Misha the ogre

 

( Mishia l’ orco )

 

 

Si chiamava Mishia, e viveva in un piccolo paese della Serbia, tanto piccolo da non risultare nemmeno censito sulla carta geografica. Ovil, infatti, appariva solo sulle mappe militari che Mishia conosceva bene per via del servizio  prestato al tempo di Milosevich e della grande Serbia.

In quella guerra, maledetta, aveva perso l’ uso del braccio destro ed era anche rimasto semicieco, quando la granata aveva fatto strage dei suoi commilitoni e solo lui era rimasto vivo, gravemente ferito, ma vivo.  Si diceva di lui, che fosse un fanatico cultore del generale Vladich, e che durante la guerra avesse anche preso parte attiva allo stupro etnico delle donne di fede mussulmana, ma questo non fù mai provato, ed anche il tribunale per i diritti umani dell’ Aja lo assolse con la formula del dubbio, forse, anche per questo, la gente da quel giorno lo chiamò “ l’ orco “.

Dopo il processo e la sua scarcerazione, al  ritorno al  paese, si era formato un capannello di folla pronta a fere giustizia sommaria del “ fascista “ e criminale Mishia, solo il provvidenziale intervento di un blindato dei Carabinieri italiani, che pattugliavano la zona per conto dell’ ONU , sparando in aria, allontanarono la folla e caricarono di peso sul mezzo il terrorizzato Mishia.

Per un bel periodo di tempo, rimase  chiuso nella sua casa, al numero 17 del paesino, un attico a piano terra, ben arredato, con all’ ingresso i cimeli di una guerra perduta e nel soggiorno un grande ritratto di Milosevich. Non era cattivo, Mishia, era solo un uomo solo, che il destino aveva coinvolto in una tragedia più grande di lui, con le sue scelte politiche di estrema destra, si era attirato la diffidenza di molta gente ed il palese boicottaggio di altri, era stato, di fatto, escluso dalla vita politica ed amministrativa del piccolo paese di Ovil, ma a lui questo, non importava più di tanto, lui era rimasto fedele ai vecchi camerati ed al comandante Vladich e non ne faceva mistero con le poche persone che si fermavano a parlare con lui.

Aveva una grande passione che coltivava fin da ragazzino, quando era stato a scuola dai monaci ortodossi per un periodo di quattro anni, aveva cominciato lì, infatti, a scrivere le prime poesie ed i primi racconti con la penna e la fantasia di un bimbo di otto anni, ora si dilettava a scrivere delle poesie e dei racconti di buona fattezza letteraria, che pochi, pero in paese capivano, ma che fuori avevano avuto un buon successo di critica. Non era sposato, ma diceva di avere una figlia in un paese lontano, e  le comari del paesino, avevano costruito attorno la favola che la figlia lontana, altro non fosse che il frutto proibito dello stupro etnico, ma non c’è mai stato modo di appurare la verità.

Al suo  ritorno a casa, dopo la guerra, era stato solo per un periodo di tempo, poi aveva conosciuto una vedova di un paesino vicino ed aveva cominciato a frequentarla, la gente diceva che questa donna beveva ed era quasi sempre ubriaca, ma lui scrollava le spalle e sorrideva, perché, diceva, che per lui andava bene così, che per lui gli bastava, perché riusciva a capirlo, nonostante i sui tanti difetti ed i suoi problemi fisici e era capace di dargli tutto l’ amore e la compagnia di cui aveva bisogno e che altre donne non avevano mai saputo dargli.

Naturalmente, per la gente bigotta e clericale di quel pesino sperduto tra i monti, tutto questo era fonte delle più disparate dicerie e piccanti allusioni erotiche, ed anche la signora, venne così fatta bersaglio delle chiacchiere e del perbenismo ipocrita della gente bene e venne isolata da tutti ed indicata come un cattivo esempio da non imitare mai.

Lui, continuava imperterrito, nonostante le dicerie, a frequentare la sua donna, lo si vedeva camminare verso il paesino, a qualsiasi ora del giorno e della notte, per andare dalla sua donna, da quella donna, che a suo dire, gli dava tanto affetto e tanto amore.

Un giorno, la donna venne trovata morta in casa, fu per lui una perdita grandissima, gli era venuto a mancare la presenza di una compagna che lo capiva e lo amava, ora lo si vede, di tanto in tanto, con un mazzo di rose rosse entrare nel piccolo cimitero di quel paesino, dove non sfugge nulla alle comari che guardano da dietro le finestre dalle persiane socchiuse, lo scorrere della vita altrui, ignare del tempo perduto per la loro, e deporre le rose sulla sua  tomba, dopo una frettolosa preghiera.

Il tempo non si ferma, ma ti trascina appresso, ed ora, in età non più giovane, Mishia, continuava a scrivere le sue poesie ed i suoi racconti, con il suo stile schietto ma a tratti anche dolce, un giorno, per ovviare alla sua pesante solitudine, decise di iscriversi a facebook, e timidamente si affacciò ad un mondo che gli apparve  fin da subito strano e quasi incomprensibile, tanta , troppa gente che scriveva delle futilità o che semplicemente copiava e metteva in rete foto o scritti fatti da altri o addirittura delle pesanti volgarità.

Decide allora di uscire da quel mondo che non gli apparteneva, ma prima di farlo, venne attratto dalla pagina di un suo cantante preferito degli anni 60, ed andò a visitarla, lì assieme a tante canzoni ed a tanti commenti, ne trovò uno, struggente, di una dona che aveva perso il suo uomo in guerra, in quella guerra maledetta che gli aveva rovinato l’ esistenza.

Decide, allora, di fare un ultimo tentativo e di chiedere l’ amicizia a quella donna così dolce nel linguaggio, così simile ai personaggi femminili delle sue poesie e dei suoi racconti, la donna, che abita lontanissimo da lui, accetta l’ amicizia , che si rivelerà , poi, essere una grande e sincera amica che gli darà tanta fiducia nella vita e tanto tanto affetto.

I due, infatti, si scrivevano tutti i giorni, raccontandosi le loro storie personali, i loro amori perduti ed i loro sogni per il futuro, poi decidono di sentirsi anche per telefono rafforzando così quel bel sentimento di amicizia pura, senza interessi o passioni, che a volte nasce spontaneamente tra uomo e donna.

Rinfrancato da questa nuova amicizia, si rimette di lena a scrivere le sue poesie ed i suoi racconti, nella quasi totale incomprensione ed indifferenza dei suoi compaesani di Ovil, pur avendo lui tentato di aprire un dialogo con la comunità dove abita che si rivela inutile per le tante incomprensioni e resistenze legate soprattutto al suo passato di ex combattente.

Un episodio in particolare, segna la definitiva rottura con il mondo delle istituzioni e delle associazioni del suo paese, un giorno chiede la collaborazione di un amica per disegnare delle rose per una cerimonia in memoria dei camerati morti, la signora accetta ed in cambio Mishia scrive per lei una poesia, ricordando la sua bellezza giovanile, il suo fascino erotico.

Riporto qui, la traduzione della poesia

 

VALENTINE

 

Bella, dai neri capelli,

dolce, il volto di donna,

fascino gli occhi suoi belli,

amore eterno di mamma.

 

Erotico sogno, la notte,

dolce pensiero , proibito,

frasi d’ amore, non dette,

al sorger del sole perduto.

 

Folata di vento, impetuoso,

che le vene traggon al cuore,

uno sguardo, rubato, un sorriso,

comunque, anche questo è amore…

 

Ritratto di un prato in fiore,

dolcezza del fuoco, la sera,

una rondine in cerca d’ amore,

intenso profumo di primavera.

 

Occhi che sempre han sognato

un cerchio di vita, profondo,

ma acqua di stagno han trovano

con dentro, riflesso, il tuo mondo.

 

Da notare in questi versi, l’ intensità del ricordo della giovinezza, la dolcezza dovuta ad una donna e a una mamma, e la franchezza del linguaggio quando si parla dell’ eros.

tutto questo viene interpretato dall’ amica come una richiesta esplicita di sesso, come uno che ci ha provato, e questa , offesa se ne và e  fa recapitare al confuso ed imbarazzato Mishia, un biglietto dove  lo accusa di  essere un lupo che aspetta cappuccetto rosso, e di navigare nel torbido ed essere come una palude ed una sabbia mobile che inghiotte le ignare donne.

Con una lettera, gentile, ma decisa, Mishia si scusa con l’amica, ma la allontana definitivamente dalla sua vita e poi decide di chiudere definitivamente con la gente del suo paese.

Alla donna, poi, risponde dedicandole, come ultimo ricordo,  una sua poesia che qui riporto .

 

AMAREZZA

 

Tra le mani, foglie d’un autunno, amaro,

inutili pagine di un libro chiamato vita,

rose dal tempo, che non leggo più,

è finito l’ attimo del pensiero puro.

 

E il  vento, sfoglia, adagio, le pagine,

a rinverdire il ricordo di chi non c’è più,

e l’ amaro ti entra, dagli occhi, al cuore,

ma è finito anche il tempo di sognare…

 

Attendo,sereno,  che adagio, adagio,

il vento legga sul libro, la parola fine.

Avrei ancora un sogno, un desiderio,

vorrei che si chiudesse, quando è maggio.

 

Resterà di me, un libro, forse un fiore,

ad aspettarmi, in cielo, una donna bruna,

pregherà per me, una bimba lontana,

e Dio dirà, che anche questo è amore…

 

Da notare, in questa poesia, la dolcezza del linguaggio usato per esprimere tutta l’ amarezza di un pensiero non capito dagli altri, l’ amarezza di una vita vissuta ai margini della società civile, non compresa in tutte le sue forme e la sua bellezza e, perfino , definita inutile.

Alla fine, però, si può cogliere un barlume di speranza, quando il pensiero và alla donna che ha amato ed alla figlia lontana, e il sogno che il libro della vita si chiedesse a maggio, quando ci sono i papaveri, e la speranza che Dio trovi in tutto ciò l’ amore per farlo entrare in cielo.

L’ inverno di quell’ anno, fu particolarmente freddo e con tanta neve che si era accumulata ai lati delle strade e che ricopriva di bianco i campi e i tetti, dando una conformità monocromatica a tutto il paesaggio, un bianco accecante che per gli occhi malati di Mishia aveva effetti devastanti. Eppure, a lui la neve piaceva, gli ricordava la sua giovinezza, quando con gli amici andava a slittare per le vie, allora deserte del paese, giù, giù, fino al vecchio ponte sul torrente, senza incontrare un automobile… Che bei tempi erano quelli, quanto tempo era passato, allora ci vedeva bene, non come ora che era costretto a camminare a tentoni, con la paura di cadere dal marciapiede.

Ora anche i ragazzini non sono più quelli di un tempo, sono più spavaldi, più strafottenti, ma non faceva caso alle palle di neve che gli tiravano, quello che più lo feriva nel profondo, era quando lo appellavano con il nome di Orco, allora si arrabbiava, ma non li poteva vedere, sentiva solo delle voci che lo chiamavano e poi ridevano.

Era la vigilia di Natale e Mishia si avviò , lento, verso il paese per fare delle compere, entrò prima nella farmacia del borgo e con la ricetta in mano si fece dare le gocce di Valium che il dottore gli aveva prescritto per poter dormire la notte, lontano dagli incubi della guerra che lo tormentavano con i ricordi dei massacri e delle violenze che aveva visto e compiuto, e si diceva sempre : - la guerra è guerra, però… -

Dalla farmacia, passò rapidamente al negozio di alimentari e poi dal macellaio, almeno il Natale lo voleva festeggiare bene anche lui.

Comprò anche un panettone ed una bottiglia di vino buono e una di vodka russa, come quella che davano in guerra per dare coraggio o togliere la paura al sodato.

Finite le compere, mise tutto nel suo zaino militare, se lo mise in spalla e riprese la strada di casa.

Decise di non prendere la strada principale, ma di passare per la stradina tra i campi, c’ era da calpestare la neve, ma almeno avrebbe evitato quei dannati ragazzini !

Arrivato alla curva della croce, dove poi la strada taglia per casa, che quasi gli sembrava di intravederla dalle lenti un po’ appannate per il fiatone che gli era venuto, una scarica di palle di neve lo investì in pieno e lo fece cadere a terra tra la neve, ecco di nuovo i ragazzini, quei terribili ragazzini che l’ avevano visto cambiare  strada e lo avevano preceduto passando per i campi .

Ed ora al grido orco, orco, continuava il tiro delle palle di neve, che gli sembrava di essere tornato in guerra, come per istinto cercò di imbracciare il fucile, per difendersi, ma il braccio ferito non si mosse, e poi non era più in guerra, quella era finita da anni… Sentì un liquido freddo che gli scendeva dalla schiena, pensò che non era sangue perché il sangue è caldo, era il vino che usciva dalla bottiglia che si era rotta, ed aveva bagnato ogni cosa all’ interno dello zaino, pazienza, pensò addio pranzo di Natale.

La bottiglia di vodka però non si era rotta, quella era più robusta, un vetro bello grosso, quella aveva resistito. Provò a pulirsi gli occhiali per vedere meglio, ma si accorse che erano spariti nella neve, tastò piano attorno con le mani, ma non li trovò, provò allora a rialzarsi ma non ci riusciva perché la neve era troppo alta e continuava a scivolare.

Riprovò, ma non ci riuscì, allora pensò di chiamare aiuto, ma poi si ricordò che lì vicino c’ era il quartiere mussulmano, che cosa avrebbero fatto se lo avessero riconosciuto ? Lui , l’ orco, lo stupratore delle loro donne, quasi un boia… però non aveva alternative, o chiedere aiuto o morire assiderato la vigilia di Natale, allora chiamò aiuto con tutto il fiato che aveva, forse avrebbero sentito forse avrebbero capito, forse lo avrebbero aiutato…

La mamma aveva mandato Jasmina a prendere della legna nella legnaia all’ esterno della casa e mentre riempiva il cesto, gli parve di sentire una voce lontana chiedere aiuto, si fermò un attimo ad ascoltare meglio ed il grido si ripeteva, proprio nella direzione della curva della croce, allora lasciò la legna ed attraverso il campo raggiunse la strada e seguì il lamento fino a quando non trovò l’ uomo steso a terra.

Jasmina non conosceva il vecchio non sapeva della guerra, degli stupri, era troppo giovane per sapere, disse a Mishia che sarebbe andata a casa a chiedere aiuto a suo padre, ma lui rispose che era meglio di no e che sarebbe bastato se lo avesse aiutato a mettersi in piedi, allora, con tutta la forza che lei aveva in corpo, la ragazzina aiutò l’ uomo a rialzarsi e lo accompagnò fino a casa sua che distava poche decine di metri.

Giunti a casa, Mishia, accese la luce dell’ ingresso, ed un bel calduccio venne incontro ai due, si pulì dalla neve e si rimise gli occhiali che la ragazzina aveva recuperato nella neve, li pulì dal vapore e Jasmina gli apparve, poco a poco, come un angelo, di quelli che lo guardavano dal soffitto della chiesa dei monaci tanti anni fa, e le lacrime cominciarono a scendere dagli occhi al viso, accarezzò la bambina, lentamente, poi aprì un cassetto della sua scrivania dove aveva il computer acceso sul profilo di fb dell’ amica lontana,  prese un mazzo di banconote a caso li mise tra le mani della ragazzina e gli disse : “ BUON NATALE ! “

Lei rispose : “ Grazie, ma per noi non è Natale, è un giorno come un altro…” Uscì e si diresse di corsa verso casa tenendo il denaro stretto tra le mani.

La notte, Mishia, non riuscì a dormire, sentiva dolore al braccio malato per via della caduta e quando riusciva a prendere sonno, dopo un attimo gli ritornavano in mente episodi di quando era in guerra, incubi che lo perseguitavano fin dal suo ritorno e che certe notti ritornavano a disturbargli il sonno.

Quanto era diverso quando poteva dormire accanto alla sua amata donna, quanta dolcezza e quanto amore.

Un esplosione fortissima seguita da  una insistente e lunga raffica di mitragliatrice, urla strazianti di gente ferita i rantoli dei moribondi… sentiva un dolore forte al braccio destro ed il caldo del sangue che scivolava giù dalla spalla, si svegliò urlando: “ sono ferito, sono ferito ! “ .

Un altro incubo, ma il dolore al braccio era rimasto molto forte, non poteva prendere dell’ altro Valium, ne aveva già preso 20 gocce.

Era la notte di Natale, si ricordò di Jasmina la ragazzina mussulmana che lo aveva aiutato la sera prima… “ ma come per loro non è Natale ? pensò, “ “ già loro credono in un altro Dio, Allah .  Ma il mio, che razza di Dio è ? Ma cosa fa per me il mio Dio ?, e dov’ era quando sono caduto ?  sono solo, vecchio, malato e quasi cieco…“

Lo sguardo si posò sullo zaino ancora tutto bagnato di vino, il contenuto tutto da buttare perché il cibo si era riempito di schegge di vetro della bottiglia rotta, solo la vodka russa si era salvata era l’ unica cosa che aveva per Natale, ma era un Natale questo ? Guardò dalla finestra e vide le luci del grande albero in mezzo alla piazza del paese e la grande scritta che lampeggiava ed  augurava buon Natale a tutti ! ma quale Natale, ma a chi gli auguri… e cosa mangio io oggi che non ho niente, ma è una vita da vivere questa ???

Allora si alzò dal letto, come faceva spesso quando non riusciva a dormire, e accese il computer, andò su facebook come faceva di solito prima di mettersi a scrivere, e trovò tante notifiche, un messaggio ed una richiesta di amicizia. Chi mai poteva essere che chiedeva l’ amicizia ad uomo come lui, ad uno che la gente chiamava un “ orco “ , andò subito a guardare chi fosse e con grande sorpresa vide che era Jasmina, accettò subito la sua amicizia e scrisse sulla sua bacheca : Grazie, piccola, te ne sarò grato …- poi con frenesia aprì il messaggio, era la sua amica lontana che gli aveva mandato un grande cuore rosso con dentro scritto Buon Natale !

Poi guardò le notifiche, erano tanti amici lontani che gli auguravano Buon Natale, era soddisfatto nel vedere che tante persone, sia pur lontane, gli manifestavano affetto, ma quello che più gli aveva fatto piacere , era l’ amicizia, inattesa di Jasmina. Prese allora una busta la riempì del denaro rimasto, poi prese un foglietto e scrisse velocemente poche righe, lo piegò in due e lo mise nella busta, la chiuse ed andò sul profilo di Jasmin e copiò il suo indirizzo sulla lettera, l’ avrebbe spedita il primo giorno che fosse andato in paese, intanto la ripose sul tavolo vicino alla vodka.

Era ancora notte fonda ed allora decise di terminare il racconto che stava scrivendo e che aveva iniziato da parecchio tempo, si intitolava Una fiaba per Natale.

Cominciava ad albeggiare,quando terminò il racconto, un mattino freddo e stellato, era Natale. Aprì la porta, che aveva chiuso a chiave la sera prima, un attimo, ma la richiuse subito, un freddo pungente lo investi, impossibile  tornare al paese con questo freddo, allora prese la bottiglia di vodka , la aprì e ne versò un dito nel bicchiere, non si  sarebbe ubriacato il giorno di Natale, non gli sembrava giusto.

Si sedette sulla poltrona vicino al fuoco e ne sorseggiò un goccio, posò  il bicchiere e rimase a guardare il fuoco che ardeva deciso, era stanco per la notte insonne, ma era sereno e forse il valium cominciava il suo lavoro, così, senza accorgersi, si addormentò.

E ritornarono i sogni, belli, della sua giovinezza, quando correva felice tra i campi di papaveri, l’ austero monastero la saggezza dei monaci, quanto aveva imparato da loro ! Gli avevano insegnato a vivere una vita libera ed onesta, il rispetto per gli altri…

Sognò poi la figlia che non vedeva da tempo, come era diventata grande ! era una bella signorina bionda.

Lui quella donna non l’ aveva stuprata, lui si era innamorato di lei e la andava a trovare di nascosto, con il rischio che se lo avessero scoperto, lo avrebbero fucilato. E finita la guerra aveva sempre inviato del denaro per mantenere la piccola.

Giocavano assieme, lei e Jasmina, una con i capelli neri e l’ altra biondi, un turbinare di gonne una musica di risate e di allegria. Poi sognò l’ amica lontana, aveva cambiato la foto del profilo, quanto era bella … e che occhioni neri .

Non sentiva più neppure male al braccio malato, un pò di freddo si, quello lo sentiva, ma dopo sarebbe andato dalla sua donna, e quella si che sarebbe stata in grado di scaldargli il cuore, lei si che sapeva fare all’ amore !

Ed un sorriso di grande dolcezza gli illuminò il viso, come una ruga più profonda che gli scendeva dagli occhi alle labbra e gli dava una strana espressione di serenità.

Jasmina, si alzò verso le nove, si ricordò di Mishia ed accese subito il pc, andò su fb e trovò subito l’ amicizia accettata del vecchio ed era pure on line, allora gli scrisse un breve messaggio per chiedergli come stava, ma non ricevette risposta, aspettò una mezzoretta e poi tornò al computer ma il vecchio non aveva risposto, riprovò ancora una volta senza esito.

Jasmina aveva raccontato al padre del vecchio Mishia, dei ragazzini che lo avevano fatto cadere, di come lei lo avesse aiutato, e poi tolse dalle tasche il denaro che Mishia le aveva regalato, quanti soldi fruscianti, tanti che in tutta la vita nemmeno aveva visto,

“ Ma non è che li hai rubati ? “ chiese severo il padre a Jasmina, “ Ti dico che me li ha regalati, perché per loro è Natale e si usa così “  ribatte la piccola. “ E non aveva niente da mangiare, che gli si era riempito tutto lo zaino di vetri rotti “ riprese, ed aggiunse che aveva male al braccio ferito e che secondo lei bisognava chiamare i soccorsi, ma  si guardò bene dal dire che aveva l’ amicizia su fb con Misha,  Il padre , guardo nuovamente il denaro, quella inaspettata fortuna, poi prese il telefono e telefonò alla vicina gendarmeria.

Era quasi mezzogiorno, quando arrivò l’ ambulanza della mezza luna rossa, scortata dal blindo dei carabinieri, che si fermò davanti alla porta della casa di Mishia, mentre l’ ambulanza venne fatta fermare più lontano, dal blindato scesero velocemente quattro militari tre di loro presero posizione attorno alla casa, ed il cecchino si appoggiò con il fucile al mezzo. Il capitano, pistola in pugno, si avvicinò alla porta della casa di Mishia. Correva voce, infatti, che il vecchio Mishia fosse in possesso di un arsenale di armi recuperato dopo la guerra, e di casse piene di munizioni, meglio quindi stare attenti e prendere le precauzioni del caso. Il mitragliere del Lince, aveva messo il colpo in canna ed aveva girato l’ arma verso la casa di Mishia. Il capitano armò la pistola e si avvicinò alla porta di casa rasentando il muro, fino al campanello che suonò con insistenza alcune volte, ma nessuno rispose. Allora fece un cenno e due militari si avvicinarono alla porta con il fucile spianato e con un calcio l’ aprirono, il capitano entrò da solo, con la pistola in pugno, ma dopo dopo poco tempo uscì con in mano una busta, ripose la pistola nel fodero e diede ordine ai militari di ritornare tutti al Lince. Prese poi la radio e comunicò in inglese con l’ equipaggio della mezza luna rossa, che si avvicinò rapidamente.

Intanto attorno ai due mezzi di soccorso, si era

radunata una piccola folla di curiosi, gente che veniva dalle vicine case, convinti che i militari fossero venuti per arrestare nuovamente il vecchio, tra loro cera anche Jasmina che aspettava ansiosa gli sviluppi di questa storia. Il capitano si avvicinò allora alla folla dei curiosi, alzò la busta verso il cielo e disse . “ chi è Jasmina ?!? “ La ragazzina si fece largo tra la gente che mormorava, e si avvicino, tremante, al militare che l’ aveva chiamata.

- Hai un documento di riconoscimento ? “ chiese. La ragazzina tirò fuori dalla tasca un documento un po’ sgualcito, ma ben leggibile, anche la foto era la sua…

Il carabiniere consegnò a Jasmina la busta che aveva aperto per un normale controllo, dicendo ad alta voce, perché tutti i presenti lo sentissero :

 “ Tieni ragazzina , sei diventata ricca ! “  Assieme al denaro, infatti, c’ era anche un foglio di carta con scritto : “ Lascio tutto ciò che possiedo a jasmina Taouizi, per il bene da lei ricevuto.

Che il tuo Dio ti protegga sempre.

Misha jlovich.

Natale 2011.

 

 

 

Fatti, persone, nomi, località di questo racconto, sono di pura fantasia e del tutto casuali.

 

  •