La leggenda dell’a battaglia dell' “ iscla della mort “

 

Il racconto leggendario DELLA BATTAGLIA DELL’ ISCLA DELLA MORT che ora vado a narrare trova la sua collocazione storica nelle vicende storico politiche riguardanti la popolazione dei Reti, che era la popolazione autoctona delle nostre terre e che visse in questi luoghi più di duemila anni orsono. Il popolo dei Reti che copriva per estensione geografica tutto l’ arco alpino dal Friuli fino al cantone dei Grigioni in Svizzera, era un popolo fiero e bellicoso nella difesa della propria stirpe e delle proprie terre.

Dell’ episodio storico che ora racconto è giunta traccia verbale fino ai nostri giorni dalla gente di Bresimo che lo ha così tramandato fino ai nostri giorni, anche se ora in modo molto sfuocato ed impreciso. Sono però convinto che questo episodio storico giunto fino a noi tramandato della memoria popolare e che noi abbiamo sentito dai nostri nonni abbia un fondamento di verità storico ed ambientale che collima con l’episodio che pur passato di bocca in bocca per generazioni e abbondantemente annacquato di fantasia mitologica popolare, trova comunque una collocazione storica veritiera nella conformazione mitologica del luogo e descrizioni degli storici romani che a quel tempo seguivano le legioni di Roma che conquistavano nuove fette di impero. La presenza di una strada romana che dal fondovalle sale verso Bresimo costeggiando il torrente Barnes e prosegue poi verso la val di Campo e verso nord, è un altro inconfutabile elemento storico della penetrazione romana in questi luoghi.

Un cenno storico dell’ avvenimento bellico è presente anche nella letteratura storica locale: si trova una breve descrizione della battaglia sul libro di Don G. Battista Depeder FINESTRA APERTA SU Bresimo (edito dalla Pro Loco di Bresimo ) ed una descrizione storica delle popolazioni retiche che abitavano queste terre molti secoli fa, la troviamo anche nel libro di Don Luigi Conter FATTI STORICI DÌ LIVO ( edito dalla Pro Loco di Livo ), che citando uno storico romano dell’ epoca descrive i Reti come “ dominus bellicosissimus

Per questo invito il lettore a voler fare una scelta:

se vuole leggere questo racconto dal punto di vista storico lo invito e voler leggere prima la storia dei Reti e della penetrazione romana nel Trentino A.A e poi passare alla lettura della leggenda.

 

 

 

I RETI NELLE VALLI DEL TRENTINO A A

E L’ INFLUENZA ROMANA

 

RICERCA STORICA

di

Bruno Agosti

 

***

 

LA PENETRAZIONE ROMANA

L'ASPETTO POLITICO/MILITARE

 

Già dagli ultimi decenni del III secolo a.C. la nostra regione inizia ad entrare nell'area di influenza romana attraverso le relazioni commerciali con i Galli Cenomani. Questi infatti già nel 225 a.C. avevano stretto un patto federativo con i Romani, che viene poi ripetuto nel 197 a.C.

La conquista del Trentino Alto Adige da parte dei Romani procede poi gradualmente, a partire già dal II secolo a.C. Occupata la Pianura Padana i Romani si spinsero a Nord, penetrando nelle valli interne delle Alpi anche per rendere più sicuro il loro dominio. La conquista delle Alpi fu lunga e difficile.

Nel 118 a.C. i Romani guidati dal console Quinto Marzio Re, si scontrarono con gli Stoni, popolazione che abitava nel Trentino. Questi, sconfitti, preferirono farsi massacrare piuttosto che lasciarsi sottomettere.

Nel I secolo a.C. i Romani occuparono pacificamente la Val d'Adige e l'Anaunia (Val di Non). Trento gode del diritto latino concesso ai Galli Cenomani, fin dall' 89 a.C. Nel 49 a.C. è ammessa alla piena cittadinanza Romana e nel 30 a.C. la città diventa un Municipium.

Nel 16 a.C. Augusto decide di organizzare una spedizione contro i Reti, guidata dai suoi figliastri Druso e Tiberio. Le Alpi orientali consentivano, grazie ai numerosi passi e valichi facilmente transitabili, un rapido spostamento delle truppe, necessario durante le campagne di conquista. Queste ragioni spingono Druso a partire nel 15 a.C. dal Trentino (che già si trovava sotto l'influenza romana ) per conquistare il versante meridionale delle Alpi. Arrivato nella conca di Bolzano, dove probabilmente fece costruire un ponte (Pons Drusi) con il suo esercito raggiunse passo Resia lungo la Val Venosta. Di questo avvenimento vi sono alcuni documenti scritti.

Nel monumento romano di Le Tourbiè, il Tropaeum Alpium, dove sono elencati i 44 popoli vinti o comunque inclusi nei confini dell'impero Romano durante le campagne militari tra il 25e il 14 a.C., compaiono anche i Venostes (abitanti nella zona della val Venosta) e gli Isarci (abitanti nella val d'Isarco o, come altri sostengono, nella val d'Adige, dal Burgraviato verso sud).

Anche alcuni storici romani parlano di questo avvenimento.

Dione Cassio scrive: «In quel tempo medesimo i Reti, che hanno le loro sedi tra il Norico e la Gallia, nelle Alpi Tridentine che confinano con la Gallia, facendo delle frequenti scorrerie nella Gallia stessa, avevano depredato anche l'Italia e avevano molestato non poco i Romani e i loro alleati che viaggiavano per quelle regioni. Per tali iniquità, dunque, Augusto spedì contro costoro Druso con un esercito, il quale, venuto a battaglia con i Reti, che lo affrontarono alla periferia dei monti di Trento, li pose in rotta con una non difficile battaglia. Per tale vittoria Druso ottenne gli Onori pretori».

Plutarco riferisce: «Augusto, non potendo più tollerare le iniquità dei Reti, spedì contro di loro Druso che li sbaragliò presso Trento. Dopo di ciò, siccome i medesimi Reti, cacciati fuori d'Italia, cionostante infestavano la Gallia, Augusto mandò contro di essi Tiberio. Druso, pertanto, e insieme Tiberio, unitamente ai loro legati, essendo entrati per molti luoghi nella Rezia, e Tiberio essendovi anche penetrato con navigli per il Lago, atterrirono i barbari e dopo averli sconfitti e dispersi, diedero ad essi la caccia, in modo che, essendo le loro genti state sbaragliate con piccole scaramucce qua e là in diversi tempi, fu agevole per i Romani distruggerli interamente e ridurre in proprio potere quelli di loro che accidentalmente erano rimasti in vita, deboli per se medesimi e abbattuti d'animo.

Ma siccome la nazione dei Reti era assai numerosa e si temeva che essi avrebbero di nuovo tentato le sorti della guerra, Druso e Tiberio condussero via da quella Regione la più gran parte della gioventù e la più robusta, lasciandovi solamente un tale numero di abitanti che bastasse alla coltivazione dei campi e non avesse forze sufficienti per ribellarsi.

(I testi di Dione Cassio e Plutarco sopra riportati in traduzione sono stati presi da B. Agostini, La mia terra, la mia gente, Ancora, Milano, 1984).

Come abbiamo visto precedentemente, anche in questi documenti viene giustificato l'intervento armato romano, addossandone la colpa ai soli Reti, detti predoni, barbari, che facevano scorrerie, depredavano, molestavano i Romani e i loro alleati, commettendo cioè iniquità. In entrambi i documenti, poi, si sottolinea come Druso e Tibero abbiano sconfitto questi popoli abbastanza facilmente e li abbiano messi in fuga o addirittura distrutti quasi completamente. Questa è certamente un visione della storia unilaterale, cioè solo dalla parte dei Romani che vogliono dimostrare che il loro intervento era giusto. Ciò che fa riflettere è però la seconda parte dello scritto di Plutarco, in cui si afferma che per evitare nuovi problemi con quelle popolazioni, viene deportata, presumibilmente come schiavi, la maggior parte dei giovani.

Con la vittoria di Druso il Trentino Alto Adige entra a far parte direttamente dell'impero romano.

L'ASPETTO AMMINISTRATIVO

 

 

La penetrazione romana e la diffusione di un apparato statale unitario porta dei grandi cambiamenti nell'area altoatesina. I territori assoggettati furono organizzati amministrativamente in provincie e regioni romane, ma non è facile stabilirne con precisione i confini. Sappiamo comunque che essi formarono le province romane della Raetia (comprendente la val Venosta con le valli laterali e una parte della valle d'Isarco), e del Norico (comprendente la val Pusteria e parte della val d'Isarco), anche se non è sicuro dove passasse il confine con la Retia. Il territorio a sud è incluso nella X Regio Venetia et Histria. Dal Municipium di Trento dipendono la media valle dell'Adige, la valle di Non e quella dell'Avisio. Verso il Nord il territorio trentino arriva probabilmente fino alla zona di Merano (Statio Mayensis) e presso Chiusa (Sublavio). La Bassa Vallagarina appartiene al Municipium di Verona, la zona sudoccidentale a Brescia e la Valsugana e il Primiero a Feltre.

LA ROMANIZZAZIONE

 

La romanizzazione vera e propria ebbe inizio con la fine delle guerre retiche e procedette lentamente. Infatti essa non fu la conseguenza di una massiccia colonizzazione, ma, a parte alcune misure immediate a carattere militare, fu lasciata al tempo e agli eventi.

Un ruolo importante probabilmente ebbero i soldati reti, che, arruolati in modo massiccio nell'esercito romano nel corso del I secolo d.C. con Tiberio o Caligola e poi con Vespasiano, tornarono in congedo nelle loro terre, portando quello che è stato definito "romanesimo di riflusso".

E' da tenere presente anche la lenta e capillare penetrazione di singoli individui o piccoli gruppi, interessati ad allargare i propri commerci anche in zone lontane. Pian piano la cultura locale scomparve, di fronte all'avanzare della lingua, della cultura, delle leggi e della amministrazione romana, rimanendo attiva solo in qualche valle più remota.

Anche in questo periodo comunque le Alpi non furono una barriera di divisione, ma piuttosto un luogo di congiunzione. Infatti la val d'Adige e la val d'Isarco, percorse da antichissimi sentieri di collegamento con il Nord, che avevano avuto una gran importanza strategica e militare durante le campagne alpine, mantennero il loro carattere sovraregionale, diventando un passaggio obbligato per lunghi percorsi. Infatti attraverso il territorio del Trentino Alto Adige si doveva passare per andare dalla val Padana al Danubio. Così l'Alto Adige divenne molto importante per l'impero romano che ne potenziò l'apparato stradale, che diventerà il meglio attrezzato delle Alpi Orientali. L'importanza di questo territorio è confermata anche dal fatto che fu certamente difesa contro incursioni di "barbari": i primi segni di distruzioni violente, infatti, si hanno solo nel III secolo d.C., con la discesa dei Marcomanni, ma si può dire che fino agli inizi del V secolo i territori della Retia e della X Regio furono generalmente risparmiati.

Dal III secolo in poi, comunque, si diffondono i segni di una certa insicurezza: nascono i castra, luoghi difesi che diventano anche zone di rifugio, e si trovano alcuni tesoretti, soprattutto di monete. Alcune persone del luogo, cioè, nella fuga nascondevano i loro averi con l'intenzione di venire a riprenderli una volta cessato il pericolo, cosa che evidentemente non successe. Uno di questi tesori, risalente alla metà del IV secolo, è stato ritrovato a Lana ed era formato da 250 monete di bronzo databili dal I al IV secolo appunto.

I RITROVAMENTI

 

Gli insediamenti di epoca romana si distribuiscono lungo le vie di transito e quindi lungo la val Venosta, la val Passiria e la val d'Adige.

Lungo la val d'Adige vi è il castrum "Maletum", distrutto dai Franchi e individuato probabilmente nella zona di Meltina. Importante era anche Nalles, dove sono state trovate 2 iscrizioni funerarie e resti di colonne.

Castel Ippolito continua ad essere importante, probabilmente come punto di controllo sulla via Claudia Augusta e forse corrisponde al castrum Tesana, anch'esso distrutto dai Franchi.

Altri insediamenti nella vallata sono Lana e Postal. La presenza di alcuni reperti romani sulla riva sinistra dell'Adige, fa supporre che anche su questa parte ci fosse una strada, meno importante, parallela quindi alla Claudia Augusta.

Nella val Venosta importanti insediamenti romani furono probabilmente Malles, Oris, Laces, Corces, mentre luogo di culto e necropoli fu Parcines.

Resti della strada Claudia Augusta sono rimasti a Lagundo (ponte) a Rablà (miliario) e a Burgusio (probabili resti della strada). In val Passiria, importante è l'insediamento di Stulles, sulla via che collegava la zona di Maia con Vipiteno.

MERANO NELL'ETA' ROMANA

 

Per scrivere la storia della conca di Merano in questo periodo disponiamo sia di reperti archeologici, sia di documenti. Il maggior numero di reperti provengono da quelli che ora sono due quartieri della città: Maia Alta e Maia Bassa.

A Maia Alta la zona in cui più numerosi sono stati gli oggetti romani ritrovati è quella compresa tra Lazago e piazza Fontana , ma reperti singoli sono venuti alla luce anche in altri punti.

A Maia Bassa il luogo più ricco è quello intorno alle chiese di S. Maria del Conforto e di S. Vigilio. Gli oggetti che ci possono aiutare a datare l'insediamento sono le numerose monete ritrovate (33) che vanno dal periodo repubblicano (II, I sec. a. C.) a Teodosio ( IV sec. d.C) . Inoltre sono venuti alla luce ornamento (spilloni , fibule) dolium per vino, lucerne, oggetti d'uso comune (cucchiai, resti di vetro, ceramica e tegole). A Maia Bassa inoltre pare siano stati scoperti, all'inizio del secolo, resti forse di una strada romana, di mura di edifici romani e di sepolture (resti di urne). Inoltre è venuto alla luce il frammento di un bassorilievo.

Da Castel S.Zeno provengono resti di ceramica, monete e resti di mura. La tipologia di questi reperti e la mancanza di armi fanno pensare ad un centro abitato probabilmente da contadini artigiani e forse mercanti. Tirolo continua ad essere sede di una necropoli.

Sappiamo che nella conca di Merano passava la via Claudia Augusta e anche di questa strada abbiamo dei documenti.

A Lagundo infatti sono ancora visibili i resti di un ponte romano, (a destra da G.Tabarelli,1994) il cui pilone rimasto è alto 3 metri e largo 6,38 mentre l'altro è scomparso. Un ponte così grande, l'unico esempio dell'arco alpino, suppone che qui passasse una via importante, forse appunto la via Claudia Augusta.

Un altro documento che parla di questa strada è un miliario a Rablà. In esso è incisa un'iscrizione:

TI(berius)CLAUDIUS CAESAR/ AUGUSTUS GERM(anicus)/

PONT(ifex) MAX(imus) TRIB(unicia) POT(estate) VI/

CO(n)S(ul) DESIG(natus) IIII IMP8erator) XI P(ater) P(atriae)/

(vi)AM CLUDIAM AUGUSTAM/ QUAM DRUSUS PATER ALPIBUS/

BELLO PATEFACTIS DEREXERAT/ MUNIT A FLUMINE PADO AT/

(f)LUMEN DANUVIUM per /M(ilia) P(assuum) CC

«Tiberio Claudio Augusto Germanico, pontefice massimo insignito della tribunicia potestas per la sesta volta, console designato per la quarta, imperatore per l'undicesima, padre della patria, la via Claudia Augusta, che il padre Druso, aperte le Alpi con la guerra aveva tracciato, munì dal fiume Po al fiume Danubio per miglia 200».

Questa iscrizione indica quindi che l'imperatore Claudio nel 46 d.C. costruì la via Claudia Augusta sul tracciato seguito già da Druso. Il percorso preciso di questa via è, però, ancora oggetto di studio. La tesi più accertata afferma che la strada passasse sulla riva destra del fiume Adige fino a Marlengo e qui attraversasse il fiume Adige (pilone del ponte), per poi proseguire sulla riva sinistra lungo la val Venosta. Inoltre è probabile che da questa strada principale si staccasse un ramo che attraverso la conca di Merano, la Val Passiria e il passo Giovo, giungesse a Vipiteno.

Un altro documento è una delle tre iscrizioni votive, del III sec. d.C. scoperte a Parcines:

IN H(onorem) D(omus) D(ivinae) SANCT(ae) DIANAE

ARAM CUM SIGNO AETETUS AUG(ustorum)

LIB(ertus) P(ubblici) P(ortorii) STAT(ionis)

MAIENS(is) (quadragesimae) GALL(iarum) DEDIC(atum)

ID(ibus) AUG(ustis) PRAESENT(e) CO(n)S(ule)

In essa si nomina un certo Eteto come a praepositus o libertus pubblici portorii della Stationis Mayensis. L'ipotesi più attendibile è che questo devoto dedicatore lavorasse nella dogana detta "Statio Mayense". La data dell'iscrizione è indicata tra il 217 e il 246 d.C. Sull'esatta ubicazione di questa "statio Mayense" sono state fatte numerose supposizioni. La più probabile è che la stazione daziaria si trovasse all'imboccatura della val Venosta, nella zona di Tell, là dove la valle si restringe naturalmente e consente quindi un maggior controllo. Il nome Mayense, non sarebbe il nome di una insediamento specifico, ma un toponimo dato all'intera conca, derivante forse da un termine retico "maies" per indicare la bellezza della zona.

GLI INSEDIAMENTI

 

Pare che la conquista romana non abbia portato ad importanti cambiamenti nella organizzazione precedente del territorio. Infatti si sviluppano e nascono nuovi insediamenti in aree che già precedentemente erano state popolate. I principali stanziamenti romani si sviluppano nel fondovalle per diverse ragioni, tra le quali la più importante è certamente la presenza di vie di transito. Tuttavia in Alto Adige non sorsero in età romana centri di carattere urbano. Sorsero comunque, appunto lungo le strade principali, insediamenti importanti come Tridentum, Pons Drusi (Bolzano), Sebatum (S.Lorenzo), Bressanone. Accanto ai centri più propriamente romani continua la presenza di numerosi centri retici, sparsi nel territorio.

In alcuni degli insediamenti romani continua la presenza di case di tipo retico, mentre in altri l'influenza romana si avverte anche nell'architettura: le case sono più grandi, intonacate e talvolta anche affrescate o con mosaici e fornite di riscaldamento.

Dopo la discesa dei Marcomanni cominciano a diffondersi nel territorio i castra, nati dapprima come depositi militari e poi come sedi delle autorità locali e luoghi di rifugio e fuga per la popolazione. Dal VI secolo i castra diventano anche insediamenti stabili.

ECONOMIA

Anche durante l'epoca romana, l'economia si basava in primo luogo sull'agricoltura, fra cui molto importante era la coltivazione della vite. L'allevamento si basava ancora sulla presenza soprattutto di ovini e bovini.

Lungo le valli principali sorsero, o continuarono la loro attività, alcuni centri artigianali che producevano le merci più varie: oggetti per uso casalingo, materiali per costruzione, oggetti in metallo e ceramica, attrezzi per l'agricoltura, oggetti d'ornamento e statuette in bronzo. Sappiamo inoltre che c'erano diverse fornaci per la produzione di tegole e mattoni; poiché ogni fornace aveva un bollo particolare per contraddistinguere i suoi prodotti è quindi possibile stabilirne la zona di espansione.

Molti oggetti però erano ancora importate: dal sud vasellame particolare, oggetti d'ornamento, oggetti in marmo, specialmente statue, in vetro e in bronzo, dal nord particolari tipi di ceramiche, fibule e oggetti in vetro.

IL COMMERCIO

 

L' ampliamento della rete stradale romana, l'introduzione di una moneta unitaria e di uno sviluppato sistema di trasporto costituirono le basi per un fiorente commercio. Attraverso i passi del Brennero e di Resia si svolgeva un vivace commercio di transito che riforniva i funzionari e i militari romani come anche la popolazione civile a nord delle Alpi con generi di lusso e oggetti della vita quotidiana provenienti da sud. Per i commercianti c'erano possibilità di smercio anche nei centri cittadini di Aguntum presso Lienz e Tridentum (Trento) e in misura più modesta nel territorio rurale altoatesino. Qui le importazioni avvenivano per lo più da sud, ma anche da nord, soprattutto negli insediamenti di fondovalle della val d'Adige, della val d'Isarco e della Pusteria. Lucerne, servizi da tavola, vetri, statuette e recipienti di bronzo, ma anche generi alimentari erano le merci maggiormente richieste.

LA CULTURA ROMANA SI DIFFONDE

Accanto alla cultura locale, pian piano si diffondono, fino ad imporsi gli usi e il gusto romano.

Nell'arte i ritrovamenti confermano la presenza di sculture, soprattutto in marmo, romane o scolpite secondo lo stile romano. E' il caso, per esempio di una statua di Mercurio trovata a Cortaccia o della testina di Venere (41-45 d.C.) portata alla luce a Malles. Numerose sono anche le iscrizioni romane sia su miliari sia su lastre funerarie. Questo dimostra il diffondersi dell'uso della lingua latina.

Per quanto riguarda le sepolture, accanto ai riti precedenti del popolo retico, si diffondono man mano anche le usanze romane. Di queste abbiamo notizie da scavi documentati del Trentino, ma supponiamo che anche in Alto Adige non ci fossero sostanziali differenze.

Sono documentati sia riti di cremazione, sia riti di inumazione. Le modalità di sepoltura sono comunque simili per entrambi. Ci sono infatti principalmente 4 tipi di tombe:

alla cappuccina, costruite con dei tegoloni disposti a doppio spiovente, più due verticali di testata;

a cassa, realizzate con dieci tegoloni;

a pozzetto in muratura, molto diffuse;

in semplice terra, tipo che con il passare del tempo si affermerà sugli altri.<

> Nelle tombe vi era anche un corredo costituito per lo più da oggetti d'uso comune consistenti in un piatto o scodella, in un piccolo recipiente per bere e in un vaso particolare, detto olpe.

In qualche caso, soprattutto nelle sepolture a cremazione, sono presenti lucerne, balsamari in vetro e talvolta anche monete come l'obulus per l'al di là o, per le donne gioielli.

Nel campo più propriamente religioso, accanto al perdurare delle credenze e dei riti precedenti, si trovano indicazioni della penetrazione della religione romana. Abbiamo infatti testimonianza del culto agli dei romani tradizionali: Diana ( ara di Parcines) Venere (testina a Malles), Mercurio. Anche altri culti di origine orientale vengono portati in regione, probabilmente dai legionari. E' il caso dell'altare dedicato a Mitra, il cui culto è di origine persiana, trovato vicino a Mules, presso Vipiteno.

Testi di Massimiliano Carli, Linda Centanni, Michel Curti, Patrick De Franceschi, Alessio Rizzon, Francesco Rosani, Elisa Rossi, Enrico Schena, Luna Tomisich, con contributi tratti da:

S.Benvenuti: Storia del Trentino, Panorama, Trento, 1995

B.Agostini, La mia terra, la mia gente, Ancora, Milano, 1984

Autori Vari, I Romani nelle Alpi, a cura dell'Arge Alp, Athesia, Bolzano, 1989

G. Maria Tabarelli, Strade romane nel Trentino nell'Alto Adige, Temi, Trento 1994

M.Neri – S.Varnaccini, Sulla via Claudia Augusta Altinate, Panorama, Trento, 1998

Autori Vari, Fare storia a scuola, vol.II, Ist. Pedagogico in lingua italiana Bolzano, 1999

R. Lunz, Urgeschichte des Raumes Algund...., op.cit.Bolzano 1976

L. Dal Ri, U.Tecchiati, P.Bassetti, Archäologie und Kunstgeschichte, op.cit. 1995

L. Perini, Itinerari archeologici in Alto Adige,op.cit., Bolzano1984

Strabone, Geografia, libro III e IV, Biblioteca Universale Rizzoli, Milano 1996

 

LE ISCLE

 

Sono denominate “ ISCLE “ quelle fasce di terra che fiancheggiano i corsi d’ acqua, sono terreni a volte molto instabili ed insicuri, il cui proprietario di fatto è sempre il corso d’ acqua che ne determina i confini riservandosi di fatto per una legge fisica di creare nuovi confini senza dichiarare guerre o fare delle vittime.

 

L' ISCLA DELLA MORT OGGI

 

La battaglia dell’ iscla della mort

 

prefazione

 

La dove le montagne si chiudono salendo rapidamente fino a sembrare quasi verticali, fino a permettere quasi solo il passaggio del torrente; la dove il sole è totalmente assente nei lunghi inverni nordici e che in estate fa un rapido capolino per poche ore al giorno, la dove il torrente Barnes scende rapido ed impetuoso nelle strettoie della valle creando delle rapide e delle piccole anse tra i massi, la dove la roggia urla che non senti ad un palmo dal naso, tra i grossi abeti sparsi tra i massi a pochi passi dalla fontanella dove limpida e pura sgorga l’ acqua di San Vigilio ed il ponte in legno sul torrente Barnes da dove inizia la strada che porta a malga Laresé, si trova l’ iscla della mort.

Questo è il punto più stretto della valle, forse il più difendibile militarmente, se poi si prosegue verso le malghe Binaggia, Bordolona e Malgazza, la valle si apre, come d’ incanto, grande e maestosa con i suoi pascoli verdi stellati da una policromia di fiori di tanti colori con grande prevalenza del giallo e grandi e scure conifere che punteggiano i margini estremi dei prati creando un paesaggio mozzafiato da cartolina.

A questo punto invito i lettori a sedersi su uno dei tanti massi erratici che costellano la zona adiacente all’ iscla della mort, chiudere gli occhi e fare mentalmente un salto nella storia passata di duemila anni fino ai tempi dell’ imperatore romano Augusto ed a suo figlio Druso… e lasciar correre la fantasia.

 

 

La leggenda

 

Ridente il piccolo villaggio di Bresem formato da piccole casette in legno distribuite in ordine sparso nella conca antistante il passo di montagna che controllava la stradina che porta più a nord verso i verdeggianti pascoli alpini dall’ erba fiorita che alimentavano la pastorizia di quella piccola, fiera e laboriosa comunità che viveva nella tranquillità dei monti. A valle scorreva impetuoso il torrente Barnes anch’ esso fonte di vita con i suoi pesci guizzanti e saporiti, le sue anse dove le donne del villaggio lavavano i panni, il mulino dalle grandi ruote che giravano lente e muovevano la macina da dove usciva la farina per il buon pane; muoveva anche il grosso maglio nella fucina del fabbro ferraio che tra mille scintille batteva i metalli per forgiare ferri per i cavalli, atrezzi agricoli e domestici ed anche le armi per la difesa del villaggio.

Il suono dei corni echeggiava tra le gole e le alte vette per richiamare le pecore e le mucche al termine del giorno e riportarle all’ ovile.

La vita del villaggio che fino ad ora era scorsa tranquilla e serena, venne turbata un giorno da una notizia inquietante ed allarmante portata da un viaggiatore che commerciava in pelli ed utensili da lavoro e da casa, il quale riferì al capo del villaggio di aver notato nel fondo valle un movimento di soldati a cavallo dalle lucenti e rifinite armature armati di spade di acciaio, di lunghe lance e di archi e frecce, che si dirigevano nei vicini villaggi e davano battaglia a coloro che si opponevano al loro passaggio.

Immediatamente il Capo del villaggio convocò tutti gli uomini della comunità per informarli della notizia portata dal viandante e per stabilire una linea comune di difesa da opporre ai guerrieri venuti dal sud. Si stabilì di inviare delle vedette che potessero monitorare il territorio ed avvertissero gli altri sull’ evolversi della situazione. Partirono due giovani guerrieri del villaggio armati di spade di bronzo, arco e frecce, per controllare il territorio ed i movimenti dei soldati invasori.

Tornarono due giorni dopo e riferirono al consiglio degli uomini del villaggio di aver visto nel fondovalle un grande ed organizzato accampamento militare, con grandi tende bianche, cavalli e tanti uomini con elmi dai pennacchi colorati, corazze lucenti ed affilate spade di metallo nero luccicante al sole.

Il consiglio dei saggi decise all’ unanimità di predisporre una linea di difesa a sud del villaggio con dei posti di guardia permanenti con uomini armati e muniti di corno per poter allertare i difensori che sarebbero scesi in campo contro i soldati invasori.

La vita nel villaggio riprese, perché la vita non si ferma neppure davanti alle calamità della natura o alla guerra, perché la vita continua nonostante tutto, da sempre continua con il suo ritmo che vede passare le stagioni come una lunga interminabile ed infinita catena fondata sull’ amore.

Era rimasto però nel villaggio un senso di profonda angoscia, un senso di insicurezza che allarmava tutta la comunità e che aveva consigliato ai guerrieri di affilare le armi e restare in costante allerta. Alina una giovinetta del villaggio dalla bionda chioma e dalla bellezza nordica stava stendendo il bucato al sole di maggio nel cortile della casa di famiglia, quando si udì, lontano ma ben udibile, il suono dei corni delle vedette che avvertivano di un imminente pericolo e chiamavano i guerrieri della comunità a difesa delle proprie terre.

La ragazza rientrò veloce in casa e ne uscì poco dopo tenendo in mano la spada, l’ arco e le frecce del fratello Aldak che era nei campi ma che rientrò trafelato a casa per prendere le armi ed andare a combattere gli invasori .

Gli uomini si radunarono nella piazza del villaggio con le armi ed i cavalli che subito partirono al galoppo verso il passo per sbarrare la strada agli invasori, mentre gli uomini a piedi si misero in marcia anche loro diretti al passo alpino.

E nella striscia di prato che fiancheggia il torrente Barnes da noi denominata “ ISCLA “ , la battaglia infuriò subito terribile e violenta, come tutte le battaglie, come tutte le guerre, e le grida arrivavano, portate dall’ eco tra i monti, fino al villaggio dove le donne i vecchi ed i bambini stavano rinchiuse in casa in attesa degli eventi che il destino avrebbe assegnato loro. Tutti pregavano gli Dei della montagna che preservassero i loro cari in battaglia, pregavano tutti padri, madri, mogli e fidanzate e i bambini radunati tutti nella scuola del villaggio, mentre l’ acqua del torrente si tingeva di rosso. L’ eco della battaglia si udì per ore, ora più fragoroso ora più debole, fino a spegnersi verso sera facendo nuovamente salire il senso di angoscia e di ignoto tra la gente, poi verso sera si udirono dei rumori di zoccoli ed un passo di marcia di uomini che scendevano dalla strada che porta al luogo della battaglia.

Rientrarono in paese incatenati e resi in schiavitù i giovani del villaggio superstiti della battaglia del passo alpino, scortati dalla cavalleria romana e da dei militi armati di archi e frecce.

Avevano combattuto con valore quei ragazzi ed in molti erano caduti per difendere il loro villaggio e le loro case, con valore si erano battuti contro un nemico che non conoscevano, ma che era molto più armato ed organizzato di loro, in pace ed in guerra, venuto da sud che parlava una lingua a loro sconosciuta il cui capo era l’ imperatore Augusto. La gente impaurita usci dalle case e frugò con lo sguardo pieno di speranza tra gli uomini in catena, poi molti rientravano urlando di disperazione per non aver visto tra i prigionieri il loro caro… anche Alina pose gli occhi a quegli uomini malconci ed umiliati, li scrutò ad uno ad uno fino all’ ultimo sguardo, fino agli ultimi occhi pieni di terrore, senza trovare lo sguardo del fratello Aldak, allora scoppiò in un pianto disperato e si scagliò decisa verso le guardie romane che alzarono immediatamente gli scudi di protezione, Alina si appoggiò a loro chiedendo perché… perché !!!, poi sopraffatta dal dolore svenne.

Si fece avanti un giovane ufficiale che fece arretrare i soldati con un ordine secco, poi si piegò adagio sulla giovane e la sollevò con le sue braccia possenti e la portò in casa deponendola sul giaciglio di paglia, prese dell’ acqua fresca e le bagnò il volto fino a che non rinvenne.

E Alina si meravigliò quando sentì il soldato rivolgersi a lei nella sua lingua, quasi non credeva le sue orecchie quando lui le parlava lentamente, con dolcezza, che le sembrò di sognare…

L’ ufficiale tranquillizzò la ragazza poi le disse che loro erano soldati dell’ imperatore di Roma e che avevano avuto l’ ordine di conquistare i territori del nord, poi chiese il nome della ragazza e disse che lui si chiamava Druso…

Uscì poi assieme alla ragazza e si rivolse ai guerrieri Reti sconfitti dicendo loro che erano dei soldati valorosi e che erano stati confitti dal più potente esercito del mondo, quello di Roma che disponeva di un armamento in acciaio mentre loro combattevano con armi di bronzo e di rame; disse poi che sarebbe onorato se loro volessero arruolarsi nelle legioni romane.

Fece un cenno di comando ai soldati di guardia che subito liberarono i giovani prigionieri i quali poterono rientrare nelle loro case ed abbracciare i parenti.

Convocò poi il capo del villaggio ed il consiglio e parlò loro di Roma e delle sue leggi che avrebbero dovuto rispettare in nome dell’ Imperatore Augusto.

Alina non scordò mai più gli occhi di Druso, quel suo atteggiamento gentile pur essendo un ufficiale romano abituato a combattere ed uccidere, non li scordò più e quando di tanto in tanto l’ ufficiale tornava nel villaggio a fare rivista alla piccola guarnigione del grande impero di Roma, non scordava mai di passare a salutare la bionda Alina dalla affascinante bellezza e purezza come i monti che Druso aveva conquistato ed assoggettato all’ impero romano; poiché c’ è una legge che travalica le montagne, le pianure e gli imperi, che sradica i cippi dei confini e le barriere ideologiche, che non guarda al colore della pelle, che non ha un Dio o una religione: è la legge dell’ amore.

Un giorno Druso arrivò in rivista del presidio portando con se un secondo cavallo, passò in rassegna la guarnigione e poi si diresse come al solito alla casa di Alina vi rimase per pochi minuti e poi uscì con in braccio la ragazza che indossava un vestito romano che lui aveva fatto confezionare apposta per lei, la mise in sella del cavallo ed insieme si allontanarono verso il loro destino e nessuno li rivide mai più.

 

© Bruno Agosti