VIAGGIO IN CORRIERA DA CLES A RUMO DI UN ANZIANO
(di Angelo Zanotelli)
Qualche segno di gentilezza e altruismo, di capacità relazionale normale, in mezzo a tanta chiusura e mancata educazione alle più elementari norme di convivenza sociale e alla valorizzazione della componente umana dell'ambiente di vita.
Lo racconto sopratutto per chi si è assunto l'onere di esercitare la potestà genitoriale a nome della società dedicandovi, certamente con amore, parte almeno del proprio tempo e spazio . Ogni tanto mi succede di dover prendere la corriera per venire a Rumo. Mi aspettano degli impegni sociali. Già alla stazione di Piazza fiera gli scolari e studenti non s'accorgono della presenza di un adulto. Si comportano come se fossero soli: urlano, si spintonano, sputano in terra, si siedono con i piedi sulla panca, rispondono con fastidio se rivolgi loro la parola. Meraviglia: chi non disdegna di salutare, almeno con un ciao o di dire due parole sono i più malfamati, disprezzati ed emarginati, fra loro e in paese. La corriera arriva già occupata in tutti i posti. L'autista si offre gentilmente per farmi cedere il posto. Ovvio si è sempre insegnato che il più giovane deve cedere il posto alle persone anziane. Declino cortesemente. Voglio vedere chi l'ha imparato e lo fa. Uno solo, di quelli emarginati e derisi. Lo ringrazio e me ne sto in piedi accanto a lui. Conversiamo. Prima di arrivare a Livo il gruppo dei più "fighi" in fondo al pullman (in gran parte del Mezzalon), intona canti gogliardici (ovviamente con riferimenti al sesso femminile). Per provocare ovviamente. Saggiare la reazione di un anziano, che forse qualcuno di Rumo, ha presentato per il ruolo che svolgo in chiesa. Sto al gioco, come facevo con i miei puledri (termine affettuoso) dell'Enaip. Colti alla sprovvista da una battuta demitizzante, smettono delusi. A Preghena il pullman è più che dimezzato. Scendo in fondo. Che vedo? Un ragazzo alto e robusto, beatamente disteso con le scarpe sui sedili, indifferente al mondo perchè ascolta la sua musica. Provocato indirettamente da un comportamento riprovevole fra due, si alza con violenza e si scaglia loro addosso. Gli è bastato dare dimostrazione del suo potere di boss, perchè ritorna sdraiato a fare gli affari propri. Penso : che bravi i genitori, i maestri,i parroci, i vicini della mia infanzia, fanciullezza e adolescenza a farci imparare ed esercitare la cosiddetta educazione civile. Indispensabile per il buon e sereno funzionamento di ogni società. Il rispetto di ruoli e funzioni, si traduceva in rispetto delle persone. S'imparava che la società è fatta di eguali,ma diversi. Che prima o almeno insieme ai diritti ci spettano dei doveri. I nostri genitori ed educatori non rinunciavano ai doveri della potestà genitoriale. Era il modo con il quale partecipavano a conservare il buono ed il bello ed a correggere le criticità. Così nelle relazioni si è potuti passare dal voi al lei e al tu. Oggi l'uso esclusivo del tu, produce l'indifferenza per l'età ed i ruoli: la premessa per una società anarchica e confusa,sprezzante delle Autorità e delle Istituzioni, dove i cittadino hanno solo diritti e nessun dovere. Nemmeno nei confronti dei genitori. Men che meno degli altri, dei beni e dei locali pubblici o aperti al pubblico, in ogni caso non loro. Non pochi con il tacito avvallo di chi esercita la potestà genitoriale e dei presenti.
SOPRAVISSUTO A TRE FUCILAZIONI
È sopravvissuto a tre fucilazioni dei soldati americani e ha combattuto per vedere riconosciuta la verità storica dello sbarco alleato in Sicilia, fatto di crimini e atrocità verso i nostri soldati. E dopo aver avuto anche la soddisfazione di essere premiato dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che nel 2012 gli ha conferito l’onorificenza di ufficiale della Repubblica, Giuseppe Giannola, l’ultimo sopravvissuto dei militari italiani che combatterono nell’isola nel 1943, è morto a 99 anni nella sua Palermo. La storia dello sbarco in Sicilia a lungo è stata raccontata come l’epopea dei «vincitori»: le truppe alleate che dovevano liberare il Paese dal fascismo. Ma non ci fu nulla di particolarmente eroico in quella operazione. Come raccontato recentemente in un libro del senatore Andrea Augello «Uccidete gli italiani» che ha indagato proprio su quelle vicende, gli atti di eroismo furono invece tutti dalla parte dei soldati italiani e di piccoli gruppi di tedeschi.
Furono loro che si immolarono davanti a un avversario superiore per numero, mezzi e armi. E furono loro che, fedeli agli ordini che avevano avuto, combatterono per difendere metro dopo metro le loro postazioni. Chi non venne ucciso in battaglia fu brutalmente fucilato. Perché l’ordine impartito dal generale George Patton era stato chiarissimo: «Se si arrendono quando tu sei a due-trecento metri da loro, non badare alle mani alzate. Mira tra la terza e la quarta costola, poi spara. Si fottano, nessun prigioniero! È finito il momento di giocare, è ora di uccidere! Io voglio una divisione di killer, perché i killer sono immortali!».
Giuseppe Giannola era un aviere palermitano in servizio nell'aeroporto di Ponte Olivo, nella piana tra Caltagirone e Acate. Insieme ai suoi compagni riuscì a tenere in scacco le truppe americane che attaccavano la zona per due giorni. Poi, finite le munizioni, non rimase loro altra scelta che arrendersi. A quel punto, spogliati delle divise, il gruppo fu incolonnato e affidato al sergente Horace West con 7 militari. Durante il tragitto si aggiunsero altri 37 prigionieri di cui 2 tedeschi. Dopo circa un chilometro di marcia furono obbligati a fermarsi e disporsi su due file parallele mentre West, imbracciato un fucile mitragliatore, aprì il fuoco compiendo il massacro. Al centro della prima fila c’era proprio Giuseppe Giannola che fu l'unico superstite. Lui stesso, in una relazione inviata nel 1947 al Comando Aeronautica della Sicilia, raccontò quello che era successo: «Fummo avviati nelle vicinanze di Piano Stella ove fummo poi raggiunti da un altro contingente di prigionieri italiani del Regio esercito, e questi ultimi in numero circa di 34. Tutti fummo schierati per due di fronte. Un sottufficiale americano, mentre altri 7 ci puntavano con il fucile per non farci muovere, col fucile mitragliatore sparò a falciare i circa 50 militari che si trovavano schierati. Il dichiarante rimasto ferito al braccio destro rimase per circa due ore e mezzo sotto i cadaveri, per sfuggire ad altra scarica di fucileria, dato che i militari anglo-americani rimasero sul posto molto tempo per finire di colpire quelli rimasti feriti e agonizzanti».
Giannola, quando pensò che gli americani fossero andati via, alzò la testa nel tentativo di allontanarsi, ma da lontano qualcuno gli sparò con un fucile colpendolo di striscio alla testa. Cadde e si finse di nuovo morto. Restò immobile per circa mezz’ora fin quando, strisciando carponi, raggiunse un grosso albero. Vide degli americani con la croce rossa al braccio e si avvicinò. Gli fu tamponata la ferita al polso e alla testa e gli fu fatto capire che da lì a poco sarebbe arrivata un’ambulanza che l’avrebbe trasportato al vicino ospedale da campo. Poco dopo vide avvicinarsi una jeep e fece segno di fermarsi. Scesero due soldati e uno di loro gli chiese se fosse italiano. L’aviere rispose di sì e il militare gli sparò un colpo di pistola al collo. Poi risalì sull’auto e se ne andò. Ma la fortuna fu ancora una volta dalla sua parte perché poco dopo arrivò l’ambulanza che lo raccolse trasportandolo all’ospedale da campo di Scoglitti. Due giorni dopo fu imbarcato su una nave e portato all’ospedale inglese di Biserta ed altri del Nord Africa. Rientrò in Italia il 18 marzo 1944 e fu ricoverato all’ospedale militare di Giovinazzo.
Da allora il suo unico pensiero fu quello di far emergere la verità di quel terribile conflitto. E iniziò presentando, nel 1947, al Comando Aeronautica della Sicilia un resoconto di quanto accaduto. Racconto che rimase inascoltato. Da allora Giannola ha continuato a combattere la sua battaglia fino a quando, assistito dal figlio Riccardo, raccontò tutto al procuratore militare di Padova che aveva aperto un fascicolo per la storia di un altro sopravvissuto alle fucilazioni dei soldati americani. Nel settembre 2009 fu ricevuto al Quirinale dal Generale Mosca Moschini, Consigliere Militare del Presidente della Repubblica, al quale consegnò una lettera appello nella quale chiedeva che si facesse di tutto per individuare il luogo dove furono seppelliti i suoi commilitoni, per restituire l’onore a chi combattè quella «sporca guerra», cancellandoli dall’elenco dei dispersi o, peggio ancora, dei disertori.
E la sua testardaggine è stata finalmente premiata il 14 luglio del 2012 quando, a Santo Pietro, è stata inaugurata una targa di marmo che ricorda i nomi di tutti i soldati italiani uccisi nella strage. Compresi i quattro tedeschi. L’ultima «soddisfazione» è stata quella onorificenza al merito concessa da Giorgio Napolitano. Da quel giorno Giuseppe Giannola sapeva di poter finalmente morire tranquillo.