INTRODUZIONE

 

A 100 anni dalla Grande Guerra che ha avuto inizio il 28 luglio 1914, intendo ricordare in questo modo i miei compaesani che ho avuto modo di conoscere, che hanno combattuto in questo conflitto.

Intendo anche narrare alcuni episodi di fatti avvenuti nei nostri paesi nel periodo e nel contesto storico della Grande guerra.

E’ il ricordo di persone chiamate dalla loro Patria a compiere il loro dovere di soldato, scesero in campo per onorare questo patto, senza indugio, con un solo desiderio nel cuore : poter tornare al paese natio.

Molti non tornarono, altri tornarono resi invalidi dalla guerra, ma tutti tatuati a fuoco dal ricordo della tragedia della guerra.

 

 

Aliprandini Antonio

 

 

Racconto biografico

 

di

 

Bruno Agosti

 

 

 

 

 

Per parlare del signor Antonio Aliprandini, bisogna risalire al tempo degli inizi della prima guerra mondiale, giusto un secolo fa, esattamente nel 1914 quando allora , imperversava la guerra tra l’ impero Austro - ungarico, la Germania del Kaiser e il resto dell’ Europa. Allora il territorio del Trentino - Alto Adige era sotto la giurisdizione dell’ impero Asburgico e con l’ avvento dell’ ennesima guerra contro gli avversari di turno, tutti gli uomini validi di età tra i 20 ed i 50 anni, vennero arruolati nell’ esercito di Francesco Giuseppe e mandati a combattere per lo più sul fronte orientale, per paura di facili diserzioni se fossero stati inviati sul fronte Italiano. Le famiglie rimasero così sprovviste della forza lavoro necessaria per poter mandare avanti le attività agricole.

Bisogna dire per completezza di informazione, che a seguito delle tante battaglie combattute sul fronte orientale, i prigionieri russi riempirono presto i campi di concentramento austriaci, con evidenti grandi problemi di gestione economica di quelli che erano “ nemici “ e quindi bocche inutili da sfamare.

Il gabinetto di guerra Austriaco, pensò bene di trovare una soluzione al problema dei prigionieri di guerra russi assegnandoli al lavoro coatto presso le famiglie dell’ impero più bisognose e che avevano dei congiunti al fronte.

Così, un anonimo soldato dello Zar Nicola II , assieme a tanti altri suoi commilitoni prigionieri, venne assegnato a delle famiglie del Comune di Livo e di Preghena, per i lavori campestri, al loro controllo era stato delegato a Preghena un piccolo distaccamento di militari austriaci di guardia, non più in giovane età, non più carne da cannone, ma soldati di quaranta anni che avevano sede nella casa Calovini, sotto i “ponti “ di Preghena, vicino alla chiesa.

Alla signora Giuditta Carotta, classe 1881, ammogliata con il signor Aliprandini Tommaso, che era stato arruolato nell’ esercito imperiale di Francesco Giuseppe e spedito a combattere proprio sul fronte russo, alla signora toccò un bel ragazzone figlio della grande Russia dello Zar, gente di indole buona e gentile, abituati al duro lavoro dei campi della Russia zarista dall’ economia prevalentemente agricola, sradicato dalla sua isba lontana tra le bianche betulle dell’ immensa steppa Russa e trascinato nella bufera della prima guerra mondiale.

Fatto prigioniero in una delle tante e cruente battaglie,molto spesso combattute per conquistare pochi metri di inutile terra con costi di vite altissimi, miracolato e definitivamente allontanato da altre possibili battaglie, ed infine per essere stato deportato in un villaggio tranquillo del Tirolo del sud, dove si parlava una lingua diversa dal tedesco, una lingua più dolce e meno imperiosa ( italico cuore italica mente, italica lingua qui parla la gente… ) e dove la donna che lo aveva in “ comodato gratuito “ presto si innamorò del bel giovanotto che parlava una lingua ostica al suo udito, e che non capiva una parola di quello che diceva lei, ma che, mi piace pensare, ha saputo prenderla con dolcezza e regalarle momenti di intenso amore, nella calda estate del 1916, distesi tra i fiori dei campi di sua proprietà.

 

Trascorsi i nove classici mesi che madre natura ha destinato per questi eventi, nacque in casa Aliprandini un bel bambino che venne chiamato Antonio, era il 19 aprile del 1917, che crebbe con la madre ed il padre naturale fino all’ avvento della rivoluzione Bolscevica detta Rivoluzione di ottobre, che decretò la tragica fine politica ed umana dello Zar Nicola II e di tutta la sua famiglia, pose fine alle ostilità contro gli Imperi centrali e rese possibile la liberazione immediata di tutti i prigionieri di guerra Russi detenuti in Austria e di quelli austriaci detenuti in Russia, e così il padre di Antonio fece ritorno nella grande madre Russia divenuta socialista e bolscevica.

La signora Giuditta che era sposata ufficialmente con Tomaso Aliprandini, classe 1872, che era stato arruolato nell’ imperiale regio esercito austroungarico e mandato a combattere proprio contro i russi, all’ avvento della rivoluzione di ottobre venne rilasciato dai bolscevichi e poté far ritorno presso la sua famiglia di Scanna e presso la moglie che ne avrebbe voluto volentieri fare a meno, in quanto fonte di tutte le critiche ed i maltrattamenti della suocera perché ritenuta responsabile dell’ infertilità della coppia, ma che in realtà si era poi rivelata un accusa evidentemente ingiusta ed infamante al punto che quando la signora Giuditta rimase incinta ad opera del prigioniero russo, ne andò legittimamente fiera ed orgogliosa e si poté vantare del fatto che ad essere sterile non era affatto lei ma bensì il marito che la accusava di essere “ Fula “ ( vuota ).

Questo fatto mi fa meditare tanto sulla maternità e sul fascino del concepimento, della conservazione della specie umana, su quanto poco contano le nostre decisioni, la nostra morale, di fronte al richiamo naturale tra i due sessi che supera barriere di razza, di religione, di cultura, di colore della pelle e se non fosse per la perdita ancestrale dovuta alla nostra maggiore superiorità intellettiva nella gestione sessuale rispetto a tutto il resto del mondo animale dell’ Estro evidente “ la nostra attuale civiltà, così come è strutturata ora. non avrebbe ragione di esistere , ma sarebbe una società umana priva di una qualsiasi specifica razza.

Il ritorno a casa del signor Tommaso, ebbe momenti drammatici, e dovette intervenire il Parroco di allora per sanare la situazione famigliare andando a prelevare il marito reduce di guerra a Mostizzolo al tram e strada facendo informare il signor Tomaso degli eventi accorsi nella sua famiglia in sua assenza, l’ uomo capì il problema, non ne fece una tragedia greca e continuò la vita assieme a sua moglie che per ironia della sorte, fu costretta ad essere fedele ad un uomo del quale sapeva benissimo di non poter avere figli.

Le donne di allora erano donne d’ altri tempi, la cui forza e saggezza derivava dal fatto che erano consapevoli del loro ruolo biologico e sociale ed avevano accettato la loro condizione di femmina finalizzata alla procreazione ed al allevamento della prole, senza se e senza ma, e per ogni problema sapevano sempre trovare la giusta soluzione, con grande equilibrio, sensibilità ed infinita solidarietà.

Così una donna di Scanna, Agosti Giuseppina dei “Floriani”, aveva dato la sua disponibilità ad accogliere ed allevare il piccolo Antonio qualora il signor Tomaso non lo avesse riconosciuto e tenuto in casa come un figlio legittimo.

Antonio crebbe così nell’ amore della sua famiglia legittima e non ci sono motivi dalle notizie che io ho avuto dalle figlie che le cose non fossero così, giunto il periodo della scuola la frequentò con molto impegno ottenendo degli ottimi risultati in tutte le materie scolastiche. Ho avuto recentemente modo di vedere le sue pagelle scolastiche e posso garantire che è stato uno studente modello.

Ai nostri tempi, se si verificano casi simili, pochi sarebbero disposti all’ accoglienza gratuita nel proprio nucleo famigliare di una bocca in più da sfamare, per questo la nostra bella società solidale ed altruista a parole, si è ben presto premunita di Assistenti sociali, di strutture protette per nascondere al mondo certi peccati e non turbare più di tanto le coscienze della gente “perbene”.

Quanta ipocrisia in questa nostra società !

 

Come tutti i giovani italiani di quel tempo, fù anche lui avviato alla leva militare pronto per essere impiegato in una delle cicliche guerre che ogni venti anni devastavano il vecchio continente e puntuale arrivò la seconda terribile guerra mondiale con le tragedie ed i lutti che tutte le guerre portano con se.

Antonio prestò servizio presso il 131° Reggimento artiglieria corazzata “ Centauro “ con sede a Livorno.

 

Io ho avuto la fortuna e l’ onore di aver conosciuto il signor Antonio, perché alcune delle sue figlie maggiori erano tutte più o meno della mia stessa età, e la signora Renata è una mia coetanea, erano tutte belle ragazze, e i giovanotti e bulli locali, lucidi di brillantina Linetti, ronzavano attorno a così tanto ben di Dio, io compreso, e devo dire che le signorine Aliprandini molte volte ci invitavano ad un Party stile anni 60, dove era giocoforza d’ obbligo la sobrietà e parsimonia, dove con poche bottiglie di aranciata ed alcuni biscotti fatti in casa ci si divertiva ascoltando da scassati mangiadischi o da dei registratori a bobine la musica che allora andava di moda. Nessuno allora osava allungare le mani, o peggio tentare di appartarsi con qualcuna delle ragazze, avrebbe fatto i conti con il padre di loro che era buono e giusto, ma estremamente severo a questi riguardi.

Per far capire quanto il signor Antonio fosse meticoloso e severo in materia di sesso, basti pensare che all’ avvento dei primi calzoni femminili, si recò dal parroco, don Giuseppe Calliari per chiedere se tale abbigliamento fosse in sintonia con i precetti di Santa Madre Chiesa e se le proprie figlie fossero autorizzate ad indossare i pantaloni.

 

Come sono cambiati i tempi da allora ! Quante chiacchiere femministe sulla dignità della donna, sulle pari opportunità, quanta ipocrisia nei confronti della femmina, quante violenze ed angherie nascoste da veli di mimose.

Lo stato di figlio illegittimo di Antonio, pesò per tutta la vita come un macigno, come una colpa che pur non essendo sua , lo ha segnato in modo indelebile, come se fosse un disonore e tutto questo , secondo me, và imputato ed una visione distorta del problema dei figli “illegittimi“ aggravata da una mentalità clerico - bigotta della gente, che si preoccupava più di tutelare il buon nome della famiglia, che della vita di un essere umano, complice la Chiesa con i suoi predicatori che imponevano alla gente delle regole assurde che andavano contro la stessa logica naturale della vita, tenendo nei confronti della donna un profilo basso di dignità , basti pensare alla quarantena imposta alle puerpere, o il divieto assoluto degli anticoncezionali.

Il signor Antonio, si era sposato con una ragazza della val di Sole, di Comasine comune di Cogolo, che aveva conosciuto per via del suo lavoro di autotrasportatore, iniziato alla fine della seconda guerra mondiale quando aveva lavorato per l’ Organizzazione Tod della Wermacht e produceva “ gassogeno “ ( legna da ardere tagliata a pezzi piccoli che serviva per alimentare i camion del terzo Reich cha a fine conflitto non avevano più benzina ), e per completezza di informazione, da mia madre ho sentito dire che Antonio si recava a Comasine dalla morosa, che però era una sorella della signorina che poi sarebbe divenuta sua moglie. Però siccome il cuore è uno zingaro e dicono che al cuore non si comanda, e poi c’è da dire che nel DNA di Antonio doveva esserci tanto di quello del padre, che finì per mettere incinta la sorella, e da galantuomo che era se la sposò con buona pace della morosa ufficiale.

La ragazza si chiama Bordati Zita, una donna schiva e riservata, gran lavoratrice, tutt’ora vivente , che gli diede 7 figli , il primo era un maschio e si chiamava Renato, e morì tragicamente annegando nel pozzo di casa, poi la coppia generò altri sei figli, tutte femmine, gran belle donne tutte, per la gioia di noi giovanotti locali e non solo, visto che alla fine nessuna di loro finì con il maritare un giovane del luogo…

La perdita dell’ unico figlio maschio e il fatto di non averne più avuti, fu per il signor Antonio un motivo di rammarico e di tristezza per tutta la vita, il che non gli impedì di essere un padre amoroso ed orgogliose delle sue sei figliole, che voglio nominare una per una :

Renata, mia coetanea grande amica e compagna di tante battaglie sociali negli anni 70, Bruna, Dolores, Valeria, Antonia e Rosaria .

Il signor Antonio fu un grande amico di mio padre e ricordo ancora,con grande riconoscenza, i favori ricevuti nei momenti di bisogno, dal signor Antonio, che era una persona estremamente disponibile e generosa. Antonio aveva anche dato inizio ad una attività mineraria, aprendo una piccola cava di sabbia in località Scjani, ma non ebbe fortuna e la dovette chiudere dopo poco.

Poco dopo, Antonio si ammalò Di una grave forma di atrofia polmonare e da allora la sua vita divenne un calvario, fatto di continui lunghi periodi di ricovero ad Arco per cercare di fermare e controllare quella malattia che lo avrebbe portato alla tomba lentamente ma inesorabilmente.

La malattia di Antonio ebbe anche una pesante ripercussione negativa sui componenti la sua famiglia, in modo particolare sulle figlie. Infatti le malattie polmonari erano considerate molto contagiose e altrettanto pericolose, per cui le ragazzine di casa Aliprandini erano considerate delle potenziali portatrici sane di quei batteri insidiosi e subdoli che potevano provocare la malattia.

E’ una delle cose negative che hanno pesato maggiormente sulla psiche di quelle ragazzine, sinceramente io non ci avevo mai pensato a suo tempo ed avevo continuato a frequentarle in casa loro, mio padre, molto amico di Antonio, non mi ha mai posto dei limiti o dato degli avvertimenti. A me le signorine Aliprandini piacevano tutte, erano delle ragazze di una rara bellezza, come sono belle tutte quelle donne nate dall’ incrocio di due razze diverse e lontane.

Una mi piaceva in modo particolare… ma il destino ha voluto diversamente, e questa è un'altra storia.

 

Il valore dell’ uomo, non si misura in anni di vita vissuta, che sono esclusivi regali della provvidenza, della natura e del desino, ma si misura in ciò che egli a fatto per se, per la famiglia, e per la società.

Vorrei qui ricordare alla Sua Famiglia, innanzitutto, alla Società Civile ed organizzata di adesso ed a quanti leggeranno in futuro questa biografia, che il signor Antonio fu protagonista nella nostra società civile di allora, per il suo impegno costante e generoso verso tutti quelli che ne chiesero il suo contributo, senza esempi pratici la cosa potrebbe sembrare teorica, il signor Antonio infatti , si prestò volentieri, lui ed il suo “ Leoncino “ ad impegni che esulavano dalle sue personali competenze e responsabilità, come il servizio svolto per anni a fianco dei Vigili del Fuoco Volontari di Livo, mettendo a disposizione il suo camion nei momenti delle emergenze per gli incendi, che all’ epoca erano frequenti, e quando, ricordo, nelle primavere stizzose, quando il tempo faceva le bizze e la temperatura scendeva sotto lo zero e si era soliti accendere i fuochi per “ la nglaciadura “, ( le gelate notturne che rovinavano la fioritura, e quindi il raccolto ).

Ed i VV.FF. ( Vigli del fuoco volontari ) di Livo hanno ricordato, con intelligenza e riconoscenza, nel loro calendario del 2003 che viene distribuito alla popolazione, l’ impegno di Antonio abbinando , penso per pura coincidenza, il mese della sua nascita, aprile, e con la storica foto che lo ritrae , vicino alla chiesa di Varollo, con il suo camion con al traino la vecchia e gloriosa pompa Mertz con motore Volks Wagen dei Vigili del Fuoco Volontari di Livo .

Questo, secondo me, è il modo migliore e più intelligente per ricordare quanti hanno contribuito , in vari modi, a far crescere questo nostro paese, abbandonando vecchi steccati e assurdi preconcetti legati alle nostre origini di provenienza, e mi piace pensare che lassù Antonio abbia ritrovato il suo vero papà, e che da lassù insieme, guardino alla loro famiglia ed a questa nostra Comunità e che insieme possano dire Karaschiò “ va tutto bene .

Anche questa è storia !

 

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