Compleanno alla malga Binaggia

 

Era il giorno di sabato 16 agosto 1958 , era ancora notte fonda ed il villaggio era ancora immerso nel sonno quando venni svegliato da mia nonna che era venuta quatta quatta nella mia cameretta dove dormivo come un ghiro: sveglia, che l’è ora de nar su la malgjia ! .

Era un sabato e mio padre aveva deciso di andare a raccogliere funghi in alta quota dove difficilmente passavano i rari cercatori di funghi di quei tempi e poi era il periodo giusto per la raccolta dei finferli e delle brise ed altre specie di miceti.

Mio padre preparò nello zaino dei viveri e delle bevande, quel tanto che bastava per il viaggio perché poi in malga i pastori che conoscevano mio padre , avrebbero pensato loro a rifocillarci e darci da dormire.

Ero troppo piccolo allora per immaginare quanto fosse lontana da casa la malga Binaggia e poi lo spirito di avventura ed il fascino dell’ ignoto mi diedero tanto coraggio e tanta forza per affrontare i 20 chilometri che ci separavano da casa alla malga.

Passando a Livo verso le 04 del mattino, ci fermammo dal panificio Comini a comprare il pane per il viaggio, ricordo che mio padre mi comprò anche una cioccolata, cosa imprevista e che mi mise subito addosso tanta allegria.

Poi ripartimmo svelti verso Bresimo che da Livo dista circa 6 chilometri, fino lì non ci sarebbero state altre tappe la strada infatti si inerpicava tra i boschi e non si incontrava anima viva.

Albeggiava quando entrammo nell’ abitato di Bresimo dove mio padre conosceva molta gente ed era anche ben visto dalla popolazione, si può dire che era un eccezione particolare perché noi dei paesi di Livo e Preghena non eravamo ben visti dalla popolazione e le ragioni andavano ricercate in vecchi rancori riguardanti la proprietà del monte Forzio un monte che confina con le proprietà di Livo. Dieci anni più tardi si sarebbe aggiunta anche la bega della caccia sulla Malgaccia che sarebbe durata 40 anni con un infinità di ripicche da entrambe le parti. Ma questa è un'altra storia.

Ci fermammo in una locanda POZZATTI a conduzione famigliare, credo che si chiamasse “ L’ auscela “ , ma quello che non scorderò mai furono le coccole di una donna molto premurosa che mi fece ingerire quasi a forza un uovo fresco sbattuto nel latte e zucchero, una vera delizia per “ qual popin “ .

Rifocillati riprendemmo la strada verso la valle de Ciamp dove ebbi la fortuna di assistere ad uno dei più belli ed affascinanti spettacoli della natura.

Era il momento dell’ alba ed il sole scendeva lento lambendo i monti a larghe fasce ad illuminare uno scenario da fiaba. Il colore dei pascoli cambiava rapidamente da un verde scuro ad tenue verde pisello, i gialli botton d’oro che sembravano assopiti dal buio della notte sembravano come rialzarsi per scrollarsi di dosso il sonno, e si lasciavano baciare dal nuovo sole, scrollandosi di dosso la rugiada mattutina e mostrando tutto il loro splendore nel verde del pascolo con un effetto policromatico da mozzafiato e tutto il pascolo riprendeva la vita man mano che veniva riscaldato dai raggi del sole, tornavano a svolazzare le farfalle con le ali multicolori, i grilli e le cicale iniziavano il loro canto assordante, le cavallette saltavano con lunghi balzi da un posto all’ altro e la rugiada che si asciugava al sole si trasformava in una nebbiolina evanescente impregnata di profumi, che durava pochi istanti giusto il tempo per poter odorare quei profumi di fiori freschi e di prato che la natura ci regalava.

Si camminava così sulla stradina sterrata che attraversa la valle di Campo ammirando quel paesaggio da cartolina, ogni tanto la stradina era attraversata da un rigagnolo di acqua limpida e purissima e là dove il ruscello aveva una portata d’acqua maggiore veniva fatto scorrere in un fosso più profondo e la strada passava sopra un ponticello di legno tanto carino da sembrare quello dipinto sui libri di scuola. Ero al mio secondo anno di scola e cominciava il tempo delle grandi scoperte nel infinito scenario della vita, che propone a chi sa osservare con occhi fanciulli tutte la meraviglie di cui dispone e tutti quei magici effetti che escono dal meraviglioso cappello magico di madre natura. Non ho mai scordato quei luoghi incantati da quelli scenari da favola, la mia fervida ed attenta memoria di fanciullo ha raccolto e rinchiuso nel cuore quei fiori e quei profumi di quei giorni indimenticabili di gioia di vivere.

Ora che sono adulto torno spesso il quei prati nella valle di Campo e mi piace camminare ancora sulla vecchia stradina a fianco ai verdi pascoli e di tanto in tanto entrare per un breve tratto nel prato a risentire l’ odore inconfondibile dell’ erba fresca.

Si camminava spediti per la stradina che si faceva e tratti molto ripida, di tanto in tanto ci si fermava a bere dalle numerose fontanelle naturali che zampillavano acqua limpida e fresca delle sorgenti alpine.

Ogni tanto mio padre guardava il cielo che si stava annuvolando con nube nere dense e minacciose quelle che normalmente precedono un temporale estivo in alta quota. Ed il temporale arrivò improvviso e violento proprio mentre avevamo appena iniziato a salire la ripida stradina che porta alla malga Binaggia e che si distacca con un bivio dalla strada che porta alle malghe Bordolona e Malgazza una stradina irta e stretta transitabile solo a piedi da uomini ed animali che portavano in quota il necessario per far funzionare la malga. Tuoni violentissimi s succedevano con rapidità e grande fragore seguito poi dell’ eco che si spargeva tra le gole dei monti, si continuò a salire sotto un vero e proprio bombardamento di saette, poi, improvvisa e violenta arrivò la pioggia che ci investì in pieno, gli alberi a quella quota di quasi 2000 metri erano rari e molto piccoli e poi mio padre mi disse che durante un temporale era molto pericoloso rifugiarsi sotto un alberi, specie sotto un larice e così proseguimmo a testa bassa e con il berretto calato sugli occhi, meglio bagnati che colpiti da un fulmine esclamò mio padre.

Dopo una mezz’ oretta il temporale cessò ed in cielo riapparve il sole assieme ad un grande arcobaleno che andava da un monte all’ altro, eravamo bagnati fradici e non avevamo vestiti di ricambio, allora mio padre mi spogliò dei vestiti inzuppati di acqua e mi fece camminare soltanto con le mutandine che a quel tempo erano cucite a mano ed erano molto grandi da sembrare dei pantaloncini .

Arrivammo in vista della malga nel primo pomeriggio e subito i pastori che conoscevano molto bene mio padre ci vennero incontro a ci fecero accomodare all’ interno della casera dove ardeva un bel fuoco di grossi ceppi di larice che scoppiettavano e spargevano scintille , ci fecero sedere e subito scaldarono del latte mentre misero ad asciugare i panni bagnati vicino al fuoco. Mi fecero bere una grande tazza di latte caldo con dentro il toccasana per ogni tipo di male ossia un cucchiaino di grappa ed un poco di miele, lo bevvi con avidità a piccoli sorsi perché ancora molto caldo, ma quel latte dal gusto un po’ strano e particolare mi ridiede subito calore e forza, mi spogliarono del tutto e mi misero addosso una grande giacca di uno dei pastori, mi infilarono le maniche nelle gambe ed il resto me lo avvolsero come una coperta, poi prepararono un posto con del fieno su un letto a castello e mi deposero lì. Mio padre tolse dallo zaino la cioccolata e me ne fece mangiare la metà, poi addormentai quasi subito perché ero molto stanco dal viaggio e che era stato molto faticoso ed avventuroso anche a causa del violento temporale nel quale eravamo incappati.

 

Mentre io dormivo beato, nella malga ferveva il lavoro della mungitura delle mucche, allora non esistevano le moderne mungitrici meccaniche, si mungeva il latte a mano nei secchi metallici zincati perché più igienici e pi facili da pulire, il “ pai “ il grosso paiolo nel quale veniva prodotto il formaggio e le bacinelle dove veniva conservato il latte al fresco perché venisse a galla la panna, invece erano di rame.

Mio padre aiutò i pastori a mungere sia la sera che il mattino successivo, ricambiando così la cortesia che di avevano fatto scaldandoci e rifocillandoci. Tutto avveniva alla luce delle lanterne a petrolio, ai miei tempi la corrente elettrica cominciava ad essere un lusso in molte abitazioni ma non tutti ne erano ancora provvisti, c’ era chi ancora usava le candele e le lampade a petrolio.

Arrivò l’ alba di domenica 17 agosto 1958 quando mi svegliai rilassato ed arzillo dopo quel lungo sonno ristoratore, mio padre mi accompagnò a fare i bisogni nella stalla in un angolo dove mancava una mucca, poi mi aiutò a vestirmi con i panni belli asciutti e caldi mi mise i berretto in testa e mi portò fuori dalla porta della malga. L’ aria era frizzante a 2213 metri di quota, ma valeva la pena rimanere all’ aperto per ammirare uno degli spettacoli più belli e più affascinanti che madre natura concede tutte le mattine: L’ alba.

Era di un rosso fuoco e pareva che le montagne bruciassero divorate da alte fiamme che piano, piano le avvolgevano di luce, una luce sempre più intensa con un crescendo che se ci mettevi la sinfonia dell’ inno alla vita di Beethoven si abbinava in un modo plastico e meraviglioso. Rimanemmo lì a guardare quello spettacolo affascinante seduto sullo steccato che delimita il pascolo fino a quando il sole aveva divorato i monti ed ora ci baciava con il suo calore.

Mio padre mi consegnò l’ altra metà della cioccolata dicendomi : buon compleanno figliolo !

Avevo raggiunto l’ età di sette anni ed ero salito a piedi per la prima volta fino alla nostra malga, superando anche la terribile prova del violento temporale in montagna ed ero anche riuscito a bere il latte con la grappa, ormai ero un uomo !

Non ricordo i nomi dei pastori che erano in malga al nostro arrivo, ma di loro ricordo la grande semplicità e disponibilità che ebbero nei nostri confronti accogliendoci e rifocillandoci, ancora oggi rivedo quelle facce con la barba lunga, la pelle scura bruciata e rinsecchita dal tanto sole di montagna e dal fumo costante del fuoco aperto che invadeva i locali della casera e della zona dove c’ erano i miseri giacigli di paglia e fieno dove dormivano.

A colazione mi prepararono del latte con il caffè da orzo e in via del tutto eccezionale perché era il mio compleanno, ci misero due cucchiaini di zucchero, mi augurarono in coro Buon compleanno e mentre io mangiavo di gusto loro si facevano un grappino versando dalla bottiglia che aveva portato mio padre dal paese come omaggio per la nostra presenza.

Verso le nove ci preparammo per scendere lungo il pascolo e raccogliere funghi come avevamo stabilito, salutammo e ringraziammo di cuore tutti i pastori della Binaggia e piano piano zigzagando tra l’ erba per meglio vedere la presenza dei funghi, ci allontanammo dalla malga . per un po’ ci voltavamo a rivederla ed a salutare di nuovo, era sempre più piccola con l’ immancabile filo di fumo che saliva dal camino, fino a quando dopo essere scesi ancora per un ripido pendio, sparì del tutto dalla nostra vista.

Intanto si era aggregato a noi il signor Rodegher Giulio di Varollo anche lui in zona a raccogliere funghi

Questa fu la mia prima grande avventura della mia vita di fanciullo, un avventura da poter raccontare ai miei compagni di classe ed al mio maestro, erano state due giornate indimenticabili, mi sentivo cresciuto, quasi un uomo, non era da tutti infatti aver fatto un tragitto così lungo a piedi a sette anni.

Tornati a Bresimo ripassammo dalla signora che mi aveva preparato l’ uovo sbattuto il giorno precedente e ascoltata la terribile storia del temporale me ne fece mangiare un altro questa volta ci mise un cucchiaino di marsala per : “ far crapar forza a qual popin “

 

Da " IL TEMPO DELLE BACCHE ACERBE"

 

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