La machina da bater

 

( la trebbiatrice )

 

L’ agricoltura ai miei tempi era ancora impostata su schemi molto vecchi e tradizionali e tutte le coltivazioni erano legate all’ acqua della pioggia o dell’ irrigazione.

Fin dove i “ leci “ riuscivano a portare l’ acqua irrigando così i campi, la coltivazione era incentrata sulle piante di melo e di pero, là dove non arrivava l’ acqua dei fossi che seguiva rigidamente la legge del livello, i campi erano coltivati a grano e patate.

Tutti allora possedevano dei campi perché era l’ unica fonte per la produzione di generi alimentari di prima necessità. I campi di grano venivano arati e seminati in autunno, era un rituale che tutti facevano seguendo un rito ancestrale legato alla necessita della sopravvivenza che si perde nella notte dei tempi.

Se la stagione si presentava buona, con la neve d’ inverno, le piogge di primavera ed il caldo sole estivo, il raccolto di grano era assicurato ed abbondante.

In luglio il grano era maturo ed era uno spettacolo vedere tutto il dosso di Barbonzana con i suoi campi color giallo oro punteggiati dal rosso dei papaveri ed il blu intenso dei fiordalisi.

A luglio avveniva la mietitura i contadini si recavano nei campi a “ seslar” armati della “ sesla “ ( il falcetto ) , il compito di falciare il grano veniva principalmente affidato alle donne che lavoravano chine nei campi, tagliavano rapidamente il grano e lo legavano in covoni che venivano allineati in piedi nel campo per la definitiva essicazione sotto il sole cocente di luglio.

Man mano che i covoni si essicavano, gli uomini li caricavano sui carri trainati dalle mucche, venivano poi portati a casa e depositati nelle soffitte arieggiate perché il grano non ammuffisse.

Si attendeva così noi ragazzini trepidanti ed ansiosi di nuove esperienze, l’ arrivo della macchina da bater ovvero della trebbiatrice meccanica.

Bisogna dire che fino agli anni ’60 la trebbiatura del grano si faceva ancora manualmente, con degli attrezzi rigorosamente tutti in legno, il lavoro veniva svolto nelle “ are “ ( l’ aia del cortile di casa ), si iniziava con il depositare i covoni di grano sul pavimento, formando un grande cerchio con le spighe rivolte verso l’ intero. L’ operazione successiva era la battitura del grano che avveniva con uno strumento chiamato “ fler “ che era un grosso pezzo di legno cilindrico lungo circa mezzo metro con la punta arrotondata e legato all’ altra estremità con una robusta stringa di cuoio ed un lungo bastone. Apro una parentesi erotica, il fler era anche additato come simbolo fallico della potenza sessuale maschile, forse si è esagerato un po’ troppo nel esibizionismo tipico dei maschi e nei desideri erotici femminili.

Lo si faceva roteare colpendo di piatto i covoni del grano per determinare la fuoriuscita del grano.

Finita questa operazione la paglia veniva raccolta e messa in disparte, sarebbe poi servita come foraggio per le mucche tranciata a piccoli pezzi e miscelata con il fieno. Successivamente si provvedeva a raccogliere i chicchi di grano mediante delle scope che lo spingevano il un grande cesto piato chiamato “ val “.

Il val serviva a separare la pula dal buon grano, l’ operatore si metteva contro vento e con dei movimenti rapidi dall’ alto al basso faceva in modo che il vento portasse lontano la pula e che nel val a fine operazione rimanesse solo il grano pulito pronto per essere portato dal mugnaio.

La machina da bater , la trebbiatrice meccanica sostituiva in un tempo brevissimo e senza tanta fatica umana, tutto il lavoro manuale fin qui descritto.

Credo venissero dal veneto o dall’ Emilia romagna quella gente che arrivava in agosto per le operazioni di trebbiatura, credo anche che avessero preso degli accordi precedenti con i locali agricoltori, il loro arrivo in paese era vissuto da noi ragazzini come un avvenimento molto importante, ed importante lo era veramente perché dalla buona produzione di grano dipendeva il felice andamento di tutto un anno, fino al prossimo raccolto.

Il loro arrivo era un lento scorrere di grandi ruote dei colossali trattori “ ursus “ che avevano un grande volano laterale che serviva poi a movimentare l’ imponente meccanismo della trebbiatrice. Era un incedere lento e sbuffante di questi trattori che si muovevano molto lentamente, la trebbiatrice aveva le ruote in ferro ed era di colore giallo ocra, si avvicinava al paese con un rumore crescente e in noi ragazzini cresceva la frenesia e l’ emozione dell’ attesa.

Il posto destinato ad accogliere la trebbia meccanica era a Varollo nel piazzale delle scuole vicino alla vecchia fontana e dopo una giornata di lavoro per il posizionamento della macchina e la sua messa a punto, iniziava finalmente la trebbiatura del grano.

Non ricordo bene, ma credo che il turno di accesso alla trebbiatura dei vari nuclei familiari venisse stabilito prima dell’ inizio dei lavori anche per non creare intasamenti o che nessuno potesse vantare diritti.

Ogni agricoltore arrivava con il proprio carro carico di covoni di grano, se non bastava un carro se ne chiedeva uno in prestito al vicino di casa, e si posizionava vicino alla machina da bater, il proprietari del grano ed a bracciate porgeva i covoni all’ operatore che li introduceva nella bocca della trebbia che come un grande mostro affamato e brontolante se li ingoiava ad uno ad uno con un rumore assordante di leve, pale cinghie di trasmissione e ventole .

In breve tempo il mostro separava il grano dalla paglia e dalla pula che usciva da un lato della macchina dove veniva raccolto in grandi sacchi di juta e veniva poi consegnato al proprietario. La paglia usciva dalla trebbia e veniva imballata da una seconda macchina che la trasformava in lunghi parallelepipedi legati da un filo metallico.

In quel momento l’ operazione era terminata, l’ agricoltore pagava il dovuto credo in base al peso del grano ricavato e se ne tornava a casa fiero e felice per aver assicurato il pane per un anno alla propria famiglia.

Noi ragazzini davamo una mano agli operatori aiutandoli a preparare il filo metallico che sarebbe servito a legare le balle di paglia, con una macchina che lo metteva in trazione e gli toglieva le pieghe.

Quando ripenso a quei giorni non posso esimermi dal fare della considerazioni e dei confronti, ad esempio le leggi sulla sicurezza sul lavoro, a tutt’ oggi mi sembra incredibile che nessuno si sia mai infortunato armeggiando attorno a quei mostri pieni di insidie e di trabocchetti, una spiegazione posso azzardarla, allora si era molto più attenti ai rischi perché abituati al duro lavoro dei campi, all’ uso di una miriade di attrezzi di vari tipi e tutti mossi rigorosamente dalla propulsione muscolare.