Il valore delle piccole code

 

 

La scommessa di Carlo Zanotelli

 

di

 

Bruno Agosti

 

 

Da quando, un anno fa ormai, sono pensionato, il ritmo del mio tempo è cambiato radicalmente. Ora sono in grado di soddisfare pienamente il mio hobby della scrittura e la mia sete di curiosità nel voler osservare le piccole cose che madre natura ha elargito in abbondanza sul nostro territorio. Così, tra un racconto e una poesia, trovo il tempo per fare delle lunghe passeggiate nei nostri campi e nei nostri boschi e per fermarmi a osservare le cose più disparate, dal torrente che scorre, ai numerosi “ baiti “ che punteggiano il territorio, dalla flora alla fauna del bosco, ricca e rigogliosa.

Basta saper osservare e si trovano delle vere e proprie meraviglie della natura: dai paesaggi che le stagioni caricano di colori diversi e sempre nuovi dalle tonalità dolci della primavera, ai colori forti e decisi dell’autunno. Si possono guardare attentamente i piccoli insetti nel loro lavoro quotidiano alla ricerca di cibo, e gli scoiattoli, che se si rimane immobili a guardarli si possono vedere scendere dagli abeti per raccogliere le nocciole.

Poi ci sono bellissimi caprioli, cervi e lepri. Un vero e proprio paradiso terrestre a pochi passi di distanza, che ci viene invidiato da tutti coloro che sono costretti ad abitare in città.

Anche nei migliori paradisi terrestri, però, si possono trovare delle delusioni che ti fanno mettere nuovamente, di brutto, i piedi per terra e ti fanno ritornare a quella realtà quotidiana che ti riporta nella società fatta di lavoro, d’interessi, di profitto, sempre maggiore davanti al quale ogni ostacolo e ogni valore vengono rimossi o ignorati.

Nel mio passeggiare quotidiano molte volte la meta è attraverso i meleti che da Livo portano nella direzione di Port, una strada dolce, senza grandi pendenze, con una bella vista verso Rumo ed il gruppo delle Maddalene, per poi immergersi nel verde scuro del bosco che scende sino al torrente Pescara. Da qui s’intervallano il verde dei pascoli, in un ondeggiare dolce del terreno, in un saliscendi che sembra una grande fisarmonica, in una policromia di colori di fiori di campo e un concerto di suoni, dolci, di grilli, cicale e… se si va di notte nelle sere di agosto, si può ancora avere la sorpresa di poter vedere le lucciole che ti illuminano la strada, mentre si spostano dal prato ai boschi. Questo è un vero spettacolo suggestivo, immenso, da ammirare con gli occhi rivolti al cielo terso e stellato d’ estate.

Un giorno di questa primavera ho deciso di raggiungere Port attraverso il bosco di Somargen. Dopo essermi fermato una mezz’ora al mio amato torrente ad ammirare i giochi d’acqua tra le grosse pietre, ho ripreso, lentamente, il cammino, scattando delle fotografie lungo il viaggio. Mi piacciono molto i fiori come le primule che crescono vicine ai fossi, i quali erano abbondanti di acqua, tanto da dover attraversarli oltrepassando il piccolo ponticello di legno, una cosa simpatica, tra lo scrosciare del rivo.

 

Arrivato pian piano a Port, decido di prendere fiato sedendomi su una panchina dell’area. Tiro il fiato e mi guardo intorno, osservando verso nord. Ma subito mi è sembrato che mancasse qualche cosa di famigliare, qualche cosa che ero abituato a vedere da anni in quella direzione e che non c’ era più…

Mi alzo e mi avvicino per vedere meglio, e con mio grande stupore vedo che il grosso abete che cresceva vicino alla strada, proprio sotto uno dei focolari che si usano per i pic – nik, era stato tagliato da poco. Quello che mi ha maggiormente stupito e amareggiato è stato il modo in cui la grossa pianta è stata tagliata: all’altezza di circa un metro dal terreno, proprio al di sopra del cestino ecologico per la raccolta dei rifiuti, una cosa degna del premio Attila .

Conosco che le Amministrazioni pubbliche per finanziare le loro opere hanno bisogno, anche, dei proventi del legname che abbonda nei nostri boschi costituiti di migliaia di ettari di catasto, ma era proprio necessario, con un bosco ricco di conifere come il nostro, abbattere quell’ abete secolare che era l’ unica pianta che dava riparo e ristoro da quel lato della strada ?

In questi casi qualsiasi risposta o giustificazione sono del tutto inutili, perché per far crescere una pianta di quelle dimensioni occorre un secolo o forse più. Era necessario valutare attentamente prima. Ora il danno è fatto ed è irreparabile. A una decina di metri dal grande abete ne cresceva un altro, di più ridotte dimensioni, anche quello tagliato… che dire.

Non mi pare sia una scelta felice e neppure un esempio da poter esibire ai giovani che guardano con interesse al mondo della natura e dell’ecologia sostenibile.

 

Quel giorno, sono ritornato verso casa, deluso e amareggiato da tanta insensibilità e superficialità nel modo di prendere delle decisioni che poi risultano definitive ed irrevocabili.

 

Una domenica, poco tempo dopo, sono tornato a Port passando per Livo. Scendendo giù per la stradina fino al ciocco del grande abete, mi sono fermato un attimo per poi ho riprendere il tragitto e scendere per arrivare ai prati e al torrente.

Giunto in fondo alla stradina, dove il terreno comincia a essere pianeggiante, in mezzo al verde dei prati e l’oscuro verde cupo del bosco, ci sono dei masi. Uno di questi è di proprietà di Carlo, un mio grande amico di vecchia data. Man mano che mi avvicino, si sente più chiaro il vociare di ragazzini e di gente. Inoltre sento anche il profumo inconfondibile della polenta che cuoce. Dal camino, infatti, esce un abbondante fumo, segno inequivocabile della presenza di qualcuno che cucina o si scalda.

Appena Carlo mi vede, mi viene incontro e non sente ragioni: vuole a tutti i costi che rimanga a pranzo con lui e la sua bella famiglia. Chiede, infatti, alla moglie Nadia di aggiungere un posto a tavola. Avverto via radio casa mia per comunicare che non sarei tornato per pranzo ed entro nel maso dell’amico.

 

 

Un ambiente famigliare con le parti in legno predominanti che offrono uno straordinario senso di calore, di antico, tipico delle nostre vecchie case di una volta, con il caminetto all’ ingresso che arde con i grossi ceppi che scoppiettano, il lungo tavolo di legno, dall’ inconfondibile tovaglia tirolese a quadrettini bianche e rossi. Dalle pareti pendono numerosi cimeli della vita agreste di molti anni fa, come: un basto da soma, dei cesti e gerla in vimini, un orologio incastonato tra le corna di un cervo, inconfondibile segno che qualche componente la famiglia era cacciatore, e decine di altri piccoli oggetti di lavoro e da cucina Era un vero e proprio museo degli usi e dei costumi di tanti anni fa della nostra gente, che era un popolo ed una società umile e laboriosa all’interno della quale vi era un grande senso della solidarietà umana e della generosità di una comunità povera di tutto, ma ricca dei quei grandi valori sociali ed umani che ora, purtroppo, sembrano inutili ed obsoleti totalmente trascurati in questa società consumistica, tecnologica e virtuale che abbiamo costruito e della quale siamo divenuti servi sciocchi, perché lo schiavo sa di essere in quello stato ed appena trova l’ occasione cerca di fuggire, noi difendiamo a spada tratta la nostra “ schiavitù “.

Il maso, mi racconta Carlo, è stato ristrutturato da poco, con l’aiuto di amici e con l’utilizzo di materiali spesso riciclati. Si presenta ai miei occhi come una vera e propria casetta nel bosco, dotata tutti quei servizi che dispone una normale abitazione: il bagno con doccia, le stanze da letto al piano superiore, l’ impianto per l’ energia elettrica, ecologico, con i pannelli fotovoltaici. Carlo mi dice anche che in quella casetta, lui e la sua famiglia, trascorrono molto del loro tempo libero, nella tranquillità di qui luoghi incantati dove a svegliarti il mattino è il canto degli uccelli ed il gorgogliare del torrente e la sera ad augurarti la buona notte è un cielo stellato sopra di te, tra gli abeti ed i larici, che ti sembra un fazzoletto di paradiso.

Con l’aiuto e il consiglio di molti amici, Carlo ha voluto piantare vicino al suo maso dei castani appositamente innestati per produrre frutti commestibili. Si tratta del primo impianto del genere in Val di Non, una sfida ed una provocazione alla dominante ed indiscussa “ cultura della golden “. Il castano, infatti, non richiede alcun trattamento con antiparassitari, perché è una pianta che si sa difendere da sola. Richiede solamente di una potatura iniziale per sagomare le piante in modo tale che producano dei frutti.

E Carlo, di questi suoi amici me ne ha parlato con grande entusiasmo non solo per il loro aiuto fornitogli, ma in modo particolare per aver appoggiato morale al suo progetto. Carlo ci tiene molto a elencarli tutti, uno a uno: Walter Zanotelli, Alberto Conter, Andrea Alessandri, Rinaldo Zanotelli, Alfredo Zanotelli e il Perito dell’Istituto Agrario di S. Michele AA, dottor Giorgio Maresi, esperto specialista della cultura del castano.

 

Il valore delle piccole cose, della semplicità, di quella vita di un tempo che tanto ci affascina e tanto ci manca. Ma ora tutto questo lo abbiamo demolito, in nome del progresso che ci ha resi schiavi di una società fondata sul profitto, sul capitale, dove uno non conta perché E’, ma conta per quanto HA…

E poi andiamo a cercare negli agritur o nelle strutture di montagna quel tempo perduto, fatto di “ polenta e poina”, fatto di tanto sudore, ma dove era di casa e di moda la solidarietà umana, e quando si doveva ammucchiare in fretta il fieno secco perché veniva un temporale, il contadino del prato vicino “l’ te dova na man “.

Voglio fare un complimento al mio amico Carlo per il coraggio della sua scelta di investire denaro e fatica in un progetto controcorrente rispetto alla cultura dominante, sia con il recupero del suo maso che con il progetto dei castani e gli faccio un augurio, che viene dal profondo del cuore, affinché i suoi castani crescano rigogliosi e presto producano frutti, per la grande amicizia che mi lega a lui, per la simpatia che ho per il suo progetto, per quel suo essere stato sempre “ contro “, anticonformista e rivoluzionario, con idee diverse dalle mie, ma con il rispetto reciproco che ci accomuna, come si conviene alle persone dal libero pensiero .

 

Il valore delle piccole cose, ti porta, poi, a voler rivedere e toccare con mano, quelle piccole opere per le quali ci hai messo l’ anima e tanta fatica.

Così, un giorno d’ estate, Carlo, mi ha nuovamente portato nella sua proprietà di Port, a verificare la crescita delle piantine di castagno ed ho potuto osservare l’ entusiasmo e la soddisfazione, brillare negli occhi del mio amico e constatare di persona che tutte le piantine sono germogliate e crescono rigogliose.

Un bicchiere di vino, lucaniche e formaggio, quattro chiacchiere, mentre i ragazzini giocano, il focolare che arde, allegro e crepitante, nella magica atmosfera del maso , immerso nel silenzio del bosco con fresco degli abeti, qui , il tempo ha un'altra dimensione e ritrovi il valore delle piccole cose !