Il signor Lonher

 

Racconto

 

di

 

 

Bruno Agosti

 

 

 

Il fatto storico che ora vado a raccontare, si svolse a Preghena, circa 50 anni or sono.

Il signor Luigi Facini del casato dei “Cicioti “, aveva affittato il primo piano della propria abitazione sita al numero civico*** del paese, ad un signore originario di ******* in provincia di Bolzano che si chiamava Lhoner Guglielmo ed al momento che si era trasferito a Preghena era pensionato ed andò ad abitare con la moglie signora Maria, appunto nella casa presa in affitto dal signor Luigi.

Erano tempi quelli, dove nei nostri paesi regnava ancora un forte disagio economico, ed il signor Luigi aveva approfittato della allettante proposta del signor Lhoner, pensando così di dare alla sua famiglia composta da lui e quattro figli, una maggior garanzia di sicurezza con i proventi dell’affitto.

C’è da dire, inoltre, che ad aggravare la già precaria situazione della famiglia Facini, il signor Luigi era rimasto vedovo nel 1943 per la perdita della moglie signora Celestina Pancheri, deceduta durante il parto dell’ultimo figlio Giovanni.

Il signor Lhoner era un uomo che soffriva molto degli acciacchi della vecchiaia, era costretto molte volte a restare a letto anche di giorno, e ad accudire il malato, oltre alla moglie, tante volte ci pensava anche una delle due figlie del signor Luigi, che si chiamava Adelia e all’epoca era poco più che ventenne, ed era entrata nelle simpatie del signor Lhoner, in quanto molto servizievole, simpatica ed anche molto bella, come del resto era molto bella anche la figlia maggiore che si chiamava Maria.

In quegli anni, a reggere le sorti della Parrocchia di Preghena e dei suoi fedeli, c’era un parroco che si chiamava don Pietro Bisoffi ed era già avanti con gli anni, ma reggeva la Parrocchia in modo saggio ed attento ai grandi mutamenti che erano in corso nella società civile e religiosa di allora, dal Concilio Vaticano II, che non era riuscito a digerire e metabolizzare, ai gradi cambiamenti sociali di allora, come le lotte di classe e poi il conseguente terrorismo rosso e nero.

Il Parroco era solito far visita ai malati di tanto in tanto, e di conseguenza conosceva bene il signor Lhoner, e conosceva altrettanto bene i suoi malori e i suoi problemi interiori perchè era anche il suo confessore personale.

Era un periodo di tempo che il signor Lhoner non stava bene e soffriva di reumatismi e di gotta, ed aveva chiesto alla signorina Adelia di accompagnarlo a Cles da uno specialista per tentare di sollevarsi un tantino dal dolore. Adelia, che era sempre molto disponibile lo accompagnò, ma i risultati non furono soddisfacenti, ed il malato poco a poco fu costretto al letto.

Il lungo periodo di permanenza a letto, aveva influito in modo negativo ed evidente anche sulla psiche del signor Lhoner, il quale non dormiva più di notte ed era sempre molto agitato e di questo se ne erano accorti anche i componenti della famiglia Facini, che durante la notte spesso sentivano i passi sulle loro teste ed il brontolare del paziente.

Un mattino presto la moglie del signor Lhoner chiamò Adelia dicendole che il marito aveva bisogno di lei. Adelia si presentò rapidamente dal malato e chiese che cosa desiderasse ed in che cosa poteva essere utile. L’uomo rispose che aveva urgente bisogno di vedere il Parroco per farsi confessare e Adelia si recò in canonica, ancora prima della messa, ed avvertì il Parroco della richiesta del malato. Don Bisoffi, che conosceva bene il signor Lhoner, decise di visitare il malato ancora prima di dire la S. Messa, prese la stola e si avviò rapidamente verso l’abitazione dell’infermo. Giunto dentro casa, fu accompagnato dalla moglie del signor Lhoner nella stanza da letto dove stava ad aspettarlo il malato che avrebbe dovuto confessare. Appena entrato nella stanza il signor Lhoner pregò la moglie di lasciarlo solo con il prete, e la signora uscì nella cucina per preparare il caffè.

A quel punto il parroco pregò il malato di prepararsi per il Sacramento della confessione, e si girò da un lato per indossare la stola , a quel punto il signor Lhoner tirò fuori da sotto la coperta un fucile, lo puntò verso il prete e fece fuoco.

Don Pietro, che nel frattempo si stava girando verso il malato, vide il fucile puntato su di lui, ed istintivamente si buttò a terra di lato ed il colpo lo raggiunse di striscio ad un fianco dopo aver vistosamente lacerato la tonaca. Dopo lo sparo accorsero la moglie e Adelia che stavano bevendo il caffè in cucina, ed accorsero pure il signor Luigi e gli altri componenti la famiglia Facini, allarmati dallo sparo e dalle grida provenienti dal piano di sopra.

Il signor Luigi fu il primo ad entrare nella stanza dove c’era ancora il fumo e l’odore caratteristico della polvere da sparo, e trovò il Parroco spaventato ma quasi illeso, ed il malato a letto con ancora il fucile tra le mani. Alla vista del signor Facini, il Lhoner depose il fucile sul letto e disse che non ce l’aveva con nessun altro dei presenti, ma che voleva solo uccidere “il nero“ riferendosi alla persona del Parroco, poi consegnò l’arma al signor Facini.

Nel frattempo la casa si era popolata di curiosi che in quelle occasioni non perdono mai il vizio di assaporare poi il piacere di poter raccontare, il più delle volte aggiungendo molto della propria fantasia ed immaginazione, alle altre comari del paese il fatto del giorno. Il signor Lhoner venne portato via a forza (allora in casi come questi, si faceva uso della camicia di forza che era un telo con delle cinghie che immobilizzava i pazienti) dalla sua abitazione e, credo, non vi fece più ritorno.

Mentre le comari del rione erano ancora intente a raccontare, ingrandire e manipolare la vicenda dando già giudizio e pena per il povero signor Lhoner, e, se non fosse stato un prete il ferito, lo avrebbero volentieri spogliato, non per curarlo, ma per poi raccontare la tipologia della ferita e dare una condanna “giusta“ allo sparatore, invece, durante tutto quel trambusto il signor Parroco si era avviato verso la chiesa per celebrare la S. Messa del mattino e dopo finita la cerimonia, solo dopo, si recò al pronto soccorso dell’Ospedale di Cles per farsi medicare la ferita.

 

Nel febbraio del 1969 mio padre, già malato terminale, si aggravò ulteriormente e espresse il desiderio di voler confessarsi .

Allora la parrocchia di Livo era retta da un parroco che si chiamava don Michele Rosani, e che entusiasta, al contrario di don Bisoffi, delle nuove riforme portate dal Concilio Vaticano II, e ligio al dovere “progressista“ del nuovo corso, si era recato a Roma per le solite burocrazie Vaticane, così almeno aveva asserito Lui.

A sostituirlo aveva lasciato il compito al buon vecchio parroco di Preghena, don Pierino Bisoffi il quale svolgeva quel mandato spirituale con il massimo rigore e la massima professionalità, come d’altronde era il suo stile di vecchio curato di campagna.

Dopo aver confessato e dato l’estrema unzione e “l’olio santo“ a mio padre, si fermò con noi e mi raccontò che di malato grave c'era anche il signor Lhoner. Penso fosse all'ospedale o alla casa di riposo di Cles, e mi raccontò che andava a fargli visita di frequente e che sul comodino aveva una statuetta della Madonna di Lourdes, ed ogni volta che andava da lui gli diceva sempre : - “ Me perdonelo, sior Parroco ? ! ? “ - E lui gli rispondeva sempre : - L’ ga perdonà el Padre Eterno, volelo che no ghe perdona anca mi no ? “

A tutt’oggi, queste parole risuonano in me come un monito ed un esempio da imitare nella vita, e tutte le volte che mi sono trovato in una situazione simile, mi sono sempre ricordato le sagge parole del vecchio Prete di campagna, dalle idee preconciliari, ma fedele all’insegnamento del suo Datore di lavoro che gli aveva insegnato ad amare anche chi, in un momento di follia della vita, aveva attentato alla sua vita. Credo di poter affermare, senza passare per eretico, che quell’amore per i propri figli, specie per il figliol prodigo, abbia sicuramente salvato, alla fine dei suoi giorni il signor Lhoner, con buona pace delle comari del paese che lo avevano subito condannato senza appello e che lo avrebbero visto volentieri tra le fiamme dell'inferno.

 

In questa vicenda, a mio parere, ci sono due persone che brillano di luce propria, per la virtù innata e per l’ amore per il prossimo: il Parroco don Pietro Bisoffi e la signorina Adelia Facini.

Il primo per la fedeltà a quella missione che compiva in nome di Dio ed in nome di quella chiesa che aveva saputo rinnovare con il Concilio Vaticano II, la propria immagine ma che poi avrebbe abdicato negli anni seguenti al suo ruolo con una secolarizzazione sempre più marcata, fino ad arrivare ai giorni nostri alla scoperta della infame ed odiosa piaga della pedofilia nel mondo clericale e monastico, suprema vergogna per gente colta e dallo spirito ecumenico ed apostolico. Vorrei ricordare che ai tempi di don Bisoffi ad esempio alle donne erano vietati i pantaloni…e che una donna dopo aver partorito il proprio figlio, dono di Dio, era costretta ad un periodo di quarantena prima di potersi recare in chiesa per una cerimonia di “purificazione“... Roba da manicomio…

 

La seconda figura che brilla alta in questa vicenda è la signorina Adelia, la quale accettò sempre di buon grado, e senza tanta ricompensa, di aiutare quel Cristo malato che vedeva nella figura del signor Lhoner. Così semplicemente, come semplice e generosa era la Signorina Adelia, esempio fulgido di onestà e di carità cristiana, in tutta la sua umile e tribolata vita. Per me un esempio da imitare ed un ricordo struggente di un grande amore perduto, nel mio cuore.