I sigoloti

 

( i fischietti )

 

Uno dei passatempi canori che tutti i ragazzi del mio tempo sapevano auto costruirsi con del materiale ecologico allo stato puro era “ l’ sigolot “ . per costruire questo strumento musicale ad una o più voci, erano necessari un coltello da tasca che allora tutti i ragazzi possedevano come utensile per la fabbricazione di tanti prodotti che la tradizione popolare aveva tramandato ed anche per il più comune uso come quello di tagliare un panino per metterci il companatico che poteva essere del formaggio e del salame fatto in casa, piuttosto che della marmellata o del burro. Mai ai miei tempi ci si sarebbe neppure sognati di usare il coltello a scopi aggressivi come purtroppo lo si usa molto di frequente oggigiorno.

Erano coltelli dalla lamo molto corta, allora si diceva che non potevano essere più lunghi di quattro dita e la spiegazione e la diede l’ arrotino di Cles signor Reversi, il quale mi spiegò che le quattro dita stavano a significare la distanza del cuore rispetto ai punti esterni del corpo umano dai quali potesse essere colpito con un arma bianca. I coltelli erano però molto affilati e con la punta molto sottile e tagliente adatta anche per lavori di precisione come il mosaico su un bastone ricavato da un ramo di nocciolo selvatico, l’ apertura del guscio delle noci, il taglio della videzza che serviva da sigaretta o il levarsi una piccola scheggia di legno o una spina di acacia. Quasi tutti allora avevano in casa un allevamento di conigli, ed allora il coltello diventava utilissimo per le sue dimensioni ridotte ma sufficienti per l’ uccisione dei conigli ormai grandi che venivano presi per le orecchie dalla gabbia, portati all’ esterno della stalla per evitare che gli altri animali sentissero l’ odore del sangue, li tenevamo fermi tra le gambe poi con una mano gli si prendeva la testa tenendola stretta e facendola ruotare in modo tale che si evidenziasse bene la gola del coniglio dal lato dell’ orecchio poi si infilava il coltello trapassandogli di netto la gola. La morte era rapidissima in quanto si erano recise tutte le vene e le arterie dell’ animale, non vi sembri una barbarie perché anche oggi si usano gli stessi metodi ma in modo industriale e più organizzato ma sempre un coltello si usa.

Ma l’ uso del coltello tra noi giovani, però era quasi completamente limitato alla fabbricazione di strumenti ludici per il fabbisogno della nostra attiva e feconda fantasia. L’ oggetto più comune che tutti sapevano costruire, era l’ sigolott appunto il fischietto, l’ operazione iniziava con il taglio di un ramo di salice o di “ stropar “ che era una pianta simile dalla quale si ricavavano le “ strope “, ma questa è un'altra storia.

Tagliato il ramo di circa 10 mm. di diametro si procedeva a stabilire quante note dare al fischietto, pertanto si stabiliva la giusta lunghezza poi si procedeva alle incisioni nella corteccia che doveva essere completamente liscia e priva di nodi . alla tacca iniziale che era fatta come una U seguivano le altre che erano rotonde come quelle di un flauto e di numero variabile, comunque mai sopra i sette fori. Finita quella operazione si procedeva a staccare la corteccia dall’ anima mediante la battitura con il manico del coltello dalla parte legnosa del ramo. L’ operazione durava pochi minuti ed alla fine la corteccia si staccava dal ramo scivolando fuori. Con la parte legnosa rimanente si procedeva a fare il tappo che chiudeva l’ estremità del fischietto e il bocchino nel quale era ricavata la cava dove poteva passare l’ aria, poi chiudendo alternativamente i fori con le dita si potevano ricavare delle note musicali diverse e si poteva quindi comporre una melodia musicale dolce ed armoniosa da dedicare alle bambine era un modo semplice ed innocente di tentare i primi approcci con un essere di sesso diverso che puntualmente ringraziava con un bacio sulle guance ed un bel sorriso gentile.

Quanto erano belle e carine quelle femminucce innocenti e quanto erano dolci quelli sguardi di piccole donne ormai abituate ai duri lavori domestici ed alle fatiche di doversi far carico dei tanti fratellini più piccoli.

Erano tutte ragazzine dai 10 ai 13 anni e quello che si poteva notare con evidenza era il crescere delle piccole mammelle che spuntavano dai vestitini quasi a reclamare il loro spazio vitale. Quello era il punto dove si posavano i nostri occhi di giovani maschi assetati di conoscere tutte quelle diversità che le ragazzine mettevano in mostra, attratti da un desiderio ancestrale che mai nessuno ci aveva spiegato per intero ma che a noi pareva chiaro ed attraente.

Questi sono e restano i ricordi più dolci e più delicati della mia vita, perché erano emozioni pure, libere da ogni manipolazione e da ogni forma didattica, erano natura allo stato puro dove la ricerca era frutto di un sentimento inconscio che ti portava naturalmente verso quello scricciolo dalle piccole tettine, e niente e nessuno era in grado di distogliere il tuo sguardo , un po’ inebetito, da lei.