San Martino di Tours

 

patrono dell' arma della fanteria

 

 

Ricerca storica a cura di

 

Bruno Agosti

 

 

Storia di una devozione

Nella sua monumentale Historia longobardorum, Paolo Diacono narra come nel 568 d.C. Felice, vescovo di Treviso, nel tentativo di scongiurare la devastazione della città e della diocesi, sia andato incontro al re longobardo

Alboino mentre stava per attraversare il fiume Piave in perfetto assetto di guerra. Il successo dell'ambasciata di Felice

non fa parte della storia che stiamo scrivendo, ma giova ricordare che Paolo Diacono, nel parlarci di Felice, trova il

pretesto per regalare al lettore una commovente nota autobiografica: la sua visita nel 785 circa, alla tomba di Venanzio Onorio Clemenziano Fortunato, santo e letterato.

Venanzio Fortunato (535-603) fu in gioventù compagno di studi di Felice. Originario di Valdobbiadene, studiò

dapprima nelle scuole di retorica locali, quindi ad Aquileia. Nel 560 si trova a Ravenna assieme a Felice per perfezionare gli studi di grammatica, retorica e diritto, ma entrambi risultano drammaticamente affetti da una grave malattia agli occhi che li porta in breve alla quasi totale cecità. Sperando di trovare nella devozione la guarigione,

Venanzio e Felice compiono una visita alla Chiesa dei SS. Paolo e Giovanni (esiste ancora a Ravenna), e da una nicchia

ricavata su un muro toccano l'olio consacrato di un'ampolla e, bagnandosi gli occhi, ricevono inaspettatamente una

fulminea guarigione.

La nicchia e l'ampolla erano collocati sull'altare di San Martino confessore, vescovo di Tours.

La storia tace sulle ulteriori vicende di Felice. Su Venanzio, al contrario, sappiamo molto: decise di recarsi in

pellegrinaggio sulla tomba di San Martino, a Tours e non rivide più l'Italia ne la sua amata Valdobbiadene. In Gallia,

dopo un viaggio durato due anni, fu ordinato sacerdote e nominato vescovo di Poitiers (592 ca), e, soprattutto, poté

dedicarsi alle lettere, scrivendo un monumentale corpus di poemi, storie e carmi (tra gli altri il Vexilla regis prodeunt ed

il Pange lingua), e componendo, "secondo a nessun poeta", l'ultimo grande poema della latinità De vita Sancti Martini, ovvero una biografia in verso eroico del nostro santo.

Un santo sconosciuto, eppure importante

GeneraImente San Martino è conosciuto per la nota vicenda del mantello, secondo la quale, imbattendosi alle porte di Amiens in un povero che mendicava sotto il cielo grigio d'un rigido inverno, prese il mantello e "sparti ad entrambi a un

tempo e il freddo e il caldo"; della sua biografia, i più sanno ricordare che fu vescovo di Tours, e che operò soprattutto

in Francia. Oltre a questo, poco altro. Ma se consideriamo che il santo visse oltre ottant'anni (ca 315-397), e che

l'episodio del mantello è da farsi risalire ad un'epoca in cui Martino non era ancora ventenne, può risultare forse utile spendere due parole per illustrare colui che fu, senza ombra di dubbio, uno dei più grandi santi che la sequela di Cristo

ci abbia donato: visse in un periodo in cui nell'Impero Romano, in lento declino, andava affermandosi il culto cristiano,

fu soldato, fu commensale di aristocratici e imperatori, diede vita al monachesimo occidentale, fu attivissimo nella conversione delle campagne e nella creazione delle prime parrocchie rurali, fondò i primi monasteri, operò, ancora in

vita, numerosi miracoli e liberazioni dal demonio. I primi quarant'anni di Martino

Martino nacque nel 315 circa nell'attuale città ungherese di Szombathely (Sabaria). Crebbe in ogni caso a Pavia, dove il

padre, tribuno militare, si trasferl presto con la famiglia. Verso i dieci anni entra in contatto con il cristianesimo, e diventa catecumeno. Nonostante il ripetuto disprezzo per la vita da soldato, Martino, sulla base di un editto imperiale che imponeva la leva ai figli dei veterani, fu costretto dal padre a prestare giuramento militare. Ha quindici anni, e rimarrà in servizio per oltre vent'anni. A questo tempo risale l'episodio del mantello, definitiva conferma della sua fede

in Cristo. La notte seguente l'atto di generosità, infatti, il nostro santo sognò una moltitudine di angeli splendenti, ed in

mezzo a questi il Cristo che diceva: "Martino, ancora catecumeno, mi ha ricoperto con quest'abito". Tale conferma

divina alla bontà della sua fede, lo spinse a farsi battezzare immediatamente. L 'abbandono della lunga carriera militare

avvenne sotto gli auspici di un fatto memorabile. Mentre i barbari premevano lungo i confini delle Gallie, Martino, che

aveva intenzione di chiedere il congedo, rifiutò i donativi che l'imperatore Giuliano l' Apostata, com'era abitudine in

quelle circostanze, stava offrendo ai soldati impegnati nella campagna militare. L 'imperatore, adiratosi, promise che

l'avrebbe mandato in battaglia per primo, davanti all'esercito schierato. Martino, dal canto suo, rispose che sarebbe

andato incontro al nemico disarmato e nel nome del Signore Gesù. L 'indomani, prima dell'inizio della battaglia, i nemici inviarono dei legati per trattare la pace, e l'insperata vittoria venne letta da tutti come segno della misericordia divina a protezione della vita di un soldato nella fede.

Martino missionario e monaco. Il primo miracolo. Lasciato l'esercito, Martino, visse un primo periodo di perfezione spirituale a Poitiers, presso Sant'llario vescovo. La sua permanenza presso il maestro fu breve: sollecitato da un sogno, parti per la Pannonia (l'attuale Ungheria) allo scopodi convertire i genitori. Sarà a Poitiers molto più tardi, dopo aver convertito la madre, combattuto, con alterne fortune l'eresia ariana (negatrice della natura divina di Gesù) in Illiria e a Milano, e trascorso un periodo di eremitaggio nell'isola di Gallinara, sulla costa ligure. Ritornato da Sant'llario, si stabili a Ligurè, poco lontano da Poitiers, per vivere da eremita, in preghiera. Di giorno in giorno, comunque, sempre più catecumeni desideravano affiancarsi a

Martino in quella scelta di vita orientata tutta a Dio.