PAMELA MASTRIPIETRI

 

 

 

MACERATA - Ecco le prove che inchiodano Innocent Oshegale, il 22enne Lucky Desmond e il 27enne Awelima Lucky per l'omicidio di Pamela Mastropietro. Per gli inquirenti non ci sono più dubbi: sono stati loro, anche se non è escluso possano spuntare altri complici.

 

Quando Pamela Mastropietro è morta - martedì 30 gennaio tra le 12 e le 18, la finestra temporale è fissata come certa dagli investigatori - improvvisamente i telefonini dei tre uomini fermati per il suo omicidio hanno smesso di comunicare tra loro. Lo scambio di messaggi e telefonate è ripreso tra le 18 e le 19, quando due dei tre sospettati hanno lasciato la casa in mattonicini rossi di via Spalato. Non ci sono più buchi nella ricostruzione delle ore finali della 18enne romana e dei tre nigeriani che si trovavano con lei "al di là di ogni ragionevole dubbio". Tra le 12 e le 18 non comunicano tra loro perché sono insieme: stanno uccidendo Pamela, e stanno facendone a pezzi il corpo.

 

L'inchiesta, intanto, resta "apertissima". Lo ha ribadito il procuratore Giovanni Giorgio, che ieri in un comunicato ha "precisato meglio" il senso delle parole con cui aveva accolto i giornalisti dopo una notte di interrogatori nella caserma del Comando provinciale dei carabinieri di Macerata: "Il caso è chiuso", aveva detto alle telecamere. Ma il senso di quelle parole è che per la procura non ci sono più dubbi su cosa sia successo a Pamela: Innocent, Lucky e Awelima hanno ucciso insieme, e insieme hanno fatto strazio del corpo della ragazza. Separatamente, poi, si sono occupati di ripulire casa e di allontanare il corpo della ragazza dalle loro vite in modo così maldestro da essere rapidamente acciuffati. Ma le indagini vanno avanti spedite e, anche se al momento non risulta, i carabinieri agli ordini dei colonnelli Michele Roberti e Walter Fava non escludono affatto di poter trovare altri uomini coinvolti nell'omicidio e nello strazio del corpo di Pamela.

 

Le prove che inchiodano i tre nigeriani, e che hanno spinto la procura a procedere con i fermi degli altri due indagati, sono sempre più solide e partono tutte dal telefonino di Innocent, l'affittuario dell'appartamento in via Spalato in cui Pamela è stata assassinata. Analizzandolo, i tecnici incaricati dalla procura trovano due numeri di telefonino utilizzati per una lunga serie di telefonate e di messaggi che si interrompono proprio nelle ore in cui Pamela stava morendo, e in cui il suo corpo veniva fatto a pezzi. Di uno scoprono rapidamente tutto: appartiene a Lucky Desmond, e Innocent scarica subito su di lui la colpa.

 

Quando i carabinieri lo interrogano in caserma, anche nel suo cellulare trovano registrato in rubrica il numero del terzo nigeriano coinvolto. Nei telefoni di Lucky e di Innocent, Awelima ha due nomignoli diversi. I carabinieri, che nelle ore in cui Pamela moriva hanno accertato la presenza di tutti e tre i telefoni agganciati alla cella in cui si trova l'appartamento di via Spalato, tracciano i movimenti del terzo cellulare e scoprono che ha lasciato Macerata appena dopo il ritrovamento del corpo di Pamela. Lo rintracciano a Milano, e allertano i colleghi che lo fermano in stazione Centrale: sta per partire per la Svizzera con sua moglie, ospitata in una comunità nel fermano e totalmente estranea alla morte di Pamela.

 

I tre negano tutto, e Awelima dice di non conoscere neppure gli altri due. Ma il cellulare e le rubriche telefoniche provano che sta mentendo. I carabinieri sanno che tra le 12 e le 18 i loro telefonini agganciano la cella di via Spalato in prossimità della casa di Innocent. Appena confrontano le impronte digitali con quelle trovate in casa, trovano quello che cercano. Erano lì tutti e tre.

 

Tra le 18 e le 19, però, Lucky e Awelima se ne vanno. Per gli inquirenti è chiaro che hanno finito il lavoro atroce sul corpo di Pamela. Il professor Cingolani, il medico legale, dice che per fare una cosa simile in condizioni ottimali e con strumenti adeguati avrebbe impiegato almeno dieci ore. Ma loro sono "almeno" in tre, per gli inquirenti, e fanno presto. Alle 22 Innocent chiama il suo conoscente, il tassista abusivo camerunense, e prenota l'auto. Nel frattempo, mentre riprendono messaggi e telefonate con Lucky e Awelima, Innocent deve aver finito il lavoro preparando i trolley.

 

Il tassista abusivo lo accompagna nelle campagne di Pollenza. Innocent scende, abbandona le valigie e chiede di essere portato in centro. Il tassista, incuriosito, torna a dare un'occhiata alle valigie. E' notte, ne apre una e vede l'orrore. Spaventatissimo, se ne va e solo nel pomeriggio del giorno successivo, ore dopo il ritrovamento del corpo, si presenta in questura a raccontare quel che sa. Per gli inquirenti è solo un testimone prezioso, estraneo al delitto.

 

Facciamo un passo indietro. Torniamo alla sera del 30 gennaio: il telefonino di Innocent rivela che tornerà a dormire a casa. L'indomani mattina esce e va, accompagnato da Lucky, a comprare altre confezioni di varichina per finire il lavoro di pulizia della casa. Awelima intanto lascia Macerata: va a prendere la moglie, sta scappando ma non farà in tempo a lasciare l'Italia. Restano alcune domande senza risposta, per ora. La prima, la più importante, è il movente. Per gli inquirenti il sospetto è che Pamela sia stata uccisa perché, dopo essersi drogata, non ha accettato di avere rapporti sessuali con i nigeriani che l'avrebbero violentata e uccisa. Per ora non ci sono prove della violenza, solo forti sospetti perché nello straziare e ripulire il suo corpo hanno dedicato una particolare attenzione a fare tutto ciò che potesse cancellare le tracce di un eventuale stupro. Lo stesso hanno fatto sul collo: forse hanno provato a stragolarla, e hanno cercato di cancellare anche quella prova di violenza. Ma dal corpo di Pamela non hanno potuto cancellare due elementi che potrebbero inchiodarli all'accusa di omicidio volontario: la botta in testa all'altezza della tempia, e le coltellate al fegato. Per il medico legale sono state inferte quando era viva, e sono letali. Ma saranno le lunghe analisi scientifiche in corso ad accertarlo, e a scrivere la parola fine.