LA STREGONERIA IN VALCAMONICA

Tempo di Nursing 61/2012 Collegio IP.AS.VI di Brescia Fuori Focus - 33
Fuori Focus
Dalla constatazione che la Vallecamonica
è una terra in cui la lotta alla stregoneria fu
particolarmente aspra e dall’assunto che avere
poteri magici sulla salute e avere competenze
curative furono accuse che spesso sono emerse
nei processi alle streghe, nasce la presente ricerca
storica, da cui sono stati tratti un elaborato
finale del Corso di Laurea in Infermieristica e il
presente articolo che spera di apportare valore e
chiarezza a questo tema ancora poco conosciuto
e di dare un input a tutti coloro che affascinati
dall’argomento abbiano voglia e tempo di approfondirlo.
Si tratta di un itinerario intellettuale che parte
dal bisogno di darsi delle risposte, di indagare
l’esistenza di legami tra la persecuzione delle
streghe e le competenze assistenziali anche nella
Vallecamonica dal XIV al XVII secolo, attraverso
il reperimento, la rilettura e l’analisi degli
atti dei processi alle donne camune accusate e
condannate per lo più al rogo.
Dopo la Controriforma la Chiesa iniziò a sospettare
e a diffidare delle guaritrici, ma anche
delle sante, estatiche e carismatiche che facevano
miracoli o risvegliavano nel popolo speranze
concrete attraverso guarigioni di malattie o
soluzioni di drammi personali o sociali ritenuti
insanabili dal clero.
Le grandi cacce alle streghe europee ebbero il
loro centro nelle Alpi e nelle zone collinari circostanti,
nel Giura, nei Vosgi e nei Pirenei. La
Il sapere delle guaritrici andava ben oltre la conoscenza delle
virtù sedative di una pianta di camomilla o di quelle anestetiche
del laudano, il loro sapere si relazionava con le proprietà spirituali
delle erbe e con le modalità ottimali con cui le forze spirituali potevano
venire trasmesse all’essere umano malato
La stregoneria in Valcamonica:
una ricerca storica dei legami tra
persecuzione e competenze assistenziali
Gian Andrea Polonioli*, Sara Bonfadini**, Samanta Ottelli***
34 - Fuori Focus Tempo di Nursing 61/2012 Collegio IP.AS.VI di Brescia
Svizzera, la Francia, la Savoia, l’Alsazia, la Lorena,
la Valtellina, il Tirolo, la Baviera e i vescovati
dell’Italia settentrionale di Milano, Brescia
e Bergamo furono i centri fondamentali.
La magia e le conoscenze delle streghe derivavano
da una scienza empirica, tramandata oralmente,
che solo dopo molti secoli rivelò la sua
natura in parte scientifica: i poteri medicamentosi
delle piante studiate e raccolte dalle guaritrici
si sono tramandati nei secoli e ancora oggi sono
noti e usati nella medicina popolare e nell’erboristeria
e alcuni di questi sono rimasti nella farmacopea
ufficiale.
Le streghe conoscevano bene l’anatomia; sapevano
immobilizzare con grande abilità un arto
rotto, rimettevano in sesto articolazioni lussate
o slogate ed erano abili nel suturare ferite, anche
profonde, usando come emostatico l’allume
di rocca o altre sostanze vegetali.
Non con il Diavolo, ma con la Natura,
le guaritrici avevano stretto il
loro patto; era la Natura a insegnare
loro come risanare. Esse accompagnavano
i rimedi che da essa traevano
con parole e gesti rituali per
facilitare il contatto con le forze
spirituali che agiscono sulla complessità
fisiologica e per scandire
il tempo del trattamento. La parola,
la formula, valevano a costituire un
legame di fiducia, di “simpatia” fra
il paziente, la guaritrice e le forze di
guarigione. Il potere spirituale della
formula recitata e quello del gesto
appropriato avevano funzioni fondamentali
nell’opera di risanamento,
e sono numerosi gli atti dei processi
che riportano le “filastrocche”
con cui sacralmente le guaritrici si
avvicinavano al malato per rendergli
la salute.
Il sapere delle guaritrici andava ben
oltre la conoscenza delle virtù sedative
di una pianta di camomilla
o di quelle anestetiche del laudano,
il loro sapere si relazionava con le
proprietà spirituali delle erbe e con
le modalità ottimali con cui le forze
spirituali potevano venire trasmesse
all’essere umano malato.
È ragionevole pensare che le guaritrici
praticassero allora un tipo di
medicina che riguardava tutti gli organi
del corpo e che non lo scindeva dalla psiche,
in un’ottica alquanto olistica, che i medici
del tempo ignoravano completamente. Essi considerando
il corpo destinatario di salassi, purganti,
amputazioni, lo privarono di relazioni con
la Natura e con il mondo circostante, lo fecero
oggetto di indagini scientifiche e di esperimenti,
lo mutilarono dello spirito.
La cultura delle guaritrici aveva invece come
punto centrale l’integrità dell’uomo, la sua unicità,
il legame con l’ambiente e con i suoi simili:
la malattia non era vista come male del singolo,
ma veniva dalle guaritrici considerata male dalla
comunità.
Le streghe sapevano che si può star male senza
che alcun organo sia malato, che si può piangere
non solo per sofferenza fisica, conoscevano mal
d’amore, follia, desolazione, conoscevano le
La condannata al rogo Benvegnuda Pincinella
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malattie che germinano dalla povertà e dalla solitudine,
dal non sentirsi amati e dal non amare,
dall’egoismo, dall’avarizia, dalla crudeltà, malattie
che non si limitano a colpire l’individuo,
ma circolano infettando la società intera e accorrevano
per risanarle. Il loro intimo rapporto
con la Natura e la profonda conoscenza che di
essa avevano, la loro familiarità con essa le rese
sospette alla Chiesa fino a demonizzarle come
streghe. Prima della repressione messa in atto
con la lotta alla stregoneria, la donna conoscitrice
delle virtutes herbarum poteva contare su
un certo riconoscimento sociale, occupando un
ruolo che era un punto di riferimento per la collettività.
La curatrice che operava tra il popolo,
legata alla comunità dei poveri, alla quale essa
apparteneva, era in grado meglio di chiunque altro
di curarli (1). Attenta osservatrice della natura,
non solo era a conoscenza delle mirabili virtù
dei semplici medicinali, ma estendeva la sua conoscenza
anche alla psicologia umana.
Nel periodo che va dal XIV al XVII secolo l’alleanza
tra Chiesa, Stato e professione medica
raggiunse la sua fioritura: tutte la cure non somministrate
dai medici o dai preti, che agivano per
volontà divina, vennero considerate di origina
diabolica.
Da questi presupposti, in questo clima di sospetto
e ostilità nasce il fenomeno della “caccia alle
streghe” che fu prettamente rurale e, da una angolazione
sessuale, una prerogativa femminile:
non mancarono i maschi, così come si rinvennero
streghe e stregoni anche nelle città, ma in
prevalenza le testimonianze che possediamo si
riferiscono a donne abitanti in piccoli centri di
campagna e di montagna, dove infatti più vive
sono a tutt’oggi le credenze e le leggende che
hanno come protagonisti diavoli e fattucchiere.
Già nella seconda metà del Cinquecento il
medico e matematico pavese Girolamo Cardano
formulò una sorta di identikit razionale di chi
fossero le cosiddette streghe: “donne macilente,
deformi, pallide, hanno gli occhi fuori dalle orbite,
presentano un’atra bile e melanconia; sono
taciturne e folli, e poco differiscono da quelle
che si ritengono possedute dal demonio: salde
nelle loro opinioni, risultano così risolute che
se soltanto si pensasse quanto impavidamente
e con quale costanza riferiscono cose che non
accaddero mai né potrebbero accadere, le si riterrebbe
pur tuttavia vere”. Esse vengono riconosciute
in “donniciuole mendiche, misere, che
si nutrono di castagne e di prodotti agresti e che
abitano nelle valli, che se non bevessero talvolta
un po’ di latte non potrebbero affatto sopravvivere”.
La Vallecamonica fu proprio una di queste valli:
si può affermare che i primi sentori della presenza
di streghe datano 1485. Si sono da poco sopite
le croniche guerre tra Milano e Venezia, che
proprio in Valle hanno avuto uno dei principali
terreni di scontro; l’ormai consolidato dominio
veneto ha messo a tacere le fazioni guelfa e ghibellina
con provvedimenti tanto drastici quanto
opportuni.(2)
Verso la seconda metà del Quattrocento la tolleranza
ecclesiastica, a causa di un’espressa autorizzazione
pontificia, e la natura stessa delle
pratiche ereticheggianti sembrano subire, in Valcamonica,
un’involuzione piuttosto rapida e di
esito violento che porta a infittirsi non soltanto i
roghi, ma pure i sospetti e le denunce. (3)
Il maggior cacciatore di streghe che abbia operato
nel bresciano in questo periodo è Antonio
Petoselli, Provinciale di Lombardia dell’Ordine
dei Predicatori. È il personaggio più deciso e implacabile.
Lega il suo nome alla grande crociata
del 1486, condotta contro le conventicole della
Valcamonica e al poderoso braccio di ferro fra
il tribunale dell’Inquisizione di Brescia e la Repubblica
Serenissima.
Nei primi mesi del 1485 frate Antonio Petoselli
parte per la Valcamonica, la regione ribelle,
dove nei boschi, ai quadrivi e nelle radure si riuniscono
“a foter e balar” uomini, donne, diavoli
e diavolesse. Nelle terre dell’Oglio il domenicano
riceve preoccupanti informazioni dai parroci.
Tutto coincide con quanto ha scritto il Papa nella
bolla del 1484 (Summis desiderantes affectibus).
Molte persone di ambo i sessi, dimentiche della
propria salvezza e deviando dalla fede cattolica
si danno in braccio a diavoli, incubi e succubi e,
mediante incantesimi, canti, scongiuri, sacrilegi,
uccisioni e atti infami fanno morire e distruggono
i parti nei seni delle madri, le figliate degli
animali, i prodotti della terra, l’uva delle vigne, i
frutti degli alberi … . Inoltre, rinnegata con bocca
sacrilega la fede che hanno ricevuto col battesimo
non esitano a commettere, istigati dal nemico
del genere umano molti eccessi e crimini.
Questi eventi portarono nel 1498 la Comunità
valligiana ad inserire negli Statuti sei articoli
contro i patti demoniaci, contro gli eretici, le
concubine dei preti, le donne adultere, gli amanti
incestuosi, i sodomiti. “Ugualmente è legge
che i fautori di maleficio siano arsi, cosicché
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muoiano e i loro beni siano incamerati e passino
per la metà al Comune e per l’altra metà a chi
ha subito il maleficio. Ugualmente è legge che
chi viene condannato per eresia sia punito nel
corpo: sia attraverso le pene della legge che attraverso
quelle canoniche, conformemente alle
decisioni dei rettori”.
I processi continuarono anche negli anni successivi:
nel giugno del 1518 furono giudicate colpevoli
di eresia e bruciate sul rogo otto “streghe”
di Pisogne e nel febbraio del 1519 alcuni domenicani
e il frate inquisitore bergamasco dichiararono
che “ in quelle valle era scoperte queste
strige, qual vanno a monte Tonale, et hanno fatto
gran cosse contra la fede”. (4)
Durante la ricerca delle fonti storiche necessarie
per l’indagine, cioè degli atti dei processi delle
streghe di Vallecamonica, si è scoperto che
la maggior parte degli atti dei processi tenuti in
Valle è andata perduta, o meglio è stata volutamente
distrutta per non fomentare una campagna
anticlericale negli anni successivi (3). Le
uniche testimonianze scritte giunte fino a noi in
maniera pressoché integrale, riguardano i processi
di Benvegnuda Pincinella (Figura 1) e di
Caterina de Bers (Figura 2). Si è dovuto dunque
limitare l’indagine a queste due donne e, dopo
aver tradotto dal volgare all’italiano i documenti,
sono stati cercati in essi le tracce, i cenni e le
ombre dell’effettiva esistenza di un legame tra la
persecuzione e il fatto di possedere competenze
assistenziali.
Nelle fonti storiche si legge che al passo del Tonale,
posto fra la Valcamonica e la Val di Sole,
convergevano, a bordo di capre, gatte, cavalli ed
altri animali fatati, fin duemila e più tra megere
e stregoni non solo dalla Valcamonica, ma pure
provenienti dalla Valtellina, dalla Val Seriana e
dalla Val Trompia; nella sua confessione, un sacerdote
inquisito giunse addirittura ad ammettere
la cifra di quattromila partecipanti.
Grazie agli scritti “I Diarii” di Martin Sanudo
si è potuti risalire a uno dei casi più eclatanti e
vergognosi riferibili alle cosiddette delle “streghe
del Tonale”: quello della medichessa “Benvegnuda
detta Pincinella di terra di Navi di Valcamonica
(così erroneamente localizzato dagli
storici), striga, qual fo brusata”.
Figlia di pastori comincia da subito, appena riesce
a tenere un bastone in mano, a portare le
pecore ai pascoli. Ma si annoia a stare tutto il
giorno ad osservare le bestie che brucano; inizia
a raccogliere erbe, ad assaggiarle, a studiarle,
e poi, una volta a casa e riportato il gregge,
va dalla medichessa del paese a farsi insegnare
l’uso di ciascun erba o di ciascun germoglio. E
impara, presto e bene; comincia a usare le sue
conoscenze sulle erbe rispondendo alle richieste
dei compaesani per piccoli e grossi malanni e la
sua fama di brava medichessa si estende a tutta la
vallata. Non porterà più le pecore al pascolo, ma
si dedicherà a tempo pieno al suo nuovo lavoro e
lo farà con impegno, passione e dedizione. Tanta
fama, ma forse soprattutto tanta perizia medica
non passano inosservate all’inquisizione che in
quel periodo è molto attiva in tutta la zona del
bresciano. Pincinella viene arrestata, senza delazione,
su ordine del grande inquisitore in persona.
Il procedimento fatale viene avviato nel
giugno 1518, su segnalazione di un solerte dirimpettaio
della “strega”. Dopo un lungo processo e
numerose testimonianze, Benvegnuda Pincinella
espiò definitivamente il peccato stregonesco a
sessant’anni, nel torrido luglio 1518. (5)
Caterina de Bers
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Un altro caso a cui si è potuti risalire è quello
del processo celebrato contro Caterina Rossi, il
23 agosto 1643. Questa donna, originaria della
Valtellina ma abitante da parecchi anni a Berzo
Demo in Vallecamonica, fa della propria vita
una vocazione cristiana. Prega in continuazione,
sostiene di ricevere rivelazioni da Dio e di
nutrirsi della sola particola. Il Santo Tribunale
dell’Inquisizione non crede alla sua “santità” e
la condanna a dieci anni di prigione(8), ma nella
sua storia non è possibile riscontrare nessun cenno
di competenza assistenziale.
Il periodo della persecuzione delle streghe fu un
momento tanto crudo per le donne, quanto tragico
per la repressione, assieme con esse, della
storia e della cultura dell’assistenza. Il sapere
della donne che da sempre accompagnava l’assistenza,
e che da sempre era l’assistenza, venne
accomunato alla visione negativa e diabolica
data socialmente alla figura che lo possedeva e
utilizzava.
Il fenomeno della stregoneria in Valcamonica
non è mai stato affrontato in modo sistematico,
contrariamente a quanto è avvenuto per la
limitrofa Valtellina e per il Trentino, regioni nelle
quali il problema dell’eresia diabolica venne
avvertito e vissuto in maniera diversa e dove,
pertanto, il materiale documentario è numericamente
più sostanzioso. È stato proprio questo
il principale scoglio incontrato nella presente
ricerca. Esistono infatti molte testimonianze riguardanti
sia gli innumerevoli incontri durante i
sabba sul monte Tonale, sia l’uccisione di molte
donne valligiane, condannate per eresia, tra il
1518 e il 1521, ma i loro volti restano anonimi
e i verbali dei loro processi sono andati perduti.
Nonostante ciò, la domanda di ricerca posta
all’inizio dell’indagine ha trovato riscontro positivo
nel caso di Benvegnuda Pincinella. Essa
infatti, era considerata una guaritrice dall’intera
popolazione di Nave, sia dal ceto rurale che da
quello nobiliare. Tutti si apprestavano alle sue
cure che consistevano in medicamenti a base di
erbe e consigli pratici.
Per quanto riguarda invece il secondo caso preso
in considerazione, quello di Caterina de Bérs,
non è emersa nessuna competenza assistenziale
della donna condannata. Caterina non era una
guaritrice, ma semplicemente una donna fortemente
legata alle tradizioni cristiane.
Andando oltre i singoli casi, le conseguenze
della persecuzione delle streghe, furono la soppressione
della maggior parte delle guaritrici del
popolo e lo screditamento di quelle rimaste bollandole
per sempre come fattucchiere, superstiziose
e pericolose; la caccia alle streghe tolse di
mezzo, anche se mai definitivamente, una medicina
popolare e un sapere assistenziale e ostetrico
a favore di una medicina ufficiale.
Bibliografia essenziale
1 MANZONI E., (1997), Storia e filosofia dell’assistenza
infermieristica, Milano, Edizioni Masson
2 LEVACK P., (1987), The witch-hunt in early modern
europe, Longman, London-New York; traduzione
italiana: La caccia alle streghe in Europa
agli inizi dell’età moderna, (1987), Roma-Bari,
Laterza Edizioni
3 PREVIDEPRATO M., (1992), Tu hai renegà la
fede, Edit.TE., Brescia
4 PREVIDEPRATO M., (1976), Le streghe del Tonale:
processi e vicende nel ‘500, Cividate Camuno,
S. Marco Editore
5 BERNARDELLI CURUZ M., (1998), Streghe
bresciane, Brescia, Ermione
6 SANUDO M, (1879-1903), I Diarii Visentini, Venezia
7 SGABUSSI G. E ALTRI, (2001), Synopsis, Breno,
tipografia camuna
8 PREVIDEPRATO M., (1991), Santa Caterina di
Berzo: il caso di una mistificatrice nella Valcamonica
del Seicento, in Studi e fonti di storia lombarda.
* Infermiere. Coordinatore di sezione e docente
a contratto, corso di Laurea in Infermieristica
Università degli Studi di Brescia sede di Esine
** Infermiera. Tutor e docente a contratto, corso di
Laurea in Infermieristica Università degli Studi
di Brescia sede di Esine
*** Infermiera. UO Ortopedia, Istituto clinico San
Rocco, Ome