LA GRANDE CACCIA ALLE STREGHE DEL 1878

 

L’1 settembre 1866, l’irriducibile Manuelito si consegna alle truppe americane a Fort Wingate: è la fine della guerra per i Navajo, ma è anche l’inizio di un lungo calvario nelle riserve. La loro destinazione è Fort Sumner, noto anche come Bosque Redondo, un calcinato angolo di deserto nel New Mexico dove la sola sopravvivenza è unscommessa che si rinnova di giorno in giorno.

Manuelito e i suoi raggiungono il resto del loro popolo che due anni prima si era già arreso alle giacche blu ed era stato deportato dopo una lunga marcia forzata in questa specie di lager, dove la poca acqua disponibile è malsana e il suolo improduttivo.

La tubercolosi, la fame, la dissenteria, la scarsità delle razioni alimentari, i furti e l’ostilità degli altri inquilini della riserva, gli Apache Mescalero, fanno il resto.

I Navajo cominciano a morire come mosche, soprattutto i più deboli, vecchi e bambini.

Due anni più tardi, una delegazione degli uomini più in vista della tribù ottiene il permesso di recarsi a Washington per rinegoziare i termini della resa e ottenere una nuova riserva. Viene firmato un altro trattato, uno dei pochi che le due parti non violeranno, e ai Navajo è assegnato il territorio delle montagne Chuska, nel cuore del loro antico Paese.

La nuova vita nelle Chuska Mountains, però, non ridà ai Navajo l’autosufficienza di cui hanno disperatamente bisogno.

La scarsità dei raccolti e una lunga serie di calamità naturali li vincola sempre più alle magre derrate alimentari fornite dai bianchi.

Gli indiani seminano qua e là, vicino alle conche e alle rare pozze d’acqua, ma non c’è alcuna sicurezza nei raccolti.

Durante la prima estate nella riserva, nel 1869, il raccolto è ritardato a causa della neve primaverile e poi distrutto dal gelo. Nel 1870 cade la grandine con chicchi grossi come uova; nel 1876 arrivano le cavallette; nel 1878 e 1879 la siccità; nel 1880, il vento e la pioggia; nel 1881 ancora la siccità seguita dalle inondazioni.

Non sono annate eccezionali, è il clima della riserva, quello di sempre, e che per un popolo che anticamente viveva di allevamento e razzie, era quasi ininfluente sulla qualità di vita. Ma ora bisogna coltivare e seguire la via dell’uomo bianco che vuol trasformare il vecchio predone in un efficiente contadino. Peccato che i bianchi non abbiano ancora capito che le Chuska Mountains sono il regno degli scorpioni e dei serpenti a sonagli, non certo degli orti verdeggianti e delle grandi piantagioni. O forse lo sanno, e di proposito invitano gli indiani a dissodare, seminare, irrigare…in un gioco perverso fino allo sfinimento.

Le razioni alimentari e i generi di supporto inviati dal Governo Federale sono un’elemosina, i Navajo indossano gli abiti laceri smessi dai bianchi e i sacchi di farina recuperati dalle derrate alimentari. Non vale nemmeno la pena costruire nuove case, si vive qua e là in tuguri di frasche e fango, ripari naturali, qualche buca scavata nel terreno.

Fame e frustrazione portano molti giovani all’alcolismo che presto diventa una piaga per l’intera tribù. L’alcol inebetisce, fa dimenticare per un po’ la triste condizione del presente, e se dopo rende incapaci di stare in piedi e lavorare, comunque non c’è nessun lavoro da fare.

I Navajo sono un popolo demoralizzato, abbruttito dall’alcol e dalla miseria.

Ma non tutti se la passano così male. Alcuni riescono stranamente a prosperare, accumulano qualche derrata alimentare in più, posseggono animali, sono “ricchi” per il semplice fatto di non morire di fame e stenti come gli altri.

Si diffondono voci, sospetti, invidie. Impossibilitato a riversare la sua rabbia sui bianchi, il popolo navajo la rivolge contro sé stesso come il cane idrofobo che si azzanna la coda.

Com’è possibile che il ritorno alla terra natia dopo il calvario di Bosque Redondo si sia tramutato in un incubo senza fine? Di chi è la responsabilità di tutto questo? Chi è che trama contro il suo stesso popolo? E soprattutto perché alcuni di loro prosperano mentre gli altri muoiono di fame? La parola che viene sussurrata con odio e terrore da una rancherìa all’altra è sempre la stessa: “iinzhiid”, stregoni!

I Navajo, da sempre una delle tribù indiane più superstiziose e timorate nei confronti della magia, credono che tra loro si annidino dei pericolosi negromanti, persone malvagie che traggono linfa vitale dalle disgrazie altrui, che uccidono a distanza, e che di notte si trasformano in mostruosi uomini belva detti “naaldlooshii”, più noti come skinwalker.

Si comincia a indagare, interrogare, rovistare qua e là alla ricerca di indizi e prove di stregoneria. Vengono riesumate dal terreno, dov’erano state precedentemente occultate, ciocche di capelli, oggetti personali e unghie di persone decedute negli ultimi tempi.

All’inizio dell’estate del 1878 la tensione nella riserva è al culmine.

Un commerciante bianco, tale Charles Hubbell si vede un giorno arrivare un folto gruppo di Navajo. Sono visibilmente alterati, impugnano mazze da guerra, coltelli, archi e frecce. Dicono a Hubbell di trasferire il suo esercizio commerciale dal luogo in cui si trova, perché il posto è stregato a causa di un grande maleficio. Lì nei pressi hanno appena riesumato un cadavere con un foglio di carta ripiegato nel ventre. Hubbell è sconcertato e ha paura. I Navajo hanno con loro un uomo che trattano con violenza, lo insultano, lo minacciano con le armi. Il suo nome è Hastiin Digoli, e probabilmente è colui che ha confessato per primo. Il disgraziato supplica il gruppo di lasciarlo andare e incolpa del maleficio il suo amico Hastiin Biwosi che vive lì vicino e fa strane cerimonie durante le quali uccide le persone a distanza.

I guerrieri vanno a cercare Hastiin Biwosi, lo trovano e lo lapidano sul posto, poi eliminano anche il tipo in loro ostaggio, Hastiin Digoli.

Nei giorni seguenti, la riserva è in pieno tumulto. Hubbell inoltra un messaggio a Ft. Defiance, Arizona Territory, Yavapai County “ …Vi scongiuro di inviare quanto prima armi e munizioni, c’è una generale sollevazione degli indiani,….un folto gruppo è appena passato di qui e si dirigono armati verso Canyon de Chelly dove ad aspettarli ci sono molti altri indiani armati…le nostre vite ( riferendosi ai bianchi della riserva ) sono in pericolo, e così anche le provviste, lo spaccio e gli altri manufatti “

Più tardi manda un nuovo messaggio e aggiunge: “ ….Ganado Mucho ( uno dei leader navajo ) è venuto qui e mi ha informato che gli indiani si stanno armando in grande numero, la sua stessa vita è in serio pericolo….e vi chiede di inviare quanto prima i soldati per proteggere lui e la sua famiglia …”

La posizione di Ganado Mucho è compromessa: Hastiin Biwosi, lo stregone ucciso, era suo zio ed egli aveva cercato di evitarne l’omicidio, senza però opporsi fisicamente, perché avrebbero ammazzato anche lui. E ora teme ritorsioni e vendette anche da parte di famigliari e amici.

Preso tra due fuochi, Ganado Mucho chiede aiuto a Manuelito al quale hanno appena ucciso il cugino. Lo stesso Manuelito è stato minacciato di morte in questa insensata faida fratricida. Leadership, parentele e amicizie si dissolvono all’istante come neve al sole e la caccia alle streghe scivola verso il baratro. Se non si interviene al più presto, per il popolo navajo è la fine.

Per fortuna, i vecchi capi riescono in breve tempo a ristabilire la loro autorità grazie anche all’intervento dell’esercito che disarma i più facinorosi e ricompone le diverse fazioni.

Non sappiamo con esattezza quante furono le vittime durante i disordini dell’estate del 1878, forse qualche decina, ma diversi altri individui vennero eliminati silenziosamente e lontano da occhi indiscreti nelle zone più remote della grande riserva.