A" Termen al loch " !!!

 

(Il confine alla vigna !!!)

 

Una favola, meglio una leggenda dal sottile fascino esoterico e con una morale ben precisa l’ ho sentita narrare quando ero ragazzino dai vecchi del mio villaggio, nelle stalle d’ inverno alla luce delle lampade a petrolio nel locale più riscaldato delle vecchie case contadine fatto ad avvolti a botte come erano definiti a quel tempo gli archi romani.

Al tempo in cui ero ragazzo negli anni ’50 quasi tutte le famiglie del paese erano contadine che lavoravano la terra di loro proprietà, pochi erano i coloni o i mezzadri alcuni erano detti masadori in quanto affittuari di un maso di altro proprietario e del terreno antistante il fabbricato che veniva lavorato a mezzadria .

Ma il terreno prediletto di tutti gli agricoltori locali, quasi un luogo sacro ai maschi del paese era la vigna che veniva lavorata con grande passione e con una particolare cura in quanto produceva allo stadio finale il nettare che tutti gli uomini fin dal tempo di Noè hanno sempre anelato e bramato in quanto portatore di euforia e di una sensazione di benessere che allontanava temporaneamente i tanti problemi della dura vita quotidiana di quel tempo, inebriava menti e cuori, scaldava i corpi e gli animi e spesso e volentieri era la causa principale di estemporanee scazzottate nelle locali bettole ed osterie, il più delle volte per futili motivi e che si risolvevano il giorno dopo con una stretta di mano e con un'altra amichevole bevuta, nessuno parlava mai di vie legali, di denunce o di avvocati perché nessuno aveva la disponibilità finanziaria per accedervi.

Il termine che definiva in modo chiaro e senza sinonimi il terreno coltivato a vigneto era detto “loch” e questo valeva per tutti i siti a prescindere dalla località in cui erano ubicati che veniva aggiunta al termine “loch”.

Questo nome si pronuncia nel mio dialetto con la c aspirata come i fiorentini; queste particelle coltivate a vite erano tutte situate alle pendici dei campi nelle zone ripide esposte al sole che scendono veloci verso i vari torrenti che fanno da confine alla zona del Mezzalone.

Si ascoltava la vecchia “Nonesa” nelle lunghe sere d’ inverno, che narrava di un non ben definito personaggio del suo paese, che non pago della dimensione della vigna di sua proprietà, pensò bene una notte di ampliarla a spese del vicino spostando i ceppi di confine fatti con una grossa pietra appuntita in alto, interrata con tre pietre collocate ai lati come dei silenti testimoni della presenza del simbolo di confine e della sua riconosciuta legalità. Giunta la sua fatale ora l’ uomo sul letto di morte tentò invano, con l’ ultimo fiato che gli restava, di spiegare ai parenti il rimorso che lo tormentava affinché ponessero rimedio loro e riportassero il confine alle sue origini, ma non vi riuscì.

Continuò a mormorare fino alla fine una frase che i presenti non compresero e che restò un rebus :

termen al loch !... termen al loch ! …! “

Non è dato a sapere se il proprietario truffato si fosse accorto o meno del furto subito che però non passò inosservato al Signore della Divina giustizia che spedì all’ inferno il ladro della terra più preziosa che un contadino potesse ambire a quei tempi : il “ loch “.

E la prova della veridicità di questo fatto la puoi sentire se ascolti con attenzione nelle notti estive di luna, tra lo stridio degli ultimi grilli mentre si chiude il sipario del giorno e la notte viene annunciata dal canto triste della Upupa e di altri uccelli notturni, se ascolti bene tra le folate di vento portate dal lago sentirai un grido lontano: è la voce di un uomo disperato dalla dannazione eterna, che ancora oggi vaga tra le vigne dai grappoli pendenti con una zappa in mano alla ricerca del “loch” per tentare di riportare alla posizione giusta il ceppo di sasso che faceva da confine, ma non gli riesce più di trovare il posto giusto; è questa infatti la singolare pena alla quale è stato condannato all’ inferno. Gli è stato concesso l’ uso della memoria dal tramonto fino all’ alba, pertanto lui tutte le sere dopo il tramonto del sole torna nei pressi del paese e con la zappa in spalla si incammina verso il vigneto per rimediare al male fatto in vita e ristabilire il giusto confine alla vigna.

Cammina tutta la notte sulle strade del villaggio a lui ben note e si avvia poi sul sentiero che conduce alla vigna, ma in cielo ormai comincia ad albeggiare e la memoria del condannato si affievolisce sempre più fino a non ricordare la giusta via che porta al vigneto.

Non trovando più il posto da allora vaga di notte gridando nel vento la sua disperazione e pronunciando sempre la stessa frase:

Termen al loch !... Termen al loch !... “ ( il confine alla vigna !!! )

© Bruno Agosti