La barbona

 

Racconto biografico 

 

 

La biografia che ora vado a raccontare più che una storia si potrebbe tranquillamente definire una tragedia umana, una di quelle scelte definitive tragiche che trovano una logica ed una umana spiegazione soltanto in chi ha amato una persona in un modo che la letteratura definisce un amore eterno. Molti sono i classici che riportano le storie d’ amore immenso infinito di giovani coppie di amanti, come Romeo e Giulietta, Alfredo e Violetta, Lara e il dottor Zivago, ecc. Forse è destino che le storie degli amori più appassionati finiscano poi in tragedia come la storia di Albina una bella ragazza di Bresimo.

Albina viveva con il resto della sua famiglia nella sua casa in frazione Bevia.

Oltre ad essere una brava ragazza, timorata di Dio, come si usava dire allora, era anche una grande lavoratrice ed aiutava fattivamente la famiglia; specie dopo la morte del padre Giovanni avvenuta nel 1935 a causa di una polmonite, che lasciò sola la madre Maria con tre figlie Maria nata nel 1917, Anna nata nel 1920 e la più giovane Albina nata il 21. 08. 1924 e protagonista di questa storia.

 

Erano gli anni immediatamente precedenti la seconda guerra mondiale quando l’ Italia era governata dal regime Fascista. Allora nei paesini di montagna isolati tra di loro dalle distanze chilometriche ed anche sociali, culturali e chiusi nella loro autarchica solitudine, vigeva un proverbio che recitava così: “ Donne e buoi dei paesi tuoi “.

Così anche la giovane e bella Albina si innamorò perdutamente di un giovane del luogo che si chiamava Silvio; i due giovani , come tutti gli innamorati, progettavano il loro futuro assieme e si preparavano così a formare una nuova famiglia da inserire nel contesto sociale della comunità di Bresimo.

Allo scoppiare della seconda guerra mondiale nel 1940 i due fidanzati erano poco più che due ragazzi lui aveva 15 anni mentre lei ne aveva 16, e continuava la loro storia di amore incuranti della tragedia della guerra che mieteva si fronti di tutto il mondo giovani vite innocenti.

Nel paesino montano di Bresimo la vita trascorreva come nel resto del’ Italia, con le privazioni e limitazioni economiche imposte da una Nazione in guerra e lo stillicidio di giovani che venivano chiamati alla leva obbligatoria per poi essere inviati sui vari fronti del conflitto. Ogni tanto dal fronte arrivavano notizie tragiche di giovani vite spezzate o di militari feriti o fatti prigionieri e questo provocava la disperazione delle famiglie delle vittime. La guerra non accennava a finire, anzi ogni giorno si aprivano nuovi fronti e nuove vittime, mentre per il fidanzato di Albina si avvicinava inesorabile l’ età della coscrizione e della chiamata alle armi. Numerose infatti erano le cartoline di precetto che arrivavano in paese ai giovani in età militare. Dopo l' 8 settembre 1943 con la caduta del Fascismo, l’ annessione del Trentino AA al lll° Reich di Hitler e la nascita nell’ Italia del nord della Repubblica Sociale Italiana ( RSI ) il nuovo stato di Mussolini, convinse i due fidanzati ad una scelta estrema quanto rischiosa: Albina nascose il suo fidanzato nella sua casa natale evitando così l’ arruolamento coatto nella truppe della wehrmacht o della Repubblica sociale.

Bisogna dire che queste scelte di renitenza alla leva sono estremamente rischiose sia per chi le fa che per chi le favorisce in qualsiasi maniera, le pene in tempo di guerra sono molto pesanti : fucilazione per il renitente e carcere per i favoreggiatori. Sicuramente i due giovani ne erano informati e consapevoli ma scelsero egualmente questa via pur di non venire separati dalla guerra. L' uomo rimase nascosto nella casa della ragazza per tutto il periodo del conflitto, e per non farsi sorprendere da eventuali controlli dei carabinieri, di giorno usciva e vagava per il fitto bosco che circonda l' abitato di Bresimo.

 

Nel 1945 finalmente la guerra finì ed il fidanzato di Albina poté uscire dalla clandestinità e tornare alla vita di tutti i giorni lasciando la casa della morosa per ritornare alla sua.

I due giovani continuarono a frequentarsi ancora per molto tempo sempre convinti di essere fatti l' uno per l’ altra.

Invece purtroppo non fu così ed il fidanzato di Albina si innamorò di un'altra ragazza del paese e lasciò la vecchia morosa per un'altra.

Questa cocente delusione amorosa fu per Albina uno schok terribile dal quale non si riprese più.

Dapprima maturò in cuor suo la decisione di abbandonare per sempre il suo paese natale che le aveva provocato tanto dolore, sarebbe rimasta ancora un poco con la madre e le sorella, lo stretto necessario per organizzarsi anche finanziariamente e poi addio a Bresimo.

Alla preoccupazione della madre che vedeva la figlia depressa ed ai tentativi di rincuorarla e di cercare di riportarla alla ragione, Albina ebbe a dire alla madre : “ Se avessi saputo che la sera stessa delle nozze mi avrebbe uccisa, lo avrei sposato ugualmente … “.

In questa affermazione si può tentare di quantificare se fosse possibile, l’ intensità dell’ amore che la ragazza provava per il suo ormai ex fidanzato. Purtroppo quello dell’ amore è un campo fiorito nella primavera della vita, che non vorresti mai lasciare, nel quale riponi illusioni e speranze, ma tra i fiordalisi e i papaveri possono crescere anche dei rovi dalle piccole roselline ma irti di spine acute che penetrano profonde fino al cuore ed ai sentimenti più profondi dell’ essere umano e il cuore non sente ragioni e non ascolta il cervello che gli parla … .

 

Così Albina lasciò il suo paese natale, disgustata dalla vita, e decisa a non farvi mai più ritorno e si recò a Milano .

Della sua permanenza a Milano nei primi anni si hanno notizie molto vaghe come se la nebbia che costantemente avvolge la città l’ avesse inghiottita per proteggere fino in fondo la sua volontà di anonimato e la sua voglia di solitudine; tuttavia per i primi anni mantenne con l’ anziana madre un fugace rapporto e di tanto in tanto tornava a vederla, fino al 1963 anno in cui tornò per l’ ultima volta ad assistere la madre morente, poi sparì del tutto senza dare più notizie di se. Diceva che lavorava da cameriera negli alberghi del Milanese, lavoro che aveva esercitato anche qui in val di Non presso alberghi dell' alta Anaunia, ma senza mai dare dei recapiti precisi a nessuno.

Così per 17 anni Albina non diede più notizie di se, sembrava come assorbita da quel sottobosco metropolitano capace di nascondere ed annullare le identità di chi si vuole sottrarre alla vita cosidetta civile e scegli ed accetta tutte le regole ed il disagio di questo sottobosco spesso degradato e violento.

 

Nella primavera del 1980 l’ allora sindaco di Bresimo signor Pancheri Fulvio ricevette da una casa di cura di Sondalo in provincia di Sondrio, una lettera contenente una fotografia che ritraeva una donna in un giardino, gli parve di riconoscere in quella fotografia la signora Albina, ma per esserne certo la portò dalla sorella di lei Anetta, che appena la vide dichiarò essere la sorella sparita nel milanese.

Albina che nel frattempo si era messa a fumare era stata ricoverata, sotto falso nome, in questa casa di cura per un controllo ai polmoni che presentavano delle macchie sospette; durante la permanenza in questa casa di cura qualcuno l’ aveva sentita nominare il paese di Bresimo.

Il cognato Giulio e la nipote Giovanna si recarono a Sondalo presso questa casa di cura chiedendo notizie della congiunta Albina Daprai, ma i responsabili della struttura affermarono che nessun paziente con quel nome risultava ospite della casa di cura. Fecero allora vedere la fotografia della donna che era stata spedita al Comune di Bresimo e venne detto loro che la signora si faceva chiamare Colombo Lusparda. Chiarito l’ equivoco i parenti poterono finalmente incontrarsi, Albina manifestò sorpresa ed una leggera irritazione per essere stata ritrovata e ribadì al cognato Giulio la sua volontà di non ritornare mai più a Bresimo dove aveva avuto soltanto delle grandi delusioni e dispiaceri, e disse che non voleva essere più cercata .

I responsabili della struttura sanitaria informarono i parenti del fatto che la paziente era stata accompagnata in ospedale da personale volontario facente capo alla Comunità di Fratel Ettore che opera nella città di Milano dando assistenza ai senza tetto ed ai closchard specie nella zona dela stazione centrale, e che appena fosse stata dimessa se la sarebbero venuta a riprendere .

Quando i parenti cercarono di mettersi in contatto con la Comunità di Fratel Ettore non riuscirono a trovare nessun recapito telefonico ( allora non c’ era internet ) e persero così nuovamente i contatti con Albina che fu ben felice di tornare nel suo mondo fatto di anonimato sociale e civile.

La svolta definitiva avvenne 26 anni dopo, la nipote Giovanna dopo aver assistito al funerale di una persona che mancava da anni nel paese perché ospite di una casa di riposo, ripensò alla zia ormai vecchia della quale si erano perse le tracce e prese l’ impegno di cercarla nuovamente. Durante il suo lavoro presso l’ hotel Terme di Bresimo, Giovanna aveva conosciuto un medico di Milano il Dott. Cesare al quale si rivolse per avere un referente in loco ed il suo indispensabile aiuto per poter ritrovare la zia.

Sentito il racconto romanzesco della biografia di Albina, il dott. Cesare pensò che fosse una barzelletta talmente era inverosimile, poi rassicurato si mise alla ricerca di questo ago nel pagliaio di nome Maria Lusparda al secolo Albina Daprai. Gli ci vollero una quindicina di giorni di ricerche nel labirinto della comunità di recupero ed accoglienza del milanese, seguendo il sottile filo di Arianna di un nome falso e della Comunità di Fratel Ettore.

Un giorno il dottor Cesare telefonò a Giovanna invitandola a recarsi a Milano per vedere se riconosceva nella persona che aveva ritrovato che parlava poco al punto che credevano fosse di origini straniere, la zia Albina.

Era i'11 marzo 2006 quando Giovanna si recò a Milano presso la Comunità di Fratel Ettore per riconoscere e ritrovare la zia che era diventata una vecchia di 82 anni.

Albina parlava ancora il dialetto di Bresimo e quando Giovanna le disse di essere la figlia di sua sorella Anna la donna scoppiò in lacrime e disse che lei era divenuta una barbona ma che ora con l’ aiuto dei volontari della Comunità di Fratel Ettore aveva ritrovato un alloggio ed un po’ di serenità nella vecchiaia.

Da allora Giovanna e la sua famiglia due o tre volte all’ anno si recarono a Milano a far visita alla zia barbona ritrovata dopo molti anni, fino alla sua morte avvenuta il 3 marzo 2016. per volontà dei famigliari la salma di Albina è stata traslata presso il piccolo cimitero di Bresimo, al suo funerale un piccolo gruppo di compaesani ed il coro parrocchiale di Bresimo, una sottile ma breve nevicata ha accompagnato l’ ultimo viaggio di Albina la barbona, poi è tornato nuovamente il sereno ad accompagnarla in alto, tra i suoi monti e tra i suoi coscritti del 1924 . . . 

Parrebbe difficile da una scelta così tragica e definitiva che ha distrutto la vita ad una giovane sradicandola dalla sua terra, dalla sua famiglia, per rovesciarla nelle strade di Milano tra gli ultimi del mondo, trovare dei lati umani, un barlume di luce e di speranza in tanto degrado; eppure il grande amore di Albina verso l’ unico uomo della sua vita non è andato disperso, perché l’ amore non si esaurisce e non muore mai. E puntualmente lo ritroviamo nell’ operato della nipote Giovanna, che caparbiamente si è messa alla ricerca della zia e dopo averla ritrovata le è stata vicina fino ed oltre la morte. Ritroviamo l’ amore di Fratel Ettore che aveva raccolto Albina dalla strada per riportarla ad una vita più dignitosa presso la sua Comunità dove venne assistita a curata con amore dalle monache Madre Teresa, Suor Laura ,Suor Ester e da tutto il personale della Comunità di Fratel Ettore.

Trovo giusto e doveroso ricordare l’ operato di queste persone, dal nobile ed alto profilo umano, meritevoli dell’ indiscusso ed incontizionato plauso e della riconoscenza di tutti; e mi piace ricordarlo a tutti in questo periodo storico dove si parla tanto di accoglienza .

 

© Bruno Agosti