La stalla

 

Quando penso alla stalla, mi tornano alla mente una folata di ricordi e di esperienze vissute da ragazzino prima e da adolescente poi. La stalla era un locale comune a tutte le case rurali del mio tempo, era uno dei locali di casa più frequentati ed animati di tutta l’ abitazione.

Abbiamo ampiamente elaborato il modo di vivere della gente dei paesi della mia valle ed il mio non faceva eccezione, che si basava esclusivamente sull’ agricoltura e la zootecnia che servivano al sostentamento alimentare delle famiglie di quel tempo, compresa la mia.

La stalla di casa mia era un locale nel seminterrato posto a sud - est dell’ abitazione con l’ ingresso dalle “ cort “ da est. Il locale adibito a stalla, era un avvolto a 4 archi da noi questo tipo di architettura viene definito con una parola sola: “voti”.

Mi piace descrivere dettagliatamente questo locale, perché è uno dei posti che ricordo con infinita tenerezza e riconoscenza, perché per anni fu il sostentamento della famiglia ed il luogo di sicuro e comodo rifugio di tutti gli animali domestici e no ed un piacevole luogo di ritrovo dove le persone potevano liberamente fare “ filò “ .

La stalla era adibita a casa di abitazione delle mucche e del maiale che era un ospite “ stagionale “ della stalla in quanto veniva cambiato tutti gli anni…

Noi avevamo il posto riservato al maiale, detto in dialetto “ stalot “, che era al lato opposto delle mucche, a nord del locale, era un recinto di mattoni con il pavimento di mattonelle di terracotta lavorate in modo che i liquami potessero scorrere via velocemente, poi c’era un piccolo pavimento rialzato di legno che veniva sempre tenuto pulito ed asciutto dove dormiva il maiale, affinché non prendesse artriti o altre magagne.

Separato da un fosso profondo circa 30 cm. C’ era il posto per 4 mucche, con il pavimento in mattonelle di terracotta uguali a quelle dello “ stalot “ del maiale e dove arrivava il muso delle vacche, c’ era la “ spargeu “ dal tedesco SPAR - HEU ovvero risparmiare il fieno, tradotto in italiano la mangiatoia, una parola tanto usata di questi tempi nella politica italiana…

Era come una barca di legno divisa a metà con dei buchi per legare le mucche sulla chiglia e divisa in comparti quante erano le abitanti signore della stalla.

La “ spargeu “ serviva per mettere il fieno che era l’ alimento base delle mucche che veniva dato loro due volte al giorno, la mattina e la sera.

L’ acqua veniva servita mediante un grosso secchio di rame detto “ cjazudrel “, alcuni contadini però usavano portare le mucche alla fontana del paese e farle dissetare con l’ acqua del “ brenz “ che era una piccola fontana separata dal lavatoio dove l’ acqua era sempre pulita e potabile.

Mio padre era un uomo molto progressista e lungimirante nelle vedute e posso essere legittimamente fiero nel ricordare che fu uno tra i primi ad ammodernare la stalla alla fine degli anni ’50, con quanto di migliore disponeva a quel tempo la tecnologia zootecnica, come l’ abbeveratoio automatico e l’ acqua potabile nel locale per la pulizia dei secchi per la mungitura.

Se paragonato alle moderne stalle che oggi si possono vedere sui territori ancora adibiti alla coltura zootecnica, la mia stalla di allora fa tenerezza ed è paragonabile alla grotta di Behtlem, ma per quel tempo era il the best delle soluzioni tecnologiche all’ avanguardia, tant’ è vero che le mucche ebbero l’ acqua in casa prima del padrone e questo la dice lunga su quanto fossero importanti gli animali per la sopravivenza umana e quanto si facesse per la loro buona qualità di vita.

Un animale era un membro della famiglia a tutti gli effetti, aveva un nome che gli veniva attribuito come a noi vengono appioppati i soprannomi, dal colore della pelle, da una macchia sul pelo, da un corno storto, ecc.

Agli animali ci si affezionava al punto che quando se ne doveva vendere qualcuno molte volte noi ragazzini ci si metteva a piangere. Il governare le mucche implicava l’ apprendimento di parecchie nozioni ed il rispetto tassativo degli orari.

Alle mucche veniva dato da mangiare il mattino e la sera, l’ acqua se la prendevano da sole nell’ abbeveratoio automatico, dovevano essere munte due volte al giorno, mattina e sera, e dovevano avere il posto dove si coricavano sempre pulito, per tanto bisognava liberarlo dal letame e cospargerlo di segatura e “ florin “ .

Bisognava potare le vacche a “ manz “ in altre parole bisognava portarle all’ accoppiamento con il toro, bisognava quindi imparare a capire quando la mucca era in calore, ad interpretare i segni che madre natura dà alle femmine per farci capire che il tempo è fecondo.

Trascorsi poi i classici nove mesi, la mucca era pronta a partorire il vitellino, era sempre uno spettacolo emozionante perché era la nascita di una nuova vita, una nuova avventura che si ripeteva con un rito antico, il rituale della vita, con i suoi ritmi, antichi di millenni ma sempre nuovi ed attuali.

La mucca che “ la pestola “ per il dolore, poi piano, piano compaiono le zampe, ed allora ci si attaccava una cordicella e si tirava per aiutare la bestia a partorire.

Poi il vitellino che esce e bisognava asciugarlo con la paglia e degli stracci e dopo pochi minuti si alzava in piedi, barcollante ed indeciso, ma subito attratto dalle poppe gonfie di latte della madre e via a succhiare come un drago e quante testate nelle mammelle per chiedere più latte…

Si potevano ammirare tutti i più reconditi ed oscure ricordi ancestrali che madre natura aveva attribuito nei millenni passati a questa razza di animali e come tutti gli animali sapeva già delle cose , dei comportamenti che aveva ereditato dal DNA dei genitori.

La stalla era anche il regno di altri animali a due zampe, a quattro zampe ed ad otto zampe. Gli animali a due zampe si ritrovavano spesso nelle lunghe sere d’ inverno, in attesa del parto di una mucca, davanti ad una fiasca di buon vino a raccontarsi la vita trascorsa, le avventure belliche e quelle amorose e più calava il vino nella fiasca, più aumentavano i nemici uccisi e le donne con le quali avevano fatto l’ amore…

Altri animali a quattro zampe, furbi ed astuti, erano i gatti che pretendevano la loro parte di latte durante la mungitura, che veniva assegnato loro in una ciottola di legno con la solita imprecazione: “ boni da n’ got, con tuti i sorsi che je !!! “.

I topolini li si vedeva di rado, ma c’ erano e numerosi, a piccole famigliole, uscivano quando tutti erano andati via, specie i gatti, si cibavano dei resti del mangime per le mucche caduto a terra o di pezzetti di bietola oppure entravano piano nella casa del maiale, nello “ stalot “ ad avidamente divoravano gli avanzi del suino che dormiva.

Gli ospiti ad otto zampe erano costantemente in eterna mortale competizione tra loro, erano le mosche ed i ragni. Nella stalle le mosche abbondavano ed i grossi ragni avevano tessuto delle enormi ragnatele da un arco all’ altro della stalla, e tu le potevi anche abbattere che il giorno dopo le ritrovavi più salde e robuste di prima, misteri della natura.

Dopo fatta la tela al ragno era sufficiente attendere fermo in un angolo e le mosche che ronzavano intorpidite dal caldo della stalla entravano nella ragnatela e vi rimanevano impigliate, allora il ragno si avvicinava svelto e se le mangiava ed anche questo fa parte dell’ istinto di conservazione e del ciclo biologico della vita.

 

Bruno Agosti

 

Brano tratto dal romanzo autobiografico I giorni delle bacche acerbe.

 

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