IL POTERE TEMPORALE DELLA CHIESA

 

Il 18 novembre, festività della dedicazione delle Basiliche dei Santi Pietro e Paolo, il cerimoniale pontificio medioevale prevedeva la celebrazione dei "processi generali" contro i ribelli della Chiesa.

Nel 1302 l'occasione era particolare, perché Papa Bonifacio VIII aveva per il giorno d'Ognissanti convocato un concilio con l'intento di puntellare il suo primato, seriamente attaccato dalla politica aggressiva attuata dal re Filippo IV di Francia, detto “il Bello”.

Nonostante le comprensibili difficoltà logistiche di quei tempi lontani, a Roma, oltre ai prelati provenienti da tutta Italia e da diversi Paese europei, era convenuta anche più della metà dei 79 vescovi che componevano l'episcopato francese, circostanza questa considerata dal Papa come un grande successo personale.

Quale momento infatti avrebbe potuto essere più propizio per riaffermare gli ideali teocratici della preminenza del potere spirituale su quello temporale, nel solco delle tesi sostenute oltre due secoli prima da Papa Gregorio VII, col suo “Dictatus Papae”?

Così, davanti ad un'impressionante sfilata di casule purpuree e galeri cardinalizi, e in mezzo a fumi d’incenso profumato, ecco che nella Basilica di San Giovanni in Laterano, la Cattedrale di Roma, per la prima volta fu letta la “Unam Sanctam", la nuova enciclica che nel suo latino aulico costituiva al tempo stesso una riaffermazione del primato petrino, una sottolineatura della sua derivazione divina ed un severo monito nei confronti di quanti volessero metterlo in discussione.

Le fonti di questo importante documento sono note: il già citato “Dictatus” di Papa Gregorio, l'opera di San Bernardo di Chiaravalle ed il trattato "De ecclesiastica potestate" di Egidio Romano, teologo agostiniano al servizio di Bonifacio.La formula finale dell'enciclica, mutuata quasi integralmente dall'opera "Contra errores Graecorum" di San Tommaso d'Aquino, diceva: "...al Capo supremo di questa Chiesa militante deve essere sottoposta ogni anima e davanti a lui tutti i fedeli, quali che siano la loro dignità e stato, devono chinare il collo...". Va da sé che: "ostenditur quod subesse Romano pontifici sit de necessitate salutis...", cioè "...è evidente che restare sottomessi al pontefice romano è necessario per la salvezza...". Il percorso per arrivare ad una simile conclusione si snodava partendo dal dogma dell'unità e santità della Chiesa: come infatti al tempo del diluvio universale non vi fu che un'arca, quella di Noè, realizzata e poi guidata da un'unica guida (Noè in persona) e tutti gli esseri viventi rimasti al di fuori di essa perirono, così esiste un'unica Chiesa, voluta da Dio come un corpo mistico avente come capo Gesù, perpetuato in terra nella persona del suo vicario: il Papa.

Ne consegue che quanti volessero sottrarsi alla sua autorità, si consegnerebbero da soli alla dannazione eterna, ponendosi all'esterno dell'arca della salvezza costituita dalla Chiesa romana.

Seguendo il filo del discorso, anche il potere temporale di re ed imperatori risultava sottomesso a quello del Papa, perché come ricorda San Paolo nella sua Lettera ai Romani "non vi è autorità che non provenga da Dio".

Pertanto, se un qualsiasi principe temporale trascurasse di agire a profitto ed in difesa della Chiesa o addirittura gli si rivoltasse contro, il Papa, unico potere non giudicabile se non da Dio, avrebbe il diritto di deporlo, richiamando quel potere a se stesso.

Facile dunque intuire con quale scoppio di collera Filippo IV di Francia possa aver accolto la “Unam Sanctam”, anticamera di una quasi certa scomunica, facendo di tutto per impedirne la diffusione in patria.

Se però in circostanze non molto dissimili Papa Gregorio VII, col suo “Dictatus” e la scomunica che ne era seguita, aveva costretto l'Imperatore Enrico IV ad umiliarsi a Canossa, al tempo della progressiva affermazione dei nazionalismi, e di quello francese in particolare, Papa Bonifacio ci avrebbe ricavato soltanto il famoso "schiaffo di Anagni", che l'avrebbe di lì a poco portato alla tomba.

Accompagna questo scritto il “Ritratto di Bonifacio VIII” di Andrea Gastaldi, 1875, G.A.M., Roma e un’immagine della “Unam Sanctam”.

(Testo di Anselmo Pagani)

 

 

Il linguaggio dei Papi - Alessandro Barbero

Il linguaggio dei papi nel corso dei secoli secondo Alessandro Barbero

Per quale motivo durante il nazismo i papi non si sono rivolti direttamente e duramente contro la persona di Hitler? Perché oggi invece papa Francesco quando parla può rivolgersi a tutto il mondo, e con un registro colloquiale?

Ne ha parlato il professor Alessandro Barbero, ordinario di Storia Medievale presso l’Università del Piemonte Orientale e volto noto al pubblico della divulgazione storica di SuperQuark, all’edizione 2017 del festival Rinascimento Culturale.

Il linguaggio dei papi nel medioevo

Partendo dai papi del medioevo, il prof. Barbero ha delineato un percorso per approfondire lo stile di comunicazione dei papi attraverso i secoli

I papi del medioevo avevano un linguaggio molto diverso da quello che i papi hanno avuto in tempi più recenti. Erano enormemente sicuri di sè - continua Barbero - Erano sicuri che Dio gli aveva conferito un potere spirituale sul mondo”, e che il loro compito fosse quello “di governare il mondo, di dare ordine agli imperatori ai re e ai politici. Uno dei compiti principali dei papi medioevali era quello di “spiegare e dimostrare che [...] è la Chiesa che deve comandare”, mentre il potere temporale deve essere sottomesso.

Nella bolla di scomunica diretta a Federico II, il pontefice Gregorio IX utilizza una “retorica fondata sul linguaggio della Bibbia”:

è salita dal mare una bestia piena di parole e di bestemmie infuriando con la zampa dell'orso e le fauci del leone, le membra di leopardo spalanca la bocca ad offesa del Santo Nome [...].

Il soggetto della descrizione è preso direttamente dall’apocalisse ed è un’immagine riferita allo scomunicato.

Il linguaggio dei papi ai tempi della riforma protestante

Un punto di svolta nella modifica del linguaggio avviene, secondo il prof. Barbero, con Leone X, chiamato a rispondere alla riforma protestante di Lutero. Dopo 500 anni di dominio dialettico della Chiesa nei confronti del potere temporale, la sua egemonia viene scossa. Nella sua Exsurge Domine, Leone X, commenta Barbero, “non sente il bisogno di spiegare perché Lutero si sbaglia”. Il papa, in parole povere dice: “Io ve lo dico e voi dovete obbedire”. Da Leone X in poi, i papi “cominciano a vedere il loro ruolo come un ruolo di guerra continua”.

Il linguaggio dei papi tra '700 e '800

Davanti all’illuminismo, al liberismo, alla rivoluzione industriale, secondo il prof Barbero la Chiesa dà la “sensazione di un'istituzione che non capisce più il mondo e si rifiuta di capirlo”. La comunicazione dei pontefici sembra ripetere semplicemente che “le cose vanno di male in peggio e la chiesa non viene più ascoltata”.

L’enciclica Mirari vos, di Gregorio XVI è un esempio lampante di questo modo di comunicare. Qui secondo Barbero si capisce come, nella mente del pontefice, “le novità sono sempre sbagliate perché la chiesa è perfetta ed è eresia pensare che debba cambiare qualcosa”. E secondo Gregorio XVI parte della responsabilità per questa grave situazione è della “mai abbastanza esecrata ed aborrita «libertà della stampa» nel divulgare scritti di qualunque genere”.

Il linguaggio dei papi dalla Rerum Novarum

Il rapporto conflittuale con l’attualità e il progresso viene affrontato dalla Rerum Novarum di Leone XII, grazie alla quale, ricorda il prof Barbero, “il nuovo non è più una brutta parola” per la Chiesa. Da qui in avanti “la chiesa si esprime con cautela, con misura, valutando bene le parole”, avvalendosi di uno “stile piano con cui recupera una sua autorevolezza”.

Barbero sottolinea che qui “il tono è tutto diverso, il papa addirittura quasi si giustifica. Per la prima volta la chiesa non ha la verità pronta:

Ci parrebbe di mancare al nostro ufficio, tacendo. Certamente la soluzione di così arduo problema richiede il concorso e l'efficace cooperazione anche degli altri: vogliamo dire dei governanti, dei padroni e dei ricchi, come pure degli stessi proletari che vi sono direttamente interessati.

Nonostante questo cambio di linguaggio, “la Chiesa tra '800 e '900 è arrivata al minimo del proprio potere e della sua autorità”. E questo minimo storico viene notificato proprio da un papa, Benedetto XV, quando dopo tre anni dall’inizio della prima guerra mondiale si rivolge alle nazioni in conflitto:

Purtroppo, l'appello Nostro non fu ascoltato.

Il prof Barbero spiega che all'inizio del ‘900 “i papi sono consapevoli della fatica di far sentire la propria voce”, perché “sono i governi che comandano e il papa può fare solo un caldo appello”.

Il linguaggio dei papi dopo le guerre

Gradualmente i pontefici cambiano registro e decidono di rivolgersi non solo ai cristiani e alla Chiesa, ma al mondo intero. È quanto accade con la Pacem in Terris di Giovanni XXIII. Barbero commenta che “nell’aprile del 1963 il mondo è sull'orlo della guerra atomica”. Il pontefice, forse comprendendo che è giunto il momento, “analizza il presente. Vediamo cosa deve fare la Chiesa nel mondo di oggi”. Persona, libertà, diritti: “quello che interessa al papa è dire che gli esseri umani hanno scoperto i diritti”:

Ogni essere umano ha il diritto all'esistenza, all'integrità fisica, ai mezzi indispensabili e sufficienti per un dignitoso tenore di vita, specialmente per quanto riguarda l'alimentazione, il vestiario, l'abitazione, il riposo, le cure mediche, i servizi sociali necessari; ed ha quindi il diritto alla sicurezza in caso di malattia, di invalidità, di vedovanza, di vecchiaia, di disoccupazione.

Questa attenzione all'attualità è del tutto evidente in Paolo VI, che nella Populorum progressio si pone esplicitamente nel solco delle encicliche “sociali” dei suoi predecessori. Nella Populorum progressio, spiega il prof Barbero, si parla “della povertà, della disuguaglianza, del fatto che ci siano i ricchi e i poveri. Solo il Papa poteva parlare così in quel momento”.

La novità di questa enciclica è, secondo Barbero, l’introduzione di terminologie molto tecniche che riguardano l’economia. Parole come: strutture, disparità, crescita, ritmo di sviluppo, lo squilibrio, le esportazioni, tassi di interesse eccetera eccetera. Tutto questo accanto alla capacità, mutuata dalla tradizione dei pontefici, di trovare le giuste immagini prese dal tesoro biblico:

che i ricchi sappiano almeno che i poveri sono alla loro porta e fanno la posta agli avanzi dei loro festini.