THERMOS

IL THERMOOS

 

Quando ero un ragazzino e successivamente quando ho iniziato a lavorare e per recarmi sul luogo della mia fonte di guadagno, al mattino presto salivo sull’ autobus delle 7 che portava i pendolari a Cles e che poi si recavano ai rispettivi luoghi di fatica, non di rado durante il tragitto dell’ autobus tra un breve saluto che poi cedeva al silenzio di gente ancora assonnata e magari già stanca per la levataccia per governare e mungere le mucche nelle tante stalle che allora servivano per avere il latte fresco, il formaggio ed una seconda indispensabile fonte di arrotondamento e di integrazione al misero bilancio famigliare di quel tempo. Non di rado, dicevo, nel silenzio rotto solo dal rombo del motore e del cigolare del mezzo come un enorme mostro frustato che esprimeva nel cigolare sordo la sua sofferenza, tante volte si sentiva un “ pooff “ come l’ esplosione lontana di una bomba di profondità antisommergibile : era il thermoos di qualche lavoratore che era esploso rendendo così inutilizzabile il contenuto che poteva essere il minestrone o la pastasciutta che era il pranzo che la moglie gli aveva preparato con tanto amore alzandosi il mattino presto ad accendere il fuoco per poter cucinare, allora il gas era un lusso di pochi. Quel rumore sordo che pareva venire dal profondo degli oceani in realtà proveniva da uno degli zaini dei lavoratori pendolari che si portavano con se il thermoos con il pranzo per quel giorno, quel rumore oltre a provocare un colpo al cuore del proprietario, dava anche a me un profondo senso di grande tristezza e di profonda e silenziosa solidarietà verso il malcapitato. Pensavo al momento in cui arrivava l’ ora del pranzo che per la maggior parte dei lavoratori veniva consumato all’ aperto, sui cantieri di lavoro spesso e volentieri al freddo . Il thermoos che era esploso era un contenitore termico era realizzato con un sottile vetro doppio a forma di un grosso barattolo tirato a specchio al quale veniva estratta l’ aria quindi impediva la dispersione di calore e manteneva il cibo caldo per molte ore. Quando esplodeva il cibo si riempiva tutto di minuscoli e micidiali pezzetti di vetro e bisognava buttare tutto … e mi immaginavo il povero lavoratore che certo aveva con se poche lire non sufficenti a pagare un pranzo al ristorante e forse non aveva neppure un collega che gli avesse potuto offrire una parte del suo pranzo ed avrebbe dovuto accontentarsi di un sorso di vino , una sigaretta e la classica frase : “ ben, ben n’ magnerai na tesa stasera a chjasa … l’ era ben pegi se me fovi mal ! “ Scrivo questo sapendo di suscitare incredulità e meraviglia da parte dei giovani di oggi e tristi ricordi tra la gente dela mia età, vorrei anche che fosse un motivo di riflessione sul valore del cibo, sulla sua produzione e sullo spreco che ora se ne fa non solo da parte dei residenti in occidente ma anche da coloro che arrivano da altri continenti definendosi “ profughi “ . Penso anche al progresso fatto da allora per la classe operaia in tutti i settori per quanto riguarda l’ alimentazione, penso alle attuali mense aziendali, ai buoni pasto che consentono ora al lavoratore di poter consumare un pasto comodamente seduto in un ristorante e non su un impalcatura o sotto una pianta all’ aperto o al buio in una miniera di carbone . Penso al servizio dei pasti a domicilio per gli anziani non autosufficienti e per i disabili, penso ai Rider sfruttati che per pochi soldi ti portano la pizza in casa da consumare comodamente al caldo del camino, penso a quelli che il cibo proprio non lo hanno e quelli che lo rifiutano per motivi ideologici di torna conto ...

 

Bruno Agosti