I baiti

 

Le baite

 

Tutto il territorio del mio paese, a partire dal fondo valle, fino ad arrivare alla quota di alta montagna, è punteggiato da decine di “ baiti “ che sorgono a fianco delle strade poderali, forestali e montane.

Il “ bait “ è una piccola abitazione, costruita generalmente in legno, non mancano però quelli costruiti in pietra, in esso si trova sempre un focolare, ai miei tempi, ancora aperto con la fiamma libera, come un caminetto, c’ era anche un giaciglio, simile ad un letto, formato da un vecchio materasso o più semplicemente da paglia o fieno. In quelli dei poderi coltivati a vigneto, c’ era una vasca in cemento o un grosso bidone di metallo per la raccolta dell’ acqua piovana, che sarebbe poi servita per miscelare i prodotti antiparassitari, come rame, zolfo, ecc. che servivano per irrorare le piante di vite, Il “ bait “ è l’ abbreviativo di baita di montagna, che è una costruzione tipica delle zone alpine e di montagna, tanto apprezzate dal moderno turismo, che cerca quei luoghi che ha contribuito a distruggere in questi anni, con una discutibile mentalità consumistica, che ha privilegiato il turismo di massa, le crociere sulle grandi navi, i safari ecc.

E’, però, anche il sinonimo di precarietà, di povertà, di una situazione provvisoria e destinata a pochi giorni di utilizzo nell’ arco dell’ anno. Il “ bait “, infatti, era utilizzato dai contadini e dagli allevatori di bestiame, come rifugio provvisorio per il tempo strettamente necessario a finire il lavoro agreste in quella località, che risultava troppo distante da casa per poter far ritorno il mezzogiorno per pranzo o in certi casi, serviva anche come rifugio per la notte, specie quelli di montagna.

Nel bait “ ci si portava il cibo, gli attrezzi per il lavoro

Ci si arrivava, al mattino presto, a piedi o con il carro agricolo trainato dalle mucche o dal cavallo, si depositavano gli attrezzi agricoli e si mettevano le mucche, legate, nel lato opposto all’ ingresso, all’ ombra e veniva dato loro dell’ erba raccolta intorno ed un secchio di acqua da bere, poi si iniziava il lavoro nei campi o nella vigna. Quando la campana suonava le 11, la donna lasciava il campo ed andava nel “ bait “ a preparare il pranzo per il resto della famiglia che era venuto a lavorare nei campi. Per lo più, in estate, non si accendeva il fuoco, perché troppo caldo e troppi pericoli di incendi boschivi, si preferiva mangiare al sacco, polenta fredda e formaggio o lucaniche, un bicchiere di vino buono per gli adulti maschi e del caffè di orzo freddo con un po’ di vino dentro, per le donne.

Solo tempo dopo, con la disponibilità dei moderni contenitori termici e delle bombolette di gas portatili, fu possibile avere un pasto caldo, minestrone o spezzatino e polenta tenuti al caldo dalle termoos o scaldati sui fornelletti a gas, alla fine si metteva sul fuoco una moka di caffè del moro e per i maschi ci si aggiungeva anche un goccio di grappa come correzione, insomma un lusso !

 

Dopo pranzo ci si riposava un poco, a volte c’ era il tempo per un sonnellino, in attesa che il sole seccasse il fieno, ed allora nel “ bait “ c’ era l’ angolo attrezzato con un vecchio materasso e delle vecchie coperte e lì ci si sdraiava e ci si riposava per un pò di tempo.

C’ erano dei “ baiti “ che disponevano anche di un sotto tetto, come una piccola mansarda, ci si accedeva mediante una scaletta a pioli, poi , si doveva camminare abbassati perché lo spazio era poco e basso, però per dormire si stava comodi ed all’ asciutto. Il “ bait “, era un luogo che esercitava un certo fascino, specie su noi ragazzini, era sempre un avventura nuova tutte le volte che si andava in un podere dove c’era il “ bait “, ci si poteva divertire giocando a nascondino, alla guerra, o agli indiani, i “ baiti “ erano sempre aperti, c’ è una legge che lo stabilisce con il criterio di essere dei rifugi in caso di maltempo o perché si era fatto tardi nel campo e la notte stava per calare e non si riusciva a fare ritorno a casa, allora si pernottava nel “ bait “ e con l’ occasione ci si alzava presto al mattino, quando l’ aria era fresca e le membra rilassate dal sonno, per iniziare di buona lena il lavoro.

Un particolare e nuovo affascinante richiamo, quasi un profumo di novità e di primavera, venne poi esercitato dai “ baiti “, quando fui più grandicello, e madre natura mi faceva capire tante differenze tra me e le mie amichette, quando la vita chiede il tuo contributo alla perpetuazione della specie, e lo fa in modo elegante, dolce, gentile, ti fa notare certe diversità tra te e la ragazzina, che non la vedi più con gli occhi di un bambino, ma sei attratto proprio da quelle diversità nascoste e la curiosità lascia il posto ad altri sentimenti di dolcezza verso quella creatura che ti sembra esile, indifesa, che sembra voglia chiedere il tuo aiuto, la tua protezione, ma non è così, e scopri invece che è un essere forte, a volte testardo, ma sempre dolce, schietto e deciso, e a questa femmina, prima o poi, ti attacchi e non ti separerai mai più.

Ma cosa c’ entrano i “ baiti “ in tutto questo ?

Sono stati e restano per me l’ inizio dell’ avventura della vita, quando ti senti un eroe, capace di abbattere il mondo, quando saresti pronto a morire per lei, quando, oltre lei, non c’è nessun altra, c’ è solo il vuoto nello stomaco che ti rode, e allora la portavo nel nostro “ bait “, soli, la domenica pomeriggio, con il registratore a bobina che suonava le musiche degli anni ’60, quelle vecchie canzoni melodiche… che tenerezza, che nostalgia. E si restava, soli, un aranciata per due cannucce, i biscotti fatti in casa da lei, si ascoltavano quelle canzoni di una volta, quando finiva il nastro lo si girava sul lato B, e così fino all’ ultimo milliampeere delle pile. A volte io portavo con me la mia armonica a bocca, così, quando erano finite le batterie del mangianastri, mi mettevo a suonare qualche canzone, per allungare il tempo di permanenza nel “ bait “. Qualche piccola avance era quasi d’ obbligo, per il maschio, ma si otteneva al massimo un bacio su una guancia, e speravi che ti rimanesse il segno del rossetto delle sue labbra, per poterlo vantare davanti ai tuoi amici, non si andava mai oltre, c’era una morale rigida ed assoluta in materia di sesso e tutti rispettavano queste regole, ed era bello parlare assieme, scoprire un mondo nuovo, quell’ universo che è la donna, la sua semplicità e la sua tenacia, la sua dolcezza e il suo calore umano che la rende prima femmina, poi madre.

 

Ancora oggi, a distanza di anni, ricordo con infinita dolcezza quei momenti spensierati e felici, avevo solo poche lire in tasca, come tutti allora, ma con quel poco, unito a tanta fantasia e tanta gioia di vivere, nonostante tutti i miei handycapp, siamo riusciti a divertirci , con semplicità, in modo sano e corretto. Ricordo quel tempo con una struggente nostalgia, e quando ho modo di rivedere quelle mie amiche, ricordiamo insieme quei giorni fatti di vento, di vecchie canzoni, di infinita dolcezza, trascorsi nel “ bait “ , e mi sento in obbligo di ricordare, con riconoscenza, questi luoghi, per le lezioni di vita che mi hanno saputo dare, mi hanno insegnato che le donne hanno bisogno di uomini che le portino rispetto, le amino con tanta dolcezza, e sono capaci di ripagarti con la loro vita.

 

Bruno Agosti

Brano tratto dal romanzo autobiografico I giorni delle bacche acerbe.

 

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