Il collegio

 

Prima di salire al collegio dei frati francescani di Campolomaso, nel Bleggio, nell’ autunno del 1962, mi ero ammalato di influenza, così, invece di arrivare in collaggio assieme a tutti gli altri ragazzi, vi arrivai quindici giorni più tardi, accompagnato da mia madre, scendemmo a Trento per prendere il pullmann che portava a Sarche e poi a Ponte Arche, dove c’è la diramazione per Fiave’ ed il Bleggio. Arrivammo a Ponte Arche, nella tarda mattinata di un lunedì di ottobre, salimmo a piedi, portando una grossa valigia, per la strada , tortuosa, che porta a Campolomaso, lentamente, per il peso della valigia e per la strada tutta in salita, con una bella pendenza. Mi ricordo, perfettamente, che ad un tratto apparvero, preceduti da un sibilo, due caccia dell’ aeronautica militare italiana che in un batter d’ occhio, furono lontani, lasciandosi alle spalle un sordo brontolio. Ero partito, salutando la mia famiglia, mia nonna, mio fratello, che doveva essere lui destinato al collegio visto che in estate vi era stato per un mese di “ prova “, ma evidentemente non era il suo destino… Salutai mia nonna e mio padre, del quale ho avuto molta nostalgia, per giorni e settimane, dopo essere giunto al convento. Finalmente arrivammo in vista del convento, verso mezzogiorno, stanchi ed affamati. Il convento mi apparve allora, come era nel 2008, ad oltre 40 anni di distanza, quando, prima dell’ intervento al cuore, decisi, che se avessi dovuto morire, volevo, prima, rivedere il convento di Campo. Per la stradina bianca, assieme a mia nipote Erika, ci avvicinammo al convento, anche allora, nell’ ala nuova si stava lavorando, un cartello diceva che erano in costruzione le scuole elementari del luogo, quando lo avevo visto, molti anni prima, quando ero un ragazzino, si stava costruendo un ala nuova di pacca, del convento. Qui ritorna il valore ed il senso del motto ora et labora, ed il messaggio, sempre attuale e moderno dei frati, che con una mano chiedono e con l’ altra restituiscono. All’ ingresso del convento, allora, c’ erano due enormi tigli secolari, proprio davanti all’ ingresso principale ed alla porta della chiesa, che diffondevano una bella ombra e davano un senso di austero e di sacro all’ ambiente. Quando stavamo per entrare, incrociammo un signore, alto, con i baffi, che usciva, quando ci vide, ci salutò e ci disse : - Questo è il ragazzo che stavamo aspettando…- quell’ uomo, sarebbe stato il mio maestro di quinta elementare e si chiamava Ferrari, però non ricordo il nome. Entrammo nel convento e ci fecero subito accomodare in refettorio dove, gli altri ragazzi già mangiavano, ci fecero sedere e ci portarono il pranzo. Ricordo, che mangiai pochissimo, perché, come al solito, mi era venuto il mal d’ auto sul pullmann ed avevo vomitato per tutta la durata del viaggio. Un frate, poi , ci accompagnò in camerata, ( il posto dove si dorme ) e mi indicò il mio letto ed il mio armadietto, erano tanti lettini, tutti ordinati e puliti, una cosa a cui non avevo mai pensato e che mi ha subito affascinato. Poi, mia madre, mi lasciò, con un lungo abbraccio, piansi per un poco, ma poi arrivò mio cugino Sandro a rinfrancarmi ed a darmi le prime nozioni della vita in collegio.