El Alameinù

 

 

مارينا العلمين

 

 

 

 

 

A 60 anni dalla storica battaglia , così la ricordano i fanti Zanotelli Davide e Agosti Lino.

 

AGOSTI Arturo Divisione fanteria Brescia

 

Dal 23 ottobre al 2 novembre 1942 si combatteva nel deserto africano l’ epica battaglia di El Alamein che avrebbe segnato le sorti della seconda guerra mondiale.

Vorrei fare un breve accenno storico , per capire il perché di queste operazioni belliche in terra africana, nella strategia militare dell’Italia e della Germania allora alleate con la denominazione “Asse Roma Berlino”, c’era l’opzione militare di colpire l’ Inghilterra anche nei suoi interessi coloniali e di toglierle il controllo del canale di Suez , dello stretto di Gibilterra e dell’isola di Malta controllate dall’Impero Britannico , e così tagliare i rifornimenti che arrivavano da tutte le sue numerose colonie afro-asiatiche, costringendola a circumnavigare l’Africa .

 

ZANOTELLI Davide Divisione corazzata Littorio

 

Se la conclusione di questa opzione fosse stata vittoriosa per le forze armate italo – tedesche dell’ Asse, queste si sarebbero dirette verso est e poi sarebbero salite verso nord a chiudere la partita con la Russia con una manovra avvolgente a tenaglia congiungendosi con le divisioni di Von Paulus che tenevano sotto assedio Stalingrado.

Altra nota che mi sembra doveroso fare nei confronti dei lettori del Mezalon, è che questo spazio che la Redazione mi concede , è strettamente di carattere storico, nel ricordo di quanti combatterono quell’epica battaglia, vinti e vincitori, alleati ed avversari, nel ricordo e nel rispetto di tutti i combattenti che si sacrificarono non per vanagloria di effimere conquiste, ma per il dovere di essere soldato, e l’ onore di servire la propria , Patria giusta o ingiusta che fosse, come fecero i fanti dl Comune di Livo Agosti Arturo, Agosti Lino. Datres Lino, Facini Olivo, Zanotelli Albino, Zanotelli Davide, Zanotelli Livio, Zorzi Giovanni, e perché nella testimonianza e nel ricordo storico delle persone che hanno vissuto la tremenda esperienza della guerra sia per tutti noi un monito affinché mai più abbiano a ripetersi simili tragedie. QUI MANCO’ LA FORTUNA, NON IL VALORE questa è la scritta posta su un cippo al chilometro 111 dove si combatté l’ epica battaglia di El Alamein, e dove morirono migliaia di giovani soldati di entrambi gli schieramenti.


 

 

ZANOTELLI Livio Divisione di fanterie Trento

 

E qui lasciamo correre la memoria ed il ricordo storico del fante Zanotelli Davide classe 1921 e del fante Agosti Lino deceduto da poco che parteciparono in prima persona a quelli avvenimenti bellici, e che come tutti coloro che ne sono usciti vivi, portano per sempre nel corpo e nello spirito il segno del sacrificio e delle indicibili privazioni di quella tragica avventura tra le sabbie roventi della terra d’Africa.

Il fante Zanotelli Davide di Scanna , grande invalido di guerra, ricorda e racconta così la sua esperienza sul fronte africano.: “All’ epoca ero soldato di leva classe 1921, ero arruolato nel corpo della fanteria del regio esercito, venni destinato alla guerra d’ Africa e fui inquadrato nella divisione corazzata Littorio 2° Battaglione 233° gruppo artiglieria da 117 posta militare 133 e dalla Grecia, via Lubiana Zagabria venni spedito con un aereo militare direttamente alla piazzaforte di Tobruk che le forze italo - tedesche avevano da poco conquistato.

Ed il fante Agosti Lino di Livo, inquadrato nella divisione Trento, nel suo racconto così ricorda la presa di Tobruk :” Alla presa di Tobruk parteciparono diverse divisioni di fanteria italiane e tedesche che assediarono la piazzaforte di Tobruk per settimane sottoponendola a massicci bombardamenti da terra e dal cielo, il fuoco delle artiglierie era talmente intenso che si vedeva solamente una immensa colonna di fumo, alla fine gli inglesi si arresero ed in quella operazione vennero fatti migliaia di prigionieri e tonnellate e di benzina e di viveri”

Davide Zanotelli ricorda il viaggio che lo portò ad Atene assieme ai commilitoni della Folgore ed agli alleati tedeschi, ricorda i buoni rapporti con i camerati germanici e le piccole goliardiche risse tra i paracadutisti della Folgore ed i soldati della wermacht, cose da ridere rispetto all’ inferno che avrebbero dovuto condividere e sopportare nel deserto.

I tedeschi erano molto più attrezzati e bene armati di noi, come pure gli inglesi ed i loro alleati dell’impero Britannico, australiani, indiani, neozelandesi sudafricani, alla nostra batteria composta da 4 cannoni da 117 mm. eravamo in 6 per ogni pezzo, durante le ore diurne poiché i combattimenti avvenivano quasi sempre di notte , si preparava la balistite a sacchetti per caricare il pezzo, il tenente che comandava la batteria ci invitava ad essere molto prudenti ed aveva una fifa matta dei bombardamenti …ma tutti avevamo paura!”

 

Il Feld maresciallo Erwin Rommel

 

E il “Ghibli” ? provo a chiedere. “ …il “Ghibli” ci riempiva i camminamenti e dopo ci toccava spalare di nuovo la sabbia … peggiori erano le incursioni aeree dei caccia inglesi ed americani alle quali rispondeva la contraerea e noi con la nostra mitragliatrice ed a volte anche con il moschetto..senza grandi risultati, bisognava anche fare i conti con la sete la fame , visto che non sempre i rifornimenti d’ acqua arrivavano a destinazione perché venivano intercettati dal fuoco avversario e poi c’erano i pidocchi che ci tormentavano…”

Così il Feld maresciallo Erwin Rommel detto anche la volpe del deserto, avanza in direzione di Alessandria d’ Egitto verso il canale di Suez per chiudere definitivamente la partita con gli inglesi, ma il fronte è sempre più vicino ed i rifornimenti sempre più lontani.

 

AGOSTI Lino Divisione di fanteria Trento

 

Avevamo il diritto di vincere noi ! “ sbotta il fante Davide Zanotelli.

Ci fu un tradimento, ci mandavano acqua al posto di benzina ! “ rincara il fante Lino Agosti. Non era vero, la verità è che le forze armate inglesi avevano preso la supremazia aerea e navale nel Mediterraneo ed affondavano sistematicamente tutto il naviglio bellico Italo - Tedesco che riforniva l’ Afrika Korps e le truppe italiane, perché la protezione aerea dei caccia di scorta era stata dirottata per ordine di Hitler sul fronte Russo. Questo fu possibile anche perché il controspionaggio inglese aveva da tempo decifrato i messaggi codificati della marina da guerra italiana dette supermarina.

 

مارينا العلمين

 

 

EL ALAMEIN: piccolo villaggio che in arabo significa le due bandiere, luogo tragico per i combattenti, tragico per i vinti, e tragico per i vincitori, luogo che ricorda forse l’ultima battaglia combattuta da due eserciti con “cavalleria“ in quanto combattuta in un paese diverso da quello dei contendenti, ma non per questo meno doloroso e drammatico: così lo ricorda il fante Davide Zanotelli. “ Dopo giorni di intensi combattimenti nei quali vennero coinvolte le truppe italo – tedesche contro le truppe inglesi ed i loro alleati, con spaventose perdite umane in entrambi gli schieramenti, ed un violentissimo fuoco di interdizione delle artiglierie, ci giunse l’ordine di ripiegare , si ripiegava con un pezzo alla volta e tre erano di copertura con il loro fuoco i tedeschi più attrezzati e motorizzati ripiegavano più in fretta mentre noi… a piedi .

E’ stato durante la fase di ritirata che sono stato ferito da una granata sparata da un carro armato inglese, ho sentito un grande caldo addosso e sono caduto a terra, tre miei commilitoni morirono all’istante ed io fui ferito ad una gamba “ via, via ! “ gridavano tutti ed io rimasi a terra incapace di muovermi… la fortuna o il destino vollero che transitasse vicino alla mia postazione un carro armato tedesco con dei militari di Salorno che sentendomi invocare aiuto in dialetto trentino ed in italiano fecero fermare il mezzo corazzato e dopo che un tenente medico tedesco mi aveva medicato ed immobilizzato la gamba ferita mi presero a bordo e mi portarono fuori dalla linea del fuoco dove poi venni preso in consegna dalle crocerossine italiane che mi trasportarono in un ospedale da campo italiano di Marsha Matruk. L’ospedale era un macello, urla lamenti e l’odore del sangue , quando il comandante australiano o indiano, non ricordo bene, entrò nel campo per assumere il comando di noi ormai prigionieri, si mise le mani nei capelli, usci e diede degli ordini secchi e dopo un ora arrivarono le crocerossine inglesi che ci curarono ci diedero da mangiare e da bere, e dopo alcuni giorni i feriti furono trasportati via treno al Cairo

Durante la prigionia fummo trattati bene, guai bere acqua si doveva bere solo il the che era abbondante come i pasti, qualcuno consigliava di strappare le carte di identità perché avevano lo stemma del Fascio e chi le portava sarebbe stato fucilato… ma non era vero, fummo trattati bene e ci lasciavano ascoltare la radio che trasmetteva i bollettini di guerra così sapemmo dello sbarco in Sicilia e della caduta del Fascismo. Tuttavia eravamo prigionieri dopo tutti gli sforzi che avevamo fatto per vincere… “E le brut ve, Bruno ... “

 

Agosti Lino e Zanotelli Albino divisione di fanteria Trento

Il fante Davide Zanotelli fece ritorno a casa nel 1945 dalla prigionia e come tutti gli altri reduci si porta dentro il carattere ed il temperamento deciso di una gioventù temprata a fuoco dalla guerra che ne ha fatto degli uomini con un carattere forte, saggio e sereno. Nonostante la sua invalidità dovuta alle ferite riportate in combattimento dalla tragica esperienza ha saputo trovare e dare un senso alla vita, in tutti i suoi aspetti, come un dolce buono e saporito che ti viene regalato una sola volta e lo devi saper gustare adagio, senza fretta.

Ricorda con fascino ed ammirazione il Feld maresciallo Erwin Rommel che salutava i fanti italiani dall’ alto del suo autoblindo, con gli immancabili occhiali sopra il berretto ed il binocolo a tracolla ricorda con tristezza la morte dei tre fanti che stavano al pezzo insieme a lui e con grande riconoscenza i camerati tedeschi che lo portarono in salvo, gli inglesi che lo curarono e lo trattarono bene durante la prigionia, poiché nell’inferno della guerra , al di la delle tragedia collettiva dei popoli che si combattono, resta il dramma umano del singolo individuo che ritrova anche in quei momenti di follia collettiva un barlume di umanità .

 

Un grazie sincero da parte di tutto il Comitato di redazione del “Mezalon” al fante Zanotelli Davide, ed alla memoria del fante Agosti Lino, per la loro attiva ed indispensabile collaborazione che rende veramente storico questo pezzo.

 

Il periodico della Comunità di Livo Mezalon intende ricordare in questo modo i nostri fanti che parteciparono alla battaglia di El Alamein, al di là della retorica, ma nel rispetto della verità storica e nel ricordo del loro dramma umano davanti al quale ci dobbiamo tutti togliere il cappello.

 

Agosti Bruno

 

IL FILM EL ALAMEIN

 

https://www.youtube.com/watch?v=J7t2qIbjV1o

 

https://youtu.be/MvoFfGgUWkI

 

< approfondimenti storici

 

14 SETTEMBRE 1942: LA BANDIERA DEI ROYAL MARINES E' NOSTRA
Settembre 1942. L’Armata italo-tedesca è ad El Alamein; ancora un “balzo” e la guerra in Africa sarà finita.
Il comando britannico del Medio Oriente, ormai alle corde, pianifica e ordina un attacco, un’operazione anfibia (Operazione Daffodil) alla base italiana di Tobruch, il cui porto è strategico per assicurare i rifornimenti al fronte egiziano.
Il piano prevede l’occupazione della città e del porto per 24 ore, l’affondamento o la cattura delle unità navali presenti e la distruzione dei depositi e delle infrastrutture.
Presupposto essenziale della riuscita dell’attacco è la presunta debolezza delle difese, dovuta ad una scarsa combattività dei soldati italiani che l’ordine di operazione definiva testualmente “truppe di terz’ordine”.
L’operazione ha inizio la notte del 13 settembre 1942 e prevede cinque distinte Forze d’attacco su Tobruch: sbarco di Royal Marines dalle navi Sikh e Zulu (Forza “A”), incursori via terra (Forza “B”), sbarco di guastatori da naviglio minore (Forza “C”), copertura strategica assicurata dall’incrociatore Coventry e da 4 caccia (Forza “D”) e sbarco di segnalatori da sommergibile per indicare i punti da investire(forza “E”).
I primi ad agire, camuffati con divise e armi tedesche, gli incursori che hanno l’incarico di eliminare, spietatamente e in silenzio, due batterie costiere. Il personale della prima postazione italiana riesce però a dare l’allarme, inchiodando sul posto gli incursori britannici.
Allertato il Comando Marina, l’Ammiraglio Giuseppe Lombardi, già capo del Servizio Informazioni, assume la direzione delle operazioni e dispone l’invio in zona di un nucleo di marinai del 3° Battaglione San Marco, i “soldati italiani di terz’ordine” prima citati. Nel corso della notte senza luna, illuminata solo dagli spari e dalle bombe a mano, al grido di “San Marco” annientano i Commandos inglesi.
Nel frattempo, il Comando Marina riceve dalla Motozattera MZ 733 - in mare come guardaporto – la seguente comunicazione:“Motosiluranti nemiche cercavano di forzare le ostruzioni. Vado all’attacco”. Arriva il turno dei Royal Marines che gli artiglieri della Regia Marina, ormai allertati, bloccano sulle spiaggie; i caccia Sikh e Zulu si avvicinano alla costa, camuffati da navi italiane e battendo falsa bandiera a copertura dei Royal Marines. Si scatena, come dissero gli inglesi, l’inferno: i cannoni delle batterie italiane Dandolo e Tordo inquadrano il bersaglio andando al segno sul Sikh, incendiato e affondato, e sullo Zulu. Il resto degli inglesi a terra è contrattaccato da una compagnia improvvisata di marinai e Carabinieri. I Royal Marines si arrendono in massa e vengono catturati.
Al termine dei rastrellamenti a terra e del recupero dei naufraghi si conterà 625 prigionieri, in maggioranza salvati delle motozattere, incluso il comandante del Sikh.
Anche la bandiera dei Royal Marines cade in mano italiana, ed è tutt’ora tra i trofei della nostra Marina.
fonte foto e testo :www.marina.difesa.it <div fbclid="iwar3xywpjz6aakcrpakdnvtxv3izsdfq7g5gza7navwff2wckybrk2ooa2-s" ,"dossierurl":"http:="" www.marina.difesa.it="" ?fbclid="iwar3xywpjz6aakcrpakdnvtxv3izsdfq7g5gza7navwff2wckybrk2ooa2-s&quot;}&quot;&quot;" http:="" mcafee_wa_ann="{" style="font-family: inherit; cursor: default; display: inline-block; float: none; padding: 0px 0px 0px 4px; position: relative; top: 2px; z-index: 1;" waprocessedid="x0v54l">
 
 
 
 
 
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IL PIANO ITALO-TEDESCO. STRUTTURA ED ORGANIZZAZIONE DIFENSIVE
Meditando sugli insegnamenti da trarre dalla battaglia di Alam Halfa, Rommel dovette amaramente concludere che «...la superiorità aerea dei britannici getta al vento tutte le regole tattiche che abbiamo impiegato con successo fino a prima di questa battaglia. D’ora in avanti, fattore decisivo di tutte le battaglie sarà la forza dell’aviazione anglo-americana».
Con la battaglia di Alam-Halfa che, sostanzialmente, aveva rappresentato un tentativo di aggiramento da sud delle posizioni britanniche di El Alamein, per Rommel si era venuta quindi a creare una situazione che poneva il problema della convenienza o meno di abbandonare le posizioni raggiunte per occuparne altre retrostanti, più solide e, sotto molti aspetti, più favorevoli anche rispetto ai temuti attacchi aerei.
Questo problema presentava tre possibili soluzioni, nell’ordine:
• ripiegamento di tutte le forze sulla munita posizione di Sollum-Halfya che, però, risultava troppo spostata a ovest, a ridosso del confine libico (soluzione proposta a Hitler ai primi di agosto, ma prontamente respinta dal Führer;
• arretramento delle fanterie sul costone di Fuka, solo cento chilometri più a ovest di El Alamein;
• mantenimento delle posizioni raggiunte in attesa di una battaglia difensiva, ma che, quasi sicuramente, avrebbe avuto esiti vantaggiosi per i britannici largamente superiori in forze e logistica.
Scartate per ragioni politiche le prime due ipotesi, restava per forza valida la terza, come del resto previsto da Montgomery il cui piano Lightfoot si basava proprio sul presupposto che le truppe dell’Asse avrebbero nuovamente accettato battaglia sulle posizioni di El Alamein.
Di fronte ad un avversario molto più forte e numeroso, il controllo di un così vasto e piatto territorio desertico a mezzo di truppe con discreto potere d’arresto, ma scarsa mobilità, imponeva a Rommel una struttura difensiva prevalentemente statica consistente nella sapiente predisposizione di numerose ridotte autosufficienti in grado di resistere ad oltranza, anche se accerchiate, e all’interposizione dei reparti italiani con quelli tedeschi, pratica definita “corsetting” dagli inglesi in quanto vista con ilarità come “un corsetto da busto italiano rinforzato da stecche tedesche”.
L’organizzazione della difesa rispondeva al criterio di logorare l’attaccante con il fuoco durante l’attraversamento della fascia minata, e di arrestarlo col fuoco e con il movimento il più a lungo possibile davanti alla linea di resistenza al fine di consentire alle unità corazzate di intervenire con contrattacchi tempestivi e nelle condizioni più favorevoli ovunque si manifestasse una falla o un cedimento.
(Estratto da A. Bondesan e T. Vendrame (2015) - El Alamein. Rivisitazione del campo di battaglia tra mito e attualità, Cierre Edizioni, 516 p.)
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IL COMMILITONE SARDO

 

Un vero amico è colui che nel deserto si priva della sua acqua per darla a te “

( fante Agosti Arturo )

Non so , ma forse nell’ episodio che vado a narrare ci stà il vecchio detto del Trentino che dove finiscono le strade iniziano i problemi … così fu tra mio padre il fante Agosti Arturo della Divisione di Fanteria Brescia ed il suo commilitone sardo. Non fu mai un vero e proprio odio personale o di parte politica, altrimenti non avrebbe senso tutto il resto del racconto, era invece una difesa dell’ identità e dell’ origine di appartenenza che aveva spinto il fante sardo ad un atteggiamento pregiudiziale nei confrontii del resto della compagnia . Continue liti per un nonnulla incomprensioni reciproche ed inevitabile ricorso al coltello da parte del sardo che aveva ferito alcuni militarei suoi colleghi . Un giorno ebbe a che dire con mio padre per i soliti futili motivi, ed allora scattò il nostro detto popolare dei luoghi dove finiscono le strade dove la gente vive nel proprio isolamentoe non ha l’ opportunità di confrontarsi conaltre culture e tradizioni …. alle minacce all’ arma bianca del commilitone rispose con un colpo di taglio dell’ elmetto sulla testa del malcapitato che dovette essered ricoverato in infermeria per dei punti di sutura . Mio padre venne messo in cella di rigore per lo stesso tempo in cui il suo commilitone era stato in infermeria. Ci vollero giorni di tentativi reciproci per trovare un intesa per poter riappacificarsi perché non puoi stare in una Comunità come quella militare che ha dell’ regole e una disciplina ferrea avendo tra i commilitoni un “ nemico “ e piano piano le cose si appianarono ed i due nemici divennero amici per la pelle. Furono poi rovesciati nel deserto libico a combattere un nemico che di diverso aveva solo la divisa ma aveva le stesse ansie e le stesse paure dei nostri giovani ragazzi di 20 anni. Nel deserto oltre all’ insidia delle cannonate inglesi che sparavano dall’ alba al tramonto senza interruzione, il più grande nemico era la sete che bruciava le gole dei soldati, i rifornimenti non sempre arrivavano a destinazione molte volte erano fatti bersaglio dalle cannonate o dall’ aviazione nemica ed allora che bisognava fare il massimo sforzo per economizzare la poca acqua delle borracce in attesa che il prossimo rifornimento arrivasse incolume alle postazioni avanzate nel deserto. Ed era in questi frangenti che sbocciava come una rosa di Gerico nell’ arsura del deserto libico, il grande cuore del commilitone sardo che si privava del bene più prezioso che si possa avere nel deserto e regalava la sua parte di acqua a mio padre … il Figlio di quella terra nobile e sacra, tante volte povera di acqua ma ricca di una civiltà e di una umanità che solo il popolo sardo sa esprimere nei valori più semplici e genuini con atti di grande generosità e coraggio. Mio padre mi diceva che se ogni 1000 cannonate sparate dall’ esercito di sua Maestà britannica avessero ucciso un uomo in quindici giorni non ci sarebbe stato nessun italo – tedesco vivo . Ed un giorno di calma apparente mentre un Tenente medico stava estraendo le piccole schegge da un gruppetto di soldati l’ amico sardo chiese a mio padre se volesse anche lui aggrregarsi per farsi levare le schegge, ma mio padre gli rispose che sarebbe andato un altra volta che tanto ne avrebbe prese ancora in combattimento. E mentre il gruppetto aspettava il proprio turno vicino alla tenda del Tenente medico, una di quelle migliaia di granate sparate dall’ artiglieria inglese arrivò dritta sopra i militari in attesa facendo scempio di uomini. Rimasero tuttti uccisi compreso l’ Amico di mio padre. Ricordo ancora le lacrime di mio padre trattenute a stento quando mi raccontava questo episodio e mi diceva che aveva pianto come se avesse perso un fratello. Mio padre è morto molto giovane ne 1969 aveva 48 anni ed io ero poco più che un ragazzo, non ricordo se mi sia stato riferito il nome di quell’ eroico soldato sardo della Divisione di fanteria Brescia grande benefattore di mio padre caduto nel deserto libico , ma sono sicuro che lo ha aspettato in Cielo davanti ad una sorgente rigoglosa di acqua fresca e pilita, come quelle che sognavano nelle notie ifuocate del deserto con la borraccia vuota e le labbra arse dalla sete , pronto ad offrirgli una gavetta colma di acqua .

 

Bruno Agosti

 

 

 

 

 

 

 

 

IL PIANO ITALO-TEDESCO. STRUTTURA ED ORGANIZZAZIONE DIFENSIVE
Meditando sugli insegnamenti da trarre dalla battaglia di Alam Halfa, Rommel dovette amaramente concludere che «...la superiorità aerea dei britannici getta al vento tutte le regole tattiche che abbiamo impiegato con successo fino a prima di questa battaglia. D’ora in avanti, fattore decisivo di tutte le battaglie sarà la forza dell’aviazione anglo-americana».
Con la battaglia di Alam-Halfa che, sostanzialmente, aveva rappresentato un tentativo di aggiramento da sud delle posizioni britanniche di El Alamein, per Rommel si era venuta quindi a creare una situazione che poneva il problema della convenienza o meno di abbandonare le posizioni raggiunte per occuparne altre retrostanti, più solide e, sotto molti aspetti, più favorevoli anche rispetto ai temuti attacchi aerei.
Questo problema presentava tre possibili soluzioni, nell’ordine:
• ripiegamento di tutte le forze sulla munita posizione di Sollum-Halfya che, però, risultava troppo spostata a ovest, a ridosso del confine libico (soluzione proposta a Hitler ai primi di agosto, ma prontamente respinta dal Führer;
• arretramento delle fanterie sul costone di Fuka, solo cento chilometri più a ovest di El Alamein;
• mantenimento delle posizioni raggiunte in attesa di una battaglia difensiva, ma che, quasi sicuramente, avrebbe avuto esiti vantaggiosi per i britannici largamente superiori in forze e logistica.
Scartate per ragioni politiche le prime due ipotesi, restava per forza valida la terza, come del resto previsto da Montgomery il cui piano Lightfoot si basava proprio sul presupposto che le truppe dell’Asse avrebbero nuovamente accettato battaglia sulle posizioni di El Alamein.
Di fronte ad un avversario molto più forte e numeroso, il controllo di un così vasto e piatto territorio desertico a mezzo di truppe con discreto potere d’arresto, ma scarsa mobilità, imponeva a Rommel una struttura difensiva prevalentemente statica consistente nella sapiente predisposizione di numerose ridotte autosufficienti in grado di resistere ad oltranza, anche se accerchiate, e all’interposizione dei reparti italiani con quelli tedeschi, pratica definita “corsetting” dagli inglesi in quanto vista con ilarità come “un corsetto da busto italiano rinforzato da stecche tedesche”.
L’organizzazione della difesa rispondeva al criterio di logorare l’attaccante con il fuoco durante l’attraversamento della fascia minata, e di arrestarlo col fuoco e con il movimento il più a lungo possibile davanti alla linea di resistenza al fine di consentire alle unità corazzate di intervenire con contrattacchi tempestivi e nelle condizioni più favorevoli ovunque si manifestasse una falla o un cedimento.
(Estratto da A. Bondesan e T. Vendrame (2015) - El Alamein. Rivisitazione del campo di battaglia tra mito e attualità, Cierre Edizioni, 516 p.)
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