, secondo i mitologi, era molto minore, cioè di 60 socie e di 20 ancelle, ma Servio nel commento a Virgilio nota: “ Mille, finitus numerus pro infinito, nam de nympharum numero varia est opinio. „

Cfr. anche Ovidio Metam. II v. 401 e segg.(Callisto)

Per i tedeschi, si sa, il sole è femmina, quindi lo simboleggia una dea.

Freyja, che si risolve nella dea settentrionale Frigg, ed è la Venere della Mitologia germanica, e Berchta, “ la splendida, „ si confondono facilmente nella leggenda con Holda, e, come questa, da divinità graziose, belle e benefiche si trasformano in dee delle bufere.

Gatti e becchi sono bestie per cosi dire tipiche delle streghe, della tregenda e dei convegni del diavolo.

Avanti la “ Caccia selvaggia „ corre il “ fedele Ekart „ (lo troveremo nei processi delle streghe con Tannhänser), ed avvisa le persone in cui si imbatte, specie i fanciulli, di fuggirsene.

Nella mitologia classica gli déi italici conservarono bensì il loro nome, ma si identificarono cogli dèi della Grecia. Lo abbiamo veduto in Diana-Artemisia e possiamo osservarlo in Venere-Afrodite, Giunone-fiera, Giove (Iupiter)-Zeus, Mercurio-Hermes ecc. — Nella mitologia tedesca poi Freyja prese il nome di Venus per un processo identico a quello per il quale Holda diventò Diana. — Più singolare sembra la trasformazione ulteriore di Diana in Erodiade. Forse la cosa può spiegarsi in questo modo. Negli atti del Concilio trevirense del 1310 (Tart. op. cit. I. IV. 6) la conduttrice del notturno corteo è detta Diana vel Herodiana, ed il Magri, secondo lo stesso autore (I. IV. 9) sostiene, che in un passo di Giovanni Salisburiense devasi leggere heram Dianam non Herodiadem, ciò che pare a me del tutto ragionevole. Hero o meglio Hera Diana viene a dire signora Diana, ma questa forma avvicinava assai, per assonanza, il nome della divinità pagana a quello di Erodiade (Herodiades), che per la decollazione di S. Giovanni Battista era certo meglio conosciuta e famigliare alle popolazioni tedesche fatte cristiane, che non la detronizzata dea della caccia, e quindi lo stranissimo scambio di nome. — Do tuttavolta questo come una semplice ipotesi.

Non sono passati molti anni, che i filò erano comunissimi nei nostri paeselli di montagna, ed io stesso ho più volte udito raccontare, che tra le filatrici correvano diverse superstizioni. Cosi p. es. se alla sera della vigilia di Natale non si fosse filato tutto il pennecchio, la notte sarebbero poi venute le streghe a bruttarne la parte rimasta sulla rocca. — Qualche cosa di simile narra anche la leggenda di Holda-Borchta.

Deutsche Mythologie, pag. 587 e sog.

Ibid. p. 593.

Vol. I. pag. 15.

Pag. 19-20.

Decrevimus quoque ut secundum canones unusquisque Episcopus in sua parrochia solicitudine gerat, adjuvante Gravione..., ut populus Dei paganias non faciat, set ut omnes spurcitias gentilitatis abjiciat et respuat, sive profana sacrificia mortuorum, sive sortilegos vel divinos, sive phylacteria et anguria, sive incantationes, sive hostias immolatitias quas stulti homines juxta ecclesias ritu pagano faciunt sub nomine sanctorum martyrum vel confessorum, Deum et suos sanctos ad iracundiam provocantes, sive illos sacrilegos ignes quos nedifatres vocant, sive quaecumque sunt paganorum observationes diligenter prohibeant. — (Karlomanni Capit. I, ann. 742). — Vedi anche il Cap. Karlomanni ad ann. 743, cui segue l’Indiculus superstitionum et paganiarum per il nostro soggetto molto importante. Di sagrifizi umani ai demoni si parla nella Capit. de part. Saxoniæ, IX; del culto alle fonti, agli alberi, di banchetti in onore degli dei ecc. ib, XXI; dei “ Tempestarî, „ di sagrifizi notturni e di scongiuri al diavolo ecc. la Lex Wisigoth. L. VI. t. II. 3 e 108; di templi pagani esistenti la Costituzione di Childeberto del 554; di altre pratiche supersti- ziose (phylactcria, ligaturæ, obligationes, incantationes), oltro il citato Capitolare di Carlomanno, quello d’Aquisgrana del 789, il Capit. II dell’805, il L. VI, 72 dei Capitolati, e l’Additio III a questa raccolta, ecc. — Sono poi addirittura troppi i passi delle leggi barbariche che si dovrebbero citare se si volesse documentare quanto i popoli Germanici fossero portati a ricorrere a maghi, aruspici, incantatori, incantatrici, indovini, indovine, interpreti di sogni, sortilegi, cocleari e simili persone.

Vedi il già citato Indic. Superst et Pagan. §§ 9, 18, 19, 25, il riportato brano del Capit. Karlom. ad. ann. 742. Nei Capitol. di C. M. L. VII, c. 316, si legge: “ Si in alicujus presbyteri parrochia infidelcs aut faculas accenderint, aut arbores, aut fontes, aut saxa venerentur si hoc eruere neglexerit sacrilegii reum se esse cognuscat. „ Da qui si può dedurre, che se pure il clero franco non partecipava alle volgari pratiche pagane, pure non vi si opponeva sempre virilmente.

In generale erano pecuniarie, secondo il sistema penale germanico, ma ne abbiamo anche di corporali, come si vedrà in seguito.

Pact. leg. Salicæ, tit. XXII, 2.

Ibid. 4.

Ibid., 5.

Questo Yrias, voce per la quale non trovo interpretazione, non potrebbe essere forse Strias?

Lex Baiuv. tit. XII, c. 8.

Lex Wisigot. L. IV, tit. II, 3. — Eguale sanzione si ha al capo seg. contro coloro che con malefici, ligamenta ecc. danneggiassero campi, vigne, alberi ecc.

Che nell’Indiculus superstitionum et paganiarum, § XXIV, (già riportato testualmente) si abbia un cenno del convegno delle streghe lo sospetto, perchè nel sec. XIV in Italia andare a cotesto convegno si diceva “ andare in corso, „ e le parole “ scissis pannis vel calcæis „ sono una glassa che calza a pennello.

Pact. leg. Salic. tit. LXVII, 3. — La pena è identica a quella sancita per l’uccisione.

Ibid. tit. II.

Lex Alamannorum, capit. add. XXII.

Masca (franc. masque) è la letterale traduzione del lat. “ larva „ corrispondente a saga, striga.

Rotharis leg. CXCVII.

Ibid. CXCVIII.

Ibid. CCCLXXIX.

Capitulatio de part. Saxon., 6.

Pact. leg. Sal. tit. LXVII. 1. — Nella lezione emendata al tempo di Carlo Magno, questo titolo suona: “ De eo qui altero Hereburgium clamaverit. — Si quis alterum hereburgium clamaverit, hoc est strioportium aut qui æreum portare dicitur ubi striæ concinunt et convincere non potuerit IID denarios qui faciunt solidus LXII et dimidium culpabilis judicetur. „ — Sul significato delle voci Chervioburgum e Hereburgium non vanno d’accordo gli interpreti, volendo gli uni che suonino “ricetto o albergo di maghe o venefiche, „ altri invece “ lupanare, „ derivando il Cherv, o Her, da Hoer; ma dato che la stessa legge ce le presenta come sinonime di Strioportium (qui strigas portat vel deducit ad locum congregationis) non so adattarmi ad accettare nè l’una nè l’altra delle due interpretazioni. [V. Du Cange, Glossarium, alle riferite voci]. La parola Inium che ricorre anche altra. volta nel Pactum (Tit. LVI. rispett. LV), è giustamente ridatta nella lezione emendata con Æncum, ossia caldaia di bronzo o di rame. — La gravità poi dell’ingiuria che si recava ad uno chiamandolo Hereburgio o Strioporzio, si ha da questo, che la pena minacciata è uguale a quella cui veniva condannato chi tagliasse altrui una mano od un piede, o gli cavasse un occhio.

Cfr. F. Walter, Lehrbuch des Kirchenrechtes aller christlicher Confessionem (Bonna, 1856) §. 100, dove sono riportati anche i giudizi del Savigny e del Wasserschleben.

Nel processo di Tolosa del 1275 Angela di Labarèthe, fra molti, venne bruciata per la tresca che confessò avere avuta col diavolo. (Soldan e Heppe o. c. I, 173).

Tartarotti o. c. I. V. 4.

Idem, I. V. 6 e 8.

V. Du Cange, Glossarium, alla voce Bensotia.

Tartarotti, o. c. I. VI. 5, e Muratori, Antiq. ital. m. æ. diss. 38, 59.

Boccaccio, Decam. G. VIII. 9.

Purgatorio, XIX, 58

Trattato della scienza, che fa seguito allo Specchio della vera penitenza, pag. 318 (ed. Le Monnier, 1863).

Notisi questa frase e veggasi se, dopo tutto, la descrizione dell’andar in corso del Boccaccio non torni a capello con quella del Passavanti, — toltene, come dissi, le frangie.

Da questo e da altri passi del Passavanti nel citato Trattato della scienza e nel Trattato dei sogni, a me pare evidente, che egli abbia conosciuto il Canon Episcopi, al suo tempo già assunto nel Decreto di Graziano. Ma egli quand’ anche si debba credere fosse persuaso delle male arti del diavolo, tengo tuttavolta avesse gli occhi più aperti di qualche suo coetaneo di altri paesi, perché, pur non negando fede ai maghi, addita però “ certe altre persone, uomini e femmine, che non sanno l’arte magica, ne invocare o scongiurare demonii, e non sono indovini nè non credono di essere, che sanno per certo che non sono, e con tutto ciò o per guadagneria o per altra loro vanità dicono, che sono incantatori e con loro ciuffole e anfanie ingannano molto gente semplice, che è inchinevole e vaga ad andare dietro a cosi fatte cose.... Altri diamo che vanno in tregenda.... Questi cotali sono ingannatori e trombettieri. (Ibid. p. 317). „

V. pag. 5 nota 3 di questo scritto.

La tortura nei tempi di Roma repubblicana non si poteva usare contro i cittadini liberi: più tardi si introdusse senza restrizione nei processi di lesa maestà, indi in genere nelle cause capitali.

Lex Wisigoth. L. VI. tit. II. 1. 3. 4. 5.

Edict. Theod. CVIII.

Capit. de part. Saxon, VIII. IX. — La pena di morte contro coloro che si davano alle arti occulte è conservata anche dal Sachsenspiegel, — in ricordo, forse, di anteriori leggi consuetudini.

Ibid. XXI, XIII.

Qui de salute principis vel summa reipublicæ mathematicos, ariolos, aruspices vaticinatores consulit cum eo qui responderit capite puniatur. Capit. L. VII, 370.

Ibid. L. VII, 222.

Lex Wisigoth. L. II. tit. IV, 1. — Capitul. L. VII, 181, 397.

Pact. leg. Sal. tit. XXII. 2, 4, tit. XXVIII, 5. Lex Bajuv. tit. XII, 8.

Lex Alemann. Capit. add.

Pact. leg. Sal. tit. LXVII, 3.

Soldan e Heppe o. c. I, 136

Id. I, 137.

Tartarotti, o. c. I, VII, 2

Questi particolari sono riferiti nel cartolario dell’Abbazia di Saint-Pièrre de Chartres, pubblicato da Guérard nella collezione de’ cartolari francesi e riprodotti della storia di Soldan e Heppe (I. 153). In C. Cantu (Gli eretici d’Italia, Torino, 1865, I. p. 79 e seg.), non compare alle congreghe de’Cathari il demonio in persona, vi si narra però di orgie, che stranamente contraddicono colla moralità riconosciuta di cotesta setta.

È noto, che lo stesso Federico II emanò ordini severissimi contro gli eretici, e sancì, che gli ecclesiastici dovessero giudicare della lor colpa, annumerando l’eresia inter cœtera publica crimina.

Ho voluto servirmi di un giudizio e di una frase di C. Cantu (Op. cit. I. 115), che per sicuro nissuno potrà accusare d’essere troppo tenero verso i nemici del cattolicesimo e delle istituzioni cattoliche

Che nell’Italia superiore gli inquisitori e la loro famiglia non fossero troppo sicuri della loro vita, si deve arguire anche da un Breve di Giovanni XXII del 2 maggio 1321 agli inquisitori di Lombardia, che comincia: “Exigit ordinis vestri, „ ed è riportato nel Magnum Bull. rom (Ed di Lussemburgo 1742).

Soldan e Heppe o. c. I 259, 260. — A sgravio di ogni responsabilità dichiaro, che non seppi trovare gli atti del Concilio di Grado, e cito sulla fede dei nominati Autori. Per il resto, in altro luogo e più opportuno toccherò dei provvedimenti presi dalla repubblica di Venezia in cose di inquisizione.

Riportato per intero da Soldan e Heppe I. 225.

Riportata a. pag. 204, vol. I del cit. Bollario, senza data.

Soldan e Heppe 0. c. I 231 e seg.

Per quanto io mi sappia manca ancora una storia della Stregheria in Italia. Il materiale disperso in molte biblioteche ed in molti archivi meriterebbe di venire raccolto, studiato, ordinato e pubblicato; ed è bene a sperarsi, che qualche scrittore diligente e spassionato non rifugga dal sobbarcarsi a questa fatica, certo non inutile per la storia di casa nostra.

Op. cit. I. VII. 3.

Cap. IV in fine. — Bernardo essendo morto verso il 1510, e dicendo, che la setta delle streghe cominciò a pullulare circa 150 anni avanti che egli scrivesse il suo trattato, l’induzione del Tartarotti sarebbe esatta, ma la frase dell’inquisitore è così elastica, che non fa ostacolo a quanto pare a me dimostrabile 0 per 10 meno probabile.

Bull. rom. I. 204.

Cantù o. c. III. 348. — L’inquisizione in Piemonte ebbe per un certo tempo carattere mite, locchè può forse essere una conferma. di quella reazione che si manifestò contro di essa nel sec. XIII.

Lo tolgo da Ziletti, Consiliorum seu responsorum ad causas criminales (Venezia, B. Ziletti e fratelli, 1566), I, VI. — Strana, per non dire ingiusta, è la chiosa che fanno Soldan e Heppe al consiglio di Bartolo, del quale non considerarono che superficialmente il contenuto, e sorpassarono l’ultima parte. E come ciò fosse poco, sooprirono, che esso è l’essenziale completamento del “ Directorium „ di Eymerico scritto circa tre anni dopo la morte di Bartolo.

L’omaggio al diavolo era in Italia ben diverso da quello che gli si faceva secondo la leggenda di altre provincie!

Part. II. Quæst. 42, 43. — — Il libro fu stampato a Roma nel 1578, colle annotazioni di Francesco Peña. Dopo la pubblicazione del “ Malleus „ perdette molto della sua importanza.

Op. cit. I. VII. 6.

Di queste opposizioni si ha la prova negli stessi scrittori, che vennero a sostenere la esistenza della stregheria ed a difendere i processi, e nelle Bolle pontificie nominatamente di Innocenzo VIII e di Adriano VI.

Soldan e Heppe o. c. I. 239.

Id. p. 241.

Questi scritti stanno come Appendici in parecchie edizioni del Malleus maleficarum.

Cantù, o. c. Il. 370.

Cantù C. Storia della città e della diocesi di Como (Como, Ostinelli, 1831), II, 106.

De strigib. cap. 13.

Bernardo da Como, Tract. de strigib. cap. 3. — Sono ivi narrate prove di fatto (!!) circa i convegni delle streghe. E se qualche persona ne dubitasse oda questa: “ Cum ibi (Mendrisii) quidam inquisitor nomine magister Bartholameus de Homate, dominus Laurentius de Concoretio Potestas et Johannes de Fossato Notarius contra has Striges procederent, una die ipse potestas, quadam curiositate ductus, volens experiri an vereet corporaliter illæ strigee irent ad lndum, facta conventione cum quadam strige, ut eum ad videndum talem ludum conduceret, accessit quodam die Jovis in sero cum Notario sno et quodam alio extra opidum ad quemdam locum, sicut ei illa strix preeclixerat, et dum ibi jam prope essent omnes hi tres, viderunt plures personas congregatas coram quoclam, erat qui diabolus in forma humana, ad modum cujusdam magni domini sedente: et ecce subito omnes illæ personæ ibi congregatæ jussu diaboli adeo illum officialem et ejus socios.... baculis percusserunt, quod ex talibus percussionibus et ille officialis et notarius et ille alius infra 15 dies mortui sunt. Qui ergo dicere velit hoc in phantasia aut in somniis contigisse? „ — Se il fatto delle percosse è vero, non ò a dirsi, che la pretesa strega fosse donna di poco ingegno e coraggio!

Cantù, Eret. d’Italia, III, 143.

Mall. malef. I. 11 e II. 1, c. 2. Cantù, st. di Como, II. 106.

Memoires de Jacques au-Clerc nella “ Collection de chroniqnes nationales francaises „ di F. A. Buchon, vol. 39. — E riferito anche da Soldan e Heppe I. 254.

Questa dichiarazione ha per se tutto il colore della verità, essendo permesso dai trattatisti agli inquisitori ogni mezzo per ottenere la confessione degli imputati.

Soldan e Heppe o. c. 1. 260. Un processo di Francoforte s. M. contro un giocoliere del 1486, fu chiuso colla morte dell’accusato, gettato nel Meno. Di codesta città non si conoscono, mirabile dieta, altre procedure. (Id. Ib.).

Tamburini P., Storia gen. dell’Inquisizione. Opera postuma. (Milano, Sanvito, 1862), vol. IV, 47.

Ho tradotto, come si può vedere, quasi alla lettera, una parte della Bolla suindicata.

Riferito per estratto nella approvazione data dalla facoltà teologica di Colonia al Malleus maleficarum.

Rapp L. Die Hexenprozesso und ihre Gegner in Tirol (Innsbruck, Wagner, 1874). — Il sig. Rapp fa seguiro al racconto alcune osservazioni del Sinnacher, lo quali conchiudono con un elogio al vescovo Golser, di cui dice, avere lui dato il segnale di guerra contro i processi delle streghe.

Stampato per la prima volta in Colonia nel 1489 coll’ approvazione di quella facoltà teologica del 19 maggio 1487. — Alcuni credono, che questo trattato sia opera del solo Sprenger.

Concludendum igitur.... catholjcam et verissimam assertionem, quod malefici sunt, qui dæmonum auxilo propter pactum cum eis initum maleficiales reales efectus.... procurare possunt. (Mall. mal. I. Q. 1.) — Et quia tales [coloro che pertinacemente asseriscono il contrario] publice pradicant, seu temere contro præfata omnia se opponunt, adserentes maleficas non esse, aut quod nullo modo valeant hominibus nocere, ideo tam- quam deprehensi in tali [hæretica] pravitate.... continentur (Ibid).

Tria dicunt [aliqui doctores] esse in rerum natura Lingua, Ecclesiasticus, Fæmina, quæ medium in bonitate et malitia tenere nesciunt.... Quid aliud est mulier nisi amicitiæ inimìca, inefugabilis pæna, necessarium malum, naturalis tentatio, desiderabilis calamitas, domesticum periculum, delectabile detrimentum, malum naturæ bono colore depicta ?... — Abbiamo il seguente annedoto: D’un tale viene narrato, che essendoglisi annegata nel fiume la moglie, egli fu visto cercarne il cadavere nell’acqua andando contro la corrente. Ed interrogato del perchè cosi facesse rispose: Questa donna di suo vivente fe’ sempre l’opposto delle parole, de’fatti, degli ordini miei, per la qual cosa la cerco all’ inverso per vedere se forse anche dopo morta sia andata all’opposto del consueto. (Id ib. Qæst. VI).

I delitti dei malefici devono essere puniti colle pene statuite per gli eretici, cioè scomunica, deposizione, confisca dei beni e morte; che se però l’eretico ritornasse alla fede, deve essere rinchiuso in perpetuo carcere. His autem modis mulctare maleficas [streghe] non videtur sufficere, cum non sint simplices heereticee sed apostatm, et ultra hoc, quod in ipsa apostasia non hominibus propter metum, [aut P] carnis oblectamenta, fidem abnegant.... sed ipsis dæmonìbus ultra abnegationem, homagium, corpora, et animam offerendo præstant. Ex quibus satis probabiliter videtur, quod quantumque pæniteant et ad fidem revertantur non debent sicut alii hæretici carceribus perpetuis mancipari sed ultimo suplicio puniri.... (Ibid. quæest. XIV).

Di questa II Parte credo inutile riportare testi, e mi limito a riferire una verissima esperentia contro la grandine. Si gettino tre chicchi di gragnuola sul fuoco invocando la SS. Trinità, recitando due o tre volte il Pater e l’Ave, un certo brano dell’evangelo di S. Giovanni, e queste parole: per Evangelia dicta fugiat tempestata ista, — e subito cesserà la grandine, qualora sia stata procurata da maleficio. (Ibid. II. q. 2 c. 7). — Per il resto noto, che questa seconda Parte del Malleus è un vero brago di sozzure e di goffe superstizioni.

Gli Inquisitori non pronunziano giammai la sentenza, riservata sempre nella parte canonica ai Vescovi. — (V. Mall. malef. III Q. XX e seg.).

Alla morte.

Si vuole da Soldan e Heppe o. c. I. 342, che i denuncianti, venissero pagati. Ciò è possibile e perfino verosimile per qualche luogo, ma io non ne ho trovato documento.

Eppure si legge in altro luogo del Maglio: “ Frequenter repertum est, quod testes malitia agitati ac inimicitia superati se ad invicem collegarunt ad imponendam insonti heereticam pravitatem. „ (P. III. Q. XXXI).

Quanto ad indizî, ogni cosa bastava. Era l’accusata di vitairregolare, indizio evidente; era di condotta irreprensibile, indizio evidente, perchè cercava di nascondere la sua cattiveria sotto il manto della bontà. Si allontanava dal luogo ove era giunto l’inquisitore, s aveva l’ indizio della fuga; vi restava, s’aveva quello, che il “ diavolo „ le aveva impedito la fuga. Si scolpava? Indizio, il maligno la rendeva eloquente. Non parlava? Indizio, egli le aveva chiuso la bocca col fascino della “ taciturnita, „ frquentissimo. — V. p. F. Spee Cautio criminalis, Dub. LI, 10, 11, 41, ecc. Di questa opera e del suo Autore, che merita un posto distinto fra gli insigni benefattori della umanità, dovrò occuparmi più tardi.

Perchè s’abbia idea della evidenza del fatto tolgo dalla P. III Q. XIII quest’ esempio: “ È un caso Succeduto a Spira e pervenuto a notizia di molti. Un buon uomo essendosi rifiutato di dare in vendita certa cosa ad una donna che passava, questa sdegnata gli gridò dietro: Tra breve te ne pentirai! — È questo un modo di dire usato dalle streghe e simile gente, quando vogliono recare un malefizio dandone avviso “ (per avisamenta). „ Allora quegli risentito, e non senza ragione, contro di lei, voltò la testa indietro per vedere con quale animo avesse proferito quelle parole, ed ecco che subito colpito dal maleficio la sua bocca si distorse orribilmente sino agli orecchi, nè egli potè rimetterla a giusti termini, ma restò per molto tempo cosi deforme. „ — Non è detto, se contro quella strega sia stato istruito il processo, ma se lo fu, in tanta evidenza del fatto è ben a credersi, abbia espiato il delitto sul rogo!

Testimonio il p. F. Spee, o. c., talora si negava assolutamente ogni difensore.

Se il difensore si mostrava troppo zelante poteva essere sottoposto egli stesso a processo. “ Contra illos (defensores) specialiter inquiri “ potest, et ob defensionem sunt puniendi. „ Delrio, Disq. mag. V. 4.

Non credo necessario di rendere attento chi legge, che non mi permetto esagerare il sentimento del Malleus in qualsiasi minima parte, e che, dove la brevità che mi sono prefisso lo concede, uso le stesse parole che adoperano i suoi autori.

Questa regola di diritto comune, nel processo contro le streghe patisce, come si vedrà, delle eccezioni.

La totale abrasione a’ tempi dell’Institore e dello Sprenger pare fosse in Germania da taluno censurata, ma viene da loro apertamente consigliata come una prudente cautela. Nei tempi posteriori gli scrupoli caddoro. Essi, del resto, ne dicono, che la usò Bernardo da Rategno (P. III, Q. XV).

Eppure gli autori del Malleus, che suggeriscono la tortura e danno tante regole per la medesima, scrivono essere cosa nota, che i tormenti sono “ fallaces et inefficaces. Nam aliqui sunt ita molles corde et vecordes, quod ad levem torturam omnia concederent quæcunque falsa. Aliqui autem sunt ita pertinaces, quod quantumcunque vexarentnr ab eis veritas non haheretur. „ (P. III, Q. XXII). Quali onte e quali sfregi facessero i famigli del carnefice alle torturato non è a dire; nè qui è il luogo, e non me ne darebbe il cuore, di descriverei vari supplizi immaginati per tormentare le vittime. Basti questo, che la corda o colla, usata in Italia generalmente, veniva ritenuta come la più mite maniera di tortura.

Quanto tempo potesse durare la tortura non è detto. Ricordo di avere letto (dove?), che un accusato si lasciò fra i tormenti parecchie ore, durante le quali il consesso andò pacificamento a pranzo e pori fatti suoi; ritornato, il cruciato fu trovato morto.

Maria Holl, ostessa di Ulma, sostenne ben 65 volte la tortura e

Questa maniera di sentenza somiglia molto ad una interlocutoria. Per questo caso ed in qualche simile, una volta si ricorreva ai “ Giudizî di Dio. „

La Quæstio XXVII chiude con queste caratteristiche parole: “ Si curia saecularis contentatur, bene quìdem; si non, agat ad libitum. ,,

Alla Quæstio XXVIII è spiegato partitamente, come si deve procedere ad invocare il braccio secolare, ed è detto, che nel giorno precedente l’esecuzione, si doveva dai banditori portarne la notizie per le terre vicine. Dalla questione seguente poi sappiamo, che coloro che si recassero a vedere il tremendo spettacolo lucravano una indulgenza.

Pare sulle prime inesplicabile come codesto libro, opera privata di due frati senz’autorità nei consigli de’ principi o tra i giurisperiti, abbia potuto diventare in poco tempo un indiscutibile testo di legge, e sostituire perfino le sue proprie regole alle più umane teoriche accolte nei codici penali, p. e. in quello di Massimiliano I per il Tirolo, e in quello di Carlo V (lex Carolina) per l’Impero R. G. — La spiegazione però di

La Bilancia celebre per cotale prova era quella civica di Ondewater (Olanda), alla quale città era stato accordato, dicevasi, per ispeciale privilegio da Carlo V, il diritto di pesare gli imputati. Ondewater per questo privilegio, fu immune da streghe e da processi, e la sua famosa bilancia fruttò larghe somme a quel comune. — Soldan e Heppe o. c. I 397 e passim.

In qualche luogo, specie della Svizzera, per abbreviare il supplizio dell’arsione si legava al collo del condannato un sacchetto di polvere da fuoco. Un boia mal pratico, una volta, rimase vittima di questo procedimento.

Questi e parecchi simili esempi si leggono in Soldan e Heppe o. c. passim e presso Rapp. p. 64.

Le streghe in parecchi luoghi non venivano rinchiuse nelle carceri comuni, ma in torri costruite appositamente, che fra il resto avevano la porta molto elevata dal suolo, si che non vi si poteva accedere che mediante una scala portatile, (Rapp. o. c.).

È impossibile ridare in italiano le lettere che offro con quel sentimento straziante ed ingenuo, che hanno nell’originale tedesco.

Da il nome di “ Padre „ al marito, come è ancora d’uso in qualche famiglia tedesca.

Soldan e Heppe o. c. I. 470 e seg.

Spee, o. c. Dub. 15.

Non citerò trattati di demonologia perché hanno solo una indiretta relazione col mio soggetto. — Noterò invece, che tale era la esaltazione delle menti circa al “ diavolo, „ che si sostenne ne sieno stati cacciati da una ossessa 12.652. (Soldan e Heppe, o.c. I, 494). Questo ricorda alquanto ciò che si legge nella autobiografia di B. Cellini, (Ed. Lo Monnier. 1852, pag. 137).

O. c. Dub. 51.

Vereri incipio, imo sæpe ante sum veritus, ne prædicti Inquisitores omnem hanc sagarum multitudinem primum in Germaniam importarint.... „ (Spee, o. c. Dub. XXIII, 5).

Abbiamo dallo Spee (o. c. Dub. XXXV. 1), che un certo ufficiale, messo in accusa per abuso di danaro, onde vendicarsi brigò sotto mano ed ottenne, che si mandasse nella città, dov’ era, una commissione d’inquisizione contro le streghe.

Quando uno usciva dal carcere doveva giurare, che non si sarebbe vendicato ne (lei giudici, ne dei carcerieri, ne di qualsiasi altra persona, che gli avesse recato danno nel suo processo o nella pena sofferta, e sottoscrivere analoga formola. Se ne ha un esempio in Soldan e Heppe o. c. I, 400.

Op. cit. Dub. XVI. c. 3.

Op. cit. Dub. 8.

Idem, Dub. 9. — Circa ai sacerdoti de’ quali si servivano i persecutori delle streghe per confortarle, e cavar loro di bocca la confessione dice lo stesso dotto e pio autore: “ Interim et tum et jam ante submittuntur sacerdotes imperiti, impetuosi, lictoribus ipsis importuniores. Horum officium est eo usque miseram omnibus modis divexare, dum se tandem, sive sit seu non sit, ream fateatur. Ni id faciat, salvari simpliciter non posse clamant, nec sacramentis muniri. Ne vero sacerdotes sedatiores, doctioresque, et qui fœni aliquid in cornu ac in corde salis gestent, admittantur, expressissima cantio est, uti ne quisquam alius ad custodias accedat, qui advocare, aut Principes erudire possit. „ (Op. cit. Dub. 51). — Lo stesso poi al Dub. XXX. 2, narra: “ Gloriantem nuper Judicem audiebam cum diceret,... in neminem adhuc hactenus capitali pœna animadverti jussisset, nisi quem prius a confessario intellexisset in culpa versari. „

O. c. Dub. 16.

Cornelio Callidio Loos (Looseus) fu uno dei primi che strenuamente combatterono a viso aperto contro l’iniquità de’ processi fatti alle stre- ghe. Fu per questo perseguitato e dovette più volte la salute alla fuga. Venne costretto nel 1592 a sottoscrivere una formale palinodia dei propri errori. Mori poco dopo a Bruxelles.

Soldan e Heppe, o. c. I 440 e seg. — Taluni tra questi ufficiali poterono cosi ammassare delle notevoli fortune! — Ivi (pag. 445), sono ricordate delle mogli di carnefici, che si facevano trascinare per la città in cocchio, vestite di seta e con tale lusso da gareggiare colle ricche matrone.

Questo sia detto in peculiar modo de' piccoli principati tedeschi protestanti, ridotti a miserrime condizioni finanziarie dalla guerra dei trent’anni. (Soldan e Heppe, I, 447).

Nacque ad Anversa nel 1551, e dopo avere fatto i suoi studi in patria, in Francia e nella Spagna, coprì cospicue cariche e magistrature. Ma staccatosi della vita del secolo si fece gesuita, e morì a Lovanio nel 1608, professore di teologia e di filosofia presso quella università.

Se, quando le streghe sono portate dal diavolo al congresso, o ne vengono riportate, si oda suonare una campana, immantinente i demoni che le portano gettano a terra il sudicio loro carico. (L. II, 2, 3, 3).

Narra fra il resto alcuni casi di licantropia, e abbreviando ne riporterò uno. Certa guardia armata di schioppo passeggiando fuori le mura della città, veduta una quantità di corvi e simili uccelli su di un albero fece fuoco contro di loro. Cadde dalla pianta... una chiave staccatasi dalla cintura di una donna. — Trovata la casa cui apparteneva quella chiave ed entratovi, vide che la padrona giaceva a letto ferita di palla. — — La padrona, dunque, erasi prima cambiata nel colpito corvo! E il fatto è dato per sicurissimo! — (L. V. seg. 3).

V. tra i molti luoghi che si potrebbero citare il Lib. V. sez. 16, passim.

Il celebre libro del Tartarotti contiene una amplissima confutazione delle “ Disquisizioni magiche, „ e nella stessa si provano non solo gli errori e le contraddizioni nelle quali è caduto il loro autore, ma anche la mala fede di lui.

Di quanto sta qui scritto si hanno le prove più convincenti nelle Opere che ho citato. Stimo superfluo portare allegazioni speciali, tranne che per alcuni casi. — Il numero delle vittime della stregheria non si conoscerà forse mai neppure per approssimazione: Soldan e Heppe (I. 453) lo fanno ascendere a milioni. Il solo Benedetto Carpzov (1595†1666) dovrebbe aver firmato 20.000 — venti mila — sentenze di morte, la massima parte contro condannate per il crimine di stregheria. — Si ha memoria, che nel principato di N eìsse furono mandati a1 supplizio bambini di due a quattro anni (Soldan e Heppe, II. 129), ed esempi di bambini di sette anni condannati a morte si hanno in Tartarotti op. cit. III, IV, 11, e in Soldan e Heppe II, 41. 50. Il sig. Rapp (op. cit. pag. 25), narra di una povera donna giustiziata a Lienz nel processo tenuto colà del 1670-80 con due figlie, la maggiore delle quali aveva 14 anni, di un ragazzo mezzo scemo giustiziato a Merano nel 1679 pure di 14 anni, e di altri suoi coetanei mandati ivi a morte tra il 1664 e il 1681. — Lo stesso autore (pag. 40), nel riferire in sunto le istruzioni date da un dot. Fröhlich (Nemesis Romano-Austriaco-Tirolensis, - Innsbruck, 1696) ai giudici in cose di stregheria, dice, che secondo questo giureconsulto non si potevano punire per il delitto del quale parliamo i fanciulli sotto i 7 anni cui bisognava rimandare al padre per la opportuna correzione; ma che si doveva procedere come contro gli adulti contro giovani che avessero raggiunto il 14.° anno. Di inquisitori sottoposti a processo e mandati al supplizio ha lasciato memoria lo Spee (Dub. XI. 5). Chi voglia avere una idea degli eccessi cui si giunse nel principato ecclesiastico di Erbipoli (Würtzburg) vegga Soldan e Heppe (II, 43 e seg.). Ivi sotto il vescovo Filippo Adolfo (1623-1631) furono giustiziati 900 accusati; dal 1627 a1 16 febbraio 1629 ebbero luogo 31 auto-da-fè, in 29 dei quali (dei due ultimi non s’è tenuto memoria) vennero bruciati parte vivi, parte dopo essere stati decapitati, 157 condannati per istregheria, di tutte le età e di tutte le condizioni, dal vicario e da un canonico della cattedrale, dal più ricco cittadino e dalla più bella fanciulla di Erbipoli fino ad innominate vecchie ed a ragazzi di 8 anni e forse meno in su, fra’ quali anche una povera bambina cieca! — Non mancò molto, che lo stesso vescovo Filippo Adolfo in persona ed i1 suo cancelliere venissero sottoposti ad inquisizione come rei di stregheria. Li salvò, l’essere il vescovo anche principe territoriale.

Odasi quello che scrive in proposito lo Spee (Dub. XV): “Itali certe et Hispani, qui ad speculandas res et meditandas proniores a natura esse videntur, cum non obscure videant, quam si Germanos imitare velint innumeram innocentium turbam simul abrepturi sint, recte abstinent, et solis nobis urendi hanc provinciam committunt, qui nostro malumus zelo confidere, quam legislatoris Christi praecepto aquiescere. „ — Trovo poi una ragione singolare, se si vuole, ma certo non senza fonda- mento di vero, della Sproporzione fra i processi di Germania e quelli dei i paesi meridionali di un dottor di F. Hoffmann: “ Che in Italia, in Francia e simili paesi si oda parlare poco o nulla di streghe e di spiriti, dipende da questo, che que’ popoli sono abituati a lavorare, a bevere vino, ed cercare uno spasso sia nella ragionevole conversazione, sia nella lettura. Per contrario nei paesi settentrionali, dove si ha per bevanda la sonnolenta birra e si rimpinza lo stomaco con cibi ordinari e difficili a digerire, si ode discorrere molto più di comparse di spiriti, di processi contro streghe e di gherminelle di maghi, come è provato dalla giornaliera esperienza. „ — (Pfaundler dott. I. Ueber die Hexenprozesse, ecc. nella. N. Ztschrf. del Ferdinandeo, 1843, vol. 9, p. 95).

F. Pegna, nelle Aggiunte ai Paralipomeni al Tract. de strigibus di Bernardo da Rategno.

È citata nella Bolla di Adriano IV sottoindicata.

B. De Spina, Tract de strigibus, cap. III.

Bulla, “ Honestis petentium votis „ del 15 febbraio 1521.

Bulla “ Dudum uti nobis „ del 22 luglio 1522.

B. De Spina, o. et l. cit.

Tartarotti, o. c. I. VIII. 2.

Cantù, Eret, d’Italia, III, 143.

Id. St. di Como, II, 106.

Sarpi fra P. Discorso dell’origine, forma, leggi ed uso dell’Uffizio dell’inquisizione nella città e dominio di Venetia (S. 1. 1639). Odorici, Storie Bresciane, IX, p. 160.

Cantù, St. di Como, ibid, e Bolla di Adriano VI “ Dudum uti. „

Idem, ibidem, p. 110, dove è notevole la riportata sentenza.

Tartarotti, o. c. I, VII, 6.

Romanin, Storia doc. di Venezia, V. p. 545.

Ricci C. I primordi dello studio di Bologna (2.a ediz.) p. 291.

Cantù, Eret. d’Italia, II, 385. A Roma per quanto è attestato non si bruciò mai alcun accusato di stregheria (Soldan e Heppe, II. 207)

Cantù, Eret. d’Italia, II. 387, e Storia di Como, II, 107. In questo terribile processo, tra molte streghe, fu bruciato anche il parroco di Rovereto, Domenico Quattrino.

Idem, II. 389.

Idem, ibidem.

Processi ms. orig. esistenti nella Biblioteca Com. di Trento, N.° 2088. Da uno di essi del 1674 il nostro cav. Pietro degli Alessandrini trasse parte della tela del suo romanzo “ Caterina Meld-Rassigara. „

Cantù, St. di Como, II, 110.

Ricci C. o. c. p. 309 e seg. — La data di questo processo, che non è indicata nell’interessante monografia, mi fu comunicata gentilmente dall’egregio Autore.

Idem, p. 312.

Cantù, St. di Como, II, 110. “ Nell’archivio di Bormio trovai, che il 21 agosto 1489, il canonico di Como Nicolò di Castello si accusava saldo di L. 100 imperiali dovutegli come inquisitore in quel comune. „ — Ivi parlasi anche di quel fra Modesto da Vicenza inquisitore, cui ho nominato più indietro, che viene dipinto come solenne ribaldo.

De vanit. et incert. scientiar. Cap. XCVI.

Cantù, St. di Como, II, III, — La sentenza è del sullodato frate Modesto (Scrofeo) da Vicenza.

Odorici, op. et loc. cit.

Cantù, Eretici, III 148, che dichiara avere tolta la notizia dagli Annali di Brescia, ms. della Quiriniana.

Sarpi, discorso citato.

Id. ibid.

Cantù, Eretici d’Italia, III. 143. Odorici 1. c. dà particolareggiata notizia di questo importante processo.

Romanin, Storia documentata di Venezia „ vol.V pag. 546. Sospetto, che questa deliberazione sia stata provocata anche dalla Bolla dei 15 febbraio 1521. “ Honestis poenitentium votis „ di Leone X ai vescovi ed agli inquisitori della Venezia. — Ma ad onta delle severe parole del Papa, i veneziani non abbandonarono la Via loro tracciata dalla giustizia, dalla umanità e dalla tradizionale prudenza.

Vedi per questo il citato opuscolo del Sarpi, dove commentando

Romanin, o. c. V, p. 545.

Op. cit. III. XIV. 2. — Degli autori colà. nominati 12 sono francesi, 11 italiani, 4 spagnoli, 2 tedeschi, 1 olandese; 3 opere sono o anonime o lavoro di istituti.

Prendo queste notizie dall’opuscolo già più volte citato del sig. L. Rapp, p. 47 e seg.

Stampata nel 1626-27 a Ingolstadt, 4 vol. in f.°

Spee, o. c. Dub. IX. rat. 8.

Le notizie biografiche sul p. Spee sono tolte da Soldan e Heppe II. p. 187, e dalla Bibliotheca scriptorum S. J (Roma, 1676).

Questo libro, stampato la prima volta a Rinteln, piccola città protestante, nel 1631, fu pubblicato senza il nome dell’Autore, coll’indicazione “ Auctore incerto Theologo orthodoxo. „ Ne furono fatte parecchie edizioni, e fu tradotto in tedesco (in forma di dialogo, in esteso, ed in compendio) ed in francese.

Nel Dubio XXVI avendo narrato di un inquisitore come si comportasse crudelmente e asinescamente verso un torturato, non può ameno di esclamare: “ Praeclarum vero facinus, ac sacerdote dignum! Qui, si abfuisset ordinis injuria, tolli in nervum propere debuerat, et duplicis virgis a lictore exorcizari, duplici Spiritu obsessus, ignorantiae et crudelitatis. „

Ma chi confronti il capitolo XCVI del libro “ De incertitudine et vanitate Scientiarum „ (de arte inquisitorum) col - Dubio LI „ della “ Cautio „ e con parecchi altri troverà, che lo spiritoso filosofo di Nettesheim pare un pallido declamatore al confronto dello Spee.

Dub. II; e al Dub. XXIX dice: “ Argumentum quoddam apud me... quo id mihi penitus persuadeo, ut nullatenus dubitem, inter quaslibet quinguaginta ad rogum condemnatas vix quinque aut vi duas nocentes interesse. “ E al Dub. XXX, doc. XIX: “Ego id cumjuramento depono, me quidem nullam hactenus ad rogum duxisse de qua, omnibus consideratis, prudenter statuere potuerim fuisse ream. „

Se dovessi giustificare con citazioni queste mie parole dovrei trascrivere almeno metà della “ Cautio. „ Por altro rispetto poi non è possibile di dare un sunto di questo libro, perché tratta la materia in modo quasi frammentario.

Lib. V. app. II, q. 27. Lo stesso Delrio non aveva sotto mano la Bolla, che designa colle parole: “ quædam Bulla Pauli III... „

Op. cit. Dub. XXIII.

L’insistenza incredibile degli inquisitori e la violenza dei tormenti erano tali, che le accusate si confessavano ree di omicidi premeditati e per maleficio, cui certo non avevano pur pensato. Questo avvenne p. e. anche nei processi di Bormio del 1674 e ’76, esistenti nella Comunale di Trento, dove, ad onta che sia chiarissimo, non essersi commesso dalle accusate omicidio di sorta, il corpus delicti venne ritenuto sulla nuda confessione delle processate, ed esse furono giustiziate.

Secondo quanto si legge nel Tartarotti I. X. 2 la “ Instructio „ si sarebbe pubblicata ad uso degli inquisitori d’Italia. Nel testo che io ne conosco — in appendice alla “Cautio criminalis „ ed. di Augusta, 1731 — non trovo analoga indicazione, e del rimanente vorrei dire, che mi parrebbe strano se la cosa fosse come asserisce l’egregio critico roveretano. Perché se in Italia ne’ processi contro le streghe si commettevano delle irregolarità, altrove si andava certo non meno male.

Instructio nella introduzione.

Ibid. § 23.

Ibid. § 28.

Non è però a credersi, che per l’ ordinanza di Luigi XIV si; cessata per intero la persecuzione delle streghe in Francia. L’ultimo processo cola ebbe luogo, credo, a Bordeaux nel 1718, e fini col rogo.

De betoverdo Wereld, „ 1691-93; tradotto in italiano, francese, spagnuolo e tedesco.

La prima “ Theses inaugurales de crimine magiæ „ comparve sotto il nome di Giovanni Reiche nel 1701.

Lo stato alemanno che ultimo cessò dalla persecuzione fu credo la Baviera, dove s’ebbe un processo nel 1775.

La riforma della legislazione dell’Impero R. G. circa. al crimine di stregheria è ampiamente narrata e documentata da Rapp, o. c. pag. 41 e seg. — Aggiungo, che si narra che la Imperatrice sia stata colta da un santo impeto d’ira quando venne a conoscere l’esecuzione di suor Maria Renata (1749) del quale farò cenno più sotto.

Atti e ricordi di questi processi si trovano nelle seguenti opere a stampa, che enumero nell’ordine cronologico della loro pubblicazione: Tartarotti, Del notturno congresso ecc. (1749); Maffei J., Periodi storici delle Valli di Non e Sole (1805); Di Pauli G. nel “ Sammler „ III. 3 (1807). [L’articolo è anonimo, e posso indicare l’A. per comunicazione fattami dall’egregio sig. prof. de’ Wieser dell’ Università d’ Innsbruck]; Pfaundler dott. I., o. c. (1843); Dandolo T., La signora di Monza e le streghe del Tirolo (1855); Zotti R., Storia della Valle Lagarina (1862-’68); Rapp L. 0. c. (1874); Zingerle nella Ztschrf. del Ferdinandeo (1882). — Altre notizie ebbi per 1a cortesia del sullodato prof. Wieser, del dottor D. Schönerr., direttore dell’ Archivio dell’ i. r. Luogotenenza in Innsbruck e del rev. don G. Giordani, cooperatore . Villa Lagarina, ai quali — come agli amici F. Ambrosi, L. Campi, G. Ciani e C. Giuliani, che mi furono larghi di aiuto e di consiglio — m’è caro presentare i miei cordiali ringraziamenti.

Furono pubblicati nella Biblioteca trentina redatta da Tomaso Gar (Trento, Monauni, 1858— ’61). Qualche disposizione sulla procedura penale si trova nei “ Privilegi delle Valli di Non e di Sole (V. Arch. Trent. Ann. Ll. pag. 31).

Statuto di Trento, Lib. III de criminalibus cap. 17, 18, 22, 23, 28, 30, 102, 109. — Analoghe o simili disposizioni si hanno nello statuto di Rovereto (Statuta novissima) cap. I58, 159, 161, 163; ed in quello di Riva, Lib. III. cap. 35, 40, 43. Ma negli statuti di questo due ultime città mancano, per vari capi, parecchie fra le sanzioni contenute in quello di Trento.

La prima edizione di questo libro fu pubblicata a Basilea nel 1565. Esso è dedicato ad Elisabetta regina d’Inghilterra presso la quale l’Aconcio, esule, trovò asilo e protezione.

Stratag. Sat., Lib. III, pag. 140 e segg. della edìz. di Nimega 1661. — Alcuni esemplari di questa stampa hanno coperta l’indicazione del luogo e dell’anno, e portano sostituita. quella di Amsterdam, 1663.

Una buona biografia del Tartarotti, scritta in elegante latino, fu pubblicata a Rovereto nel 1805 da C. Lorenzi.

Ragionamento del p. Giorgio Gaar d. o. d. G. fatto avanti al rogo di Maria Renata .... .. con alcune annotazioni mitiche. — Verona (s. a., ma del 1749).

Ioh. Bapt Graserii..... propugnatio adnotationum in sermone de Maria Renata, adversus responsa p. G. Gaar „ (Venezia 1751). — Il Graser di Rovereto (1718-1786) fu professore di retorica nel ginnasio della sua patria, poi di morale edi storia presso l’Università d’Innsbruck. Era stato scolare del Tartarotti del quale scrisse una biografia, che non so se sia stata pubblicata.

Ioh. Bapt. Graserii, roboretani, epistola ad ill.mum virum Carolum Antonium baronem de Buffa. „ — Venezia 1756.

Il doloroso episodio cui diede origine la poco misurata polemica fra il Tartarotti ed il Bonelli è narrato anche dal sig. Rapp (o. c. pag. 78 e segg.), e con molta eqnanimità; ma meriterebbe di venire studiato a parte ed entrando nei particolari ad illustrazione del “ furor letterato. „

I processi che seguono sono tolti dal ms. originale, inedito, esistente nella Comunale di Trento al N. 617. Il volume, in f.o piccolo, è tutto di mano del notaio Silvestro Lentner “ alemanus de Schliersee, „ tranne i consilia, che sono autografi di Pietro Alessandrino I. U. D., conte palatino, segretario di Carlo V ecc., padre del celebre Giulio Alessandrino. — Riproduco il primo processo per intiero ed esattissimamente, sciolte soltanto le abbreviazioni ed ommesse le note marginali, che pajono scritte in tempo posteriore, e senza dubbio non sono autografe del notaio.

Il luogo di nascita dell’inquisito dovrebb’essere “ Anterivo „ (ted. “ Altrei; „ nel 300 “ Altereu. „ Questo comune e quello di Tródena sono in Fiemme abitati da gente di favella tedesca.

Egna. — Il Lentner suole per lo più ridare con ngn il suono che noi significhiamo con gn.

Vigilio di Furmiano (Firmian) secondo il Balduzzi (I signori di Firmian, Memorie genealogiche, — nel Giornale araldico, Pisa, 1878) fu figlio di Francesco, e scompare nel 1509.

Udalrico IV di Frundsberg, P. V. di Trento, eletto nel 1486, venne in possesso del principato nell’88, e morì nel 1505.

Credo, fosse uno specchio di vetro. Dubito, che questi famigerati “ Cristalla „ avessero dietro la lastra qualche apparecchio meccanico simile a quello di che si servono certi prestigiatori per far comparire sulla loro superficie figure, carte da giuoco e simili.

Nel secondo processo fatto a Giovanni Delle Piatte egli dichiara, essere licenziato ad esercitare la medicina. Da tutto il complesso degli atti però sono indotto a dubitare fortemente della verità di questa asserzione. Io credo piuttosto, che fosse un empirico, o ciarlatano, rustico e di qualità anche non molto fine. — Poco sotto si leggerà, che egli era noto come un “ semplice idiota e senza lettere. „

Birro, o capo dei birri.

Oggi Varena.

Tésero.

Carano.

Sagristano.

Moéna.

Tròdena.

La tortura fu solo minacciata.

Dalla condotta di questo processo e dalla sentenza con che fu chiuso si deve arguire, o che nel 1501 la vera procedura inquisitoria e le concrete idee sulla stregheria non erano ancora diventate famigliari ai giudici di Fiemme , o che il vicario del Firmian, Bernardino Gobetti, cittadino di Trento, era davvero un uomo a modo ed intelligente.

Edizione: Augusto Panizza. Processi contro le streghe nel Trentino. Trento, Tipografia G. Marietti, 1888. Fonte: Biblioteca comunale di Trento

Categorie: Testi SAL 75%Testi-PTesti senza argomento in IntestazioneTesti di Augusto PanizzaTesti del 1888Testi del XIX secoloTesti con versione cartacea a fronte

Menu di navigazione

Accesso non effettuatodiscussionicontributiregistratientraTestoFonteDiscussioneLeggiAltro

Ricerca

Cerca in Wikisource

Pagina principale

Portali tematici

Un testo a caso

Un indice a caso

Un autore a caso

Una pagina a caso

Ultime modifiche

Comunità

Aiuto

Portale Comunità

Bar

Progetti tematici

Fai una donazione

Contatti

Stampa/esporta

Crea un libro

Scarica come PDF

Versione stampabile

Strumenti

Puntano qui

Modifiche correlate

Carica un file

Pagine speciali

Link permanente

Informazioni pagina

Cita questo testo

Sottopagine

Visualizzatore

 

Lingue

Aggiungi collegamenti

Questa pagina è stata modificata per l'ultima volta il 2 apr 2020 alle 17:04.

Il testo è disponibile secondo la licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo; possono applicarsi condizioni ulteri