LA MARCIA SU ROMA
28 ottobre 1922, L'IMPRESA COMINCERÀ APPENA SMETTERÀ DI PIOVERE!
Non c'era un piano preciso, non un minimo di organizzazione collettiva, nessuna idea strategica. Si partì quasi come per una scampagnata e in effetti si trattò di qualcosa di assai simile.
C'era una sola direttiva, che oggi sembrerebbe lo scopo di un'iniziativa più goliardica che razionale: ''si va a buttar giù il governo e se ne fa uno con le camicie nere''. Ma nessuno sapeva come avrebbe reagito l'esercito, gli studenti, i contadini o gli operai, nessuno sapeva come fare in modo che da Trieste a Catania si potesse far convergere sulla capitale contemporaneamente le forze fasciste, nessuno conosceva i dati delle forze in campo, e se alla resa dei conti si sarebbe dovuto combattere con le armi.
Non era neppure previsto un percorso prestabilito e tappe per rifocillarsi, tanto che ognuno si sarebbe dovuto arrangiare, sia per il cibo sia per il vestiario. E in quei giorni per esempio l'acqua che cadde a Firenze, Roma e in molte altre zone d'Italia provocando diversi disagi ai camion carichi di camicie nere che sprofondavano nel fango delle strade. Tanto che molti rivoluzionari si presero dei gran raffreddori, altri addirittura disertarono dopo ore e ore ad aspettare sotto la pioggia senza un riparo e senza sapere cosa stava succedendo altrove.
La marcia su Roma insomma si sarebbe potuta liquidare in poche ore, se non che la maggior parte delle questure e delle prefetture, e molti dei gradi più alti dell'esercito parteggiavano più o meno ostentatamente per i fascisti.
Il 27 ottobre infatti i quadrumviri emanarono un proclama esplicito alla ribellione, a cui un governo serio, in un Paese serio, avrebbe dovuto rispondere con l'arresto di tutti i capi di quel movimento sedizioso.
Eppure nessuno dei vertici politico/militari del paese fece un passo avanti o prese posizione, mentre nelle città e nelle periferie scoppiavano numerosi scontri a fuoco tra guardie regie e carabinieri, che seppur in larga parte simpatizzanti dei fascisti, rimanevano fedeli al loro dovere, reagendo alle provocazioni dei sediziosi. Quello stesso giorno ad esempio, Farinacci con 150 camicie nere occupò la prefettura, le poste, la stazione ferroviaria e i telefoni di Cremona, uccidendo 7 tra guardie regie e Carabinieri.
Ben presto altri ras lo imitarono in molte altre città, dove iniziarono a contarsi morti fra servitori dello Stato e camicie nere, tanto che al QG di Perugia i quadrumviri ricevettero diverse telefonate allarmate dove i fascisti lamentavano reazioni inaspettate da parte delle forze di polizia.
Un'autentica insurrezione contro lo Stato insomma, alla quale però lo Stato non reagì con la dovuta energia, anzi, Facta si dimise e a Roma iniziarono le trattative per un governo aperto ai fascisti!
E mentre il generalissimo Diaz salutava le camicie nere a Firenze augurandogli i migliori auspici, il Duca d'Aosta decise di partire verso il caotico QG dei quadrumviri a Perugia, per tenersi pronto nel caso in cui Vittorio Emanuele avesse abdicato per essersi opposto al colpo di Stato. Voleva essere nel posto giusto se i fascisti avessero voluto sostituire il re con qualcuno 'di fiducia'.
Ma non ce ne fu bisogno, Vittorio Emanuele appena rientrato a Roma dopo una lunga vacanza cedette su tutta la linea, e diede il via libera agli insurrezionali, nonostante la disponibilità della maggior parte dell’esercito di ristabilire rapidamente l'ordine al solo accenno del re di voler proclamare lo stato d'assedio.
Paradossalmente il più pericoloso nemico dei rivoluzionari non fu chi doveva bloccarli con le armi, bensì il tempo inclemente. La gran parte delle camicie nere era disarmata, poche carabine, qualche fucile da caccia, mentre alcuni portavano alla cintura solo arnesi agricoli. Molti invece dovettero vedersela con il freddo, il sonno, la fame, l'attesa snervante e la pioggia, soprattutto i rivoluzionari accampati fuori Roma, tra Monterotondo e Tivoli: <<[...] bagnati come pulcini, indolenziti, zoppicanti, con i nostri equipaggiamenti improvvisati, siamo veramente buffi>> scriveva un reduce laziale, mentre qua e là scoppiano litigi con i capi che si affannano a convincere i rivoluzionari che <<l'impresa comincerà appena smetterà di piovere>>.
È chiaro che le circa ventimila camicie nere (che in seguito divennero cinquantamila, poi centomila e più) non avrebbero potuto fare quello che fecero se, oltre all'appoggio più o meno palese dell'esercito e delle istituzioni, non avessero goduto di larghe simpatie e favori della borghesia conservatrice e anticomunista, stanca di scioperi e insicurezza nei profitti. Per loro era naturale vedere nei fascisti oppositori dei 'rossi', coloro che avrebbero ristabilito l'ordine. Insomma, dei prepotenti utilizzati come pacificatori.
Le camicie nere poi offrivano alla gente comune anche la speranza di un cambiamento: spazzare via la vecchia classe politica rinunciataria e incapace e risollevare la nazione dalla crisi economica, dal carovita e dalla disoccupazione. Sarebbero andati bene anche i fascisti in quella situazione, e si sarebbe sorvolato sui loro crimini, sulle loro spedizioni punitive, sui loro omicidi, sulle loro intimidazioni e sul loro disprezzo per lo Stato.
Ma quando si seppe che il re si era rifiutato di firmare lo stato d'assedio, il sospiro di sollievo fu vasto e molteplice. In primo luogo da parte di Mussolini, il quale era ancora tra le mura del suo QG milanese con in mano un biglietto di sola andata verso la Svizzera.
Poi da parte dei quadrumviri, i quali ora spacciavano per riuscito un piano strategico mai esistito. Poi per quei poveretti in camicia nera ammassati tra Monterotondo, Tivoli e Santa Marinella, che finalmente poterono incamminarsi verso l'ambita meta. E in ultimo luogo da parte del re, che venendo meno ancora una volta al suo dovere costituzionale, poteva mettersi alle spalle quella brutta esperienza e tornarsene in vacanza, abbandonando il popolo nella mani di una banda di criminali avventurieri.
Mussolini arrivò a Roma alle 10:30 del 30 ottobre con l'incarico di formare un nuovo governo.
<<Esultarono tutti in una specie di follia suicida>> scrisse Antonino Repaci: dalla Confindustria agli armatori navali, al Partito Liberale, a Vittorio Emanuele Orlando, alla massoneria, al Duca d'Aosta, a Guglielmo Marconi, a D'Annunzio, a Diaz e Thaon di Revel.
Tra il 30 e 31 ottobre migliaia di camicie nere, rissose, ubriache e festanti si riversarono per le strade di Roma, sentendosi i nuovi padroni della capitale, anche se in alcune zone furono accolti a fucilate.
Entrarono nella capitale anche parte di coloro che in un primo tempo decisero di tornarsene a casa, ma che a cose fatte pensarono bene di partecipare alla festa.
Mussolini sapeva di doverle rimettere in riga. Così il 31 ottobre ebbe un colpo di genio e annunciò la creazione della Milizia, il suo esercito privato dove sarebbero confluite le sgangherate camicie nere della prima ora. Così, nonostante qualche contestazione iniziale di chi non si rassegnava a rientrare nei ranghi, l'ordine di Mussolini e l’allettante prospettiva di un posto retribuito riportò in riga gli insofferenti. D'altronde il potere è un'arma che riesce sempre a convincere, e il 31 ottobre 45 treni speciali riportarono le camicie nere a casa. La rivoluzione era durata poco più di 72 ore, ma per l'Italia iniziava un periodo buio, repressivo e sanguinoso che sarebbe durato vent'anni.