RANUCCIO FARNESE

 
Pensiamo per un attimo a certe vecchie fotografie dei nostri nonni o bisnonni, dove li vediamo giovinetti, mentre indossano gli abiti di qualche taglia più grande, dismessi dai loro fratelli.
Così Tiziano ci presenta l’immagine di Ranuccio Farnese, un ragazzino col viso da cherubino pensieroso rivestito da un mantello nel quale, per ampiezza, potrebbe entrare forse due volte.
Il corpo esile, i lineamenti acerbi e lo sguardo timido contrastano con la solennità del suo abbigliamento, magistralmente messa in risalto dall’artista con una scelta dei colori ridotta all’essenziale: i toni scuri dello sfondo e del mantello fregiato dalla croce argentata dei Cavalieri di Malta, il dorato dell’incarnato e il rosso vivo dell’elegante giubbino.
Tutto ci fa capire che ci troviamo di fronte al rampollo di una Casata importante per rango sociale e potere.
Il dodicenne Ranuccio Farnese è infatti il terzo dei quattro figli maschi di Pierluigi, Duca di Parma e Piacenza e comandante dell’esercito pontificio, a sua volta figlio di Papa Paolo III.
Tiziano eseguì questo ritratto nel 1542, quando il ragazzo si trovava di passaggio a Venezia sulla strada per Padova dove, per volere del nonno-Papa, avrebbe seguito gli studi classici sotto la guida di istitutori come l’umanista Gianfrancesco Leoni e il vescovo Andrea Cornaro, che commissionò quest’opera per farne poi dono a Donna Girolama Orsini, madre di Ranuccio.
L’artista cadorino, che non vedeva l’ora di lavorare per i Farnese, accettò di buon grado l’incarico per la realizzazione di quella che sarebbe stata la prima di una lunga serie di tele destinate alla Casata che, dopo quella degli Asburgo, diventerà la sua più importante committente.
Nato l’11 agosto del 1530 a Valentano, nel Viterbese, dopo l’elezione al soglio pontificio del nonno nel 1534, il piccolo Ranuccio fu destinato alla carriera ecclesiastica e investito del priorato della chiesa veneziana di San Giovanni de’ Furlani, appartenente all’Ordine dei Cavalieri di Malta, il che spiega la presenza della croce dell’Ordine sul mantello del ragazzo.
Trascorsa l’infanzia fra Roma e i diversi feudi farnesiani, per domare una certa sua iniziale “licenziosità” caratteriale Ranuccio fu allontanato dall’Urbe, a quei tempi la città più libertina e godereccia dell’intera Cristianità, e spedito in Veneto affinché potesse “attendere a San Paolo et agli Evangeli”, al riparo dalle tentazioni.
La principale preoccupazione dei suoi tutori fu di farne, prima che un dotto prelato, un buon cristiano, compito non facile visto che suo fratello maggiore, il Cardinal Alessandro, dava prova dell’esatto contrario, spendendo fiumi di denaro in feste, allegre compagnie, donne e tornei, ma anche per la realizzazione di splendide opere d’arte, quali la Villa di Caprarola.
Da Roma il nonno-Papa, disgustato dal comportamento di Alessandro che riteneva “non haver cervello” e “essere uomo da niente”, vigilava sull’educazione del nipote prediletto, sul quale aveva puntato tutte le sue speranze, compresa quella che un giorno potesse rivestire la tiara anche lui.
Geloso dei favori che il nonno riservava a suo fratello, il “gran Cardinale” Alessandro iniziò a nutrire nei confronti di Ranuccio un odio sempre più profondo, ostacolandolo in ogni modo, specie quando comprese che Paolo III voleva fare di lui il secondo Cardinale di famiglia, contravvenendo alla regola non scritta in base alla quale due fratelli non potevano sedere contemporaneamente nel Sacro Collegio.
Tuttavia, nonostante le minacce di “scappellamento” (cioè di deporre la berretta cardinalizia) da parte di Alessandro, il vecchio Pontefice nel dicembre del 1545 conferì al quindicenne Ranuccio l’ambito galero rosso col titolo diaconale di Sant’Angelo in Pescheria, il che fece di lui il più giovane componente in assoluto del Sacro Collegio col nomignolo di “Cardinalino di Sant’Angelo”.
L’aperta ostilità del fratello, oltre che l’assassinio del padre nel 1547 e il decesso del nonno due anni dopo, crearono a Ranuccio dolori familiari e problemi di ogni tipo, in parte risolti grazie alla cordialità dei rapporti che seppe intrattenere con tutti i Papi coi quali ebbe a che fare.
Così Giulio IlI nel 1551 lo nominò Legato del Patrimonio e Amministratore Apostolico di Ravenna, mentre Paolo IV, suo zio di parte materna, lo ebbe caro come un figlio.
Sempre estraneo agli intrighi politici e a maneggi di qualsiasi tipo, il Cardinal Ranuccio accolse con entusiasmo i decreti tridentini, che fece applicare alla lettera nei territori da lui amministrati.
Contribuì col suo patrimonio personale all’erezione del Collegio Germanico e della splendida Chiesa romana del Gesù, essendo nel frattempo diventato “amicissimo della Compagnia più di fatti che di parole”.
La morte lo colse inaspettatamente a soli trentacinque anni il 28 ottobre del 1565, quando, secondo la descrizione dello storico Paolo Giovio, pareva ancora “il bel angelo Michele” per fattezze, modi, raffinatezza e cultura.
Accompagna questo scritto il “Ritratto di Ranuccio Farnese”, di Tiziano Vecellio, 1542, The National Gallery of Art, Washington.
(Testo di Anselmo Pagani)