La scatola delle scarpe

 

 

 

Racconto

 

di

 

Bruno Agosti

 

 

LA SCATOLA DELLE SCARPE

 

Era l’anno 1962 mi pare, ma non ne sono del tutto sicuro, ero ancora un bambino delle elementari, affascinato dalla natura e da ogni tipo di cambiamento che si poteva notare.  Non passò, infatti, inosservato, il fatto che la pancia di mia madre fosse un po’ cresciuta, al primo momento, dopo un rapido consulto con mio fratello più giovane di me di due anni, stabilimmo che poteva essersi ingrassata un po’, ma con il passare del tempo, la pancia continuava a crescere, ed allora mia madre, accortasi delle nostre continue attenzioni, un giorno ci chiamò e ci disse che avremmo avuto un altro fratellino o una sorellina.

La notizia ci riempì di gioia, e già si pregustava il momento della nascita con tutte le conseguenze, poi il battesimo, si sarebbe dovuto trovare un bel nome e poi bisognava accudirlo e via dicendo.

Che non lo si fosse trovato sotto un cavolo e neppure lo avesse dovuto portare la cicogna, questo lo sapevo, verità rubate  nell’ ascoltare i discorsi dei grandi, ed osservando tante di quelle pance di donne crescere e poi d’ un colpo te le trovavi per strada, di nuovo snelle come prima e  con una carrozzina sgangherata  con dentro un pupo che dormiva o che piangeva, il come fosse entrato nella pancia e soprattutto come facesse poi ad uscire, era uno dei tanti dilemmi ai quali non ero riuscito a dare ancora una risposta, era anche severamente proibito restare nella stalla quando partoriva una mucca…

A dare risposta a tutti questi interrogativi, ed appagare così la mia sete di sapere, ci pensò alcuni anni più tardi, un frate del convento di Villazzano, che ci spiegò, con molta calma e con grande sensibilità, il miracolo dell’amore che dà poi inizio ad una nuova vita e devo dire che a tutt’oggi, resta per me uno dei momenti della vita che ancora mi affascina e mi meraviglia.

Quando fui più grandicello, mio padre mi permise di assistere al parto di una mucca, fu per me una grande emozione, soprattutto quando, dopo essere stato asciugato con della paglia, il vitellino veniva consegnato alla madre, che dolcezza e che tenerezza, se lo ripuliva per bene con la lingua, mentre, ancora traballante, lui prendeva possesso delle mammelle della madre ed iniziava a succhiare di gusto.

Un giorno mia madre disse che non si sentiva bene, chiamò mio padre il quale la accompagnò, con l’automobile di un amico, al vicino ospedale di Cles, a noi disse che doveva fare degli esami e dei controlli.

Rimase lì alcuni giorni, mio padre riprese i suoi lavori nei campi, ma era sempre pensieroso ed a tratti preoccupato, finché un giorno, mentre eravamo in un campo, arrivò mia zia Lina a cercarlo, mio padre non disse niente, lasciò gli attrezzi nel campo e disse che doveva andare con urgenza all’ ospedale.

Tornò la sera, con una scatola di quelle che contengono delle scarpe, chiusa e legata con uno spago su tutti i lati, come a formare una croce. Era visibilmente addolorato, parlò un attimo con mia nonna nella sua stanza da letto, poi ci chiamò tutti e due, io e mio fratello, e ci disse che mamma aveva provato a fare un fratellino, ma che non ci era riuscita, ci spiegò, poi, che era un maschio e che era già formato nelle sue sembianze umane, non ritenne di dover aprire la scatola per non provocarci dei traumi e ci disse che il giorno dopo lo avremmo sepolto, in forma privata, nella tomba di famiglia nel cimitero.

La nonna recitò la preghiera dell’angelo custode e ci disse che questo nostro fratellino era anche lui un piccolo angioletto che volava attorno a Dio, ci ricordò anche un suo detto, che ripeteva sempre nelle occasioni tristi o liete: “L’ uomo propone e Dio dispone “.  Poi scese nell’ orto, raccolse dei gigli bianchi ne fece un bel mazzo e lo depose sopra la scatola delle scarpe.

Non fu possibile battezzarlo e dargli un nome, perché era nato morto, così il giorno successivo, di buon mattino, ci recammo al cimitero del paese con una zappa ed una pala, io portavo la scatola mentre mio fratello portava il mazzo di gigli bianchi, arrivati alla tomba, mio padre scavò una piccola fossa, abbastanza profonda, prese la scatola e ve la depose dentro con delicatezza, poi , cominciò a ricoprirla di terra con le mani fino a quando la scatola scomparve alla vista, finì poi il lavoro con la pala ed alla fine rimase un piccolo cumulo di terra, smossa , sul quale deponemmo i fiori, poi, mio  padre ci fece recitare di nuovo la preghiera dell’ Angelo custode, tutti con gli occhi lucidi di pianto.

Questo episodio, ha segnato profondamente il mio modo di pensare alla vita, al concepimento, la mia netta contrarietà all’ aborto, ho sempre pensato e fantasticato su questo mio fratellino: a chi avrebbe assomigliato?  Che voce avrebbe avuto? Adesso avrebbe circa dieci anni meno di me, e cosa sarebbe diventato? E poi, sicuramente sarebbe stato sano e più fortunato di me, senza tutti quei problemi che mi hanno rovinato l’esistenza… A volte, penso, che la natura, la vita, siano come un gioco, una lotteria, dove per vivere bene bisogna anche avere fortuna.

Così, ogni volta che passo davanti al cimitero, penso sempre a quel mio fratellino che non è mai vissuto, ma che è andato dritto in cielo senza passare per questo calvario chiamato vita, in questo breve sogno nel quale ci è concessa la libertà di esistere, che noi consideriamo eterna, rendendo così difficile con il nostro egoismo, lo stesso nostro vivere.

Il sapere, che tra le tante persone che mi hanno voluto bene e che ora sono in cielo, troverò anche questo mio fratellino, è per me motivo di grande serenità.

 

Bruno Agosti