BELLA CIAO 

CULTURA&SPETTACOLI cultura@giornaledibrescia.it «La storia di "Bella ciao" è un romanzo mai finito, perché non esiste un testo unico, ma molte varianti che si trasformano e si intrecciano con una serie di storie di gruppo o individuali». Ma questo «romanzo infinito» che abita il cuore di molti italiani, anche in questo 25 aprile farà risuonare quel grido di libertà e il patriottismo che l’ha generato. Lo storico, scrittore, saggista e ricercatore Cesare Bermani (in passato è stato anche un cantante), esperto di musica popolare, alla regina delle canzoni italiane ha dedicato un libro, in cui è andato alla ricerca delle origini di «Bella ciao» (Interlinea, 96 pp., 10 euro; ebook 5,99 euro) per raccontare «Storia e fortuna di una canzone dalla resistenza italiana all’universalità delle resistenze». Dott. Bermani, quali le vere origini di «Bella ciao», che sembra intrecciarsi a vari altri canti ed è stata eseguita in diverse versioni per quanto riguarda i versi? La «Bella ciao» che si canta oggi, nel dopoguerra è stata ripresa dai festival democratici della gioventù, a cui partecipavano giovani provenienti da 60, 70 paesi del mondo. Attraverso queste manifestazioni e attraverso i pionieri tedeschi, è andata all’estero. In traduzione letterale in spagnolo è diventata anche una delle canzoni della rivoluzione cubana, cantata dalle Milicias Nacionales Rivolucionarias, costituite nel 1959. Esiste un padre riconosciuto di «Bella ciao»? Le canzoni popolari non dovrebbero avere un padre. Poi alla fine appare sempre qualcuno che rivendica i diritti se non come autore, come rifacitore. Molti in giro per il mondo si sono appropriati di «Bella ciao» dopo averla rimaneggiata. Il cantautore Claudio Pestelli ha scritto che suona «Bella ciao» per una moltitudine di popoli, in almeno 40 idiomi diversi: da tutte le principali lingue slave e scandinave, all’arabo e al tagalog, la lingua più parlata nelle filippine, fino al cinese e al giapponese. Il difficile è scovare una lingua in cui manchi la traduzione di «Bella ciao». «Fischia il vento» e «Bella Ciao»: due bandiere del canto popolare di resistenza. Ma che cosa le accomuna principalmente? Poco: «Fischia il vento» è stata cantata al Nord, mentre «Bella Ciao» al centro Italia e al Sud. Da un partigiano abruzzese ho appreso che «Bella Ciao» probabilmente è nata nell’ambito della "Brigata Maiella", che operava con gli alleati della V armata. «Fischia il vento» invece, è una canzone di matrice comunista delle "Brigate Garibaldi". Secondo il partigiano abruzzese, «Bella ciao» veniva cantata soprattutto nelle marce di trasferimento e nei momenti di fraternizzazione con la popolazione. Anch’essa è nata nel secondo periodo operativo, cioè dopo la liberazione di Sulmona e nella campagna delle Marche. Ma originariamente «Bella ciao» era un canto delle mondine? Solo dopo la Resistenza, quando un certo Vasco Scansani nel 1952 ne fece una versione per le mondine del vercellese. Le origini della canzone le cercavo al Nord Italia, mentre era una canzone del centro e del Sud Italia cantata già all’inizio del ’44, mentre da noi al Nord è arrivata solo negli ultimissimi mesi della Resistenza. Ma pare che il ritornello di «Bella ciao» sia stato suonato e inciso già nel 1919 a New York in un 78 giri con il titolo «Klezmer-Yiddish swing music». A portare in America il brano un fisarmonicista zingaro, Mishka Tsiganoff, originario di Odessa, che parlava bene l’yddish, lavorava come musicista klezmer e a New York aprì un ristorante. «Bella ciao» è la vera colonna sonora della Resistenza italiana, la canzone simbolo di questa grande epopea? No, perché per un certo periodo è stata «Fischia il vento» la canzone dei partigiani. Anche molti giornalisti e fra questi Giorgio Bocca, che era stato partigiano, poiché la canzone non era stata cantata nella sua formazione di "Giustizia e libertà" nel cuneese, sosteneva che non fosse una canzone nata durante la Resistenza. Poi credo che Bocca si sia ricreduto, perché fu suonata al suo funerale, quando già era diventata però la canzone simbolo dei partigiani. «Fischia il vento» era troppo sovietica per essere la canzone di tutti i partigiani e la sostituirono con «Bella Ciao». In subordine a «Fratelli d’Italia», si potrebbe considerare «Bella ciao» anch’essa una sorta di inno nazionale? Fra i due preferisco «Bella Ciao». Mi sembra che «Fratelli d’Italia» sia un testo molto datato. Delle canzoni risorgimentali non è quella che mi piace di più. «Molti si sono appropriati di questo motivo che viene eseguito in tutte le lingue» Cesare Bermani Saggista F orza la natura effimera e istantanea di Instagram, trasformandolo in un luogo virtuale di indagine sociale, riflessione artistica e provocazione intellettuale, il progetto digitale «Love stories - a sentimental survey» di Francesco Vezzoli per Fondazione Prada, che debutterà il 4 maggio sull’account Instagram dell’istituzione culturale. Dopo aver reinventato la tradizione del documentario e del cinéma-vérité con l’opera del 2004 «Comizi non amore», ora l’artista bresciano di fama internazionale (coinvolto dal Comune e da Fondazione Brescia Musei per il ritorno - quando sarà - della Vittoria Alata) si appropria delle strategie comunicative di Instagram, e in particolare della funzione sondaggio delle stories, per sperimentare un nuovo territorio di condivisione di idee, visioni e impressioni sull’amore, il sesso, l’identità, il corpo, la solitudine, l’appartenenza, l’alterità, il futuro. I follower di Fondazione Prada, e in più in generale gli utenti di Instagram, saranno invitati, story dopo story, a scegliere tra due opzioni, a schierarsi a favore di una delle due affermazioni proposte, ad accettare la logica binaria, forzatamente semplificatoria, dei sondaggi, a partecipare a un gioco solo apparentemente leggero. L’indagine sarà composta da oltre 50 domande poste da Francesco Vezzoli e associate a immagini che creano cortocircuiti visivi e sottotesti interpretativi. Alla fine di ogni settimana i risultati dei sondaggi saranno commentati da una personalità del mondo della cultura, dell’arte, della moda, della comunicazione. Arcadio Rossi In un certo modo, «Bella ciao» è anche l’inno della dissidenza in ogni suo aspetto, visto che l’hanno cantata i ragazzi delle rivolte arabe del 2011, i giovani del Parco Gezi a Istanbul e nel 2016 a Parigi gli operai contro la legge sul lavoro del presidente Hollande, e nel 2018 contro Macron. «Spesso alla musica di "Bella Ciao" si cambiano i versi - precisa Bermani -, e così la canzone è diventata anche una sorta di bandiera curda. I francesi contro i loro presidenti hanno cantato la versione italiana. La melodia di "Bella ciao", diffusa in tutta Europa, è parte di "Fior di Tomba", che risalirebbe al XV secolo. Ora è anche colonna sonora della serie tv "La casa di carta". È la canzone che ha avuto più successo al mondo. Credo che batta "’O sole mio"». ELZEVIRO Cesare Bermani racconta la storia della canzone-simbolo della Resistenza «BELLA CIAO, UN CANTO SENZA PADRI CHE HA PERCORSO I CONTINENTI» 25 Aprile 1945. Partigiani sfilano per le vie di Milano festeggiando la Liberazione Andrea Grillini Anniversari Verso la Festa della Liberazione «Love stories» è il nuovo progetto digitale dell’artista bresciano di fama internazionale per Fondazione Prada INDAGINE SOCIALE SU INSTAGRAM CON L’ARTE DI FRANCESCO VEZZOLI Love stories. Vezzoli: «Come and hug me!/ Please don’t touch me» Inno per ogni latitudine più noto di «’O sole mio» GIORNALE DI BRESCIA · Martedì 21 aprile 2020